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Relazione di Mara Nardini

Segretaria nazionale Fillea Cgil

 

 

 

Bozza non corretta

 

E’ la prima volta che la Fillea realizza un attivo nazionale dei lavoratori immigrati. Questa iniziativa, che è stata preparata anche da alcune iniziative a livello territoriale nella fase della regolarizzazione o più recenti, come quella svolta in Liguria, è il segno della maggior consapevolezza di quanto sia rilevante il fenomeno immigratorio nel settore delle costruzioni, ed è l’occasione per definire qual’è il rapporto che abbiamo con questa realtà e con i problemi che presenta.

Di fronte al carattere strutturale di questo fenomeno e alla sua continua crescita, ci interessa ragionare sulle conseguenze nel nostro settore produttivo, sulle ricadute che le politiche del governo sull’immigrazione possono avere sul nostro settore, e sui nostri lavoratori stranieri, sulle strategie rivendicative che possiamo mettere in campo nella contrattazione di categoria e in quella territoriale, e quali ricadute sono necessarie nella stessa organizzazione sindacale.

L’immigrazione è oggi al centro dello scontro politico.

La crisi strisciante della maggioranza di governo sembra giocarsi su questo terreno, ma in realtà a nessuna delle forze politiche della maggioranza interessa realmente il merito dei problemi dell’immigrazione, e tanto meno degli immigrati.

La Lega usa l’immigrazione per sviluppare una politica ricattatoria nei confronti del resto della maggioranza e per preparare il terreno per eventualmente sfilarsi dalla maggioranza stessa. Sull’immigrazione la Lega, con le sue parole d’ordine razziste e xenofobe, privilegia la dimensione simbolico culturale: in realtà non gli interessa la praticabilità e gli effetti delle politiche che propone, per ultime le cannonate agli immigrati, ma il messaggio che lancia, che parla agli istinti peggiori di una parte degli italiani.

Anche le risposte del resto della maggioranza sono tutte sul piano del tatticismo politico e non si misurano con i problemi reali dell’immigrazione e con le ricadute che comporta l’attuale politica del governo.

La politica del Governo è sbagliata e pericolosa. E’ sbagliato lo stesso approccio al problema dell’immigrazione, basato su una concezione proibizionistica del fenomeno e su una politica restrittiva e repressiva, che non guarda alle cause del fenomeno, alle relazioni economiche e sociali con i paesi meno sviluppati, che non destina risorse e iniziative per una politica di lotta alla denutrizione e alla desertificazione e di sostegno allo sviluppo dei paesi più poveri.

Di fronte al fatto che oggi un miliardo di persone vive con meno di un dollaro al giorno e che l’aumento della popolazione dei paesi più poveri e gli indirizzi dell’economia globale fanno prevedere un aggravamento ulteriore di questo dato drammatico, le politiche dei paesi più ricchi, di chiusura più o meno rigida nei confronti dell’immigrazione, non solo sono destinate ad essere inefficaci, ma spesso sono funzionali ad una politica di sfruttamento della mano d’opera immigrata.

In Italia la politica di chiusura delle frontiere, il blocco dell’approvazione di una legge sul diritto d’asilo, il mancato riconoscimento dei diritti di cittadinanza, la restrizione dei canali di ingresso regolare e il privilegio assegnato all’immigrazione temporanea, l’irrigidimento delle norme sul soggiorno, sembrano entrare in contraddizione con la persistenza di una domanda di lavoro non soddisfatta dai lavoratori italiani. La contraddizione è parziale perché questo serve a creare le condizioni per un utilizzo degli immigrati come manodopera a basso costo, altamente flessibile e ricattabile.

E’ un disegno che alla lunga non è sostenibile. Pochi giorni fa il Sole 24 Ore scriveva che in realtà l’Italia, computando la recente regolarizzazione, è il terzo Stato europeo con il maggior numero di immigrati, dopo Francia e Germania, e potrebbe salire più in alto in graduatoria in quanto, come sostengono autorevoli centri specializzati, ci sarebbe bisogno di una ulteriore sanatoria di 500.000 persone. Potrei citare altre analisi e altri dati, molti li trovate nel Dossier in cartellina, ma tutti dimostrano che l’immigrazione è fenomeno strutturale, destinato a crescere e a modificare le nostre politiche a tutti i livelli, in quanto è un connotato della nostra stessa organizzazione sociale.

