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Fille@donna – Lavoratori stranieri

 

Tratta degli esseri umani e MGF

Impegno della Cgil per denunciare la tratta delle braccia, il traffico di manodopera, i procacciatori di operai in nero e le mutilazioni genitali femminili.

 

 

Tratta

 

Ci sono segnali di  mobilitazione e di una attenzione nuova sul  complesso fenomeno della tratta degli esseri umani anche grazie alla iniziativa sindacale contro il lavoro nero e alla campagna della CGIL “Il rosso e il nero “ contro l’economia sommersa e la nuova illegalità.  

Il fenomeno infatti sta cambiando e diventa sempre più   rilevante l’aspetto di sfruttamento lavorativo che si affianca a quello più  visibile e più noto dello sfruttamento sessuale.

La CGIL ha denunciato la tratta delle braccia, il traffico di manodopera, i procacciatori di operai in nero. Ha sostenuto la piena applicazione dell’art.18 del TU,  ha chiesto per ripristinare diritti e libertà individuali di ampliare il campo di applicazione della norma e di concedere il permesso di soggiorno per protezione sociale anche nei casi di riduzione in servitù, “ in stato di soggezione e costrizione a prestazioni lavorative che ne comportino lo sfruttamento”, anche “ a fronte di abuso di autorità e di approfittamento di una situazione di necessità, di inferiorità” ecc. come  prevede la legge n.228/03. 

Il governo ha stanziato 4 milioni di euro per dare attuazione all’art. 18 del TU e finanziare i progetti che assicurano assistenza e protezione alle vittime della tratta. Il Dipartimento per i diritti e le pari  opportunità  ha pubblicato il bando sulla Gazzetta Ufficiale del 27 febbraio, per eventuali informazioni è possibile rivolgersi  a  progettiarticolo18@palazzochigi.it oppure al numero telefonico 06 – 67792450.

A fine dicembre 2006  per rilanciare le politiche e gli interventi a favore delle vittime della tratta è stato presentato il documento “Da vittime a cittadine e cittadini” sottoscritto da 157 enti pubblici (4 regioni, 18 province,36 comuni, 3 consorzi di servizi sociali, 4 aziende sanitarie locali ) e non profit (92 enti di cui 8 reti nazionali e 1 rete regionale).

Il documento faceva una serie di proposte per ripensare e rendere più efficaci le politiche.  In particolare evidenziava la necessità  considerare tutti gli ambiti di sfruttamento e non solo quello della prostituzione e di applicare il percorso di protezione e tutela stabilito dall’art.18 del TU ed  il programma di assistenza dell’art 13 della legge 228/2003 alle persone coinvolte nello sfruttamento nei luoghi di lavoro, nella servitù domestica, nel traffico di minori ecc.

La definizione di tratta, confermata dalla legge  n 228/2003, è la seguente: reclutamento,trasporto e trasferimento, accoglienza di persone allo scopo di sfruttamento sessuale e lavorativo, di schiavitù, asservimento, accattonaggio, espianto di organi, attraverso l’uso o la minaccia della forza e di altre forme di coercizione, di rapimento, di frode o inganno, di abuso di potere o di posizione di vulnerabilità.

Si tratta quindi di un crimine contro la persona, di una violazione dei diritti umani. La persona trafficata è vittima di coercizione e sfruttamento per cui sono irrilevanti sia il consenso eventuale che la eventuale legalità dello spostamento o attraversamento della frontiera. I reati di coercizione e sfruttamento  chiamano in causa gli obblighi dello Stato in termini  di tutela  dei diritti umani e di protezione delle  vittime.

Altro evidentemente è il traffico di migranti che si definisce come lo spostamento illegale di persone consenzienti da uno stato all’altro, in cambio di un compenso al trafficante. In questo caso  il crimine è contro lo Stato in violazione delle leggi sull’immigrazione e l’ordine pubblico.

E’ difficile dare una dimensione quantitativa in Italia al fenomeno della tratta di esseri umani anche solo in termini di stima attendibile, (Transcrime indica tra le 27 mila e 57 mila vittime e Parsec tra le 17 mila e 23 mila donne).

L’ONU parla di milioni di persone trafficate  nel mondo.

In Italia, così come in tutto l’occidente, il traffico di esseri umani trova alimento nello sfruttamento lavorativo, nell’economia sommersa e nel lavoro nero, nel lavoro di cura.

