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Documento conclusivo "Il Comitato Direttivo della Fillea Nazionale approva i contratti"

Comitato Direttivo Fillea Cgil – Roma, 10 Giugno 2004

Relazione di Franco MARTINI

 

 

Prima di entrare nel tema che costituirà l’oggetto di questa nostra discussione vorrei fare in premessa alcune considerazioni di ordine generale sul contesto politico e sindacale più generale. Sono questioni importanti delle quali oggi non parleremo ma che vedranno impegnato il nostro gruppo dirigente nella ultima sessione del Comitato Direttivo previsto alla metà del mese di luglio e che rappresenterà l’occasione prima della pausa estiva per fare un bilancio complessivo del lavoro svolto e definire gli obiettivi per la ripresa dell’attività a settembre.

 

Il periodo che ci separa dall’ultima riunione del C.D. è stato denso di avvenimenti, oltre a quello di cui parleremo oggi, sia sul versante delle politiche nazionali che sullo scenario internazionale.

 

Sabato e domenica prossimi è previsto un appuntamento elettorale di grande importanza. Innanzitutto per la rielezione del Parlamento Europeo in una Europa che si interroga sul proprio futuro, in uno scenario mondiale dagli equilibri sempre più instabili, a partire dalle implicazioni della Guerra in Irak e dal permanere di un grave conflitto mediorientale; una Europa che dal 1 maggio si è allargata e dove la sinistra continua a dibattersi tra le difficoltà dei socialdemocratici tedeschi o dei laburisti inglesi ed il successo galvanizzante nella Spagna di Zapatero.

 

Ma si tratta di un appuntamento rilevante anche per i condizionamenti che potranno derivarne sulle vicende politiche nazionali. C’è qualcosa di più della tradizionale tendenza italiana a proiettare sulle consultazioni elettorali parziali, come nel caso di quelle amministrative, significati politici generali. In questo caso l’appuntamento si va caricando del significato di una prima, vera verifica sullo stato di salute della coalizione che governa il Paese e più direttamente del suo Presidente.

 

Inutile negare che vanno crescendo aspettative diffuse ed in parte esplicitamente ottimistiche nel “popolo” di centro-sinistra circa una possibile sconfitta del centro-destra, che prima ancora che in grado di essere scritta nell’esito del voto è già davanti agli occhi di tutto il Paese per il sostanziale fallimento delle politiche sostenute in questi anni. E’ un sentimento facilmente avvertibile per noi che “giriamo il mondo” e lo si avverte in misura significativa negli stessi ambienti che avevano dato credito alle miracolose promesse del Cavaliere.

 

Tuttavia non dobbiamo fare facili equazioni. Il risultato va conquistato fino all’ultimo e pur rispettando le regole della Cgil che negano ad ognuno di noi un impegno diretto nella campagna elettorale come dirigenti sindacali, possiamo sostenere l’importanza dell’esercizio di voto nei confronti di coloro che preferirebbero fare del fallimento di tutta un erba un fascio e disertare le urne. Per il sindacato non è indifferente il messaggio di fiducia che potrebbe uscire da un voto che apra a prospettive di un rinnovato quadro politico futuro, benché anche in questo caso non valgono le equazioni ed anche nel rapporto con il centro-sinistra e prima ancora con la sinistra il nostro compito resta comunque quello di sempre, tenere al centro del confronto il merito, le questioni del lavoro, dei diritti, dello sviluppo, perché non basta cambiare il governo, occorre soprattutto cambiare le sue politiche.

 

La Confindustria ha cambiato il suo Presidente e tutto il sindacato non poteva non salutare con favore le buone intenzioni dichiarate da Montezemolo che propone di lasciarsi alle spalle il periodo dello scontro duro con la Cgil ed il sindacato che aveva animato la gestione D’Amato, rilanciando la pratica della concertazione e del dialogo.

E’ sicuramente una buona notizia, anche se poi saranno i fatti ad incaricarsi di dimostrarne l’autenticità. Ma le premesse vanno colte come un segnale di forte discontinuità con il passato recente e ciò potrà consentire di affrontare con maggiore spirito costruttivo non solo gli appuntamenti tradizionali che animano le relazioni sindacali, a partire dal rinnovo dei contratti, ma le stesse grandi questioni che attendono di essere ridefinite, come appunto la stessa riforma dell’assetto della contrattazione ed altre ugualmente importanti.

 

La Cgil ha tenuto la sua Conferenza programmatica a Chianciano con l’obiettivo di aggiornare la propria proposta programmatica e la propria azione sindacale e contrattuale, di fronte allo scenario complesso del declino italiano ed in presenza di un disagio crescente tra i lavoratori e le fasce più deboli. Di questo disagio Melfi è la parte che ha avuto più audience per ragioni comprensibili, ma il disagio è ben più vasto ed investe anche settori come il nostro. La Cgil ha cominciato ad interrogarsi su come proseguire l’iniziativa per i diritti e per uno sviluppo qualificato in una fase nuova del Paese, diversa da quella che ci ha visti sostenere anche da soli un duro scontro con il Governo Berlusconi. Nuova perché una parte di quelle minacce sono diventate realtà legislative, ma anche perché non siamo più soli a denunciare il rischio di una grave involuzione sociale e democratica del Paese.

 

Le condizioni di un nuovo dialogo e di un nuovo lavoro comune con Cisl e Uil rappresentano forse la testimonianza più evidente del nuovo scenario che si è aperto. Il problema per noi non è né abiurare, né smentire, tanto più che questo problema forse riguarderebbe più gli altri che noi, ma come investire il lavoro di questi anni nella costruzione di una nuova iniziativa del sindacato. Dovremo discutere della futura contrattazione, contenuti e forme e di come ricostruire diritti e tutele là dove il rullo compressore del Governo ha provocato danni gravi, sia sul versante delle politiche del lavoro che dello stato sociale.

 

Il tutto tenendo fermo il convincimento che il problema dei problemi resta per noi quello della PACE, poiché la guerra nelle forme e nelle aree dove scoppia oltre ad essere inaccettabile come scelta per la risoluzione dei problemi è essa stessa fonte di nuovi problemi in termini di destabilizzazione complessiva degli equilibri mondiali.

 

Sono questioni sulle quali la Cgil dovrà impegnarsi in un confronto che vada a fondo e che sia in grado di offrire orientamenti e proposte in grado di attrezzare la nostra Confederazione per svolgere ancora una volta un ruolo importante.

 

In questo, la mia opinione è che questa categoria ed il suo gruppo dirigente a tutti i livelli abbiano tutte le carte in regola per essere punto di riferimento di questa discussione. Diciamoci la verità: è troppo radicata in noi la tendenza a evitare di “fare notizia” anche nel dibattito interno che sembra sempre essere animato dagli stessi protagonisti. Un eccesso di ritrosia che deve essere superata, a partire dalla struttura nazionale. Non è solo una questione di orgoglio di organizzazione, quanto la consapevolezza che abbiamo idee ed esperienze da mettere a disposizione della Cgil e delle altre strutture per contribuire ad una sintesi sempre più avanzata delle nostre politiche e della nostra azione.