Vorrei fare un altro esempio: la Fondazione Agnelli ha calcolato che i figli degli immigrati in Italia sono 400.000, cui si aggiungeranno nel corso del 2003 altri 30.000 bambini, il 5% di tutte le nascite. Ma già nel 2015, fra poco più di 10 anni, i figli degli immigrati saranno fra l’8 e il 12% di tutte le nascite in Italia, ci saranno un milione di bambini immigrati di seconda generazione, per i quali, nel rispetto della loro cultura, costruire percorsi di integrazione come cittadini di questo paese.

L’immigrazione è un connotato della nostra organizzazione sociale, abbiamo detto, e la Bossi-Fini, legge razzista e repressiva, è quanto di più sbagliato si potesse immaginare. A questo si è aggiunta una gestione della legge che ha aggravato i problemi:

non sono stati emanati i regolamenti e i decreti attuativi, tranne quello sul controllo in mare (ciò tra l’altro significa che chi vuole assumere regolarmente, incontra incertezza normativa e difficoltà insormontabili);

sulla legge si è abbattuta una pioggia di ricorsi per incostituzionalità delle norme sulle espulsioni, con riferimento alla lesione del principio di uguaglianza, del diritto alla difesa e del diritto al contraddittorio;

 la politica di chiusura dei canali regolari ha prodotto un aumento dei clandestini; di fronte ad un fabbisogno delle imprese, stimato dall’Unione delle Camere di Commercio, di 60.000 immigrati in più rispetto allo scorso anno, il decreto flussi ha riproposto tardi, solo a metà anno, la stessa cifra del 2002, ha continuato a privilegiare l’immigrazione temporanea e ha applicato la cosiddetta riserva geografica, escludendo paesi a forte spinta migratoria, ai quali resta solo la possibilità dell’ingresso clandestino;

la sanatoria per 700.000 immigrati, unico elemento accettabile, è stata impostata attribuendo ai datori di lavoro un potere ricattatorio nei confronti degli immigrati, che si sono dovuti pagare la sanatoria, spesso si continuano a pagare anche i contributi e in alcuni casi sono stati ridotti in una sorta di schiavitù; inoltre, chi perde il lavoro, non potendo essere regolarizzato dal nuovo datore di lavoro, viene respinto nell’irregolarità; nelle more della regolarizzazione, per gli immigrati in attesa c’è una sorta di residenza coatta e non possono lasciare il paese per nessun motivo (su questo complesso di problemi il Dossier riporta le inchieste, le denuncie e le iniziative di alcune nostre strutture territoriali);

vi è una spinta alla precarizzazione anche per chi è già regolare perché, come ha denunciato la Comunità di Sant’ Egidio, si è raddoppiato il tempo necessario per il rinnovo del permesso di soggiorno, si arriva ai sette mesi; inoltre questo impedisce agli immigrati di utilizzare le ferie estive per tornare al paese di origine.

Tutto conduce ad una drammatizzazione della situazione.

Se, al di là dello scontro politico in atto, guardiamo ai problemi concreti, va affermato che innanzi tutto è necessaria una adeguata politica dei flussi, che offra una reale risposta alla pressione migratoria e ai fabbisogni delle imprese, che deve coniugarsi con una analisi delle professionalità necessarie e un forte ruolo della formazione, come alternativa ad un modello che vede la manodopera straniera come elemento di massima flessibilità e i lavoratori, utilizzati in lavori precari, venire poi scaricati come un peso sociale col rischio di nuove forme di emarginazione.

E’ urgente una inversione di tendenza, pena l’aggravarsi della situazione, con conseguenze immaginabili, quali una forte incentivazione a tutte le forme di lavoro nero e irregolare e alle peggiori forme di sfruttamento.

Non è a caso che la CGIL nella recente riunione del C.D. ha approvato un o.d.g. sull’immigrazione e ha deciso di discutere di questo tema nella sua prossima riunione.

  • Le Costruzioni

Secondo il rapporto Caritas, nel 2001 gli immigrati sono il 12% di tutte le assunzioni nell’edilizia, il 16,3% nel legno, il 22,6% nel settore estrattivo.

Per quanto riguarda l’edilizia, le elaborazione della CNCE su dati forniti da 74 C.E. per il quadriennio 99 – 2002 (che non registrano gli effetti della regolarizzazione), ci dicono che nel 2002 i lavoratori extracomunitari sono l’11% del totale dei lavoratori, con un nord – ovest che tocca il 18% e un nord – est al 14%.