Lo sfruttamento è l’elemento comune sia al reato di riduzione in schiavitù che al reato di tratta di esseri umani, in “forma grave” è uno dei requisiti richiesti dall’art. 18 del Testo Unico Immigrazione.

Sfruttamento vuol dire che consapevolmente un soggetto, tramite imposizione(violenza, inganno, ricatto),  trae un profitto ingiusto dalla attività legale o illegale di una persona, sottraendo cioè in maniera totale o parziale i profitti della attività della vittima o viene violata la sua libertà di autodeterminazione.

Lo sfruttamento lavorativo  riguarda l’ingiusto profitto sottratto alla vittima derivante da una “attività propriamente  lavorativa”, una qualsiasi attività economica, anche quella svolta in nero, per la quale si riconosce il diritto al pagamento di una somma proporzionale alla qualità e quantità della prestazione svolta.

Di conseguenza la privazione di una parte della retribuzione e la condizione di irregolarità, che diventa fattore di vulnerabilità,  configurano lo sfruttamento lavorativo.  Le denunce evidenziano paghe di 500, ma anche  di 200 e 100 euro mensili per 10-14 ore di lavoro senza riposo. Le vittime  arrivano alla denuncia generalmente a seguito di episodi di violenza, negazione del salario, infortuni, sottrazione dei documenti o addirittura denuncia dei clandestini da parte datore lavoro per non pagare la retribuzione. Le organizzazioni  criminali si concentrano nelle

aree di confine, nelle grandi città, nei piccoli centri turistici e configurano veri e propri circuiti di sfruttamento lavorativo.

Le riflessioni più recenti sostengono che il lavoro forzato e lo sfruttamento lavorativo appartengono ad una stessa tipologia di sfruttamento e si distinguono sia per l’entità della riduzione della libertà di autodeterminazione della vittima (annullamento per il  lavoro forzato) sia  per gli strumenti usati (violenza e minaccia fisica).

L’articolo 18 del TU è applicato in maniera disomogenea e in molte realtà la concessione dei permessi di soggiorno per protezione sociale è subordinata, in violazione della lettera e dello spirito della legge, alla denuncia, alla collaborazione cioè, della vittima  nelle indagini giudiziarie. Va rapidamente corretta la tendenza ad una interpretazione riduttiva di questo strumento che tutto il mondo ci invidia e puntare ad una applicazione ampia e che tenga conto  dell’art.13. della legge 228/03 che prevede risorse per programmi di assistenza inserimento per le vittime.

Bisogna avviare una fase nuova di politiche efficaci e di strategie per il futuro che risponda al fatto che il traffico si annida nelle forme più gravi di sfruttamento, che questo grave fenomeno criminale non è più eccezionale, ma è presente  quotidianamente nella vita e nel lavoro.

Prioritaria diventa l’attenzione da prestare allo sfruttamento lavorativo e ai criteri di identificazione della vittima, criteri che dovranno essere in grado di effettuare una individuazione precoce di vittime anche potenziali.

In conclusione , quindi, siamo di fronte ad un fenomeno non a caso definito  complesso , fluido ed in continuo mutamento, che vede cambiare i trafficanti, i trafficati, le rotte, i mezzi di trasporto, i bacini di reclutamento. Fenomeno criminale connesso con il traffico di armi e di droga, che viola i diritti umani, che richiede politiche e strumenti di contrasto e di prevenzione.  Fenomeno molto pericoloso perché contagia ed alimenta l’illegalità.

Altro è l’immigrazione e altre sono le politiche, le priorità, altri gli strumenti ed i soggetti da attivare.

Fenomeni diversi ma contigui che richiedono una nuova lettura comparata e  una “strategia integrata”  capace di utilizzare e collegare tutti i vari strumenti ed i vari  soggetti  in una visione  di insieme ed in un lavoro di rete. 

 

 

MGF. Mutilazioni genitali femminili

 

Le novità

Il 9 gennaio 2006  è entrata in vigore la legge numero 7 “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile” che prevede attività di informazione e prevenzione oltre che sanzioni specifiche per chi le pratica.

