ASSEMBLEA NAZIONALE DELLE DELEGATE E DELLE
DIRIGENTI DELLA FILLEA
ROMA – 17 FEBBRAIO 2006
RELAZIONE INTRODUTTIVA DI MARA NARDINI
Nell’introdurre questi lavori vorrei
rilevare, innanzi tutto, la loro importanza, derivante dal carattere
precongressuale dell’Assemblea Nazionale, nel senso che le proposte che
scaturiscono dall’iniziativa odierna hanno l’obiettivo di entrare nella
discussione del nostro congresso nazionale e nelle sue conclusioni
politiche.
Inoltre si tratta della prima
Assemblea nazionale delle delegate e delle dirigenti della Fillea. Fatto
rilevante, credo, in una categoria così connotata al maschile.
E’ rilevante per due motivi: il primo è che
quest’appuntamento sfata un luogo comune, e vale a dire che le donne in
Fillea sono una realtà minoritaria. Viceversa, se è vero che la base
produttiva è largamente maschile, in alcuni settori, come il legno, il
restauro e le qualifiche impiegatizie nell’edilizia, le lavoratrici ci
sono e in alcune realtà rappresentano la maggioranza degli addetti.
Il secondo elemento di rilievo è che questa
platea rappresenta la prova che, quando si mette in campo un progetto e
una volontà politica conseguente, i risultati cominciano a vedersi.
Insomma, non è vero che, per quanto riguarda la realtà delle donne, “in
Fillea non si può”.
La necessità d riprogettare il paese ha
portato la Fillea a considerare, come conseguente, la necessità di
riprogettare il sindacato, per adeguarlo ad una mutata realtà e renderlo
all’altezza di una sfida così impegnativa; ha pertanto promosso un
progetto di rinnovamento della categoria incardinato su quelle che
considera le sue nuove frontiere, cioè giovani, donne e migranti, per
rafforzare con la formazione e con un impegno organizzativo e politico
delle proprie strutture la crescita di queste nuove leve, una crescita
non solo numerica, ma soprattutto qualitativa.
I risultati di oggi sono una prima tappa,
che non esaurisce il progetto, ma che ci conferma che il progetto
funziona e che va perseguito e rafforzato anche nel prossimo mandato
congressuale.
Al congresso nazionale portiamo una platea
composta di 120 delegate su un totale di 575 delegati, con una
percentuale vicina al 21% - al precedente congresso era del 12%-, ma
conta anche il fatto che l’avanzamento è stato soprattutto qualitativo,
perché oggi ben 10 strutture territoriali sono dirette da una Segretaria
Generale e 16 compagne sono componenti di Segreterie ai vari livelli.
Inoltre nella platea congressuale sono presenti 32 donne che sono
funzionari politici nazionali, regionali o territoriali.
Naturalmente il prossimo risultato che tutti
dobbiamo perseguire è che il Congresso elegga un Comitato direttivo che
riconosca questa crescita e la rilanci.
La questione della presenza delle donne nei
gruppi dirigenti è questione con la quale anche la Fillea ha deciso di
misurarsi, sapendo che affrontarla solo in termini di quote rappresenta
un limite. Innanzi tutto perché la CGIL da tempo non parla più di quote,
ma di norma antidiscriminatoria. Potrebbe sembrare una distinzione
sottile, ma dietro questa diversa terminologia sta l’ambizione di essere
un sindacato di uomini e di donne, rappresentativo di entrambi queste
realtà, che non sono omologabili l’una all’altra, al fine di essere un
sindacato capace di rappresentare un universo complesso e un sindacato
capace di sviluppare politiche che rispondano a questa complessità.
Per questo le donne, secondo noi, non devono
essere una minoranza da tutelare “in una sorta di recinto”, non vanno
predisposte in base alle quote delle caselle da occupare “a
prescindere”, ma la norma antidiscriminatoria va intesa come una spinta,
questa sì necessaria in un settore come il nostro, a ricercare
candidature di qualità e ad individuare percorsi che rendano più
autorevole e completa, sotto il profilo dell’esperienza e della
competenza, la formazione di quadri e dirigenti donne.
