MIME-Version: 1.0 Content-Location: file:///C:/D281C6C9/T.U.diConfindustria(8feb05).htm Content-Transfer-Encoding: quoted-printable Content-Type: text/html; charset="us-ascii"
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o-proof:
no'>
SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO PER IL RIASSETTO NORMATIVO IN MATERIA
DI SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO
Osservazioni Confindustria
Premessa
Lo schema di riassetto normativo in materia di s=
alute
e sicurezza sul lavoro, approvato dal
Consiglio dei Ministri, in prima lettura, il 18 novembre 2004, costitui=
sce
la parte terminale di un processo lungo, impegnativo e complesso, che
l'industria italiana si augura possa finalmente concludersi con l'introduzi=
one
di elementi di razionalità ed equilibrio nel sistema di prevenzione =
dei
rischi lavorativi, per un'efficace protezione dell’incolumlità=
dei
lavoratori senza inutili penalizzazioni per le imprese.
Confindustria =
ha
condiviso l'analisi svolta all'avvio dei processo, nel 2001, dal Libro Bian=
co
sul Mercato dei Lavoro in Italia, in ordine alle criticità presenti =
in
questo settore dell'ordinamento:
realtà lavorative;
Siamo tuttora convinti che, nel nostro Paese, = il baricentro del sistema di tutela della salute e sicurezza sui lavoro debba disancorarsi dalla pervasiva logica della mera repressione, insufficiente e spesso inutile, e debba essere invece improntato alla diversa logica del sostegno e supporto verso i soggetti della prevenzione (lavoratori e impres= e), attraverso scelte di fondo quali:
·
la congruenza delle tutele rispet=
to
all'evoluzione del mondo del lavoro;
·
la semplificazione e la chiarezza
delle norme e delle procedure e l’univocità delle interpretazi=
oni;
·
un approccio "amichevole&quo=
t; e
consulenziale delle pubbliche amministrazioni;
·
lo sviluppo di "best
practices";
·
la rinuncia al primato dell'azione
repressiva e della sanzione penale, da ricondurre al rango effettivo di est=
rema
"ratio";
·
l'eliminazione di competenze
istituzionali sovrapposte e confliggenti.
I criteri direttivi della delega conferita al Governo dalla legge n.
229/20021 hanno fornito una prima risposta a queste esigenze, laddove si so=
no
rese interpreti di un intento redazionale non meramente compilativo ma
orientato anche ad immettere nel sistema della prevenzione dei rischi
lavorativi elementi di maggiore efficacia, efficienza ed equità.
Rispetto a tali criteri, il provvedimento varato dal Consiglio dei
Ministri, seppure con talune carenze ed incongruenze, si muove nella giusta
direzione.
In questo senso, sono certamente apprezzabili:
ü
alcune semplificazioni;
ü
il richiamo al principio della
"concreta attuabilità" delle misure di prevenzione afferma=
to
dalla Corte Costituzionale;
ü
la valorizzazione delle norme
tecniche e delle "best practices" a carattere volontario, quale b=
ase
per interventi di prevenzione funzionali agli obiettivi di sicurezza e risp=
ondenti
alle specificità dei processo e dell'ambiente produttivo, fatte salve
l'intangibilità degli obblighi fondamentali e la sanzionabilit&agrav=
e;
penale della loro violazione.
Sono anche condivisibili in via di principio ‑ma richiedono una
più meditata e puntuale declinazione‑ le indicazioni dei
provvedimento volte, da un lato, a sviluppare un dialogo costruttivo tra
aziende e organi di vigilanza in grado di ridurre la repressione penale al
rango di "estrema ratio", dall'altro, a rilanciare e rendere
più incisivo il ruolo della bilateralità nel settore della
sicurezza.
Sotto quest'ultimo profilo il giudizio rimane necessariamente sospeso in
attesa delle dovute verifiche con le organizzazioni sindacali.