La loro crescita nel quadriennio esaminato è stata continua, con un balzo in avanti di quattro punti percentuali nel 2002; a questa crescita ha corrisposto un ringiovanimento della categoria, cioè una inversione di tendenza rispetto al progressivo innalzamento dell’età media dei lavoratori nel loro complesso.

Nel periodo settembre – novembre 2002 vi è stata la regolarizzazione di 700.000 lavoratori, dei quali 361.000 nel lavoro subordinato. Secondo le stime del Cresme, una quota di 43.000 regolarizzazioni riguarda il settore delle costruzioni. Nel Dossier vi è anche la stima della suddivisione per regioni.

Il fenomeno della presenza degli immigrati nell’edilizia appare ancor più rilevante se si esaminano le situazioni, a campione, degli effetti della regolarizzazione, attraverso l’analisi dei dati delle casse edili di Torino, Milano, Brescia, il Veneto, la Liguria, Bologna, Firenze, Roma e qualche realtà del Sud.

Questo prezioso lavoro, per il quale ringrazio i compagni delle strutture interessate che si sono attivati per rispondere alle nostre richieste, e i compagni dell’Ufficio stampa della Fillea nazionale che ci hanno dato un aiuto indispensabile, dimostra che, per effetto della regolarizzazione in atto, al Centro-Nord i lavoratori extracomunitari sono il 25 – 30% degli iscritti nelle casse edili.

Ritengo che, terminata finalmente la regolarizzazione di tutti i lavoratori, vada fatta una ricerca approfondita che metta in luce, per quanto riguarda il segmento rappresentato dal nostro settore, non solo le quantità e le caratteristiche socio-demografiche dei protagonisti della più grande regolarizzazione d’Europa, ma gli esiti dal punto di vista dell’applicazione della normativa contrattuale e dell’inquadramento professionale, anche per dotarci di politiche più mirate basate su una migliore conoscenza del fenomeno.

Per intanto il nostro impegno nei confronti di questi lavoratori è duplice, da un lato, siamo impegnati insieme alla Cgil nel condannare il livello inqualificabile della discussione nella maggioranza a fronte del dramma degli sbarchi clandestini e dei naufragi, nel combattere la Bossi – Fini per la sua connotazione razzista e repressiva e nel contribuire a creare le condizioni per una mobilitazione, intorno alla piattaforma proposta dalla CGIL insieme con l’associazionismo, in tema di diritto di asilo, diritti dei minori, diritto al ricongiungimento familiare, diritti di cittadinanza, diritti nell’allontanamento e rimpatrio. A livello territoriale, nelle realtà locali, diamo il nostro impegno e contribuiamo con le nostre proposte nei tavoli territoriali per risolvere i problemi della casa, della salute e dei servizi ai lavoratori immigrati.

Dall’altra possiamo agire direttamente con lo strumento della contrattazione che sviluppa la categoria.

Già qualche risultato è stato raggiunto in precedenza, nel contratto nazionale dell’edilizia, per quanto riguarda il tema della formazione, e nei lapidei piccola impresa e in quello dell’artigianato, relativamente alla possibilità di un ampliamento del periodo di ferie con permessi e recuperi. Inoltre, nel 18% degli accordi integrativi provinciali dell’edilizia vi sono normative e impegni relativi alla condizione degli immigrati, relativamente alla formazione, agli orari, alle ferie, alla richiesta di soluzioni per gli alloggi.

Molto ancora può essere fatto; ma, alla vigilia del rinnovo di tutti i contratti nazionali della categoria, si impone una riflessione anche sul contesto nel quale si inquadra questa scadenza.

La contrattazione, a mio parere, ha due compiti principali: deve creare le condizioni per un allargamento della sfera dei diritti nel paese, correlando la condizione giuridica degli immigrati ai diritti universali e deve creare le condizioni per una fruibilità dei diritti da parte degli immigrati.

L’Assemblea nazionale dei lavoratori immigrati fatta due anni fa dalla Cgil, rilevava come fosse molto ridotto il numero dei contratti che trattava la condizione degli immigrati, e che spesso accordi territoriali di rilievo spostavano il luogo di promozione dei diritti degli immigrati fuori dai luoghi di lavoro.