 

 

Cap.2 – La stagione contrattuale non è ancora conclusa

 

Avremmo voluto dedicare questo appuntamento ad un bilancio complessivo e dunque conclusivo della stagione contrattuale. Purtroppo così non è perché mancano all’appello contratti importanti.

 

Tra i settori che già hanno rinnovato il Ccnl vanno definite ancora le intese in edilizia con l’Aniem-Confapi, il settore delle piccole imprese e con gli artigiani.

 

Con l’Aniem è possibile che l’incontro di domani sia risolutivo del negoziato. L’impostazione è sostanzialmente quella già definita con Ance e successivamente con l’Ancpl, secondo la tradizione che vede i settori minori inserirsi nel solco dei risultati ottenuti con il contratto principale.

 

Molto più preoccupante è la situazione al tavolo degli artigiani sul quale oltre alle resistenze su una serie di punti della piattaforma, che tuttavia appaiono sempre meno solide dopo la firma dei due contratti e quella possibile con Aniem, si è scaricata una violenta polemica su tutta la parte del contratto firmato con l’Ance che riguarda il sistema della bilateralità.

 

La critica che ci viene mossa dalle Associazioni dell’Artigianato edile in sostanza è quella di aver voluto scrivere da soli con i costruttori le nuove regole di un sistema che dovrebbe comprendere anche il resto delle associazioni imprenditoriali. Questo soprattutto sul terreno della certificazione di regolarità delle imprese e dopo la firma dell’Avviso Comune che impegna in questa funzione il sistema delle Casse.

 

Il malessere degli artigiani può essere compreso dato l’annoso problema che si trascina nel rapporto con i costruttori. Tuttavia non è accettabile quella che si configura come una ritorsione per un atto, la firma del nuovo contratto con Ance, che può anche essere intervenuto sulla materia con ampiezza ed autorevolezza, ma che come sempre ha offerto un terreno sul quale lavorare per ulteriori perfezionamenti.

 

Il problema che questa vicenda porta a galla è la crisi dell’intesa del 1998 sul sistema unico di casse edili, accordo da noi considerato una sorta di pietra miliare nel processo di riunificazione del settore ma che tra incomprensioni, diffidenze e vero e proprio boicottaggio non ha mai fatto veri passi verso una sua concreta e coerente attuazione.

 

Il problema era emerso nuovamente con forza in tutta la fase di discussione sulla costituzione ed il decollo del fondo di previdenza complementare (Prevedi), dato che anche in questo caso abbiamo puntato su una funzione importante delle Casse Edili.

Il problema poi si è riproposto in occasione della firma dell’Avviso Comune ed in particolare sul Durc e la titolarità delle Casse.

 

Sta di fatto che tra strumentalizzazioni e problemi reali il tavolo resta allo stato bloccato e non è stato possibile neanche riconvocare un nuovo incontro.

Gli artigiani propongono tre scenari, naturalmente tutti quanti particolarmente complessi: 1) la modifica delle parti sottoscritte con l’Ance, che rappresentano un pezzo sostanziale del contratto firmato; 2) La costituzione di un nuovo sistema bilaterale del settore artigiano; 3) La confluenza del settore nell’alveo confederale.

 

Come capite bene, ognuno di questi scenari presenta difficoltà e contrarietà da parte nostra. Riscrivere in alcune sue parti importanti un contratto già firmato è cosa che non appartiene alla prassi comune, tanto più che un contratto è sempre costruito su un equilibrio generale; la costituzione di un nuovo sistema della bilateralità artigiana significa sancire il definitivo superamento dell’accordo del ’98, tanto più che gli artigiani non si accontentano di risolvere alcuni problemi locali ma chiederebbero la costituzione di una Cassa Nazionale; riportare infine il settore edile dentro l’accordo interconfederale, dopo aver sostenuto strenuamente la sua esclusione sarebbe un ritorno indietro con evidenti rischi e complicazioni.

 

Per tutte queste ragioni noi siamo dell’avviso che se la situazione non dovesse sbloccarsi nei prossimi giorni non dobbiamo escludere la costruzione di una serie di iniziative che a partire dalle realtà dove l’impresa artigiana è più presente e rappresentata denunci questo rifiuto alla firma per il rinnovo del contratto e faccia tutta la pressione possibile per riattivare il tavolo e andare verso la firma del contratto.

Siamo consapevoli delle difficoltà, tanto più che il settore verrebbe a trovarsi isolato qualora dovesse chiudersi anche il confronto con l’Aniem Confapi, ma non trovando per il momento nuove altre vie di uscita da questa situazione di stallo dobbiamo attrezzare tutta la categoria a mettere nel conto l’ipotesi di una mobilitazione del settore artigiano.

 

Non meno complessa è la situazione del settore legno. Anche in questo caso il contratto è fermo al palo, confermando il legno come il tavolo più ostico tra quelli di categoria.

 

Dopo cinque mesi dalla scadenza del contratto il negoziato non ha prodotto sostanziali passi in avanti, tant’è che il settore ha dovuto mobilitarsi il 6 maggio con uno sciopero generale con un esito superiore a tutte le previsioni, mostrando così un mondo del lavoro intenzionato a spendersi per ottenere un buon rinnovo contrattuale.

 

Nell’incontro della scorsa settimana Federlegno per la prima volta ha mostrato qualche timida disponibilità ad approfondire meglio alcuni aspetti meno complicati del tavolo, con l’intento di trovare le necessarie mediazioni. Per queste ragioni la delegazione unitaria ha deciso di provare a fare un primo affondo il prossimo 16 giugno per quello che dovrebbe essere un incontro-verità.

 

Ma occorre sapere che la posizione di Federlegno resta negativa su alcuni aspetti qualificanti del contratto, in particolare sull’orario, dove di fatto si chiede mano libera e sull’inquadramento, dove pur entrando nell’ordine di idee di una sua riforma si propone che questa avvenga a costo zero, quindi con un rifiuto netto della riparametrazione. Inoltre, vi è anche un rifiuto pregiudiziale ad ogni forma di contrattazione territoriale, pur nelle forme sperimentali e non aggiuntive del livello aziendale.

 

Abbiamo di fronte, in questo caso, i limiti tradizionali della delegazione che rappresenta la controparte, nella quale sono totalmente assenti gli imprenditori, che sparsi per il Paese non sempre sanno che è in corso un negoziato e quale esito stia producendo, come è capitato di verificare nella fase preparatoria dello sciopero, anche nelle imprese più famose. Un limite sul quale si proietta poi la crescente polarizzazione della Federazione su Milano, diventando quasi un affare del solo capoluogo lombardo, a detta di alcuni di loro.