In altri termini, significa non lasciare
alla spontaneità i meccanismi di selezione dei gruppi dirigenti, anche
perché non sono mai spontanei, né neutri, ma attuare delle
politiche attente e mirate, che, a fronte della obiettiva difficoltà di
applicazione generalizzata della norma antidiscriminatoria, considerino
l’inserimento e la promozione delle donne negli organismi di
rappresentanza e di direzione ad ogni livello non solo una priorità, ma
un vincolo per tutta l’organizzazione. Per questo il Congresso nazionale
della Fillea deve confermare l’impegno ad estendere ulteriormente
l’attuazione dei progetti territoriali e regionali mirati alla
realizzazione di questi obiettivi attraverso il sostegno delle
necessarie risorse finanziarie.
Inoltre il progetto nazionale di formazione
che la Fillea ha messo in campo é stata una delle leve principali per
attuare questa sfida. I numeri dei partecipanti ai corsi per Funzionari
e Segreterie territoriali, che però non riportano i dati dell’Emilia
Romagna, ci dicono che hanno partecipato 20 donne, pari all’8%, mentre
ai corsi per formatori hanno partecipato 5 donne, pari al 16%; invece al
Master, vale a dire l’esperienza più qualificante dal punto di vista
formativo, hanno partecipato 7 compagne, cioè il 30% del totale dei
partecipanti.
Sono risultati importanti, ma è possibile e
necessario fare di più: innanzi tutto estendere la partecipazione delle
donne ai progetti formativi per delegati e quadri sindacali. Se é vero,
infatti, che la formazione rappresenta una delle leve principali, allora
è necessario che la partecipazione delle compagne sia in percentuali
superiori alla realtà di riferimento; in caso contrario non
rappresenterebbe una leva per la crescita, ma solo una stabilizzazione
dell’esistente.
Inoltre il progetto formativo a tutti i
livelli va implementato sul piano dei contenuti, prevedendo una
formazione sul fenomeno dei differenziali retributivi fra uomini e
donne, sulla strumentazione legislativa a favore delle lavoratrici e sui
finanziamenti previsti, su quella che più in generale si chiama
contrattazione al femminile e, infine, su condizioni di lavoro dannose e
su sostanze nocive per la salute riproduttiva delle donne e degli
uomini.
Naturalmente per raggiungere una
significativa presenza di compagne fra i delegati e i quadri, è
necessario innanzi tutto sindacalizzare le lavoratrici; questo significa
mettere in atto progetti mirati a conseguire questo risultato, anche con
il supporto della Fillea Nazionale. E’ necessario inoltre monitorare
l’occupazione femminile, attraverso le Casse edili e gli osservatori
negli impianti fissi, anche per capire se la crescita dell’edilizia e il
minor peso di settori come il legno comporta che l’occupazione femminile
tiene, oppure se nei nostri settori, nel complesso, è in diminuzione.
Poi ci sono le politiche.
Anch’esse non sono mai neutre, perché la
realtà sociale non è neutra nei confronti dei due generi, né lo è il
mondo del lavoro.
Per questo sono necessarie politiche che,
innanzi tutto, inducano e supportino un cambiamento culturale, di
riorganizzazione del sociale, relativo al fatto che la gestione
familiare va condivisa, mentre oggi è prevalentemente a carico delle
donne, e questo significa ghettizzarle.
Ghettizzarle in un lavoro che non ha neppure
un valore economico riconosciuto, è al di fuori del PIL, non fa parte
della ricchezza di un paese. Se per pulire la casa assumiamo una COLF o
per badare ai bambini prendiamo una babysitter o paghiamo un asilo nido,
questo rientra nel PIL, se questi compiti li svolgiamo personalmente, ne
siamo fuori. Insomma, quello che in termini socioeconomici si definisce
lavoro di riproduzione sociale, non ha valore, o meglio, ne è
disconosciuto il valore.
Allora, come s’intuisce da questo semplice
indicatore, il cambiamento culturale necessario è molto profondo, anche
se qualche progresso c’è stato, in particolare nelle giovani
generazioni, sul terreno della condivisione delle responsabilità e degli
impegni familiari. Questo cambiamento va supportato mettendo in atto
politiche family friendly, rivolte tanto agli
uomini, quanto alle donne.
In Italia la politica del Governo Berlusconi
ha peggiorato complessivamente la condizione delle donne. Un indicatore
importante è quello dell’aumento delle famiglie in condizioni di
povertà, delle quali spesso é capofamiglia una donna. Più in generale vi
è stato un peggioramento dello stato sociale, dovuto anche al continuo
taglio di risorse agli enti locali, che hanno inciso sulla condizione
delle famiglie e, prima di tutto, delle donne.
