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Relazione Introduttiva di Mario Ridulfo

E’ diventata una tradizione ormai, l’iniziativa che ogni anno la Fillea Cgil di Palermo mette in cantiere per commemorare i fatti che nella giornata dell’otto luglio 1960, coinvolsero tra gli altri due compagni, due dirigenti sindacali edili Palermitani: Francesco Vella di 49 anni e Andrea Gancitano di 19 anni, uccisi entrambi da colpi di arma da fuoco.
Quella mattina, per risposta ai fatti di Reggio Emilia e a seguito della proclamazione dello sciopero generale della CGIL, il centro di Palermo venne presidiato fin dalle prime ore dai reparti celere della polizia, al fine di disturbare la manifestazione .
Il corteo fu caricato brutalmente dalla celere con le jeep spinte a velocità contro la folla.
I lavoratori si difesero con , sassi, bastoni, come poterono, come un’intifada palestinese, come gli studenti al G8 di Genova, come i giovani iraniani, come Neda la giovane divenuta simbolo, a Teheran e nel mondo e forse come tanti migranti sulle coste libiche in balìa di negrieri e polizia di regime in questi giorni.
A volte, le tante ricorrenze, che il nostro martoriato calendario ci ricorda, dalla strage di Portella agli omicidi di 38 sindacalisti della Cgil tra il 1947 e il 1950, a volte, dicevo, queste ricorrenze possono apparire o come eventi sbiaditi nel tempo e nei ricordi degli ultimi testimoni, oppure quasi come un accanimento, rispetto ad un mondo che attraverso una irrefrenabile corsa, “digerisce e vomita” continuamente fatti e notizie, così chè decine di morti in nome della democrazia in Iran, come in Thailandia, come in Congo, assumono, oggi lo stesso valore di una notizia, relativa a qualche disavventura di una star della televisione o di qualche sportivo.
Se accanimento c’è da parte nostra è quello di non arrendersi, di tentare giorno per giorno, di difendere l’idea e gli interessi di quei lavoratori che sacrificarono la propria vita, in ragione di principi alti e nobili.
E parafrasando la poesia che la sorella di Neda ha scritto, potremmo dire a chi non vuol sentire:
“Si! Noi siamo qui vivi. Noi siamo qui a piangere, noi siamo qui a raccontarvi quanto fossero dignitosi e belli. Noi Siamo qui a raccontarvi come sarebbe stato bello vedere il vento agitare i capelli di Andrea. Noi Siamo qui a ricordarvi quanto volesse vivere a lungo Francesco, Noi siamo qui per dire di quanto fossero orgogliosi, di dire a tutti, a testa alta, noi siamo lavoratori edili!”.

Le ragioni che portarono allo sciopero generale e agli scontri di piazza, erano quelle della difesa di un’ancora giovane democrazia, offesa dall’apertura del Governo Tambroni ai post- fascisti e nella decisione di questi ultimi di celebrare il congresso a Genova, città martire, medaglia d’oro nella lotta di liberazione al regime fascista e all’occupazione nazista.
Con lo sciopero generale dell’otto luglio la protesta contro il governo Tambroni assunse una dimensione realmente nazionale e la Cgil si pose alla guida del malcontento e della mobilitazione popolare, contro la deriva autoritaria del governo.
Anche in quell’occasione pur opponendosi Cisl e Uil rifiutarono, come sempre, la partecipazione ad uno sciopero ritenuto politico (quante assonanze con l’oggi!).
Da sola la Cgil e i suoi militanti assunse il ruolo a difesa delle istituzioni repubblicane e come si può evincere dalla lettura del documento approvato dal comitato direttivo della Cgil del 13 luglio 1960: “l’obiettivo è quello di una lotta sindacale democratica nei luoghi di lavoro, tale da investire sui problemi fondamentali della condizione operaia,…al fine di eliminare ogni sorta di oppressione, arbitrio, misconoscimento dei diritti politici, sociali e umani dei lavoratori”.