 

Vorrei ricordare a tutti noi che come Fillea abbiamo investito su questo settore, più recentemente con il convegno di Milano, convinti che esso rappresenti un pezzo importante della nostra organizzazione, di gran lunga il più rappresentativo, dopo l’edilizia, in termini di addetti e probabilmente di fatturato. Eppure è difficile scrollargli di dosso la sensazione di essere la cenerentola della Fillea.

 

Dobbiamo pertanto concentrare i massimi sforzi di tutta l’organizzazione per sostenere, qualora dovessimo ancora farvi ricorso, tutte le iniziative necessarie e non tradire la volontà dimostrata dalle lavoratrici e dai lavoratori in occasione dello sciopero del 6 maggio.

 

 

3 – Valutazioni sui contratti rinnovati

 

Per quanto riguarda il bilancio dei contratti già rinnovati possiamo subito affermare che esso si presenta sicuramente positivo, in alcuni casi forse addirittura superiore alle previsioni che si erano potute fare all’inizio della stagione.

 

Naturalmente non è questa la sede per entrare nel particolare degli accordi, salvo per quegli aspetti che meritano un approfondimento di merito in quanto materia delicata.

Ma la prima cosa che occorre mettere in evidenza è il significato generale che può uscire dal bilancio dei risultati. E per esprimere un giudizio compiuto non possiamo non assumere come parametro di valutazione gli obiettivi che ci eravamo dati all’atto della preparazione delle piattaforme.

 

Essi erano sostanzialmente tre: fare dei contratti una tappa dell’iniziativa che da anni ci vede impegnati sui processi di qualità del settore; puntare ad una redistribuzione della crescita registrata in questi anni che premiasse anche il lavoro dipendente; gestire l’intreccio con i rimandi legislativi in materia di lavoro esercitando la migliore tutela e difesa della situazione in essere, frutto della contrattazione collettiva degli anni che abbiamo alle spalle.

 

Rispetto a questi tre obiettivi sia i tre contratti che già abbiamo rinnovato negli impianti fissi che quelli dell’edilizia risolvono in modo egregio queste partite, pur con le diverse specificità, in particolare nell’edilizia per il peso preponderante che la normativa di settore esercita nella stessa partita contrattuale.

 

Poiché i risultati che vogliamo oggi apprezzare non sono la gentile concessione di nessuno, ma il frutto della conduzione complessiva dei tavoli, fatta da tutte le delegazioni, è importante affermare che una parte consistente del risultato che complessivamente abbiamo fin qui realizzato è frutto di una accorta e positiva fase di elaborazione delle piattaforme. Credo corretto dire che in quella delicata fase ci siamo giocati un pezzo consistente della partita contrattuale.

 

Inutile negare che avevamo due preoccupazioni: il rischio di un approccio minimalista rispetto alla nostra volontà di fare della qualità l’asse delle piattaforme e l’estrema vulnerabilità che il settore avrebbe potuto esprimere sulla delicata questione della bilateralità in relazione alle nuove disposizioni legislative. Preoccupazioni rese ancor più vive dalle vicende sindacali contrattuali caratterizzate in quel periodo dal contratto separato dei meccanici e dalle possibili ripercussioni sul resto dei settori.

 

Due preoccupazioni che abbiamo superato nella fase di predisposizione delle piattaforme attraverso un confronto serio, trasparente e coerente con Filca e Feneal e che ha prodotto quelle piattaforme che tutti abbiamo apprezzato come positive e su alcuni punti anche coraggiose.

 

Quel confronto non ci ha consegnato solamente delle buone piattaforme, ma una unità vera con Filca e Feneal che ha retto alla prova delle difficoltà che ogni negoziato pone in essere e che in alcuni casi ha rappresentato la prima novità qualificante di questa nostra tornata contrattuale. Una tenuta unitaria delle delegazioni, fino all’ultimo tavolo dell’edilizia , che ha messo fuori gioco ogni tentativo delle controparti di seminare discordia e divisioni al nostro interno.

 

Credo giusto e doveroso dare atto alle altre organizzazioni di aver mantenuto fede come noi del resto al patto di unità che abbiamo fatto fin dal primo giorno sui punti forti e qualificanti delle piattaforme contrattuali e di aver tenuto fino alla fine. Questo è importante non solo perché ci ha consentito di fare unitariamente dei buoni contratti, ma di gettare le premesse per una successiva gestione dei capitoli contrattuali che impegneranno ancora il sindacato nei prossimi mesi e più in generale dell’iniziativa che la categoria deve portare avanti sui problemi del settore e in relazione alla prossima scadenza degli integrativi e più in generale del secondo livello di contrattazione.

 

I contratti firmati negli impianti fissi come è tradizione –anche per le scadenze che precedono quelli dell’edilizia e del legno- hanno cominciato ad aprire la pista alla stagione dei rinnovi, in questo caso facendo da “cavie” sulle novità dei rimandi legislativi.

 

A proposito di questa ultima questione ognuno di questi contratti è riuscito a ottenere una soluzione che mantiene il carattere di eccezionalità alle deroghe sul periodo di calcolo della media settimanale, così come definito dal dlgs 66, affidando al ruolo negoziale delle parti, a partire dalle RSU, la definizione di soluzioni diverse, come dire: vale la legge e quando non vale è perché lo hanno contratto azienda e rappresentanti sindacali e dei lavoratori.

 

Può apparire banale oppure scontato dire che vale la legge, ma chi ha frequentato un po’ i tavoli sa bene con quanta determinazione e non senza strumentalizzazioni, soprattutto da parte dei rappresentanti di Confindustria, le controparti hanno tentato fino in ultimo di far passare la posizione secondo la quale il concetto di eccezionalità andava interpretato in chiave di mano libera da parte delle aziende.

Su questo punto è chiaro che si è giocata anche una battaglia di bandiera, con un sovraccarico ideologico da parte della stessa Confindustria di D’Amato che sulla L.30  aveva investito una parte consistente del credito al Governo.

 

Sull’orario le soluzioni acquisite nei contratti degli impianti fissi sono pulite e importanti perché valorizzano la funzione delle nostre strutture nei luoghi di lavoro.

 

Nel Cemento e nei lapidei il negoziato è potuto andare in porto anche grazie al contributo della iniziativa che ha portato ad uno sciopero del settore. Ma più in generale abbiamo potuto registrare che lo sforzo per costruire una iniziativa di mobilitazione dei lavoratori interessati, con lo sciopero o senza in alcuni casi, non è stato privo di effetti.

Dove lo sciopero non l’abbiamo proclamato abbiamo mantenuto un impegno alla mobilitazione, come nel caso dell’edilizia, dove in particolar modo nei grandi cantieri la nostra pressione si è fatta sentire fino agli ultimi giorni che hanno preceduto la firma, in Piemonte, in Lombardia, in Emilia, nel Lazio e in altre zone del Paese.