Questa legge è stata giudicata “una occasione mancata” , oppure nel migliore dei casi “una occasione colta a metà” perché  ha il difetto di non prevedere  risorse sufficienti per la prevenzione e soprattutto non prevede sostegni concreti alle madri che si espongono per sottrarre le proprie figlie alle pratiche che vogliono contrastare (era stato proposto di garantire lo status di rifugiato ma  la allora maggioranza di centro-destra disse di no, così come non accolse altre proposte come un osservatorio, più risorse  per la cooperazione per lo sviluppo, il beneficio previsto dall’articolo 18 della Carta europea, ecc.).

Una legge , in sintesi, con  risorse decisamente scarse e  tempi incerti in cui è prevalsa la logica repressiva della punizione, che non ha introdotto nessuna  misura di diritto positivo e non dà strumenti efficaci per realizzare l’obiettivo della prevenzione e della protezione delle bambine  con l’abbandono delle pratiche dannose. Ciononostante la legge va applicata e il problema  della prevenzione  resta centrale  e che assume una rilevanza maggiore  in presenza del  Protocollo di Maputo, il protocollo aggiuntivo alla Carta africana dei diritti umani sui diritti delle donne, entrato in vigore a novembre 2005 dopo le 15 ratifiche necessarie. Infatti il protocollo, oltre a rivendicare i diritti delle donne alla salute, istruzione,  dignità, integrità fisica ,  proibisce con l’art.5 la pratica delle mutilazioni e le considera una violazione dei diritti fondamentali della persona.

Il 6 febbraio 2007, in occasione della giornata mondiale per l’eliminazione delle MGF e del Convegno “Oltre le MGF: una questione di diritti”, il governo  ha espresso l’intenzione di intervenire  efficacemente sottolineando sia l’aspetto della tutela dei diritti umani, sia quello della prevenzione e della difesa delle vittime potenziali.

Dal 16 novembre 2006 è attiva la Commissione per la prevenzione ed il contrasto delle pratiche di mutilazione genitale femminile presso il Dipartimento dei diritti e delle pari opportunità.

La Commissione, istituita con decreto del Ministro dei diritti e delle pari opportunità , Presidente ministro Pollastrini e V.Presidente Capo Dipartimento Della Monica, riunisce i rappresentanti delle istituzioni competenti, le associazioni  e gli enti sia pubblici che privati impegnati nel contrasto alle MGF. 

Da sottolineare che è stato attivato il numero verde 1522  che, grazie ai centri antiviolenza ed ai consultori, già raccoglie segnalazioni ed informazioni.

Da ricordare infine che l’ultima Legge Finanziaria  ha autorizzato una spesa aggiuntiva di 500 mila euro per la prevenzione delle mutilazioni genitali e ha  previsto la creazione di un Istituto per la promozione della salute delle popolazioni migranti ed il contrasto delle malattie della povertà con una posta di 5 milioni di euro per l’anno 2007 e 10 milioni per il 2008 e 2009. Questo istituto dovrà promuovere un progetto sperimentale delle regioni Lazio, Puglia e Sicilia che faccia tesoro dell’esperienza delle strutture del Santa Maria e del San Gallicano già operanti a Roma.

 

Alcune considerazioni

Le mutilazioni sono da considerare una violazione dei diritti umani. In Italia il diritto alla salute e alla integrità fisica è inscritto nell’art.32 della Costituzione secondo il quale la Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività.

C’è da augurarsi che l’applicazione della legge contribuisca a superare la superficialità e spesso l’indifferenza delle iniziative che riguardano la violenza e la negligenza contro le donne non solo a livello nazionale. Infatti  la violenza, in particolare quella contro le donne, costituisce ancora il “male oscuro”  del diritto internazionale fondato sui diritti umani universali e la centralità della persona.

Molte sono le cose da fare e che la Commissione dovrà mettere in agenda.

Una efficace strategia di prevenzione dovrà in primo luogo recuperare la tutela che deriva da riconoscimento dello stato di rifugiato alle donne che vogliono sfuggire alle mutilazioni e  garantire l’asilo per le vittime  esposte a  rimpatri a rischio di persecuzione per motivo di sesso.

Dovrà poi prevenire i viaggi delle escissioni oltre che  scoraggiare e punire chi agisce in Italia (a danno di cittadine italiane o di residenti in Italia).

In una logica di prevenzione e  di garanzia di esercizio dei diritti diventa prioritario progettare ed attuare piani di cooperazione  internazionale, anche a livello giudiziario e con accordi bilaterali di assistenza penale, ed insieme progettare e realizzare servizi sanitari universali e di facile accesso, campagne di informazione, programmi scolastici di educazione sessuale  e di rispetto di genere, ecc.

