Dip.
Lavoro e Sicurezza
LS\M.N.
W
10 gennaio 2002
Controlli su
assenze
per infortunio Alle
Segreterie. Regionali
F.I.L.L.E.A.
Alle Segreterie Territoriali
F.I.L.L.E.A.
Loro Sedi
Cari compagni,
vi inviamo
in allegato la segnalazione, da parte
dell’INCA Nazionale, di una sentenza della Cassazione che stabilisce il
controllo fiscale del dipendente assente dal lavoro per infortunio.
La sentenza rappresenta un vero e proprio
cambiamento di orientamento che, con una interpretazione estensiva dell’art.5
della Legge 638/83, impone ulteriori controlli al lavoratore infortunato.
Data la
rilevanza della materia, se fossero in corso procedimenti con analogo contenuto,
le strutture interessate sono pregate di segnalarlo, così come chiede l’INCA,
al fine di seguirne l’evoluzione anche con adeguati supporti legali.
Fraterni
saluti.
p.
la Segreteria Nazionale
Mara
Nardini
PATRONATO INCA CGIL Sede Centrale Area Sicurezza Sociale |
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00198
Roma - Via Giovanni Paisiello 43
Telefono 06-855631 - Fax 06-85352749
Internet :
http: //www.inca.it
E-mail : sicurezza-sociale@inca.it
Roma,
lì 3 dicembre 2002
Prot. n.157
Ai Coordinatori Regionali INCA
Ai Direttori Comprensoriali INCA
Al Dip. Politiche Sociali CGIL
Alle Categorie Nazionali CGIL
Oggetto : Infortuni sul lavoro -
fasce orarie di reperibilità
Care/i compagne/i,
segnaliamo una recente sentenza di
Cassazione (n. 15773 del 9.11.2002 -
vedi allegato) che ha stabilito il controllo fiscale del dipendente
assente dall'ufficio per infortunio sul lavoro.
E' una sentenza che, in contrasto con un orientamento
giurisprudenziale, in molteplici occasioni espresso, (v. ns. circolare n.
53/2002)[1], impone inutili ed ulteriori
controlli al lavoratore infortunato.
In estrema sintesi la Cassazione respinge le ragioni di un dipendente della Telecom che aveva ricorso contro le sanzioni
disciplinari che la società gli aveva comminato per aver reso "infruttuose quattro visite
domiciliari".
Secondo la Suprema Corte, esistono dei criteri di condotta
dettati dal "comune sentire"
o dalla “correttezza e buona fede”,
del dipendente, che prescindono dalla normativa di riferimento, e, sulla base
di tali principi, convalidando i precedenti gradi di giudizio, ha ulteriormente precisato che: "non è dubbio che nell'attuale
coscienza generale, con il dovere a tutti comune di lavorare" si può
delineare a carico del dipendente anche quello di "offrire una leale disponibilità per l'accertamento del suo stato
di salute".
Siamo senz’altro di fronte ad un vero e proprio
cambiamento di orientamento ed ad una interpretazione dell’articolo 5 della
legge 638/83 a dir poco estensivo e assolutamente non condivisibile.
Tralasciando gli inopportuni richiami della Corte
alla lealtà verso il lavoro ed il proprio datore di lavoro, principi nobili e
condivisibili, ma, citati a sproposito ed invocati per giustificare un atto che
riteniamo illegittimo, serve forse sottolineare, ancora una volta, la diversità
del concetto di inabilità per malattia e per infortunio per effetto della quale
la normativa in questione differisce completamente.
L’articolo 2 del T.U. 1124/65 definisce l’infortunio come “l’evento. . .da cui derivi una inabilità
temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni”,
mentre l’assenza dal lavoro per malattia è riferita ad una generica “incapacità temporanea al lavoro”.
Ora, è ovvio che l’inabilità, e per di più assoluta,
sia una condizione che implica un diverso status rispetto all’incapacità
lavorativa, tant’è che per gli infortuni è lo stesso Ente preposto, l’INAIL, ad
accertarne l’indennizzabilità e la durata, contrariamente alla malattia, la cui
esistenza, viene certificata dal Sistema Sanitario Nazionale (medici di
famiglia) e successivamente indennizzata dall’INPS.
