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FilleaRestauro         

 

Convegno:“Il lavoro nei Beni Culturali: tutele, qualità, sviluppo economico”

 

Intervento di Livia Potolicchio Coordinatrice nazionale FilleaRestauro e archeologia

 

-          E’ stato giustamente evidenziato dagli interventi precedenti come il lavoro che si svolge sui beni culturali debba essere improntato e ispirato su regole che garantiscano livelli di qualità elevati negli interventi.

-          Non potrebbe essere altrimenti se si pensa che ogni intervento agisce su beni che fanno parte di un patrimonio culturale collettivo una volta danneggiato irripetibile.

-          Proprio per queste ragioni il ministero per i beni e le attività culturali ha delineato un percorso di specialità per il sistema di affidamento degli appalti, normato attraverso il decreto legislativo 30 del 2004, con lo scopo di riformare, in modo organico, tutta la materia, ed oggi sostanzialmente ripreso dal Codice dei Contratti Pubblici.

-          Il decreto, pur introducendo criteri nuovi di valutazione per l’affidamento degli appalti,  come l’offerta economicamente più vantaggiosa, lascia aperti ancora molti problemi e dubbi interpretativi.

-          Dubbi a cui si aggiunge una situazione di caos normativo, dovuto al sovrapporsi di norme e provvedimenti, che si sono accavallati spesso senza esplicita abrogazione di quelli precedenti.

-          La stessa autorità di vigilanza ha segnalato lo scorso anno una situazione di  incertezza sui requisiti speciali ed aggiuntivi da chiedere alle imprese che vogliono abilitarsi nelle categorie necessarie per operare su beni culturali sottoposti a tutela.

-          E’ invece necessario tra pubblico e privato stabilire regole chiare proprio in risposta alle esigenze di tutela che il patrimonio culturale impone.

-          Preso atto che gli attori del sistema sono cambiati e che la presenza dei privati è una realtà ineludibile, sarebbe opportuno, iniziare a mettere ordine al caos normativo partendo da una riflessione seria e compiuta su cosa si intende per impresa che opera nei beni culturali.

-          Rileviamo come la normativa fino ad oggi prodotta ha istituzionalizzato l’idea che la qualità degli interventi sia garantita sostanzialmente dal curriculum professionale del Direttore tecnico o del titolare dell’impresa; si sottovaluta di fatto la struttura dell’organico e come sia composta, che dovrebbe essere, invece, un criterio sostanziale nella scelta del contraente, considerando le modalità di lavoro nei cantieri e le competenze necessarie a tutti i livelli.

-          Le conseguenze che questo atteggiamento produce sul mercato del lavoro sono devastanti.

-          Non solo produce un problema di concorrenza sleale tra imprese strutturate e non, ma di fatto sommandosi alla mancata definizione delle competenze e dei titoli professionali, si traduce nella diffusione di un lavoro precario e mal pagato.

-          Nei cantieri di restauro e archeologia, se si escludono pochissime imprese strutturate secondo le regole, viene quasi sistematicamente elusa l’applicazione dei Contratti nazionali di riferimento ed i loro livelli di inquadramento.

-           Applicando il contratto nazionale d’edilizia si inquadrano archeologi e restauratori al secondo livello, ovvero come operai specializzati,  che non è previsto per queste figure.

-          Nella maggior parte dei casi si applicano ccnl che poco o niente hanno a che fare con la specificità dell’appalto: prevalentemente abbiamo registrato l’utilizzo del Contratto del legno e arredamento per i restauratori e ccnl degli studi professionali per gli archeologi.

-           Più del 52% dei lavoratori ha contratti di lavoro autonomo e parasubordinato, con contratti il cui progetto coincide con  la ragione sociale dell’impresa.

-          Solo così infatti si possono spiegare i forti ribassi a cui si è assistito negli ultimi periodi, soprattutto nelle gare sopra soglia aggiudicate al massimo ribasso, del 30% con punte che sfiorano il 50%, tenendo presente che i costi della sicurezza, almeno sulla carta, non sono soggetti a ribasso.

-          Se a questo aggiungiamo che nei capitolati di appalto le pubbliche amministrazioni solo in rarissimi casi riconoscono i costi del lavoro e che il più delle volte il prezzo di un restauratore o dell’archeologo è equiparato al costo dell’operaio specializzato, risulta del tutto evidente che il sistema porta le imprese alla destrutturazione invece che alla crescita.