Come categoria, dobbiamo fornire il nostro
contributo alle politiche confederali, nazionali e territoriali, per
contrastare il modello di stato sociale portato avanti da questo Governo
che, anche attraverso i bonus, affida alle famiglie la cura di bambini,
anziani e cittadini non autosufficienti, dobbiamo conquistare una
estensione della rete dei servizi che consenta alle donne la
partecipazione al mercato del lavoro e lo sviluppo di politiche di
conciliazione fra vita lavorativa e vita familiare, compresa una attenta
politica dei tempi delle città.
Inoltre, sempre sul terreno del sociale,
l’alta presenza di migranti nel nostro settore c’impone un impegno non
solo rispetto alla loro condizione nel lavoro, ma anche rispetto ai
problemi abitativi e dei nuclei familiari, quali ricongiungimenti,
accoglienza, inserimento e integrazione delle loro famiglie.
Infine c’è il lavoro.
In Italia le donne partecipano meno degli
altri paesi europei al mercato del lavoro: il tasso di partecipazione
femminile nel nostro paese è del 50,6%, il più basso in Europa, con
l’eccezione di Malta. Rispetto al dato medio, le differenze
territoriali sono molto alte, il tasso di occupazione femminile al Nord
è di 24 punti percentuali superiore a quello del Mezzogiorno;
situazione, questa, che è resa più grave dalla carenza di servizi nel
sud del paese.
Inoltre vi è il rischio che sulla condizione
delle donne ricadano gli effetti del declino produttivo e delle
politiche messe in atto da questo governo, che hanno reso più acuti i
processi di precarizzazione e flessibilizzazione del lavoro, hanno
inciso sulla condizione dei giovani e hanno reso più difficile la
conciliazione fra lavoro e vita familiare, contribuendo ad allontanare
le donne dal mercato del lavoro. Dobbiamo ricordare che il 13,5%, vale a
dire una lavoratrice su 8, abbandona il lavoro alla nascita del primo
figlio e solo il 2,5% di queste donne riprende a lavorare dopo la
gravidanza.
Tutto questo significa per il sindacato,
innanzi tutto, contrastare gli effetti della Legge 30, come ha fatto
nella contrattazione la Fillea e come ha fatto con successo la
Confederazione, in particolare nell’l’iniziativa sui contratti
d’inserimento, ottenendo, rispetto alla prima versione che prevedeva il
sistematico sottoinquadramento delle lavoratrici assunte con contratti
d’inserimento, una modifica normativa che esplicitamente vieta il
sottoinquadramento delle donne.
Il terreno della contrattazione, che è
proprio della categoria e che ha visto alcuni significativi risultati
positivi, come quello ottenuto nell’edilizia sulla maternità, è il campo
su cui lanciare la sfida per attuare politiche attente alla condizione
delle lavoratrici.
Differenziali salariali
Innanzi tutto è necessario affrontare il
problema dei differenziali salariali fra uomini e donne nei nostri
settori.
Tutte le ricerche svolte in Italia dal 1989,
quando ci fu la prima analisi fatta su dati della Banca d’Italia, ad
oggi (l’ultima ricerca è quella svolta in Emilia Romagna dall’Ires), ma
anche le analisi svolte dalla Commissione Europea, ci dicono che i
differenziali nei salari medi fra uomini e donne sono rilevanti. In
Italia nei settori industriali si attestano intorno al 20%. Quel che più
conta è che, nonostante la crescita della qualità del capitale umano
fornito dalla componente femminile, conseguente dall’aumento
dell’istruzione, che è stato più elevato fra le donne, che fra gli
uomini, il differenziale dal 1989 a oggi non ha registrato alcuna
riduzione. Non solo: le ricerche ci dicono anche che, considerando tutti
i fattori che possono concorrere a spiegare queste diversità nei salari
medi, quali le ore lavorate, l’anzianità sul lavoro, la formazione
professionale, ecc. la maggior parte del differenziale non trova alcuna
spiegazione. Si può quindi pensare ad una discriminazione?
Da queste brevi considerazioni ne discende
la necessità di verificare anche nei nostri settori lo spessore di
questo fenomeno e di indagarne le cause, attraverso i dati delle Casse
edili e attraverso gli Osservatori previsti nei Contratti, al fine di
ridurne l’entità.