Il clima che portò alla tragedia era quello di un grande fermento sociale, frutto di una condizione generale di arretramento che a Palermo , in Sicilia erano rappresentati dal perdurare del capolarato, dai ritardi nella ricostruzione dagli scempi della guerra, dall’arretramento dei lavoratori nelle campagne e nelle realtà industriali Palermitane, a cominciare dai cantieri navali dove una intera generazione di sindacalisti si forma a cominciare da Peppino Miceli, che ci ha lasciato pochi giorni fa, una generazione, quella, che tanti hanno identificato come i giovani con le “magliette a strisce” , attraverso loro nascerà qualche anno più tardi, anche a Palermo la stagione della contestazione e della costituzione del movimento antimafia.
Dicevo, il clima di quegli anni è quello di diritti negati, di non lavoro, di lavoro precario, di gabbie salariali ( gli operai Palermitani guadagnavano il 60% di quanto guadagnava un operaio Genovese), anni duri, di repressione e di sconfitte, dove il licenziamento significava passare da una condizione difficile ad una condizione impossibile.
Ho voluto attardarmi seppur superficialmente, nell’inquadrare la situazione di quegli anni, perché in un arduo parallelismo vogliamo legare, seppur in condizioni diverse e in tempi diversi, le condizioni di quei lavoratori, di quei disoccupati Palermitani alla condizione dei lavoratori precari di oggi e a quanti, ultimi tra gli ultimi sono più dimenticati, bistrattati: i lavoratori migranti.
Ciò che unisce pericolosamente e che ci preoccupa, è la stessa visione politica della società, dei diritti , della democrazia che lega il governo di ieri con quello di oggi, in poche parole una visione paurosa del futuro.
Come si dovrebbero leggere altrimenti i provvedimenti e le modifiche legislative assunte dal governo?
Restrizioni sui ricongiungimenti familiari, come sui matrimoni misti, la modifica della norma nella parte in cui diventa un aggravante l’essere straniero clandestino in caso di reato, sovvertendo il principio giuridico di una moderna democrazia, cioè che la legge è uguale per tutti; la norma sugli assegni sociali; l’approvazione della dichiarazione dello stato di emergenza riferito agli arrivi di cittadini extracomunitari; gli ostacoli ai rinnovi dei permessi di soggiorno ed il lucro su di essi per il lavoratore ed ogni componente il nucleo familiare (il pagamento di 200 euro per ogni pratica di permesso che con i tempi lunghi a volte sono già scaduti).
Eppure, se l’Italia ha raggiunto quota 60 milioni di residenti lo si deve esclusivamente alla componente migratoria, 3,9 milioni di stranieri residenti (istat), la metà di sesso femminile, le stime della Caritas aggiungono agli iscritti all’anagrafe anche coloro che ottengono il riconoscimento familiare.
Palermo è tra le prime città in Italia per bimbi stranieri, le nascite “straniere” infatti sfiorano il 20% , un bambino su cinque è figlio di coppie di immigrati, figli spesso di coppie che per lo stato sono clandestini, senza tutele e diritti.
Una seconda generazione che farà sempre più questa città multietnica. In Italia i minori di origine immigrata presenti sono più di 760 mila, dei quali 450 mila nati nel nostro paese. In altre nazioni godrebbero dalla nascita della cittadinanza, acquisendo così il diritto di elettorato attivo e passivo, ciò manca in Italia, dove vige ancora il diritto di sangue.
L’80 % degli immigrati ”Palermitani” arriva dall’Asia e dall’africa. La più numerosa è la comunità Tamil (Sri Lanka), poi Bangladesh, Tunisia, Isole Mauritius, Marocco, ma anche Nigeria, Albania, Romania, Ghana e …… il paradosso è che da una di queste coppie, a Palermo, poi nascono anche i giovani campioni, come il giocatore della nazionale di calcio under 21! , mi viene in mente quella canzone-poesia di Fabrizio De Andrè che dice: “dai diamanti non nasce niente, dalla “terra”, nascono i fiori”.