Sono proprio queste distinzioni che rendono
sostanzialmente diverso anche il successivo sistema di controllo; nel caso
d’infortunio l’INAIL svolge l’azione ispettiva, se così vogliamo definirla, in
prima istanza e non ha quindi bisogno di accertamenti successivi che, nel caso
della malattia, sono, invece, giustamente affidati all'ente (INPS) delegato ad
indennizzare un periodo di incapacità lavorativa accertato da altri (medici di
famiglia).
Inoltre, serve anche contestualizzare l’articolo 5
della legge 638 che, come giustamente ricorda la Corte, fa riferimento
all’accordo interconfederale del 26 gennaio 1977, che, tra le altre cose,
dettava regole ed orientamenti, successivamente ripresi dai C.C.N.L., per “. . . contrastare il contingente fenomeno
dell’assenteismo per micromorbilità pretestuosa . . .”.
Se i fini erano dunque quelli appena accennati, se
nell’accordo interconfederale, nei contratti di lavoro ed infine nella legge si
fa specifico ed esclusivo riferimento al «controllo dello stato di malattia»,
significava, e continua a significare, che la volontà delle parti sociali e del
legislatore erano di mettere sotto osservazione un fenomeno ben preciso; per
l’appunto, quello della micromorbilità pretestuosa che, se non andiamo errati,
niente ha a che vedere con gli incidenti sul lavoro (pretestuosi?).
Le argomentazioni del recente
pronunciamento della Cassazione costituiscono un precedente che va
assolutamente respinto ed attiriamo l’attenzione delle Categorie nazionali e
territoriali sul sottinteso messaggio che la sentenza invia alle parti sociali
dove afferma che “. . .ritiene tuttavia che l’obbligo di disponibilità del
lavoratore assente per infortunio sul lavoro, pur non direttamente disciplinato
dalle fasce orarie previste dall’indicata normativa, è legittimamente
regolabile dal contratto collettivo . . .” .
Raccomandiamo a tutte le strutture di far si che, qualora si fosse in
presenza di casi analoghi, non si arrivi a pronunciamenti così importanti e di
così vasta rilevanza sul piano nazionale, senza avere investito del problema la
CGIL e l’INCA per gli adeguati supporti e consulenze dei rispettivi uffici legali.
Vi preghiamo, quindi, di segnalarci eventuali sentenze, anche di primo grado
sull'argomento, al fine di seguire l'evoluzione della materia.
Nel rinviarvi ad eventuali approfondimenti che potrete trovare, oltre
che nelle nostre circolari, anche nella Cassazione (5414/88, 1247/02), vi
inviamo cordiali saluti.
il Servizio
Infortuni e Malattie da lavoro
(Tiziana Tramontano – Valerio Zanellato)
fm/
Data documento:
9/11/2002 - Tipologia: Cassazione civile - Data pubblicazione su Diritto e
Giustizia: 22/11/2002
(sezione lavoro,
sentenza n.15773/02; depositata il 9 novembre)
Documenti Correlati:
Visite di controllo
anche ai lavoratori assenti per infortunio
Cassazione – Sezione
lavoro – sentenza 18 aprile-9 novembre 2002, n. 15773
Presidente D’Angelo –
relatore Cuoco
Pm Sepe – difforme –
ricorrente Corteggiani – controricorrente Telecom Italia Spa
Svolgimento del
processo
Con
atto del 22 settembre 1997 Alfredo Corteggiani, esponendo che con atti del 21
aprile 1997 e del 26 maggio 1997 la Telecom Italia spa (di cui egli era
dipendente) gli aveva comminato due sanzioni disciplinari per essersi egli più
volte allontanato dalla sua abitazione senza preventiva comunicazione ed aver
reso in tal modo infruttuose quattro visite di controllo effettuate nell’ambito
della sue degenza determinata da infortunio sul lavoro, e lamentando che la
società aveva applicato la disposizione prevista dal contratto collettivo in
materia di malattia pur in assenza d’una analoga disposizione contrattuale in
materia di infortuni, chiese che il pretore di Rieti dichiarasse
l’illegittimità delle sanzioni.