Flessibilità
Un secondo terreno d’iniziativa riguarda le
flessibilità sul lavoro: in questi anni ha acquistato centralità la
flessibilità imposta dalle esigenze dell’impresa; va pertanto perseguito
un riequilibrio, contemplando nella contrattazione maggiori flessibilità
che rispondano alle esigenze di lavoratrici e lavoratori.
Poiché queste politiche rispondono anche ad
interessi generali di tutta la società, in quanto favoriscono una
maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, secondo gli
obiettivi del Consiglio Europeo di Lisbona, è possibile richiedere alle
istituzioni incentivi economici alle imprese per la realizzazione di
flessibilità in favore delle persone.
Congedi parentali
Sul terreno specifico dei congedi parentali,
va rilevata la positività della relativa legge, che, però, a suo tempo
non ha previsto adeguati finanziamenti. E’ invece necessario richiedere
alle istituzioni di supportare l’applicazione della legge con un
finanziamento teso a riequilibrare l’utilizzo dei congedi fra uomini e
donne, in quanto la perdita di salario nel periodo di congedo induce,
nelle coppie, a scegliere l’assenza dal lavoro di chi ha la retribuzione
più bassa, che spesso è la lavoratrice; ciò comporta una penalizzazione
delle donne sul lavoro, perché all’assenza per maternità si somma
l’assenza per congedo.
Anche la contrattazione, in particolare
quella di 2° livello, deve misurarsi con questo obiettivo, estendendo
l’esperienza acquisita da alcuni accordi che prevedono una maggiore
copertura salariale nel periodo di congedo.
Part-time
Un altro strumento da adottare, per favorire
le donne nel periodo critico che segue ad una maternità, è il Part-time,
anche se è necessaria un’attenta valutazione delle ricadute negative che
un periodo prolungato di part-time può avere sulla condizione
professionale della lavoratrice. In ogni caso la contrattazione, in
particolare quella di 2° livello, ha già prodotto degli accordi per
l’uso del part-time, a richiesta della lavoratrice, al rientro dalla
maternità e possiamo porci l’obiettivo di un’estensione di queste
esperienze.
Asili nido aziendali
Come sapete il Governo ha introdotto la
possibilità di realizzare degli asili nido aziendali, rispetto ai quali
vengono sollevate due critiche: il rischio che siano dei semplici luoghi
di custodia dei bambini, anziché occasione per una esperienza cognitiva
e di socializzazione, e il rischio che la lavoratrice con figli
piccolissimi, insieme al lavoro, perda anche il nido, raddoppiando il
ricatto occupazionale. Allora l’apertura di asili nido aziendali va
perseguita attraverso protocolli che coinvolgano anche gli enti locali,
in modo da assicurare l’apertura al territorio e un’assistenza
corrispondente agli standard qualitativi previsti dalle Istituzioni
locali.
Revisione degli inquadramenti prevista
nei CCNL
Come sapete, i nostri contratti di lavoro
prevedono una revisione degli inquadramenti. Questa operazione potrebbe
accentuare, o al contrario, attenuare, i fenomeni di segregazione
professionale che riguardano i settori a maggior occupazione femminile.
Allora, innanzi tutto, è necessario conoscere il fenomeno; pertanto,
attraverso gli osservatori negli impianti fissi e i dati casse edili per
l’edilizia, va analizzata la distribuzione delle lavoratrici nelle
qualifiche, per far emergere i fenomeni di segregazione professionale
orizzontale e verticale.
La revisione degli inquadramenti, poi, va
attuata contrastando questi fenomeni, prevedendo altresì la presenza
di compagne nelle commissioni di inquadramento.
Salute e sicurezza
Nella contrattazione nazionale e in quella
di 2° livello relativa ai settori e comparti a presenza femminile, vanno
inserite misure che assicurino il pieno rispetto della normativa
prevenzionale e delle misure a tutela della salute delle donne in
gravidanza, con particolare attenzione alla tutela dagli effetti di
sostanze nocive, anche attraverso una verifica mirata della loro
effettiva attuazione.
Progetti di azioni positive
La legislazione italiana prevede un
finanziamento a progetti di miglioramento della condizione delle
lavoratrici (formazione, flessibilità ecc).