Molte sono le esperienze concrete  a cui fare riferimento per scongiurare la deriva della crociata e dell’allarme sociale.  

Per esempio quella dell’ Istituto San Gallicano di Roma  dove per offrire un supporto psicologico e culturale alle vittime di mutilazioni è stato messo a disposizione un servizio di mediazione linguistico-culturale.

Dal 1985 opera la Struttura Complessa di Medicina preventiva delle Migrazioni che lavora in sinergia con le istituzioni assistenziali e con i centri del privato sociale.

Dal 1 gennaio 2004 al 31 dicembre 2006 su oltre 15.000 pazienti donne osservate, le donne provenienti dall’Africa Sub sahariana e da altri paesi a rischio di MGF sono state3.897.

Di queste l’83% ha acconsentito a sottoporsi ad un esame clinico. L’esame ha rivelato che 2.212 avevano subito mutilazioni: il 63,7% del Tipo I , il 27,6% del Tipo II,  il 5,1% del TipoIII.

Due donne erano nate in Italia e mutilate nei paesi di origine.

Le donne mutilate provengono per l’80% da Somalia, Etiopia ed Eritrea, le altre da Nigeria, Egitto, Costa  D’Avorio, Repubblica Centro Africa, Sudan, Burkina Faso, Mali,  Kenya, Guinea, Sierra Leone, Camerun, Mauritania, Ghana.

Il 78,6% è formato da donne nubili e il 18,6% di queste hanno richiesto l’intervento ricostruttivo su consiglio quasi tutte di altre donne della stessa etnia.

Il 35,9% erano ancora “incerte”  sulla mutilazione delle loro figlie.

Da questa, come da altre significative esperienze, emergono alcune indicazioni di merito: a) nel nostro paese vivono donne mutilate, esposte a rischio di patologie specifiche, che si rivolgono alle strutture  socio – sanitarie e pongono questioni di accoglienza, comprensione, competenze e disponibilità; b) le strutture e gli operatori socio-sanitari non sono preparati né attrezzati; c) nella preparazione specifica e nell’aggiornamento continuo devono essere coinvolti non solo i medici, gli ostetrici e i ginecologi, ma anche il personale dei consultori, i medici della medicina di base, i pediatri.

La stima più attendibile è che siano 30 o al massimo 40 mila le donne che hanno subito o accettato mutilazioni e infibulazioni. A queste donne bisogna garantire risposte adeguate ai loro bisogni, in particolare  quelli legati alla salute sessuale e riproduttiva.

Le esperienze più recenti pongono l’attenzione sulla domanda di deinfibulazione, di parto naturale, di coinvolgimento non solo della donna ma della coppia. Si tratta cioè di curare le patologie dell’apparato uro-genitale e imparare ad intervenire su situazioni e condizioni non consuete.

L’attenzione su questo tema complesso e doloroso deve essere costante e deve comportare scelte politiche innovative a livello di confronto interculturale, forti del fatto che le culture sono permeabili e si modificano in una dimensione dinamica e in continua evoluzione:

- a livello di formazione e specializzazione professionale per qualificare le prestazioni dei servizi sociosanitari  con l’obiettivo di sanare e prevenire le conseguenze delle mutilazioni sulla salute riproduttiva e sulla sessualità delle donne e dei loro figli ( i parti a rischio spesso danneggiano i neonati);

- a livello di studio e ricerca  per programmare politiche e realizzare progetti mirati alla conoscenza ed al rispetto delle esigenze di salute e benessere delle donne provenienti da culture e tradizioni che negano la sessualità e l’autonomia femminile.

In attesa che siano presentate le linee guida contenute nel piano programmatico operativo  va sottolineata la necessità di una campagna di comunicazione e informazione rivolta ai luoghi di lavoro, alle scuole, ai servizi socio sanitari, con l’ausilio di mediatori culturali e linguistici.

Non vanno trascurate  le istituzioni e le strutture ed i luoghi di “primo impatto” per esempio ambasciate, consolati, aeroporti e stazioni, vanno coinvolti sia i  centri di prima accoglienza  che le strutture di volontariato laico e religioso, le strutture sindacali di tutela.

 

Roma 16 marzo 2007                                                 Lilli Chiaromonte Cgil Nazionale

 

 

 

 

 

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