Non è retorico dire –ad esempio- che al tavolo dell’edilizia il negoziato ha cominciato a vedere la luce nel momento in cui sono cresciute le tensioni tra i piccoli costruttori e i rappresentanti delle grandi imprese, che si sono visti quali principali bersagli della nostra mobilitazione.

 

Tutto questo ci porta a concludere che avere più fiducia nella nostra iniziativa di mobilitazione è cosa utile, che il luogo comune di una categoria che preferisce la pappa scodellata al campo di battaglia non solo va sfatato ma va sostituito con una crescente convinzione che non siamo necessariamente condannati a subire il terreno imposto dagli altri, dalle nostre controparti.

 

Questo vale per le lotte e per la mobilitazione che quando c’è bisogno va messa in campo e vale anche per le posizioni che dobbiamo tenere in campo.

 

Ad esempio, io non credo che su questi tavoli noi abbiamo condotto un negoziato sulle piattaforme delle controparti ed il riferimento al tavolo degli edili viene molto più facile.

Lo vedremo meglio successivamente, ma chi confondesse il pressing che inevitabilmente l’Ance ha condotto per buona parte della trattativa sulle normative di settore con un negoziato che si svolgeva sotto dettatura della controparte forse non riuscirebbe a spiegarsi oggi il risultato ottenuto e soprattutto la ragione per la quale già il giorno successivo alla firma in casa Ance si è diffuso un forte mal di pancia.

 

Ma come nel gioco del calcio, abbiamo difeso bene le nostre posizioni sul campo, per poi colpire in contropiede e nell’ultima fase della partita con tutta la squadra che saliva verso la porta dell’avversario…

 

Oltre alle positive soluzioni sull’orario e sul mercato del lavoro, dove è stato contrastato il rischio di allargamento dell’area della precarietà, il bilancio positivo degli accordi sottoscritti negli impianti fissi riguarda sicuramente l’inquadramento, in alcuni casi superando pregiudiziali ventennali (come nel caso dei lapidei), l’ambiente e sicurezza e naturalmente la parte economica che oltre alle soluzioni soddisfacenti sul salario comprende altri aspetti della normativa che hanno una ricaduta in termini di costi, come nel caso dell’istituzione della pausa retribuita nel cemento o l’aumento delle contribuzioni per la previdenza complementare.

 

Complessivamente il bilancio positivo dei rinnovi contrattuali in questi primi tre settori è testimoniato dal diffuso consenso che stiamo registrando nella consultazione dei lavoratori, in alcuni casi con pronunciamenti di approvazione dove storicamente mai o quasi mai un contratto nazionale era stato approvato.

 

E’ un consenso che dobbiamo capitalizzare come iniezione di fiducia per impostare e gestire al meglio la contrattazione di secondo livello, che in alcuni di questi settori è già alle porte. Dobbiamo mantenere il filo rosso che ci ha guidati sui tavoli del contratto nazionale per giocare le partite della contrattazione di gruppo o aziendale rendendola la più incisiva possibile sulle questioni della qualità del lavoro, dell’investimento formativo, della sicurezza e della valorizzazione economica e normativa della professionalità.

 

 

Naturalmente l’attesa maggiore era per il contratto dell’edilizia, sia per l’importanza che esso assume per la categoria, sia per le difficoltà tradizionali, che in questa circostanza sarebbero potute aumentare a dismisura per il contesto non certo favorevole dovuto al nuovo quadro legislativo.

 

O già detto di come fin dalla fase d’impostazione delle piattaforme abbiamo positivamente gestito con Filca e Feneal queste difficoltà.

Ognuno di voi potrà in questa sede liberamente dire la sua, con molta obiettività e spero altrettanto riferimento al merito reale dell’accordo.

 

Ma risulta francamente difficile fare a meno di partire dal clima di generale soddisfazione che fin dalle prime ore ha coinvolto l’intera nostra organizzazione.

I dirigenti che da più lungo corso sono dentro questa organizzazione erano un po’ contrariati per i nostri “musi lunghi” dopo la firma di quello che loro stessi per primi definivano un buon accordo, ma voglio ancora oggi tranquillizzarli che si trattava solamente di stress. A nessuno di noi veniva meno la consapevolezza che quell’accordo è qualcosa più di un semplice scampato pericolo.

 

E poi per capire meglio “quello che abbiamo combinato” va ricordata la difficoltà che l’Associazione dei Costruttori ha avuto nel fare digerire alle proprie imprese questo contratto ed il tentativo dell’Ance di recuperare ancora in queste ore su alcune materie con interpretazioni unilaterali e peggiorative della lettera contrattuale, come nel caso dell’apprendistato.

 

Con più organicità che negli altri, il contratto dell’edilizia può meglio essere misurato sulla base degli obiettivi che inizialmente ci eravamo dati: un tassello del Cantiere Qualità, redistribuzione verso il lavoro della crescita registrata, difesa dalle insidie della legge 30 (in questo caso forse si un pericolo dal quale scampare).

 

Contrariamente alle abitudini parto subito dalla parte economica, il secondo degli obiettivi che ci eravamo dati.

Il risultato salariale credo si commenti da solo: il 100% della richiesta in piattaforma, in due sole tranche, che va a regime in soli dieci mesi e in un contratto che ha mantenuto ferme le decorrenze. Non ho personalmente precedenti con cui raffrontare questo dato, ma mi è sufficiente capire che è assolutamente positivo. Naturalmente, va interpretato anche come espressione di una fase del ciclo dell’edilizia che non assomiglia neppur lontanamente a quello con il quale voi stessi avete dovuto fare i conti negli anni di vacche magre. I paragoni vanno fatti con coerenza ed obiettività. Resta il fatto che su questo punto abbiamo ottenuto proprio il massimo di quello che volevamo.

 

Si può dire che il contratto non prevede l’erogazione di una tantum, però, francamente, con l’entrata in vigore dei primi aumenti a soli quattro mesi dalla scadenza del contratto precedente la contropartita del 100% della richiesta ottenuta in soli dieci mesi credo valga ben la candela.

Inoltre, per avere un’idea più precisa del significato che tale soluzione assume non è fuori luogo stimare quello che è stato il carico salariale del quadriennio che abbiamo alle spalle, cioè, come il settore è arrivato alla scadenza salariale di questo nuovo contratto. Se sommiamo l’aumento retributivo del precedente contratto, periodo 2000-2002 e quello del II° biennio dello stesso, con gli integrativi ed il recupero sul biennio che abbiamo alle spalle, realizzato con questo contratto,  arriviamo alla cifra di circa 206 euro. Questo conferma tra l’altro la validità dell’attuale modello contrattuale fondato sui due livelli.