Due anni fa non c’era ancora la Legge Bossi – Fini e probabilmente nella contrattazione si consideravano sufficienti i principi inderogabili stabiliti dalla legge, quali i diritti fondamentali della persona, il diritto di non discriminazione, la parità di trattamento con i lavoratori italiani, insieme con le garanzie generali offerte dal contratto di categoria. Inoltre questa impostazione corrisponde alla scelta di fondo che fa la CGIL, cioè quella di non differenziare il rapporto di lavoro per caratteristiche soggettive; al contrario, in particolare nei comparti dove è più rilevante la presenza di immigrati, è lo stesso contratto a tutelare i lavoratori, senza alcuna distinzione di nazionalità.

Se, come credo, questa impostazione di fondo va riconfermata, penso che vada posta maggiore attenzione al diverso quadro giuridico di riferimento rappresentato dalla Bossi – Fini e, quindi, senza attribuire nei contratti nessuna specificità normativa complessiva ad un soggetto in quanto tale, potrebbe essere opportuno riaffermare fra le parti il riferimento a quei principi inderogabili su indicati, incardinati nella precedente legislazione.

Compito della contrattazione di categoria, inoltre, è di creare le condizioni di esigibilità e fruibilità dei diritti sul posto di lavoro. In assenza di questo sforzo, per molti lavoratori stranieri tutta una serie di diritti rischiano di restare sulla carta.

Il diritto alle ferie, quello al rispetto delle festività religiose, per esempio, vanno resi fruibili attraverso modalità che consentano ai lavoratori stranieri di raggiungere il loro paese di origine, o di fruire del riposo settimanale in giorno diverso dalla domenica per chi, per appartenenza religiosa, ha una diversa esigenza. Così come, al posto della festività per il santo patrono, andrebbero rispettate altre scadenze, come la fine del Ramadan.

Un altro aspetto sul quale porre l’accento è quello dei diritti di informazione e le relazione sindacali, al fine di dotarsi di una azione di monitoraggio relativa alla mano d’opera straniera e ai sui flussi, alla sua collocazione professionale, e a quant’altro possa essere di supporto alla contrattazione.

Cosi come sul terreno dell’accoglienza lavorativa e dell’integrazione, va messo in campo un forte impegno nell’apprendimento della lingua e nella conoscenza dei meccanismi di accesso ai servizi sociali e sanitari.

La sfida della qualità, che sta nel titolo dell’iniziativa di oggi, è la sfida per invertire il processo di destrutturazione in atto nell’edilizia, per elevare il profilo industriale delle imprese: questo significa innanzi tutto un forte investimento in capitale umano, attraverso la leva della formazione professionale intesa quale fattore permanente del processo produttivo, condizione per la crescita professionale degli addetti e per una competizione alta fra le imprese del settore.

Questo ragionamento vale ancor più per gli immigrati, per una precisa ragione. Se si esaminano gli addensamenti per qualifiche nel quadriennio 99 – 2002, si vede che vi è una dequalificazione della struttura professionale dell’edilizia, con la fascia degli operai qualificati che perde più di due punti percentuali, gli specializzati che passano dal 31 al 27%, mentre vi è una forte crescita degli operai comuni, che passano dal 27,5% ad oltre il 34%. Contemporaneamente negli stessi anni vi è un forte incremento della presenza di immigrati, con un duplice effetto: uno positivo, perché determinano una inversione di tendenza nell’innalzamento dell’età media dei dipendenti, rappresentano una iniezione di giovani, e uno da contrastare, perché si può senz’altro supporre che agli immigrati, che sempre più vengono occupati nel settore, viene assegnata la qualifica di operaio comune, a prescindere dal loro reale livello di qualificazione.

Con il prossimo rinnovo contrattuale intendiamo aprire un processo di rivisitazione dei profili professionali e del rapporto fra profili e inquadramento nei livelli, un forte investimento in formazione e la certificazione da parte delle scuole edili della professionalità acquisita, con l’obiettivo di arrivare ad una raccordo certo fra certificazione della formazione e attribuzione del livello.

I livelli di formazione degli immigrati spesso sono medio – alti, ma nella maggior parte dei casi non vengono riconosciuti; in prospettiva va prevista una offerta formativa basata sul bilancio delle competenze, che consenta una crescita professionale a livelli corrispondenti al grado di istruzione di partenza.

