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RESTAURO: NEL 2003 MENO FONDI DAL GOVERNO

FILLEA CGIL: sull’accesso alla formazione il Ministero dei Beni Culturali

 rifiuta il confronto con il sindacato

L’Italia “produce” solo 40 restauratori l’anno.

 

L’Italia che vanta la maggior parte del patrimonio artistico e archeologico mondiale rischia di rimanere senza restauratori. Ogni anno dalle scuole escono appena 40 diplomati. Ad aggravare le cose anche la scelta del governo di tagliare le risorse finanziarie per il settore.

Nel 2003 il ministero dei Beni Culturali ha stanziato 198.600 euro, il 5,5% in meno rispetto allo scorso anno. Nonostante le promesse del ministro Urbani che ha dichiarato di voler investire nel settore 400 milioni di euro all’anno per dieci anni.

La denuncia è della  Fillea Cgil che oggi a Roma ha tenuto l’Assemblea nazionale per la costituzione di Fillea Restauro.

In Italia lavorano 30.000 restauratori. La categoria è costituita prevalentemente da giovani con una età media di 35 anni ed è caratterizzata da una forte presenza di donne (l’80 per cento del totale).

Figure professionali che hanno particolari conoscenze tecnico-scientifiche e un patrimonio culturale di tutto riguardo. L’alto valore culturale di questo lavoro non lo mette al riparo da fenomeni degenerativi che si riscontrano tra le commesse pubbliche ed il sistema delle imprese, con le ricadute negative sui diritti dei lavoratori. Infatti, fatte salve alcune eccezioni, i restauratori sono costretti a lavorare con rapporti di lavoro cosiddetti flessibili e in subappalto non riconosciuto, che non fa curriculum per lo sviluppo della carriera professionale.

Il Ministero dei Beni Culturali rifiuta di confrontarsi con il sindacato sui problemi connessi all’accesso alla formazione, oggi riconosciuto a non più di 40 restauratori l’anno che hanno la possibilità di frequentare i soli due istituti autorizzati. Con il nuovo sistema di qualificazione delle imprese che lavorano nel settore, la grande maggioranza dei restauratori rischiano di essere espulsi dal mercato del lavoro, non potendo attestare decine di anni di lavoro nei cantieri del restauro. Il sindacato ha chiesto al Ministero di definire con un Decreto i criteri per il rilascio del titolo di studio del restauratore con delle norme transitorie in grado di riconoscere il lavoro che questi lavoratori hanno svolto negli anni.

·        LE SCUOLE DI RESTAURO: SONO SOLO 2 IN ITALIA

E SI ACCEDE SOLO PER CONCORSO

 

Oggi in Italia esistono dei corsi di laurea breve. Uno di durata triennale in Diagnostica artistica e uno specialistico di due anni in Restauro vero e proprio.

Al di fuori dei corsi universitari esistono altri due tipi di formazione.

Ci sono innanzitutto le scuole di alta formazione:

A Roma, l’Istituto Centrale per il Restauro nato nel 1929

A Firenze c’è l’Opificio delle pietre dure, un Istituto voluto dalla famiglia dei Medici.

Queste scuole rappresentano l’eccellenza del restauro italiano e lo hanno reso famoso nel mondo. Ai corsi, che durano cinque anni, vengono ammessi solo 18 allievi per anno selezionati per concorso (oggi aperto a cittadini dell’Ue, ma anche a studenti extracomunitari).

Queste due scuole insieme creano ogni anno 36 diplomati. Un po’ poco per le esigenze del settore restauro, in un Paese tra i primi al mondo dal punto di vista del patrimonio artistico e culturale.

Subito dietro l’Icr e l’Opd ci sono le scuole regionali.

 

·        AD OLTRE 10 MILA RESTAURATORI

NON VIENE RICONOSCIUTA LA PROFESSIONALITA’

 

La Fillea Cgil individua nella formazione professionale l’aspetto vitale del comparto e quindi oltre alla Riforma per il rilascio del titolo di studio, serve individuare gli strumenti per offrire ai lavoratori del settore un percorso di formazione continua, inoltre serve definire dei modelli formativi mirati al riconoscimento svolto in questi anni dai restauratori.

Qui la durata dei corsi è di due o tre anni e il numero totale dei restauratori licenziati finora si aggira intorno alle 10.000 unità che però non sono riconosciuti dalle Soprintendenze.

La forte espansione della domanda, che nel comparto del restauro aprirà, nuove opportunità occupazionali dovrà sicuramente essere sostenuta da una corrispondente espansione dell’offerta formativa, che consenta ai giovani di affrontare le nuove esperienze occupazionali con professionalità e competenza e soprattutto con un titolo riconosciuto.

 

·        AMBIENTE E SALUTE: IL RISCHIO

DI AMMALARSI E’ PIUTTOSTO ALTO

 

L’attività si svolge spesso all’aperto ed in qualsiasi stagione dell’anno, su ponteggi, in scavi archeologici, in ambienti malsani tipo tombe, magazzini. L’uso dei materiali chimici è molto frequente. E così il rischio di ammalarsi è piuttosto alto.

I rischi  più frequenti sono:

·        problemi di vista

·        esposizione agli agenti atmosferici (pioggia, caldo, ecc)

·        lesioni traumatiche accidentali

·        azione (a volte oncogena) cutanea delle radiazioni ultraviolette dei raggi infrarossi

·        azione irritante, tossica ed oncogena delle sostanze utilizzate nel restauro

·        problemi per inalazione di polvere ambientali

·        contaminazione da funghi, miceti, bacilli, stafilococchi, pseudomanas

·        rischi di infezioni con uova di parassiti, spore di carbonchio, tetano, leptospira

In particolare le opere d’arte ed i beni culturali, con le rare eccezioni delle opere conservate in atmosfera controllata, si trovano a diretto contatto dell’aria e sono soggette all’azione dei costituenti atmosferici. La componente biologica dell’aria può costituire un potenziale elemento di degrado delle opere d’arte e dei beni culturali e realizza un biodeterioramento indotto dalla crescita dei microrganismi.

Si tratta di salvaguardare la salute del personale esposto al lavoro di conservazione e restauro delle opere d’arte e dei beni culturali.

 

ROMA 8 FEBBRAIO 2003

 

 

Fillea Cgil Nazionale Via G.B. Morgagni, 27 Roma