 

Ma la redistribuzione economica non è passata solo per il salario. Gli istituti normativi che hanno seppur parzialmente una implicazione in termini economici e quindi di salario per i lavoratori sono: l’apprendistato, sul quale non ha caso l’Ance sta tentando di far passare una interpretazione sulla decorrenza dei nuovi trattamenti solo dopo che le regioni abbiano legiferato in materia, interpretazione ovviamente da noi contestata; i quadri con l’aumento dell’indennità di funzione da 23,50 a 70 euro; la maternità, con l’indennità al 100% della retribuzione; il congedo matrimoniale con l’aumento di 16 ore retribuite; l’indennità di turno con l’aumento dell’1% in 2 dei 4 casi da noi richiesti e la carenza infortuni, seppur con una prestazione cassa.

 

Non siamo riusciti –invece- ad ottenere un risultato su due punti importanti della piattaforma: la carenza malattia, su cui sapevamo si sarebbero riproposte le opposizioni di principio dell’Ance, che però a questo punto dovranno in futuro misurarsi con la breccia che abbiamo aperto sugli infortuni e l’aumento della contribuzione per il fondo previdenziale, su cui si sono scaricate le problematiche specifiche della vicenda Prevedi.

 

Naturalmente si tratta di due mancati risultati che non significano per noi rinuncia agli obiettivi, ma che ci impongono di riposizionarli sui più immediati terreni della contrattazione, almeno per la carenza malattia, che sono quelli degli integrativi, con questa lancia in più di un tabù che almeno nel caso degli infortuni è stato sfatato. Mentre su Prevedi resta aperto il problema di un accordo nazionale sulla mutualizzazione che dovremo continuare a sostenere nel quadro delle intese che con le controparti dovranno essere assunte sul futuro del fondo.

 

Tuttavia, pur con questi due punti critici, la parte economica non può che offrirsi ad una valutazione positiva e va per questo valorizzata nel rapporto con i lavoratori.

 

Sulla parte normativa abbiamo poi concentrato i nostri sforzi per trovare il giusto equilibrio tra difesa, là dove avevamo necessità di difenderci e avanzamenti sui punti qualificanti della piattaforma.

 

In questo caso credo scontato affermare che il risultato forse più significativo lo abbiamo ottenuto sull’inquadramento, dove la soluzione trovata è sostanzialmente quello che noi ci attendevamo dal contratto: l’obiettivo di una riforma complessiva della classificazione, affidando ad una apposita commissione –come è avvenuto in altri settori- il compito di progettarne l’impianto e le soluzioni, ma al tempo stesso alcuni segnali tangibili che il processo fosse esplicito ed irreversibile.

 

Questo lo abbiamo ottenuto con quello che alcuni di voi ha definito un risultato storico, la conquista del 4°livello per le figure polivalenti, del quale la commissione dovrà definire le declaratorie entro il 31 dicembre di quest’anno. Qui esisteva una opposizione storica dell’Ance allo sviluppo di carriera professionale per gli operai oltre il 3° livello.

Sempre sull’inquadramento c’è molto del nostro lavoro nel riconoscimento di alcune nuove figure professionali specifiche nei settori del restauro, archeologia e rocciatori. In questo caso, addirittura, le declaratorie dovranno essere definite entro il 30 settembre, tra poco più di 100 giorni.

 

Credo si tratti di un riconoscimento al lavoro condotto con convinzione e determinatezza dalle compagne e i compagni del coordinamento nazionale di  FilleaRestauro prima di tutto per creare in noi la giusta sensibilizzazione, che oltre ad essersi tradotta in coerenza e tenuta al tavolo deve adesso agire per il completamento del lavoro che dovrà condurre la commissione.

 

Credo importante, oltre all’inquadramento e senza voler fare l’elenco della serva, sottolineare l’importanza della soluzione adottata per l’apprendistato sul quale il nostro contratto opera un netto miglioramento di quanto previsto dalla legge sia intermini di durata che in ordine alla classificazione, a fronte di un approccio della controparte che esplicitamente considerava il contratto di apprendistato una pura modalità di riduzione del costo del lavoro. Anche per questo abbiamo insistito affinché la formazione fosse svolta presso le Scuole Edili, quindi, con una garanzia maggiore di coerenza con obiettivi e contenuti formativi.

 

Così come credo importante aver portato nel contratto nazionale normandola l’esperienza della contrattazione d’anticipo. Credo non sfugga a nessuno che al di là delle questioni nominalistiche quella che il contratto definisce concertazione d’anticipo altro non è che l’esperienza già in essere nei grandi cantieri, cioè un’esperienza che produce accordi sindacali, intese che seguono a rapporti che tentano di negoziare le condizioni dei cantieri, quindi, un esercizio contrattuale che solo per non ingenerare il sospetto che si potesse andare verso il riconoscimento di un terzo livello negoziale è stato definito con il termine di concertazione.

 

Così come l’Art. 92 dove di fatto il contratto ha riscritto tutta la partita della formazione professionale assumendo in gran parte il senso e i contenuti dei nostri allegati contrattuali in materia di qualificazione del sistema formativo di settore.

 

E’ chiaro che tanti di questi e altri capitoli saranno in grado di esprimere la loro positività se noi saremo capaci di interpretare efficacemente la fase di gestione del contratto. Questioni quali l’inquadramento, la formazione degli apprendisti a partire dalla figura del tutore più in generale la formazione degli enti, la sicurezza, a partire dalle nuove competenze che la contrattazione locale avrà sugli Rlst, la sanità integrativa ed altro potrebbero rimanere lettera morta se non sapessimo gestirle. Non basta fare una commissione per l’inquadramento, come insegnano gli altri settori, soprattutto se qualcuno pensa di averci già pagato con il 4° livello!

 

Il contratto non è mai né uno strumento astratto dalla realtà e dai comportamenti concreti, né tutto solamente norma, come lo possono essere capitoli importanti come quello dei lavoratori stranieri. Va gestito in tutte le sue potenzialità. Vedete, abbiamo anche introdotto un riferimento importante alla dignità dei lavoratori, ciò che più comunemente definiamo mobbing. Possiamo farci anche quattro risate, ma possiamo anche dire che è una acquisizione in più da spendere sulla tutela della dignità dei lavoratori contro ricatti, condizionamenti e vessazioni. Possiamo anche, con un contratto, produrre nuova cultura del lavoro e nel lavoro. Però dobbiamo gestirlo pienamente fino in fondo, senza pensare che sia tempo perso.

 

Con lo stesso spirito abbiamo guardato in faccia il pericolo che avevamo davanti, a partire dai decreti su orario e mercato del lavoro. Siamo dell’idea che quando davanti abbiamo qualcosa che potrebbe peggiorare la condizione di chi lavora nei cantieri e dello stesso nostro lavoro sindacale è meglio metterci mani e piedi.

 

Potevamo dire, ad esempio, che della L.30 non volevamo parlarne. Abbiamo scelto di occuparcene là dove i rimandi lo prevedevano, essenzialmente per piantare dei paletti, perché sappiamo come vanno le cose nei cantieri e chi non conosce questa realtà rischia di esaurire e relegare le osservazioni critiche, di cui noi stessi abbiamo bisogno per fare meglio il nostro lavoro, nel puro ed inconcludente astrattismo.