In un settore fondamentale come le costruzioni, i lavoratori immigrati rappresentano il 20% della forza lavoro. Negli ultimi anni il 400% in più. Sono più di 150 mila i lavoratori stranieri iscritti alle Casse edili e quasi altrettanto quelli che lavorano in nero o precari. Nel 2008 hanno prodotto oltre 18 mld. di Pil e producono il 20% del valore aggiunto del settore. Una crescita costante. Ancora lo scorso anno sono aumentati del 6,4%. Negli ultimi otto anni, i dati delle casse edili ci dicono che sono cresciuti di sette volte. Naturalmente più forte è la presenza nelle aree ricche del paese: addirittura l’80 % nel nord-est, il 50% -60% nel centro –nord.
In Sicilia, nel meridione, a Palermo i lavoratori immigrati impiegati in edilizia costituiscono sì una presenza più scarsa, ma non bisogna farsi trarre in inganno dalla statistica ufficiale, occorre aggiungere che sono anche una presenza non censita, perché esiste, seppure in dimensioni ancora ridotte, l’impiego e lo sfruttamento in nero di lavoratori edili stranieri, soprattutto nei cantieri più piccoli, più invisibili, quelli gestiti da “padroncini” con pochi scrupoli .
Non è un caso, anzi è espressivo il dato emerso nel rapporto annuale dell’INAIL 2008, presentato lo scorso mese di giugno: nel sud si registra il 6% delle denunce per infortuni, ma il dato dei soli eventi mortali passa al 16%, situazione che conferma il persistere di livelli di sottodenuncia.
Le costruzioni restano il settore che detiene il triste primato: nel 2008 un decesso ogni 4, il 13,7%, è un lavoratore straniero. Ventimila denunce riguardano lavoratori immigrati. Su 90 morti sul lavoro nel settore delle costruzioni in Italia nel corso del 2009, 20 sono di lavoratori stranieri ( il 22%), tredici rumeni , tre albanesi, un kosovaro, un macedone, un marocchino, un ecuadoriano, un nigeriano, un polacco, proprio questo ultimo, morto a Catania lo scorso mese di Giugno.
Sono dati agghiaccianti che colpiscono tutti i lavoratori, italiani e stranieri, con alcuni episodi che “gridano vendetta”, come quello successo sempre a Catania lo scorso mese di maggio: un operaio edile di 43 anni, cade da una impalcatura viene portato dal titolare della ditta sul ciglio della strada per simulare un incidente,……..anche qui quante assonanze con quegli anni!
E non sono solo le questioni legate al lavoro irregolare o alla sicurezza che marcano le differenze, per esempio nel lavoro regolare: l’inquadramento professionale.
Le qualifiche tra gli immigrati sono più basse, nonostante siano mediamente più istruiti. Su cento operai di IV livello solo 4 sono immigrati. I lavoratori edili non comunitari emersi con la regolarizzazione avviata nel 2002 guadagnano in media rispetto alla retribuzione pro-capite dei dipendenti totali, il 24% in meno agli addetti dipendenti complessivi del settore.
La differenza tra un operaio italiano e un immigrato è di circa 1/3 a favore dell’italiano, una sorta di gabbia salariale, di fatto (anche qui, quante assonanze quegli anni!).
Anche per gli stranieri, il livello di percezione delle discriminazioni, è troppo alto: la metà dei lavoratori ha subito atti discriminatori più o meno gravi, dallo storpiamento volontario del nome, fino ad arrivare a veri e propri atteggiamenti razzisti, naturalmente tra questi lavoratori quelli più colpiti sono quelli senza permesso di soggiorno e contratto, più ricattabili, dunque più deboli.
