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CHIANCIANO L'ASSEMBLEA DI PROGRAMMA DELLA CGIL

INTERVENTO DI WALTER SCHIAVELLA

17.07.09 La crisi chiama il sindacato ad una grande responsabilità: non solo rivendicare strategie immediate per fronteggiarla, ma esigere che esse siano il coerente presupposto dei nuovi equilibri economici e sociali che dopo la crisi di dovrebbero affermare.  In sintesi, è con le scelte di oggi che definiamo il futuro ed è per questo che la dimensione del nostro agire quotidiano e della riflessione programmatica debbono saldarsi nella ricerca di coerenze tra l'una e l'altra; ed è per questo che sconfiggere le risposte sbagliate dei governi è importante. Anche ieri, nell'incontro istitutivo di quel tavolo interministeriale sul settore che ci siamo conquistati unitariamente e con l'innovatrice esperienza degli Stati Generali delle Costruzioni, abbiamo avuto conferma di una strategia basata su due costanti: l'assenza di effettiva capacità di spesa, sia che si parli di infrastrutture che di politiche abitative o di raddoppio degli ammortizzatori sociali, e la forte spinta de regolativa, sia che si parli di sicurezza sul lavoro o di contrasto all'irregolarità nel mercato del lavoro. Queste costanti dell'azione del Governo sono funzionali ad un preciso modello che non contrasta ma consacra le diseguaglianze come "motore" della ripresa e della crescita, una strategia che attraverso l'attacco ai soggetti più deboli ed esposti punta a scardinare la trincea dei diritti. E allora, precari, mezzogiorno, migranti, donne, ma anche i giovani con l'attacco alla scuola pubblica, diventano i terreni su cui si tenta l'azione di sfondamento di quella trincea. Il decreto sicurezza non può chiamarci soltanto ad un moto di indignazione per l'aberrante filosofia che lo anima, per gli effetti che produce sul settore edile e per il fatto che tutti, medici, insegnanti, presidi, funzionari sono chiamati alla denuncia dei clandestini ma in tutto questo l'unica cosa che non è denunciata è lo sfruttamento del lavoro nero, dell'irregolarità, togliendo valore anche alle denunce anonime e del sindacato. In un settore che vede il 30% della manodopera regolare immigrata, ma anche un terzo di lavoratori in nero, tra i quali i migranti sono la maggioranza, tutto ciò apre problemi enormi di fronte ai quali l'indignazione non basta. Dobbiamo essere consapevoli che se non ci opponiamo con fermezza a tutto questo, quella trincea dei diritti verrà sfondata e ne conseguirà un effetto domino che colpirà l'intero nostro schieramento. Dobbiamo non solo difenderci ma ripartire, aggredendo le sperequazioni e le diseguaglianze generate e allargate dalla crisi. L'eguaglianza dunque come motore di un nuovo modello di sviluppo, ma dovremo saper tenerla insieme alla libertà ed all'attenzione alle specificità. Ritengo che siano questi i punti cardine del nostro impegno per tracciare un nuovo progetto per il sindacato e per il paese. In questo quadro di debolezza e di incapacità della politica di farsi portavoce e sintesi di interessi generali e complessivi, la rappresentanza sociale ed in particolare il sindacato hanno un ruolo fondamentale. Per esercitare questo suo ruolo generale il sindacato ha bisogno di ripensare se stesso, forte dei suoi presupposti fondamentali: l'autonomia come condizione, il programma come base, la contrattazione come strumento. L'autonomia come condizione, non solo dichiarata ma concretamente e coerentemente praticata attraverso il suo unico fondamento, che è nel programma, nella definizione di merito delle proposte, nella capacità di tenere insieme interessi e punti di vista diversi. Dunque nella sua confederalità, contrastando derive pericolose verso un allentamento dei legami che per tutti noi ne derivano. Il programma confederale come base. Quindi, se il tema è quello delle diseguaglianze nella crisi e nei modelli sociali che ne seguiranno, la rappresentanza sociale non potrà che esercitare il suo ruolo che sul terreno della riduzione delle distanze, in termini generali ma, in primo luogo, sulle questioni sulle quali si esercita. Quindi, la strategia dei diritti e della cittadinanza come perno della nostra elaborazione programmatica, ma anche come azione concreta per affermarli con un welfare universale, pubblico ed inclusivo e con il rapporto che evoca con le necessarie politiche fiscali. Il fisco resta dunque uno dei terreni centrali della nostra azione, su cui non possiamo inseguire una politica che al solo pronunciare quella parola atterrisce, arretra e balbetta. Attraverso adeguate politiche fiscali passano non solo il necessario riequilibrio di pesi a favore del lavoro dipendente e a carico delle rendite, dei profitti e del lavoro autonomo, ma molti altri aspetti decisivi per una nuova strategia dell'eguaglianza. Per adeguate politiche fiscali passano infatti anche i processi redistributivi ed inclusivi indiretti, in funzione di quanto saranno capaci di finanziare un sostenibile ed equo welfare pubblico a presidio universale di un più ampio sistema di diritti. Si pone, oggettivamente, il tema politico e culturale di un nuovo patto sociale in cui universalità e pubblicità del welfare, e della pienezza delle sue tutele e presidio di diritti universali, siano rafforzate dalla sussidiarietà e dalla integrazione in risposta alla pluralità e diversità dei bisogni e consolidate dalla centralità che, anche nelle nostre strategie e nella nostra azione, debbono avere i temi dell'efficienza e dell'efficacia dei servizi pubblici. Ma, soprattutto, dovremo avere la capacità ed il necessario rigore, di tenere insieme la necessaria universalità e pienezza del