 

Lo dico perché come era prevedibile anche i nostri contratti, soprattutto quello dell’edilizia sono stati al centro di molte “radiografie e analisi del sangue”. Io inviterei i compagni del Direttivo a favorire questo confronto con il resto della Confederazione perché di questo ripeto abbiamo bisogno e nel fare questo chiedo che nessuno rinunci alle proprie, legittime opinioni. L’unica cosa che chiedo è di non complicare le cose rappresentando la realtà per quello che non è o forzandola là dove può essere semplificata, anche perché l’edilizia già è un settore difficile da capire standoci dentro per anni, figurarsi per chi non lo conosce affatto, se non per sentito dire o per luoghi comuni.

 

Era una premessa ai punti più difficoltosi che abbiamo dovuto affrontare nel contratto che più degli altri era esposto ai rischi e alle trappole dei decreti 276 e 66 e sul quale si sono poi scaricate le pregiudiziali Ance sulle normative di settore.

 

Nell’ordine:

 

La soluzione trovata sull’orario è la fotocopia di uno dei due scenari che noi avevamo tratteggiato. Forse il fatto che l’Ance ci abbia tenuti inchiodati per oltre quattro mesi su una posizione per noi inaccettabile può aver indotto qualcuno a pensare che stavamo trattando sulla piattaforma dell’Ance. In realtà abbiamo tenuto fino alla fine e tra i due scenari, quello –per intendersi degli impianti fissi- e quello che “scambiava” i 12 mesi con il tetto giornaliero delle 10 ore non abbiamo mai avuto dubbi che per l’edilizia, in presenza di una legge che non esclude un nastro orario giornaliero teoricamente esteso fino a 13 ore, fosse strategica la seconda soluzione, che esprime la peculiarità del settore. Ed è quello che abbiamo ottenuto, mantenendo inalterato l’art.5 e trasferendo sullo straordinario il riferimento al periodo di calcolo sui 12 mesi: esattamente quello che volevamo!

 

Ovviamente, per apprezzare questo risultato bisogna essere convinti e consapevoli del fatto che oltre le 8 ore, figurarsi le 10 (che però a volte sono legate a particolari fasi di lavoro, come le gettate) è difficile resistere nel lavoro di cantiere.

 

Sul contratto a tempo determinato l’obiettivo era mantenere il tetto a fronte di una legge che lo cancella. Lo avevamo al 20% lo abbiamo mantenuto al 25%, una piccola crescita che mantiene un riferimento quantitativo sostanzialmente invariato e lo fa cumulando due tipologie contrattuali, il tempo determinato e la somministrazione.

Su questo si è aperta una discussione sulla corretta interpretazione del IV comma dell’art.94, cioè, “resta ferma la possibilità di utilizzare almeno 7 rapporti di lavoro…comunque non eccedenti la misura di un terzo del numero di lavoratori a tempo indeterminato dell’impresa”. Ci si è chiesti: sono comunque sempre 7 come minimo o sono sempre un terzo, cioè, il 25%? La risposta esatta è: sono comunque sempre il 25%, cioè non eccedenti un terzo degli occupati a tempo pieno.

 

E’ la stessa norma del precedente contratto, rimasta invariata, e va letta come io l’ho detta: vale il tetto del 25%. Questo chiarisce anche il sospetto che il riferimento ai commi 7 e 8 dell’art.10 della 276 fatto nel comma precedente non significa che un cantiere può essere aperto da una impresa fatta tutta di contrattisti a termine, poiché in quei commi si include l’avvio attività. Questo non è possibile sia perché la causale di avvio di attività non riguarda i nostri cantieri, sia perché il contratto pone un limite invalicabile che è il terzo della forza a tempo indeterminato.

 

L’Ance ha poi cavalcato fino alla fine il tentativo di cancellare l’Art.15 sulla responsabilità in solido. Non ho bisogno di motivare nuovamente perché non c’è per noi una relazione automatica tra congruità e Durc e abolizione del 15 e non ho bisogno di ricordare a tutti noi quanto ad un certo punto della trattativa il problema fosse quello di far uscire la controparte da un vicolo cieco in cui l’intransigente richiesta soprattutto di qualcuno che non era al tavolo l’aveva cacciata. A riguardo registriamo una comprensibile preoccupazione tra di noi.

 

Ma su questo punto la soluzione è chiara e limpida e forse è qualcosa più di quello che può configurarsi come un onorevole “pareggio”, di cui a volte c’è bisogno: oggi l’Ance ritira la pregiudiziale sull’Art.15 e mette sul tavolo la sperimentazione sulla congruità (e qui siamo noi in attivo). Tra un anno l’Ance ritira la congruità dalla sperimentazione e ci dice che se la rivogliamo dobbiamo discutere nuovamente dell’art.15 (e questo può essere il pareggio). Ebbene, si tratta di prepararci per la partita di ritorno, tra un anno, nella quale noi ci batteremo per tenere la congruità senza capitolare sulla responsabilità in solido.

Io ho ben chiaro sia quello che tra un anno intendo ottenere, cioè la riconferma della congruità, sia quello che non intendo cedere, la fine della responsabilità in solido: vedremo come andrà a finire. C’è qualcuno che si tira indietro?

 

Analogo ragionamento possiamo fare per la trasferta sebbene questo problema si presti ad uno scenario in parte diverso da quello della responsabilità in solido.

Per un lungo tratto abbiamo inteso questa pregiudiziale come uno dei chiodi a tre punte di cui l’Ance aveva disseminato il negoziato, tant’è che la stessa Associazione dei Costruttori giunta alla fase della stretta aveva in un primo momento dichiarato la propria disponibilità a togliere il problema dal tavolo.

 

Pressioni esterne alla delegazione della controparte hanno imposto poi  l’istituto della trasferta tra le questioni dirimenti per la chiusura del contratto e noi sappiamo l’origine territoriale di queste pressioni essere collocato nel triangolo lombardo Milano-Brescia-Bergamo.

 

La soluzione adottata in questo caso, pur rappresentando una sorta di nuovo escamotage per uscire dall’impasse, rinvia nel tempo un problema che non nasce in questa tornata contrattuale ma si trascina da anni e che era sempre stato aggirato anche con il ricorso a soluzioni ambigue e dilatorie.

 

La nostra opinione è che il tempo delle ambiguità deve concludersi, per evitare che il problema continui ad essere vissuto come un alibi da parte dell’Ance per condizionare le varie fasi delle scadenze negoziali, contratto nazionale, biennio, integrativi.

