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Edmond Velaj, Firenze

La mia storia, gli immigrati in Italia

 

Mi chiamo Edmond Velaj, vengo dall’Albania, ho ventitre anni e lavoro al sindacato, alla FILLEA-CGIL di Firenze. Non è uno scherzo. E’ il lavoro che ha iniziato a fare – da qualche anno –la CGIL e in questo caso la FILLEA di Firenze, cioè, cominciare a promuovere il lavoro dei giovani ed ad inserire nel gruppo dei dirigenti lavoratori immigrati;  quest’ ultimo proprio per far fronte alla presenza molto significativa degl’immigrati presenti oggi in Italia e anche per dare la possibilità  agli immigrati di “entrare dentro” il sindacato e discutere in maniera diretta dei loro problemi.

A parer mio è un passo importante e decisivo che la CGIL si presta a fare anche se ad oggi solo alcune categorie lo hanno fatto. 

 

La mia storia

 

Sono venuto in Italia nel 2000, pagando una somma considerevole alla mafia perché sono venuto clandestinamente, come il 99% degl’Albanesi. Una volta arrivato in Italia non è stato difficile trovare lavoro. In nero. La clandestinità e il lavoro nero sono i “virus” che agiscono all’annientamento dei diritti e della dignità della persona, prima come essere umano e poi come lavoratore.

Nel 2002, con la sanatoria “Bossi-Fini” sono riuscito a regolarizzare la mia posizione, pagando ovviamente 800 euro come prevedeva la legge: io, non il datore di lavoro!. Questo è il minimo, perché qualcuno ha pagato anche 5 – 6 mila euro per avere il permesso di soggiorno! E poi vederselo rinnovare per 6 mesi perché il datore di lavoro (padrone) lo aveva mandato via. Un rinnovo del permesso di soggiorno per sei mesi per “attesa occupazione”. Tutto legato al lavoro! Allora non abbiamo un permesso di soggiorno ma un permesso di lavoro?!.  La “Bossi-Fini”!

Una bestemmia per gli immigrati. Questa legge tende verso una mercificazione  della persona umana, in quanto prevede che un immigrato “povero” (proveniente da paesi come: Albania, Marocco, Romania …) deve soggiornare in Italia solo ed esclusivamente se ha un posto di lavoro, quindi se produce. Per questo uso un tono aspro per descrivere questa legge.

Ho lavorato in diversi settori: del legno, dell’ agricoltura, dell’edilizia.

Nell’ ottobre 2003 ho cominciato a lavorare in edilizia. Ho visto come il datore di lavoro (padrone) fissava le regole del nostro rapporto di lavoro. Dovevo fare come diceva lui: se si lavorava si riscuoteva quando mancava il lavoro non si riscuoteva. Totalmente privo di vincoli legislativi e contrattuali.  Ho cominciato a ribellarmi perché vedevo che non rispettava i miei diritti. Risultato: licenziato.

Licenziato solo perché rivendicavo i miei diritti!. Ho cominciato a capire che questa non era l’Italia che avevamo visto alla televisione. Non era l’Italia del “Mulino bianco”!.

Dopo essere stato licenziato, mi sono rivolto al sindacato. Era la prima volta che andavo al sindacato, era un sabato mattina. Quel giorno ho incontrato Mauro Livi, il segretario della Fillea della regione Toscana, che mi ha solo ascoltato. E’ stata una bellissima sensazione! Per la prima volta da quando ero in Italia c’era qualcuno che mi ascoltava. Mi sono sentito accolto.

Da allora ho cominciato a rianimare le speranze che fino a quel momento erano rimaste spente.

Dopo un paio di mesi che frequentavo gli uffici della Fillea per la mia vertenza contro la mia ditta,  mi hanno proposto di cominciare un esperienza al sindacato. Un passo, come ho detto in premessa, molto importante, sia per me che per il sindacato. Da allora si sta lavorando molto sulla sensibilizzazione dei lavoratori immigrati, stiamo cercando di “guadagnare” la loro fiducia: cosa molto importante secondo me, perché serve nella relazione tra mentalità diverse.

Avendo qualcuno che capisce la loro lingua, che capisce meglio i loro bisogni, sono più aperti, più sicuri e collaborano meglio quando si tratta di affrontare i problemi.

Io spero che al più presto la CGIL cominci a fare questo lavoro con più determinazione.

 

Immigrati e la loro vita in Italia

 

La parola “immigrati”, a parer mio, ha preso un significato sbagliato in Italia.

Una persona che migra in un altro paese; lasciando la famiglia, la sua terra - e vi assicuro che lo fa con le lacrime agli occhi -, non migra per andare a rubare od a delinquere ma nemmeno pero ad essere sfruttato, discriminato, relegato…

Un immigrato ha dei progetti, dei sogni ma non avendo la possibilità di realizzarli al suo paese va in un altro paese dove apparentemente c’è democrazia e quindi tutti possono realizzare i loro sogni. Ma appena arrivati in Italia ci rendiamo conto che l’apparenza inganna, che della democrazia esiste solo il nome e questo e molto deludente.

Poi c’è la società che ci è molto distante e anche diffidente, quindi le difficoltà di integrazione sociale diventano molto grandi ed a volte insuperabili. Perciò invito tutti ad essere più comprensivi verso di noi e non pregiudizievoli, di promuovere le nostre buone qualità e non quelle cattive - che ogni essere umano ha -, di ascoltarci: perché non c’è cosa più bella per un immigrato che quando qualcuno ascolta la sua storia.

Un lavoro molto importante sull’ascolto lo potrebbero fare i media invece di partire sempre con pregiudizi e limitarsi di far notare solo le vicende negative condotte da immigrati senza valutare le cause dell’effetto.

Nei giornali si legge che un extracomunitario è più incline a delinquere. E questa è una palese discriminazione, in quanto l’extracomunitario si descrive come una specie.

Invece io dico che una persona che conduce una vita difficile, una persona discriminata, una persona relegata, una persona schiavizzata è più incline a delinquere. Perché è questo che gli extracomunitari stano subendo da un pò di anni in qua. Questo perché il governo italiano non è ancora in grado – a quanto pare – di gestire l’immigrazione in modo giusto, di valutarla in modo giusto.

Quando si dice che l’immigrazione è una ricchezza per il paese, il governo italiano lo percepisce come produzione, come merce. Non è cosi. Questo è sfruttamento.

L’immigrazione è si una ricchezza ma  una ricchezza per il lavoro, come lo è per la cultura, come lo è per l’arte, come lo è per la vita di questo paese.

Questo è valutare l’immigrazione come una ricchezza.

Ma finchè la politica italiana partorirà leggi come la “Bossi – Fini”  l’immigrazione non sarà mai una vera ricchezza ma solo una voce di mercato.

Siccome l’organizzazione che finora ha lavorato di più con gli immigrati, che ascolta di più gli immigrati, che capisce di più gli immigrati è la CGIL,  ha il dovere – secondo me – civile e sociale di impegnarsi di più insieme a noi,  di contestare con forza tali leggi affinché trionfi la vera uguaglianza e la vera democrazia.

Sono pienamente convinto che se tutti insieme lottiamo per le stesse cause quali l’uguaglianza e la democrazia ne usciremo vincitori. Perché da quando la storia ha cominciata ad essere scritta ci dice che gli uomini di buona volontà hanno cambiato il mondo.

       

  

 

   Firenze 30 giugno 2005     

                                                                        

 EDMOND  VELAJ

FILLEA – CGIL FIRENZE

 

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