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Da “ Il manifesto” 17 ottobre 2004

 

Delocalizzazione a rovescio
Lavoratori importati dall'Est e truffati. Grazie ai «contratti di distacco»


 

Dodici rumeni, stipati in quattro stanze a San Donà del Piave, un bagno senza acqua calda, un fornello, una lavatrice guasta, letti a castello, qualche sedia di plastica. Non hanno le chiavi dell'alloggio e, da giugno, non vedono il becco di quattrino. Tirano avanti con la bombola del gas e i pacchi viveri forniti dalla Fillea Cgil e da un'associazione di volontariato. Sono edili rumeni «importati» dalla Cores srl, impresa con sede a Vigevano e subappalti pubblici e privati in Veneto e in Lombardia. La loro storia disgraziata illumina una realtà poco conosciuta, ma piuttosto diffusa nel settore edile. «Delocalizzazione alla rovescia», la chiama il segretario della Fillea veneziana Stefano Vanin. Si è perso il conto delle imprese che trasferiscono la produzione sempre più a Est inseguendo il costo del lavoro più basso. I cantieri hanno il piccolo difetto che non si possono spostare. Allora, attraverso i «contratti temporanei di distacco», si fanno venire in Italia le braccia. Introdotti nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano, e perfezionati da accordi bilaterali, i contratti di distaccato consentono a un'impresa italiana d'associarsi con un'azienda dell'Est (Croazia, Romania, Moldavia, Albania) dalla quale si fanno «prestare» lavoratori da impiegare temporaneamente in Italia. Sulla carta, la normativa pone diversi vincoli a questo tipo di contratti. Non si possono «importare» semplici manovali, per ogni extracomunitario va dichiarata quale mansione specializzata svolgerà. La prestazione d'opera deve avvenire in un unico sito produttivo, nel caso dell'edilizia in un unico cantiere. Gli extracomunitari «distaccati» godono del contratto di categoria italiano e dei contratti di secondo livello, aziendali o territoriali. Quelli occupati nel settore delle costruzioni devono essere iscritti alla cassa edile e ad essi la ditta italiana deve fornire mensa e alloggio. Il vantaggio per le aziende nostrane è che i contributi pensionistici sono versati dall'azienda «madre» all'istituto previdenziale del paese d'origine. Sono più bassi rispetto alle tabelle Inps e sul loro effettivo versamento nessuno indaga, né qui né là. Pur con questo grosso neo, la soluzione sembrerebbe preferibile al caporalato.

E invece la carota «zero contributi» non basta a soddisfare gli appetiti delle imprese italiane. Quasi tutte, ottenuto il nulla osta dall'Ufficio provinciale del lavoro competente, non rispettano i vincoli sopra elencati. «I lavoratori vengono fatti girare come trottole da un cantiere all'altro, fanno di tutto e di più», racconta Marco Visentin, segretario della Fillea del Veneto Orientale. Le ore dichiarate alla Cassa edile sono la metà di quelle effettivamente svolte e, quel che è peggio, il salario è aleatorio. La busta paga non esiste, si va avanti ad «acconti», il «saldo» spesso e volentieri non arriva mai e, quando arriva, la somma è sempre inferiore ai minimi contrattuali. Truffati e disperati molti gettano la spugna, danno le dimissioni e tornano a casa.

I dodici rumeni che si sono rivolti alla Fillea non intendono darla vinta alla Cores che da giugno non li paga. Ad agosto erano rientrati in patria con la promessa - rivelatasi un trucco - che li avrebbe pagati l'azienda rumena. Tornati in Italia, da settembre si rifiutano di lavorare «per niente». E non intendono dare le dimissioni, precipitando nella clandestinità, prima che la Cores paghi loro il dovuto. Le pressioni della Fillea sull'azienda finora hanno fruttato la bellezza di 120 euro, «versati in due tranches». In provincia di Venezia e nel solo settore dell'edilizia quest'anno sono stati approvati una dozzina di contratti di distacco. Non tantissimi, ma per la Fillea vanno fermati prima che dilaghino. Qualcuno sta pensando d'importare con questo metodo un migliaio di lavoratori per il Mose e il passante di Mestre. «Nei cantieri siamo sommersi dal lavoro nero, dall'illegalità e dai taglieggiamenti», osserva Visentin, «non si sente certo la mancanza di un nuovo metodo per truffare i lavoratori e aggirare le norme». Il caso dei 12 rumeni non è l'eccezione, ma la regola. A qualcuno è andata ancor peggio, «si è ritrovato senza soldi in un container». Unico rimedio: bandire i contratti di distacco.

MANUELA CARTOSIO

MILANO

 

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