Va pertanto sviluppata una progettualità per
i settori a presenza femminile, per la richiesta di finanziamenti per
progetti di azioni positive, verificando anche la possibilità di un
supporto da parte delle scuole edili nella progettazione formativa.
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Come continuare
L’appuntamento di oggi è una tappa
importante, che non esaurisce il lavoro da fare, né la necessità di
continuare l’analisi, la capacità di mettere in campo idee, proposte,
progetti, di verificare i risultati o le battute d’arresto. Si pone la
domanda, quindi, di come continuare il lavoro comune.
La risposta a cui abbiamo pensato cerca di
non ripercorrere esperienze già date, tentando anche su questo terreno
di venire incontro a domande nuove. Si è pensato di realizzare
La rete delle donne della Fillea:
cioè un canale informativo e di discussione, utilizzando anche la posta
elettronica e il sito, attraverso Fille@donna, quale forum aperto a
tutti gli argomenti e a tutte le compagne, per esprimere il proprio
punto di vista e far nascere idee e progetti.
Invece sullo specifico terreno della
contrattazione, avere un Laboratorio per la contrattazione, quale
modo di dare continuità e stabilità a una riflessione fra le dirigenti
delle strutture della Fillea sui contenuti della contrattazione che
riguarda la condizione delle lavoratrici (risultati, limiti,
informazione su accordi positivi, proposte innovative, ecc).
Naturalmente a livello territoriale e
regionale, le compagne possono decidere i modi di relazionarsi fra loro;
l’impegno della Fillea, a tutti i livelli, deve però essere quello per
l’agibilità, al fine di rendere possibile un lavoro collettivo.
Inoltre, proponiamo che il Congresso assuma
l’impegno a realizzare almeno una volta l’anno una Assemblea nazionale
delle delegate e delle dirigenti.
Autodeterminazione delle donne, salute
della donna, libertà di scelta delle persone e delle coppie nella
procreazione.
L’assemblea di oggi e il nostro Congresso
nazionale cadono in un momento particolare per il nostro paese,
caratterizzato dall’attacco alle conquiste delle donne, che pensavamo
acquisite per sempre in quanto conquiste di tutta la società e crescita
di civiltà di tutta la collettività nazionale.
Questo attacco é iniziato con l’approvazione
di una legge oscurantista e disumana, la Legge sulla procreazione
assistita, che viola la libertà delle coppie nei progetti di vita, nega
l’autodeterminazione della donna e mette a rischio la sua salute,
subordinandola a principi fondamentalisti; è continuato con il
referendum abrogativo di questa legge, nel quale hanno prevalso guerre
ideologiche, rispetto alla serena valutazione dei quesiti.
Vi è stata poi l’incredibile vicenda
dell’uso, anche in Italia, della pillola RU 486, che anziché essere
considerata un progresso in difesa della salute della donna costretta a
ricorrere all’aborto, come in tutti i paesi europei nei quali viene
usata da moltissimo tempo, ha rischiato di suscitare uno scontro
istituzionale combattuto sulle donne.
Infine, con la commissione d’indagine
parlamentare, é venuto il tentativo di attaccare la legge 194
sull’aborto, il vero obiettivo delle forze politiche più retrive e
subalterne a una Chiesa, società di soli uomini, che pretende di
disporre, tramite la legge italiana, sul corpo, sulla salute e sulla
condotta morale delle donne, considerare incapaci di decidere cosa fase
di sé, di autodeterminarsi; non solo cittadine di serie B, ma delle
minus habens.
La grande manifestazione di Milano del 14
gennaio scorso, preceduta da una mobilitazione che si è allargata anche
attraverso l’uso del web, è stata una risposta importante a quest’attacco.
Le forze che si sono mosse all’attacco della Legge 194 forse, in
prossimità delle elezioni, allenteranno la presa, ma questo non ci deve
assolutamente far abbassare la guardia. Dobbiamo riaffermare e difendere
diritti e principi irrinunciabili, come la laicità dello Stato, la non
ingerenza della legge nelle scelte di maternità e paternità delle
persone, la difesa della salute delle donne e il loro diritto
all’autodeterminazione.
Per questo proponiamo che anche la Fillea,
le donne e gli uomini della Fillea, nel momento più solenne di
un’organizzazione, vale a dire il proprio Congresso nazionale,
esplicitino attraverso l’approvazione di un ordine del giorno la difesa
dei diritti che prima richiamavo.