Il
pretore respinse la domanda. Con sentenza del 18 febbraio 1999 il tribunale di
Rieti ha respinto l’appello. Il giudicante rileva che solo l’articolo 32 del
contratto collettivo nazionale di lavoro disciplina il diritto del datore di
far controllare lo stato di salute dal lavoratore assente per malattia, a
differenza dell’articolo 33, che, disciplinando gli infortuni sul lavoro, non
regola analogo controllo.
E
tuttavia, il controllo, previsto in via generale dall’articolo 5 della legge
300/70, è stato poi analiticamente disciplinato da successive disposizioni,
dettate per evitare abusi ed uniformare la disciplina (in particolare,
l’articolo 5 del decreto legge 483/83, convertito in legge 638/83). In questo
quadro, il datore di lavoro ha il potere di chiedere visite di controllo nella
degenza determinate da infortuni sul lavoro.
La
ragione dell’articolo 33 del contratto collettivo è la necessità di differenziare
alcuni aspetti in materia di infortuni, dalla parallela disciplina in materia
di malattia: in assenza di questa ragione, nulla la norma dispone, restando
implicitamente richiamata e pertanto applicabile la disciplina in materia di
malattia.
L’inapplicabilità
di questa disciplina condurrebbe peraltro ad un’inammissibile discriminazione,
poiché il lavoratore, pur soggetto al potere di controllo previsto
dall’articolo 5 della legge 300/70, resterebbe privo delle garanzie (in
particolare, i limiti di orario) in suo favore previste dalla normativa in
materia di malattia.
Legittima
è pertanto l’applicazione di questa normativa, che la società aveva fatto, nel
caso in esame.
Per
la cassazione di questa sentenza ricorre Alfredo Corteggiani, percorrendo le
linee di due motivi; la Telecom Italia spa resiste con controricorso, coltivato
con controricorso.
Motivi
della decisione
1.
Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli
1418, 1421 e 2110 Cc, dell’articolo 5 comma 14 del decreto legge 463/83
convertito in legge 638/83, del Dpr 1124/65, della legge 300/70, dell’articolo
14 della legge 833/78 e dell’articolo 14 della Costituzione, il ricorrente
sostiene che, per l’articolo 14, terzo comma della Costituzione, la disposizione
che disciplina le visite di controllo (articolo 5 comma 14 del decreto legge
463/83 convertito in legge 638/83) ha natura speciale: non è applicabile per
analogia a situazioni (degenza per infortunio sul lavoro) diverse da quelle
(degenza per malattia) ivi disciplinate.
In
particolare, l’accertamento in materia di infortunio è diretto alla verifica
dell’inabilità senza riguardo alle modalità operative impiegate (accertamento
ambulatoriale o domiciliare), che rivestono autonoma rilevanza in materia di
malattia.
L’articolo
2 della legge 33/1980 e l’articolo 1 del decreto ministeriale 15 luglio 1986,
che accentra il controllo nell’Inps, prevedendo che a questo anche altri
istituti previdenziali si rivolgano, disciplina i controlli in materia di
malattia, e si riferisce ad istituti previdenziali preposti all’assicurazione
per malattia.
Con
il secondo motivo, denunciando omessa insufficiente e contraddittoria
motivazione, il ricorrente sostiene che, poiché il datore comunica
immediatamente l’infortunio all’Inail, è questo stesso ente che, accertando
l’infortunio e la durata dell’astensione del lavoro, sottopone il lavoratore a
visita di controllo. E pertanto la discriminazione, ipotizzata dalla sentenza,
nell’ipotesi di non estensione della norma contrattuale alla degenza per
infortunio sul lavoro, non sussiste.
2.
I due motivi, che la loro interconnessione devono essere congiuntamente
esaminati, sono infondati.
3.
L’articolo 14 terzo comma della Costituzione, prevede una generale riserva di
legge per la disciplina dei controlli delle infermità del lavoratore («gli
accertamenti e le ispezioni sono regolati da leggi speciali»).
E,
come osservato dalla dottrina, l’articolo 5 secondo comma della legge 300/70
(«il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto
attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali
sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda») ha soddisfatto
questa riserva. Ed è incontestato che la norma, disciplinando il controllo
delle assenze per “infermità” (quale temporaneo impedimento), riguardi anche
l’ipotesi in cui l’infermità dipenda da infortunio sul lavoro.
