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Comunicato stampa - FilleaResteauro

                                                                                 

                                  

 

 

Per una nuova politica di sviluppo di un’economia dei beni culturali

Documento di proposte elaborato dalla Confederazione Italiana Archeologi,

ANCPL-Legacoop e FilleaRestauro-CGIL

 

La Confederazione Italiana Archeologi, l’ANCPL-Legacoop e la FilleaRestauro-CGIL presentano alle forze politiche, alle istituzioni, alle imprese, agli addetti ai lavori un Documento di proposte per una nuova politica di sviluppo di un’economia dei beni culturali. Gli obiettivi del documento sono il riconoscimento delle professionalità che operano nel settore dei beni culturali e la normazione condivisa e partecipata del mercato del lavoro, con una particolare attenzione alla valorizzazione delle risorse umane impiegate.

Al Ministero dei Beni Culturali è affidata la tutela e la valorizzazione del nostro patrimonio culturale e ambientale e sebbene sia il terzo in ordine di grandezza, gestisce oggi solo lo 0,17% delle finanze nazionali.

Il settore culturale ha registrato nel decennio 1990-2000 una crescita, sostenuta soprattutto dai beni artistici,  del 33%;  un dato, questo, inferiore a quello del periodo precedente, quando la spesa per la cultura era cresciuta del 90%.

I tagli che negli ultimi anni hanno interessato il settore dimostrano come il governo non punta e non investe risorse adeguate per rilanciare l’economia del settore, anzi penalizza imprese e lavoratori impegnati nella tutela e valorizzazione dei beni culturali.

Per il settore dei beni architettonici e del paesaggio nella programmazione triennale 2004-2006 erano stati stanziati 267.353.267 euro;  sempre per questo settore nella programmazione triennale 2005-2007 sono stati stanziati 70.222.798 euro, con una riduzione del 70%  che di fatto quasi annulla le risorse.

Il governo, infine, per far quadrare l’ultima Finanziaria, ha contribuito ad aggravare la situazione già precaria, calando la scure sul Ministero tagliando del 46% le spese del finanziamento, e del 26% quelle di investimento, producendo una situazione che porta la cultura e i suoi beni ad essere i meno finanziati e meno tutelati.

Negli ultimi anni l’intero sistema dei beni culturali ha subito diverse trasformazioni legislative, elaborate nell’intento di migliorare il sistema di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale nazionale. I criteri stabiliti dal Codice dei Beni Culturali, inoltre,  lasciano ancora aperte troppe questioni da definire e chiarire sul piano delle pertinenze, sul piano organizzativo e operativo.

Il nostro paese vanta una delle maggiori concentrazioni di beni culturali al mondo; l’Associazione italiana per l’economia della cultura aveva fornito, negli anni novanta, una stima complessiva del patrimonio per un valore di circa un milione di miliardi di lire. Pur non esistendo una catalogazione definitiva e completa dei beni culturali a grandi linee il numero dei beni immobili di carattere storico, artistico e culturale è pari a 217.003 unità. In Italia lavorano circa 80.000 tra restauratori, archeologi e storici dell’arte. La categoria è costituita prevalentemente da giovani con una età media di 35 anni ed è caratterizzata da una forte presenza di donne, il 70% del totale.

Solitamente si tratta di giovani laureati o specializzati, che sono occupati in attività precarie, destinati a cambiare lavoro molto frequentemente. La maggior parte lavora con incarichi a tempo determinato per imprese o cooperative, solo il 20 % lavora per il Ministero e le Soprintendenze.

In Italia sono 3.521 le imprese qualificate ad operare sui beni culturali sottoposti a disposizioni di tutela.

Manca una valutazione strategica dei bisogni formativi nei beni culturali che renda fluido il rapporto tra formazione e lavoro.

Le disfunzioni nascono da un problema di fondo che è quello della mancanza di strumenti di riconoscimento omogenei delle professionalità operanti nel settore. I parametri di qualificazione richiesti sono diversi a seconda dei casi: a seconda che il committente sia lo Stato o gli enti locali, a seconda che il privato sia no profit o imprenditore.

Con l’ aumento dei soggetti operanti, di profili e requisiti la situazione è diventata insostenibile.

L’esito di una tale situazione, causata anche dalla mancanza di una definizione chiara dei requisiti abilitanti alle diverse professioni,  è la sostanziale assenza di tutele, sicurezze e diritti per i lavoratori: non ci sono tariffari comuni e le retribuzioni sono basse e dequalificanti.

Sebbene il settore e il mercato dei beni culturali sia cresciuto, è evidente che l’incontro tra domanda e offerta non avviene in modo funzionale.

Trasformare in attività d’impresa un lavoro altamente professionale implica, anche, chiarire come le imprese si strutturano e il loro rapporto con le sopraintendenze che operano come stazioni appaltanti pubbliche.

Fino ad oggi è mancata una riflessione compiuta su cosa si intende per impresa che opera nel circuito dei beni culturali, che tipo di struttura deve avere, quali finalità etiche per poter parlare di una “sana visione speculativa del bene culturale” e quali condizioni economiche ad essa vengano garantite per il mantenimento di una struttura organizzativa formata da alte professionalità.

Non si tratta solo di rispondere alle carenze strutturali dell’amministrazione pubblica ma di creare condizioni di lavoro che rispettino i diritti e le tutele delle risorse umane impiegate.

Questa posizione non è inconciliabile con il concetto di tutela e conservazione dei beni culturali, qualora, fatti salvi i principi di conservazione e tutela, si crei un sistema di regole chiare nell’affidamento degli appalti.

Va quindi individuato e chiarito, nelle normative di riferimento, un sistema di selezione delle imprese che ne tenga in considerazione l’intera struttura, ovvero la tipologia di professionalità che ne costituiscono l’organico, elemento fondamentale per garantire standard qualitativi elevati.

Nell’attuale sistema normativo esiste la tendenza  ad istituzionalizzare l’idea di un assetto organizzativo in cui il livello di qualità viene espresso unicamente dalle figure apicali, sottovalutando l’importanza dell’apporto professionale offerto dagli operatori.

Il processo produttivo di un’azione di tutela e valorizzazione è invece il risultato di una stretta ed elaborata collaborazione di più figure professionali alle quali occorre riconoscere  le competenze, i percorsi formativi e l’adeguato trattamento economico, con una stretta aderenza alla realtà di tale marcato.

Questo complesso insieme di situazioni ha portato  la Confederazione Italiana Archeologi, ANCPL-Legacoop e FilleaRestauro-CGIL ad affermare la necessità di riprogettare il sistema dei beni culturali attraverso provvedimenti legislativi che pongano il settore culturale all’interno di un’economia di crescita del territorio e delle sue risorse.

Intervengono  alla conferenza stampa di presentazione del documento congiunto, “Per una nuova politica di sviluppo di un’economia dei beni culturali”, Livia Potolicchio, Coordinatrice nazionale di FilleaRestauro; Romano Galossi, ANCPL-Legacoop  e Giorgia Leoni, Confederazione Italiana Archeologi.

 

 

 

Roma 3 aprile 2006

 

 

 

 

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