-          Queste percentuali di ribasso, insieme al sistema composto di più fattori, non rispetta le professionalità operanti e tutto ciò va a discapito della qualità degli interventi, giustamente richiesta dagli organi preposti all’attività di tutela.

-          E’ dunque necessario che si stabilisca come elemento di valutazione la presenza di figure professionali specializzate inserite strutturalmente nell’organico d’impresa i cui parametri di congruità, relativi all’incidenza del costo del lavoro, siano elementi importanti per la qualificazione, sia per i lavori di restauro che per quelli di archeologia.

-          Non è ammissibile per esempio che nei cantieri di restauro su dieci lavoratori, dieci siano a contratto a progetto (come ci è capitato di trovare) e ci sembra altrettanto incredibile che un importante quotidiano pubblichi un’intervista ad un’affermata restauratrice del settore e che, come lei stessa dichiara, aderisce all’associazione restauratori italiani, in cui si legge che “ malgrado l’associazione abbia stabilito per questi lavoratori una paga oraria 25 - 30 euro circa, le condizioni del mercato non consentono alle imprese  di pagarli più di 8 - 10 euro l’ora ” questo per un contratto a progetto e senza possibilità di crescita professionale.

-          La situazione per gli archeologi non è migliore, se si considera che le paghe giornaliere possono arrivare a 40 euro,  per otto  ore di lavoro.

-          Aggiungiamo che in tutti questi anni, proprio nel settore del restauro, i contratti di collaborazione, che come tali dovrebbero riconoscere una responsabilità diretta vista la gestione autonoma degli interventi da eseguire, non hanno garantito la possibilità di veder riconosciuta la propria professionalità, rendendo esigibili gli anni di lavoro svolto.

-          E’ dunque importante stabilire delle regole chiare che differenzino il percorso di lavoro autonomo da quello dipendente.

-          E’ tanto più urgente agire se si considera il delicato tema della sicurezza, perché, malgrado siano stati previsti dei provvedimenti per estendere tutele fondamentali come la maternità anche ai lavoratori autonomi, tanto più che parliamo di un settore a prevalenza femminile (70%), è indubbio che il livello di ricattabilità a cui sono sottoposte queste tipologie contrattuali è tale che difficilmente i lavoratori sono in condizione di rivendicare la tutela dei loro diritti.

-           E’, per esempio, un dato, (così come emerge dal Documento)  che per i lavoratori che operano nei beni culturali, il problema della sicurezza  è demandato direttamente al singolo lavoratore il quale però difficilmente è in grado di provvedervi economicamente. Inoltre, raramente inseriti nell’organico d’impresa, ma a tutti gli effetti presenti nella maggior parte delle fasi lavorative previste dall’appalto, risultano figure evanescenti nei cantieri, senza che sia loro fornita un’adeguata conoscenza del piano operativo per la sicurezza (P.O.S.)

-          Figure che si muovono in questo modo nel cantiere sono pericolose per se stesse e per gli altri, specie quando si utilizzano prodotti chimici il cui livello di pericolosità per la salute, viene regolarmente sottovalutato ma altrettanto si può dire per i cantieri archeologici.

-          Rappresentare e tutelare questi lavoratori per il sindacato, partendo da un’analisi approfondita del settore, comporta anche l’impegno che stiamo mettendo nel portare concretezza nel confronto con le istituzioni e tutti gli organi preposti alla tutela dei beni culturali e di controllo del mercato del lavoro. Da qui la necessità di un dialogo fluido e trasparente che invece fino ad oggi si è mostrato difficile e contraddittorio laddove  i ruoli e le finalità non venivano riconosciuti.

-          In particolare ci preme dire che è fondamentale ristabilire i ruoli istituzionali che a ciascuno spettano. Tra questi l’obbligo per gli organi periferici del Ministero per i beni e le attività culturali di richiedere il documento unico di regolarità contributiva, che è previsto anche per i lavori assegnati a trattativa privata. E per quanto riguarda gli organi ispettivi – Ispettorato del Lavoro, Inps, Inail – la definizione di criteri univoci di valutazione per quanto attiene la presenza nel cantiere dei contratti a progetto.

-          Il convegno di oggi ha dunque lo scopo di presentare ed avviare una riflessione sui motivi che hanno determinato questi gravi problemi, approfondendo tra forze politiche e chi opera nel settore cosa significa realisticamente “ricollocare il sistema dei beni culturali all’interno di un’economia di crescita del territorio”…per citare una frase del programma dell’unione…..!

 

 

Roma, 16 Maggio 2007

 

 

 

 

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