 

Abbiamo di fronte due scenari possibili: o il problema è veramente solo concentrato nell’area alla quale abbiamo fatto riferimento e allora dobbiamo rompere gli indugi ed assumere noi l’iniziativa di avviare la sperimentazione in Lombardia secondo la linea che abbiamo sempre considerato più giusta e che abbiamo sostenuto in Veneto ed in Emilia, cioè là dove il problema ci è stato posto o che noi abbiamo sollecitato; oppure dobbiamo attrezzarci per affrontare le scadenze stabilite dal contratto e che traguardano al 31 dicembre 2006 l’entrata in vigore della nuova disciplina, alla luce dei criteri e modalità definite a giugno del prossimo anno.

 

E quando dico attrezzarci intendo dire innanzitutto di un orientamento politico preciso: se noi riteniamo che mai e poi mai la normativa dell’art.22 dovrà essere modificata allora dobbiamo dirlo con estrema chiarezza, senza più inventarci soluzioni pasticciate, ed assumerci tutte le responsabilità di una chiarezza tanto esplicitata. L’alternativa è attrezzarci per una evoluzione della normativa dettata da condizioni che noi dobbiamo porre (è ovvio che la proposta dell’Ance ad oggi nota per noi non è condivisibile).

 

Per fare questo occorre probabilmente aprire una discussione franca, libera, di merito con Filca e Feneal evitando di rappresentare lo scenario attuale come quello rappresentato dai conservatori che non vogliono cambiare nulla o dai rinunciatari che vogliono svendere il sindacato o modificarne la natura. Discutiamo liberamente del problema dando dignità alle posizioni di tutti, ma discutiamo, confrontiamoci, perché non c’è nessuno almeno tra noi che ha in mente di consegnarci nelle mani dei padroni.

 

Per queste ragioni abbiamo inteso prefigurare con Filca e Feneal una discussione tra noi che anticipi gli appuntamenti previsti dal contratto e consolidi una posizione unitaria in materia.

Tuttavia, allo stato, l’unica cosa che il nuovo contratto aggiunge alla situazione esistente è porre un limite temporale all’equivoco che si va trascinando da anni e credo che questo faccia solo bene alla salute.

 

Tutto ciò è particolarmente utile alla luce della massiccia operazione che il contratto ha compiuto sul sistema della bilateralità.

Come voi ricorderete ai pericoli della mina vagante della L.30 avevamo risposto unitariamente avanzando un progetto organico e abbastanza compiuto di riforma degli enti.

Non so se qualcuno di noi pensava che facevamo per scherzare o come al solito per imbrogliare le carte. Sta di fatto che pur non assumendo alla lettera i nostri allegati il risultato complessivo ricolloca la bilateralità di settore su un terreno di nuove potenzialità e opportunità. Ovviamente una buona parte di esse potranno emergere da una accorta ed intelligente gestione del risultato contrattuale.

Non sto inoltre a ricordare che per le considerazioni fatte inizialmente questo tema della bilateralità ci ha visti impegnati con molta attenzione date le ripercussioni che le soluzioni individuate nel contratto dell’edilizia avrebbero potuto avere negli altri settori, dato il peso forte degli enti.

 

Anche in questo caso le soluzioni adottate non si prestano ad equivoci. Non esiste la certificazione del rapporto di lavoro. Chi continua a sostenere questo (come è rimbalzato al congresso della Fiom) o solo a paventarne il rischio o lo fa in malafede, o non ha letto il contratto, o stenta a capire ciò di cui stiamo parlando.

 

Le uniche funzioni di certificazione attribuite agli enti, di cui non ci vergogniamo a sottolinearne l’importanza, riguardano la regolarità contributiva anche alla luce della nuova realtà costituita dal Durc e la formazione professionale, per il rilascio del libretto formativo personale, strumento da noi giudicato utile per ingaggiare nei luoghi di lavoro la battaglia per la progressione di carriera.

 

Inoltre è prevista non già la certificazione, ma la costituzione della Commissione tecnica  paritetica per lo studio e l’approfondimento dei requisiti, regole e modalità operative degli enti per la certificazione dell’appalto genuino.

Anche in questo caso abbiamo scelto di esserci, di stare là dove si potrebbe decidere qualcosa con la quale poi dover fare i conti e poter noi porre dei veti o paletti.

Tanto più che questo punto dell’allegato ventinove va letto conseguentemente a quanto previsto dall’allegato ventisei sulla certificazione di regolarità contributiva, dove si afferma al punto 5 che la certificazione di genuinità dell’appalto viene comunque emessa nei confronti delle imprese per le quali sia già stata emessa la certificazione di regolarità contributiva, dunque una sorta di doppio esame del sangue per le imprese interessate.

 

Risolta in questi termini l’annosa questione della certificazione, abbiamo affrontato quello delle regole del sistema della bilateralità, attraverso l’innovativo protocollo specifico.

Qui era presente il rischio di ingabbiare l’autonomia negoziale del secondo livello di contrattazione, camuffando l’obiettivo con il tentativo di mettere ordine e dare omogeneità al sistema.

Noi abbiamo condiviso l’idea della omogeneità, nel senso di un quadro di regole condivise, finalizzate alla qualificazione del ruolo e delle funzioni degli enti (basta tenere a mente tutto il ragionamento fatto sulla formazione), ma abbiamo difeso l’autonomia del secondo livello di contrattazione, respingendo idee e proposte addirittura offensive della contrattazione e del sindacato che la esercita, come nel caso delle sanzioni immaginate per quelle Casse Edili che si collocassero fuori dal contesto di regole definite, soprattutto in materia di contribuzioni e prestazioni.

 

Noi siamo dell’idea che sarebbe sbagliato interpretare questa parte del contratto come una concessione alla parte datoriale, come un prezzo che abbiamo dovuto pagare.

L’autonomia dentro il sistema della bilateralità non può essere confusa con l’anarchia dello stesso sistema, soprattutto se vogliamo candidare il nostro sistema a sostenere sfide nuove e sempre più impegnative che proiettano il settore verso una maggiore complessità e più accentuate dinamiche sociali e territoriali.

 

Se vogliamo continuare a sostenere l’importanza insostituibile delle Casse dobbiamo uscire dalla logica dei cento piccoli orticelli, che ancora impediscono –ad esempio- di superare la divisione triangolare degli enti tra Casse, Scuole e CTP con la sperimentazione di un più coraggioso processo di aggregazione ed integrazione, almeno tra formazione e sicurezza.

 

Parlare di borsa del lavoro e di sportello per l’incontro domanda-offerta può far venire i brividi a chi prescinde dal merito o dal contesto. Noi che conosciamo il Far-West dei cantieri interpretiamo queste soluzioni come una funzione di supporto che gli enti bilaterali possono offrire al governo pubblico del mercato del lavoro, nel senso della trasparenza, della qualità e della regolarità del lavoro. Non sono le scuole edili sempre più deserte che ci interessano, né comitati territoriali alla sicurezza suggestionati dal ruolo di surroga degli organismi di controllo e di vigilanza. Ma anche le Casse Edili ancorate a prestazioni che parlano più al passato che al futuro non sono coerenti con il nostro progetto di qualificazione del settore.