Va detto e questo è un elemento di riflessione che rimetto al dibattito che le politiche del governo, sono causa ed effetto di un sentimento diffuso, l’Italia è diventato un paese più intollerante:
Un ministro degli interni che ordina i respingimenti di massa impedendo l’arrivo sulle nostre coste di centinaia di uomini e donne (magari in attesa di un bimbo), mettendo nel macabro conto dei rischi che queste procedure comportano anche l’ipotesi che qualcuno di loro potesse morire;
Medici zelanti che sottraggono il figlio alla madre perché priva del permesso di soggiorno;
Presidi che ritengono bravi alunni non potere partecipare agli esami di maturità; insomma lungo è l’elenco dei “singoli episodi” che ci si ostina a definire “isolati”, in cui una persona è insultata, aggredita, discriminata per via della sua appartenenza etnica - religiosa o anche per il solo colore della pelle, fatti ascritti da certa stampa “Cortigiana” come fatti di cronaca, episodi di bullismo o peggio come esasperazione dei cittadini.
“Così, come scriveva qualche giorno fa su la Repubblica, Gad Lerner, si alimenta e si legittima il circuito del nuovo razzismo italiano. Licenza di gridare il sentimento generalizzato contro intere comunità. Comprensione per chi trasferisce in gesti individuali o azioni organizzate l’ostilità. Lodi a chi promette riforme in senso discriminatorio del diritto”.
In questo senso la legge approvata lo scorso 2 luglio (cosiddetto pacchetto sicurezza), introduce nel nostro ordinamento legislativo forme di razzismo che ledono diritti umani inalienabili e universalmente garantiti (art.1.. della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo…Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza..) anche dalla nostra costituzione Repubblicana (art.2 della Costituzione…La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.).
Non è un caso che due ex presidenti della Corte Costituzionale Onida e Zagrebelsky, firmano un appello, cui si sono aggiunti giuristi, come Rodotà, magistrati, avvocati per denunciare l’incostituzionalità del reato d’immigrazione clandestina.
Il testo che è stato approvato prevede tra le altre cose: l’introduzione del reato di clandestinità che espone la persona già presente in Italia a ricatti intollerabili e a rischi di denuncia/delazione obbligatoria se a rilevare la condizione di soggiorno illegale è un pubblico ufficiale; l’istituzione delle ronde per pattugliare le città, una sorta di novella milizia nazionale; l’estensione da due a sei mesi della detenzione nei C.i.e. (centri di identificazione ed espulsione), di tutti gli immigrati che arrivano e vengono intercettati nel nostro paese; nuove norme sulla tassa per il rinnovo dei permessi e sulla cittadinanza; divieto di registrazione allo stato civile; permesso a punti. Insomma “un insieme di norme che restringono e discriminano i diritti della persona e che rende più difficile il processo di integrazione e di inserimento”, come ha scritto l’ufficio pastorale degli immigrati della Conferenza episcopale italiana.
Il deputato del PD, Melis, nel corso del dibattito alla Camera, ha detto “state creando un vero e proprio diritto speciale, una legge diversa tra extracomunitario e comunitario e tra questi e i cittadini italiani. L’immigrato senza permesso che sia entrato clandestinamente è con questo ddl un apolide, un cittadino ombra, un fantasma. La persecuzione si estende ai rapporti familiari, alla possibilità per i bambini di accedere all’istruzione e all’assistenza scolastica. Diciamo la verità, continua Melis, in questo vostro testo di legge si respira un’aria , anzi un fetore di razzismo”.
D’altronde cosa è la proposta sulle classi ponte avanzata dalla Lega Nord, condivisa dal Governo e approvata dalla Camera? Non ci sono nei paesi avanzati precedenti per la scelta di classi separate per i bambini immigrati. Inoltre come sappiamo bene nel nostro paese, la percezione di un’emergenza educativa è drammatizzata dallo smantellamento delle risorse per fronteggiarla, ma questa è un’altra storia!
Noi non ci possiamo rassegnare a tale deriva autoritaria e razzista e non possiamo non condividere ciò che afferma don Luigi Ciotti: “quando viene messa a rischio la dignità delle persone e quando viene umiliato e soffocato un progetto di giustizia noi tutti abbiamo il dovere di parlare, di fare, di offrire il nostro contributo alla crescita e alla legalità,……nessuno dovrebbe dimenticare che il fondamento della legge è la persona umana e che le leggi devono rispondere ai bisogni delle persone umane. Di tutte le persone non solo di alcune”.
Allora la domanda è cosa fare?