Per altro verso, preme inoltre dover rilevare l'inadeguata o insufficie=
nte
attuazione degli importanti principi di delega con i quali sono stati previ=
sti
interventi di depenalizzazione degli adempimenti aziendali di contenuto
meramente formale/documentale e di riassetto generale delle competenze
istituzionali nella materia.
Con l'auspicio che dal confronto sui contenuti dell'emanando decreto
legisiativo possa emergere, con ragionevolezza e spirito costruttivo, un
riassetto della sicurezza nei luoghi di
lavoro orientato alla effettiva salvaguardia dell'integrità delle
persone e della competitività del sistema produttivo, si riportano di
seguito alcune considerazioni di ordine generale sui principali aspetti di
merito dello schema di decreto, facendo rinvio al documento allegato di
proposte emendative.
Considerazioni generali
=
Lo schema di decreto legislativo approvato in prima lettura riflette di
massima i criteri direttivi della delega conferita al Governo dalla legge
n.22912003 (art‑3), pur se con alcune incertezze talora di portata
significativa.
E' certamente condivisibile la finalità di fondo dei provvedimen=
ti,
indicata nell'innalzamento della qualità e sicurezza dei lavoro con
contestuale alleggerimento dei vincoli meramente formali e burocratici,
attraverso:
1) l'ampliamento
del campo di applicazione della normativa antinfortunistica, con particolare
riguardo alle tipologie lavorative regolate dal Dlgs n. 276/2003;
2) una strategia
prevenzionistica incentrata:
·
sulla realizzazione di obiettivi
sostanziali di tutela della salute e sicurezza presidiati dall'apparato
sanzionatorio e non solo sull'adempimento di regole formali;
·
sulla attenzione alla concretezza=
ed
esigibilità dei precetti, prima ancora che alla repressione, certame=
nte
necessaria, della loro violazione,
·
sullo "svecchiamento" d=
elle
soluzioni prevenzionali di natura tecnico‑costruttiva e organizzativo=
‑procedurale,
tuttora ancorate ad una normativa ormai cinquantennale;
3) l’introduzione
di strumenti e modalità di orientamento e incentivazione che inducan=
o le
imprese a perseguire condotte socialmente responsabili;
4) un’adeguata
valorizzazione del dialogo sociale e della bilateralità, quale fatto=
re
di controllo sociale;
<=
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style=3D'font-size:12.0pt;mso-bidi-font-size:10.0pt;font-family:Arial;mso-n=
o-proof:
no'>
5) una riformulazione
dell'apparato sanzionatorio, la revisione del regime delle
r=
esponsabilità
e la depenalizzazione di alcuni adempimenti di carattere meramente
f=
ormale/documentale;
6) alcune modifiche
dell'assetto istituzionale.
Al di là della doverosa estensione della tutela prevenzionistica
secondo un regime calibrato sulle peculiarità di forme di lavoro e
figure di lavoratori in precedenza non contemplate ‑a corollario di
quanto già previsto dalla legge Biagi sulla riforma del mercato del
lavoro o in conseguenza di specifiche raccomandazioni provenienti dall'Unio=
ne
Europea (è il caso dei lavoratori autonomi)‑ meritano di essere
analizzati più nel dettaglio gli altri profili appena richiamati, an=
che
al fine di evidenziarne carenze e contraddizioni, laddove presenti.