Per gli immigrati tutto questo significa la possibilità di sfuggire alla attuale segregazione professionale, ma anche la possibilità di permanenza nel settore per molti giovani immigrati che, dopo un certo periodo di occupazione in edilizia, non vengono trattenuti dai processi di formazione e qualificazione e ricercano una possibilità di crescita professionale in altri settori.

Un contributo indispensabile a questo disegno dovrà essere dato dagli enti bilaterali dell’edilizia, in quanto strumenti attuativi della contrattazione in materia di promozione e valorizzazione del lavoro, che vanno riformati rendendoli capaci di contribuire allo sviluppo di politiche attive del lavoro e di consentire il nesso fra analisi dei fabbisogni delle imprese, programmazione dei flussi di entrata e programmazione dell’intervento formativo.

Al pari degli altri diritti, anche il diritto alla formazione va reso concretamente esigibile per gli immigrati attraverso la contrattazione all’interno dei posti di lavoro di modelli di orario,  attivando le normative sul diritto allo studio (150 ore, permessi, utilizzo di banche delle ore di straordinario) al fine di evitare perdite di salario.

  • La Fillea

La Cgil, a differenza di altre Confederazioni, non ha scelto di promuovere un associazione di lavoratori immigrati, separata dal resto dell’organizzazione e dal resto del mondo del lavoro; questa scelta è già un fondamento dell’integrazione di questa realtà nel corpo stesso del sindacato, perché per la CGIL i lavoratori stranieri fanno parte della propria identità collettiva. Questa scelta non può non avere ricadute sull’agire quotidiano del sindacato, per cogliere e interpretare questa nuova realtà, e sulle proprie politiche organizzative. Molto si è fatto. Per esempio spesso le strutture del sindacato, gli uffici immigrati, i servizi della Cgil rispondono a problemi ai quali le strutture amministrative dello Stato italiano o delle realtà locali danno risposte carenti o del tutto assenti, e ciò ha riguarda anche gli immigrati che lavorano nel settore delle costruzioni.

La sindacalizzazione degli immigrati nei nostri settori ha fatto un importante progresso, con la regolarizzazione l’iscrizione alla Fillea in molte realtà ha fatto un balzo in avanti, grazie anche alle sinergie sviluppate fra le nostre strutture e i servizi, o gli uffici e i coordinamenti immigrati (come in Liguria, con il Protocollo con il Coordinamento immigrati). Ora è necessario passare ad una fase ulteriore, per consolidare questa presenza fra i lavoratori stranieri.

L’iniziativa di oggi non è una una tantum, ma l’inizio di un percorso, che coniughi sindacalizzazione, rappresentanza e politiche di integrazione. Il nostro radicamento fra gli immigrati potrà crescere nella misura in cui sapremo dare risposte ai problemi di questi lavoratori sul piano rivendicativo, e risposte sul piano dell’integrazione nel sindacato e della rappresentanza.

Alla domanda di tutela da parte degli immigrati si somma la domanda di rappresentanza, ed è soprattutto su questo piano che, come Fillea, occorre oggi fare un salto di qualità: i lavoratori immigrati debbono essere considerati a tutti gli effetti una fonte costitutiva di rappresentanza nei posti di lavoro e nelle strutture del sindacato, che garantisca insieme una rappresentanza della condizione di immigrato e della condizione di lavoratore, che coniughi i due aspetti. E’ un elemento di innovazione del modello organizzativo, che va adeguato a queste esigenze.

Con questo attivo intendiamo dare il via ad un progetto di rappresentanza dei lavoratori immigrati, attraverso la costruzione di un coordinamento immigrati della Fillea. Il lavoro per raggiungere questo obiettivo comincia oggi, e ci prefiggiamo di concluderlo entro la conferenza di organizzazione (prevedibile a metà mandato), insieme alla realizzazione di un punto di riferimento nella struttura nazionale, un compagno immigrato, un funzionario della Fillea che lavori, con i lavoratori stranieri, al rafforzamento di una politica sull’immigrazione.

Per noi guadagnare una forte rappresentanza sindacale nel mondo dell’immigrazione sarà un passaggio obbligato per il futuro del sindacato e per la tenuta e l’allargamento della sfera dei diritti dei lavoratori.

 

Fillea Cgil Nazionale Via G.B. Morgagni, 27 Roma