In questi mesi la Cgil attraverso una costante mobilitazione, culminata nella Manifestazione nazionale del 4 aprile a Roma ha chiesto al Governo e al Parlamento :
-la regolarizzazione dei lavoratori immigrati, per combattere il lavoro nero e per considerare l’immigrazione una risorsa per lo sviluppo;
-la riforma della cittadinanza, per ribadire la necessità di una estensione dei diritti a partire dai nati sul suolo italiano;
-il diritto di voto amministrativo;
-la sospensione della legge cd. Bossi-Fini in caso di perdita di lavoro, considerata l’attuale crisi economica;
-il ricongiungimento familiare, per rompere le condizioni di solitudine e di precarietà delle famiglie immigrate;
-una vera politica d’asilo, che rispetti il dettato costituzionale;
-un modello contrattuale, che garantisca pari dignità dei lavoratori. (dalla piattaforma manifestazione 4 aprile)
E inoltre assieme ad altre 25 organizzazioni, tra cui : le acli, l’arci, la caritas, la cisl, la comunità di s.egidio,la fondazione emmaus, gruppo abele, libera, federazione delle chiese evangeliche, ugl, uil, amnesty international, l’alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati, sta dando vita alla campagna nazionale contro il razzismo, l’indifferenza e la paura, per cui vi invito a sottoscrivere il Manifesto.
Il successo di tutte queste iniziative dipenderà, però oltre ché dalla nostra, a volte comoda, indignazione, dalla nostra capacità di mobilitazione e di partecipazione, cioè dalla possibilità che tutto questo diventi motivo di mobilitazione di settori sempre più vasti della società, di ciò che un tempo avremmo chiamato le masse popolari.
Noi crediamo che attorno ai temi dei diritti, del lavoro, della Democrazia si debba costruire un movimento, che non si limiti alla denuncia dello “status quo” o al ”desio” di migliori condizioni, ma protagonista per la conquista di diritti civili per milioni di nostri concittadini, i quali concorrono al benessere e alla ricchezza di questo paese.
In “sindacalese”, diremmo che concorrono alla produttività dell’azienda Italia, non traendone nessun utile.
Badate bene, però, deve essere chiaro che la mobilitazione si fa “usando”, seppur nel rispetto del principio della non violenza, idee e azioni forti ed espressioni chiare come fu, per capirci, per i coloni americani, l’affermazione:
” No taxation without representation “, niente tasse senza rappresentanza politica, che fu uno dei principi su cui nacque la più moderna tra le democrazie.
Oggi è in discussione la democrazia, così come l’abbiamo conosciuta, mentre va nascendo quella che i politologi definiscono la “democrattura”, una democrazia autoritaria, dove vige la dittatura della maggioranza e dove i diritti delle minoranze, dei diversi, non devono integrarsi ma devono soccombere, adeguarsi.
L’integrazione non è prevista, la multietnicità non è voluta, anzi è respinta.
Naturalmente la “democrattura” non prevede la possibilità di obiezioni di coscienza.
Allora, l’appello che noi oggi facciamo è: parta da questa città centro del mediterraneo, crocevia di popoli e civiltà, capitale di lotte e di riscatto sociale, la mobilitazione.
La nostra proposta è quella di tornare a riunirci nuovamente in questa sala, dedicata ad un’ eroe civile come Mauro Rostagno, riunirci assieme ai diversi protagonisti Palermitani del mondo dell’associazionismo cattolico, laico, della cultura, della scuola, dell’università, dei partiti, del sindacato, per costruire e sottoscrivere, un ‘atto di disubbidienza civile” e dichiarare “Palermo città aperta e libera”.
Aperta alla solidarietà, alla integrazione, ai migranti. Libera, dall’ignoranza, dal razzismo, dall’intolleranza, dalle leggi vergogna.
Solo così, compagne e compagni, gentili ospiti, solo così potranno dirci degni eredi dei tanti eroi, come Vella e Gancitano, caduti nelle calde giornate dell’otto luglio 1960, nella lotta per la libertà e la democrazia.