L’
esperienza sindacale, una storia che viene da lontano
La
mia esperienza sindacale parte dal responsabile del coordinamento
immigrati dal 90 al 96 e poi in Fillea Cgil.
Nel coordinamento, Il mio ruolo vuole essere quello di
guida nell'iter formativo, mettendo a disposizione l'esperienza di
sindacalista e formatore.
Vorrei soffermarmi sulla prima fondamentale esperienza, quella
sindacalistica e, naturalmente politica, che ha inciso profondamente sia
sulla mia decisione di diventare formatore, sia sulla metodologia da me
adottata. Ho potuto, una volta conosciuto il sindacato in Italia,
chiarire innanzitutto a me stesso la struttura dell'organizzazione
sindacale nella sua accezione più ampia, nelle sue varianti temporali
e/o locali, quindi la sua funzione all'interno di una società. Di che
cosa è espressione un'organizzazione che unisce individui, proprio
perché riconosciutisi in una stessa posizione, in un'idea ed in una sua
resa simbolica, in un fine?
Molte
volte mi sono domandato perché sia così difficile costruire un vero
grande sindacato nel paese in cui sono nato. Una delle cose più evidenti
che ho riscontrato in Italia è la tensione ideologica. Tengo a precisare
che non considero affatto l'ideologia in un'accezione negativa, tutt'altro,
sono persuaso che l'individuo sia la sua ideologia, essa rappresenta la
dimensione del "Noi", è l'espressione della sua utopia e l'uomo senza
una sua concezione dell'altro e quindi di se stesso, l'uomo
"apolitico",insomma rappresenta un assurdo logico. Il lato negativo, che
non è proprio solo dell'ideologia ma anche di altri tipi di strutture
del pensiero umano, è quando si cristallizza, quando non tiene più conto
del tempo e degli avvenimenti che cambiano necessariamente le coscienze
e ne mutano le esigenze, quando fa passare in secondo o terzo piano tali
esigenze, e gli individui di cui sono espressione, quando perde la
dimensione del "Noi" e perde il suo fine.
E' un
difetto che ho riscontrato in alcuni suoi dirigenti e proprio questa
rigidità ha costituito il maggior ostacolo alla comunicazione con la
nuova, profondamente diversa utenza(immigrati). Gran parte di essa,
infatti, è composta, come sempre ho riferito, da persone che non
presentano una "cultura sindacalista" così come è correntemente intesa
in Italia. Confrontando le due realtà, con le quali ho stabilito i miei
contatti più profondi, quella italiana e quella marocchina, trovo,
principalmente, che all'interno di quest'ultima manchi proprio quella
tensione ideologica.
In
molti casi l'istituzione di organizzazioni di lavoratori ha trovato il
suo "collante" nelle idee marxiste, nella sua ampiezza espressiva e
nella complessità delle sue riletture attraverso gli anni, idee di cui
spesso il sindacato era stato considerato dai suoi attivisti diretta
espressione pratica. In Marocco questo non è avvenuto. Non sono certo in
grado di compiere un'analisi storico-sociologica esaustiva, ma credo che
abbia influenzato molto un'idea di lavoro, che non ha permesso che essa
fosse l'espressione di una condizione sociale e che, in quanto tale,
potesse sfociare in una solidarietà ed un'unione tale da pensare di
poter cambiare un intero sistema economico, o comunque di poter mutare,
attraverso la lotta per la conquista di diritti, quali quello ad
esempio, alla sicurezza personale, l'idea di se di fronte alla società
intera.
Il
lavoro rappresenta l'unica fonte di sostentamento, qualsiasi esso sia,
in qualsiasi condizione, forse la sua estrema precarietà è una delle
spiegazioni per cui la persona che per quel giorno si trova a lavorare
non consideri l'altro come suo "affine", causa questo (Almeno in parte)
di una mancata coesione sociale , di un autoriconoscimento in una Classe
e di una costituzione di un’organizzazione che renda la classe
lavoratrice o comunque quella parte di società che subisce la disparità
economica unita, tangibile , politicamente rilevante .
La
spiegazione, legittima ma che non poche volte assume pieghe tendenziose,
secondo la quale le persone siano troppo religiose per abbracciare
ideali troppo materialisti, mi sembra francamente semplicistica. La
visione trascendente dell'esistenza e dell'esistente non esclude il
realismo, il sentimento del divino non può trascurare la materia, non
può perché l'uno è il completamento dell'altro. Vi sono molti credenti
tra le file dei sindacalisti, perfino tra i comunisti (che costituiscono
un partito attualmente in Marocco), sono musulmano, nulla mi vieta di
essere comunista, tanto meno di essere sindacalista, neppure l'ateismo
di Marx, di Engels o Lenin e di molti loro seguaci. In primo luogo
perché la filosofia marxista trova la sua estrinsecazione in un'analisi
economica della storia, della società, non avulsa, certo, da una visione
politica, non da un'analisi metafisica. O meglio la visione metafisica
(la concezione della realtà, quantunque materialistica, parte comunque
da presupposti oltre materiali, indimostrati ed indimostrabili) occupa
una parte irrilevante dal punto di vista puramente pratico politico. In
secondo luogo, Marx era figlio di un'epoca e di una cultura, io non
appartengo ne all'una ne all'altra e ritengo legittimo e naturale che
un'idea nasca e si evolva nel tempo (questa è la bellezza delle grandi
idee) e che trovi tante letture quanti sono i microcosmi umani. Il
concetto di idea "pura" è un'illusione, chiunque rivendichi una purezza
ideologica o religiosa od altro è un soggetto pericoloso e sterile.
MOULAY EL AKKIOUI
La
Spezia 6 luglio 2005