Ad
una più specifica finalità sono dirette le cosiddette fasce orarie di
reperibilità. Introdotte (con norma programmatica) dall’accordo
interconfederale del 26 gennaio 1977, applicate poi da alcuni contratti
collettivi nazionali di lavoro (come in materia tessile), le fasce orarie sono
state legislativamente previste, quale formale attuazione del protocollo
triangolare (di intesa sul costo del lavoro) del 22 gennaio 1983 (attuazione
diretta a contrastare il contingente fenomeno dell’assenteismo per
micromorbilità pretestuosa), solo per le “infermità” determinate da malattia:
non per quelle determinate da infortuni sul lavoro (per questa limitazione,
Cassazione 1247/02).
Il
limite discende dalla specifica lettera («controllo dello stato di malattia»)
dell’articolo 5 decimo comma del decreto legge 463/83 (convertito in legge
638/83), che, richiamando lo stato di “malattia” previsto dai precedenti commi,
si estende tacitamente alle successive disposizioni (i successivi commi
dell’articolo 5, nonché i decreti 25 febbraio 1984 del Ministero della Sanità e
170/86 del Ministero del lavoro, che ne sono attuazione), le quali, pur non contenendo
questo espresso riferimento limitativo, formano, con le precedenti, un’unitaria
disciplina.
In
tal modo, questa disciplina (della quale una parte della dottrina ha
sottolineato l’asimmetria, determinata dal fatto che regola solo una delle
cause di infermità) non è direttamente applicabile nell’ipotesi in cui
l’assenza del lavoratore sia causata da infortunio sul lavoro (di questa
interpretazione limitativa, tuttavia, una parte della dottrina dubita,
ritenendo che, per la genericità e l’ampiezza della locuzione normativa e per
la loro generale finalità, l’articolo 5 commi 12, 12bis e 14 dell’indicato
decreto legge ed i conseguenti decreti ministeriali disciplinano anche i
controlli delle assenze per infortunio sul lavoro). In questi limiti, ed in applicazione
dell’articolo 384 secondo comma Cpc, la motivazione della sentenza impugnata
deve essere corretta, nella conferma della decisione, che è conforme al
diritto.
4.
Questo collegio, consapevole del diverso pensiero attentamente espresso da
Cassazione 5414/88, ritiene tuttavia che l’obbligo di disponibilità del
lavoratore assente per infortunio sul lavoro, pur non direttamente disciplinato
dalle fasce orarie previste dall’indicata normativa, è legittimamente
regolabile dal contratto collettivo (la legittimità di un’eventuale norma
collettiva che abbia questo contenuto è condivisa da Cassazione 1247/02).
5.
Ciò discende in primo luogo dall’oggetto di quest’obbligo. Per tale oggetto, le
fasce orarie disciplinate dalle disposizioni precedentemente indicate (ed ogni
altra, pur disciplinata da norma collettiva) non rientrano nello spazio della
riserva di legge, costituzionalmente garantita.
Ed
invero, questa riserva attiene all’accertamento in sé, come attività
dell’organo che ha la relativa funzione; la sua ragione normativa è la natura
“invasiva” dell’accertamento, nei confronti della sfera del singolo: la
positiva penetrazione in uno spazio (l’infermità, nonché il corpo e la mente,
che ne sono sede), il quale, riguardando, come sofferta intimità, la dignità dell’individuo
(anche nei suoi potenziali riflessi familiari, professionali e sociali), esige
adeguata corrispondente riservatezza. Ed è ben evidente (come ragione della
riserva) la necessità che questa penetrazione sia regolata da una norma di
legge: adeguata attuazione della riserva e della relativa ragione, la legge ha
poi assegnato la gestione dell’accertamento ad un istituto pubblico, al fine di
garantire la necessità e le modalità.
La
disponibilità nelle fasce orarie previste per la visita di controllo ha un
diverso più limitato oggetto: il comportamento del lavoratore (rendersi
reperibile in particolari limitati spazi della giornata, per consentire la
visita), quale fatto propedeutico, necessario per l’accertamento.
Il
controllo è un fatto attivo (del terzo) nei confronti del singolo; la
reperibilità è un fatto passivo (del singolo) nei confronti del controllo.