welfare pubblico con la pluralità delle condizioni sociali, economiche e soprattutto lavorative, sperimentando un welfare contrattuale che non miri a sostituire il welfare pubblico né a colmarne i vuoti o le inefficienze, ma a cogliere quelle differenze che altrimenti resterebbero senza risposta. Il problema non è quindi la bilateralità, ma come si usa. Dove possono trovare risposte concrete e sostenibili, ad esempio, le esigenze di lavoratori a rischio e con forte discontinuità come gli edili? In questo la bilateralità può avere un ruolo virtuoso se resta ancorata alle sue fonti contrattuali e non agisce in sostituzione ma integra il quadro pieno e generale delle tutele pubbliche. Infine, una corretta fiscalità può agire non solo a valle dei processi redistributivi, ma anche orientarli a monte. E' infatti chiaro che sia da recuperare il fondamentale ruolo dello stato nel definire regole ed indirizzi al mercato, regole ed indirizzi senza i quali in settori frammentati e destrutturati, come il sistema delle costruzioni, determinano condizioni di diseguaglianza nell'accesso ai mercati e di disparità nelle opportunità offerte alle imprese, penalizzando spesso quelle serie e premiando quelle furbe. E sappiamo che anche il prezzo di queste diseguaglianze finiscono per pagarlo i lavoratori ed i cittadini in termini di diritti e di sicurezza, perché una impresa illegale, che usa lavoro nero, difficilmente costruirà in sicurezza, sia per chi la costruisce che per chi la abiterà. L'Abruzzo in questo insegna, e non solo nella riflessione su ciò che è accaduto anche in quello che possiamo fare per affermare legalità, qualità e sicurezza nella ricostruzione, come stiamo facendo. Infine, la contrattazione come strumento, per affermare il ruolo generale della rappresentanza sociale. Non possiamo prescindere, nell'affrontare questo tema, dalla condizione dell'oggi, dalle difficoltà e dai prezzi che la divisione attuale ci impone. Una divisione concreta, assecondata con pervicacia dal Governo e da altri, una divisione che pur nelle preoccupazioni che genera, non può farci perdere di vista la validità delle nostre ragioni e la coerenza rigorosa con quelle ragioni del nostro agire. Quell'accordo è inaccettabile nelle forme e nei principi, non estende la contrattazione e non redistribuisce salario, non può guidare in alcun modo la nostra attività contrattuale. Parimenti, non può venire meno la tensione all'unità, la ricerca costante ed instancabile di ogni avanzamento possibile in un cammino stretto, ripido e disseminato di pericoli e precipizi, ma che le responsabilità che portiamo verso i lavoratori non può esimerci dall'esplorare fino all'ultimo centimetro, come sta tentando di fare la Fillea in queste settimane. In questo lavoro complesso non dobbiamo mai perdere il nesso che lega l'esercizio della contrattazione alla rappresentanza, alla partecipazione ed alla democrazia. Una rappresentanza non solo da misurare e verificare, ma innanzitutto da estendere: questo è il primo obiettivo di una azione negoziale che voglia non solo redistribuire dalla rendita al lavoro ma anche redistribuire nel lavoro, riunificandolo e, appunto, rappresentandolo nella sua unità. Per questo, così come sarebbe sbagliata una azione contrattuale volta soltanto a difendere i salari e a redistribuire nel lavoro la sola quota di ricchezza che è già del lavoro, sarebbe altrettanto sbagliata una azione di riunificazione basata solo su una nuova articolazione dei diritti esistenti. Sia nel reddito che nei diritti del lavoro, ciò che va redistribuito, se si vuole davvero unificare, è la somma di ciò che abbiamo con ciò che dovremmo conquistare di nuovo, sia in termini di salario che di diritti. E fra i primi diritti da conquistare, per chi oggi è escluso o discriminato, c'è il diritto ad essere rappresentato, a rappresentare esso stesso e a contrattare in tutti i luoghi di lavoro, grandi e piccoli, nei territori come nei siti produttivi, la propria condizione di lavoro riappropriandosi del proprio tempo e del governo partecipato dei processi produttivi. Su questa base, dobbiamo produrre uno sforzo di innovazione, della nostra attività contrattuale. Se l'obiettivo è estendere tutele e rappresentanza, allora non sono i generici macro settori produttivi i luoghi da riunificare nella contrattazione ma i luoghi di lavoro, i siti produttivi, le filiere, i settori contigui, riducendo la frammentazione contrattuale ma non annullando le specificità, ma soprattutto allargando spazi e strumenti della contrattazione. Questo sforzo è parte di una più ampia riflessione su noi stessi, come ha fatto Epifani. E' il punto su cui la relazione ha lasciato più spazi aperti, come è giusto alla vigilia dell'avvio di un importante percorso congressuale. E' giusto riflettere e ragionare, sapendo che occorre uno scatto in avanti e che non partiamo da zero ma dall'importante elaborazione che solo un anno fa ci ha consegnato la Conferenza d'Organizzazione con le scelte sulla centralità dei territori e dei posti di lavoro. La crisi oggi ci impone delle scelte e delle accelerazioni nel passaggio, sempre difficile, dal dire al fare e questa è una responsabilità in più che pesa sulle nostre teste, su questo gruppo dirigente, su questa nostra generazione. Quelle scelte dovremo farle con la massima tensione all'unità ma non a prezzo della chiarezza e della lealtà, che comporta il misurarsi sulle questioni e non sugli assetti. Quelle scelte dobbiamo sentirle non come un peso ma come uno stimolo ad usare nel confronto le nostre menti in modo efficace ed aperto perché, come diceva Frank Zappa, "la mente è come un paracadute, funziona solo se si apre."