 

Siamo per questo consapevoli che su queste materie il contratto rappresenta un ulteriore stimolo a sollecitare i necessari processi di innovazione della bilateralità.

Ma anche qui: significa che dovremo farlo sotto dettatura o subire le scelte della controparte? Pensiamo di non avere la forza politica e in termini di iniziativa per affermare un nostro punto di vista, una nostra visione di questo processo di rinnovamento?

E riformulo la domanda: c’è qualcuno che ha qualche problema, qualche timore ha intraprendere questa strada? Dovrebbe avere paura essenzialmente di se stesso o della sua o nostra incapacità a stare sul pezzo e noi questo timore vogliamo semplicemente escluderlo perché vogliamo avere fiducia in noi stessi.

 

 

Tutto quanto detto non autorizza toni enfatici sui risultati contrattuali che peraltro contrasterebbero con la nostra tradizionale modestia.

Ma non dobbiamo neanche rinunciare ad una giusta valorizzazione di quello che abbiamo fatto, anche perché l’umiltà non è falsa modestia e poi perché questi risultati sono il frutto del nostro impegno e non una gentile concessione.

 

Lo dico perché adesso dobbiamo andare ad una consultazione tra i lavoratori, là dove ancora non sia stata fatta, che si proponga non solo di esercitare un dovere democratico, ma soprattutto che serva ad apprezzare con i lavoratori i contenuti contrattuali.

Si tratta di dire quello che portiamo a casa, a partire dalle cose più concrete, il salario, gli altri miglioramenti normativi, le cose che più interessano loro, ma al tempo stesso fare uno sforzo per ribadire il nostro impegno sul terreno delle condizioni in cui opera il settore e di come anche attraverso il contratto vogliamo preoccuparci di migliorarle.

 

So che non possiamo farci troppe illusioni sulla disponibilità della nostra base a seguire ragionamenti troppo impegnativi, ma né questa caratteristica, né la difficoltà a svolgere un percorso di validazione democratica altrettanto cogente come negli altri settori industriali può essere un alibi per il disimpegno delle strutture.

La consultazione va fatta e va svolta nel modo più ampio possibile.

Al termine della stessa è previsto un attivo nazionale dei quadri per un bilancio complessivo della stagione contrattuale che ci auguriamo possa comprendere anche i contratti ancora non rinnovati.

 

Queste valutazioni sulla consultazione credo valgano per una considerazione finale sul metodo che ha segnato questa fase dei rinnovi.

Naturalmente, non avevo riferimenti precedenti per poter valutare la metodologia adottata. L’unica cosa che posso dire è che per quanto abbiamo potuto fare e per quanto possa essere dipeso da noi, ma sicuramente per quanto riguarda noi, la Fillea, il percorso ha seguito coerentemente l’impostazione che ci eravamo dati. Credo si possa affermare senza tema di smentita che ogni passo significativo dei negoziati, fino a quello dell’edilizia è stato vissuto dentro la nostra delegazione (molto meno in quella unitaria) e negli stessi organismi dirigenti della Fillea.

 

Questo è quanto ci eravamo proposti e abbiamo fatto, sostanzialmente. Poi siamo tutti adulti e vaccinati e sappiamo che le dinamiche negoziali hanno momenti in cui si è in pochi a discutere e a confrontarci, ma sicuramente non siamo mai stati in pochi a decidere.

Personalmente posso dire di avere vissuto le ristrette, quelle ristrettissime per intenderci, in un clima di piena e totale fiducia della delegazione e dei gruppi dirigenti e questo ha pesato molto nel rapporto con la controparte e negli stessi rapporti unitari.

 

Altro è dire che il metodo adottato, soprattutto in edilizia e nel legno è il migliore, ma non tanto dal punto di vista democratico quanto per il coinvolgimento delle delegazioni. In fondo una trattativa è una occasione importante di crescita e di legittimazione dei gruppi dirigenti, quindi potrebbe esserlo anche di quelli regionali, territoriali e aziendali, tradizionalmente relegati al bivacco, oltretutto molto scomodo questa volta per via dei lavori alla sede dei costruttori.

 

Non è nostra intenzione rinunciare al cambiamento di una tradizione, se questo è utile o giusto e non rinunciamo a farlo anche in un contesto di piena fiducia come quello che ci ha caratterizzati in questi mesi. Tuttavia dobbiamo sapere che non siamo mai soli a poter decidere ed in questo caso siamo oltremodo e perennemente in minoranza, date le posizioni diverse tra gli stessi sindacati.

 

Vorrei infine ricordare a tutti noi che abbiamo intrapreso questa stagione negoziale con seri problemi nella struttura nazionale dovuti all’uscita anzitempo dalla segreteria di un compagno che aveva la responsabilità di ben quattro contratti.

Della struttura nazionale e di una sua verifica ci occuperemo nelle prossime settimane. Vorrei però dire che per quanto possa giudicare la segreteria si è sobbarcata il fardello con la necessaria umiltà, ma con altrettanta determinazione.

 

E tuttavia se alla fine i risultati sono venuti e spero si possa altrettanto dire per il legno-arredo tra qualche giorno, lo si deve soprattutto alla forza del collettivo, al contributo che sia collettivamente che individualmente le delegazioni trattanti hanno dato alla struttura nazionale, alla segreteria e direttamente al sottoscritto.

 

Anche per questo vorrei ringraziarvi tutti personalmente e a nome della Segreteria Nazionale, per la fiducia e per l’iniziativa che avete promosso, perché avete contribuito a renderci protagonisti di una esperienza che non solo consegna risultati contrattuali soddisfacenti ai lavoratori che rappresentiamo, ma getta le premesse per un ulteriore salto di qualità del nostro gruppo dirigente e di tutta la Fillea.

 

Sono sempre più convinto che la Fillea esca da questa stagione contrattuale in grado di svolgere in modo sempre maggiore un ruolo autorevole nel dibattito e nell’iniziativa della stessa Cgil, diventando punto di riferimento della qualità delle battaglie intraprese dalla nostra Confederazione e dal sindacato.

 

Esiste un Cantiere Qualità anche dentro il sindacato e ancor prima dentro la Cgil e noi quel cantiere né intendiamo subappaltarlo, né vogliamo guardarlo da fuori, è il nostro cantiere ed è un cantiere che ha bisogno delle nostre idee e delle nostre esperienze.

 

Di questo continueremo a parlare nel prossimo Direttivo Nazionale con la presenza del nostro Segretario Generale Epifani e non ho dubbi che questo nostro gruppo dirigente ancora una volta saprà non tradire le attese, dimostrando, come ha detto felicemente qualcuno di noi in questi giorni, che non siamo figli di un dio minore.

 

 

10 giugno 2004

 

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