In
tal modo, nei confronti d’una norma collettiva, che disciplini attraverso fasce
orarie la disponibilità del lavoratore al controllo di infermità causate da
infortuni sul lavoro, la preclusione ex articolo 14 terzo comma della
Costituzione (ravvisata da Cassazione 5414/98), investendo un oggetto diverso
dalla disponibilità, non sussiste.
6.
Da altra angolazione, è poi da osservare che la disciplina delle fasce orarie
non solo non rientra nell’indicata preclusione, bensì è fondata su una doverosa
disponibilità del lavoratore al controllo dell’infermità.
Ed
invero, questo controllo è un diritto del datore, previsto dall’articolo 5
secondo comma della legge 300/70; e questi, creditore della prestazione, ha
indubbio interesse ad accertare non solo la giustificazione della temporanea
sospensione dell’adempimento addotta dal lavoratore, bensì la situazione
patologica del lavoratore stesso, quale potenziale fattore d’una propria
responsabilità. A tale diritto corrisponde il simmetrico obbligo del lavoratore
(unico strumento di attuazione di quel diritto).
E,
in assenza d’un termine, l’adempimento di questo obbligo sarebbe immediatamente
esigibile (articolo 1183 primo comma Cc). Temporale delimitazione dell’obbligo,
le fasce orarie costituiscono, come anche la dottrina ha osservato, una
prescrizione a favore del lavoratore (è da aggiungere che le sanzioni previste
per l’inadempimento hanno la loro giustificazione – quale simmetrico compenso –
anche in questa favorevole delimitazione).
7.
Da più generale angolazione, quest’obbligo di reperibilità è poi parte del più
generale obbligo di correttezza e buona fede, immanente a tutto lo svolgimento
del rapporto obbligatorio (come, ad esempio, per gli articoli 1175, 1358, 1366,
1375 Cc).
Interpretando questa clausola generale (obbligo di correttezza e buona fede), dottrina e giurisprudenza hanno individuato comportamenti che, pur non rientrando in specifici e contingenti obblighi contrattuali ed extracontrattuali, sono dovuti dalla parte del negozio, in quanto costituiscono, senza il compimento di apprezzabili sacrifici (Cassazione 2503/91) od attività eccezionali (Cassazione 8014/97), un dovere di lealtà (ex plurimis, Cassazione 6908/98) e di cooperazione ai fini dell’attuazione del diritto della controparte (sull’obbligo di collaborazione, quale specificazione dell’obbligo di correttezza, ex plurimis, Cassazione 12405/00, 1351/98, 1123/97, 3195/87).
In
questo quadro è da collocare anche la disponibilità che, pur non espressamente
prevista da una specifica disposizione di legge, il lavoratore deve offrire per
consentire l’attuazione del diritto, del datore, di ottenere (attraverso
l’intervento degli istituti previdenziali) il controllo dell’infermità causata
da infortunio sul lavoro.
E,
poiché l’unico necessario strumento per attuare il diritto della controparte è
questa disponibilità (in assenza della quale questo sarebbe ipotizzabile), il
relativo obbligo assume una consistenza più intensa della mera collaborazione.
8.
Da più in generale angolazione, poiché il contenuto degli obblighi di
correttezza e buona fede (ex articoli 1175 e 1375 Cc) è deducibile (come per
ogni clausola generale) anche «dal comune sentire in un dato momento storico»
(Cassazione 6908/98), non è dubbio che nell’attuale coscienza generale è
inscritta, con il dovere a tutti comune di lavorare (e l’articolo 4, secondo
comma della Costituzione, con la sua natura programmatica, è idonea espressione
di questa coscienza) e, specificamente, con il biasimo per ingiustificate
assenze del lavoratore che pretestuosamente lamenti qualche infermità, anche il
suo dovere di offrire una leale disponibilità per il relativo accertamento.
E
la norma collettiva che disciplina questa disponibilità, limitando il generale
ed indefinito obbligo entro ristretti limiti temporali (dovere che Corte
costituzionale 78/1988 ritiene attuabile «con un minimo di diligenza e di
disponibilità, atteso l’ambito molto limitato delle fasce orarie di
reperibilità, per cui non risulta nemmeno gravoso o vessatorio»), è una
legittima specificazione nell’interesse dello stesso lavoratore.
9.
Il ricorso deve essere respinto. Per motivi di equità, le spese del giudizio di
legittimità devono essere compensate.
PQM
La
Corte respinge il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.