Strategia prevenzionística=
=
Rispondono di massima alle logiche di una strategia by obectives le previsioni del provvedimento che:
a) individuano
e incorporano nel testo normativo, con carattere di cogenza e presidio
sanzionatorio, i principi fondamentali in materia di salute e sicurezza=
nei
luoghi di lavoro contenuti nella normativa al momento vigente;
b) in
piena coerenza con gli indirizzi UE, identificano nell’eliminazione d=
ei
rischi e, ove ciò non sia possibile, nella loro riduzione al minimo,=
in
relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, la via
per rendere effettivamente esigibili i suddetti principi;
<=
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style=3D'font-size:12.0pt;mso-bidi-font-size:10.0pt;font-family:Arial;mso-n=
o-proof:
no'>
c) fanno
rinvio alle "norme di buona tecnica” ed alle "buone
prassi” a carattere volontario ‑rispettivamente, codificate e
validate da enti ed organismi espressamente indicati ‑
quale via per introdurre nell'ordinarnento un meccanismo di adeguamento
automatico all’evoluzione degli standard di sicurezza indotta dal
progresso tecnico, rispetto a soluzioni tecnico‑costruttive e
organizzativo‑procedurali accolte e rese cogenti nei decreti
presidenziali degli anni '55 e '56;
d) conseguentemente,
derubricano questi stessi decreti a norme di buona tecnica e buona prassi,
peraltro limitatamente alle sole previsioni concernenti soluzioni
tecnico-costruttive e organizzativo‑procedurali ritenute obsolete e f=
erma
restando la trasposizione nello schema di decreto e nei relativi allegati d=
elle
previsioni degli stessi provvedimenti riconducibili a principi fondamentali=
e
requisiti essenziali di prevenzione sanzionati.
In merito al t=
ema
della esigibilità dei precetti (punti a, b e c), è opportuno osservare come sussista una oggettiva sintonia tra=
il
richiamo del dettato normativo al “progresso tecnico" ed =
il
concetto ‑frutto della elaborazione di una parte della giurisprudenza=
e
della dottrina‑ della c.d. "massima sicurezza tecnologicamente
fattibile».
Lo schema di provvedimento, tuttavia, si spinge oltre, traducendo
finalmente sul piano normativo un principio cardine per l'assolvimento degli
obblighi di sicurezza, enunciato dalla Corte Costituzionale con una
fondamentale sentenza del 1996. Vale a dire l'assunzione delle "mis=
ure
tecniche, organizzative e procedurali concretamente attuabili nei diversi
settori e nelle differenti lavorazioni, in quanto generalmente utilizzate=
u>",
quale indirizzo operativo rispetto all'obiettivo ideale della massima sicur=
ezza
cui tendere in base alla evoluzione tecnologica, organizzativa e procedurale
dei processi produttivi.
In tal modo, il concetto di "massima sicurezza tecnologicamente
fattibile" perde i connotati di astrattezza e problematica
esigibilità che lo caratterizzano e viene di fatto ancorato a oggett=
ivi
riscontri attuativi per il tramite dell'altro concetto, in questo senso
complementare e non alternativo, della "massima sicurezza concretamente
attuabile".
Peraltro, l'oggettività delle "misure concretamente
attuabili" scaturisce dalla tendenziale coincidenza delle stesse con le
"norme di buona tecnica" e le "buone prassi” (fermo
restando, ovviamente, che tutte possono trovare spazio attuativo solo laddo=
ve
le misure da adottare non siano puntualmente individuate dal decreto attrav=
erso
precetti obbligatori a contenuto rigido e sanzionato).
Tale coincidenza, di fatto, vale a fugare il rischio, da taluno paventa=
to,
dell'”autoreferenzialità", vale a dire di un
“disimpegno” delle imprese dal continuo miglioramento della
sicurezza e dei relativi standard, in conseguenza della pretesa
possibilità per le stesse di "governare" il parametro
dell"'utilizzo generalizzato" (base di determinazione delle
"misure concretamente attuabili"), facendo "cartello al
ribasso" sui livelli di tutela.
Un rischio, a ben vedere, privo di logico fondamento, ove si consideri =
che
lo stesso provvedimento riconosce/affida a specifici enti di normazione
accreditati, ad enti pubblici attivi nel settore della prevenzione, alle pa=
rti
sociali e, per esse, alla bilateralità, sotto il controllo di un
organismo governativo (
Riguardo al te=
ma della
derubricazione dei decreti presidenziali degli anni '
E' da considerare anzitutto che esistono nel nostro ordinamento precede=
nti
esperienze di trasformazione di prescrizioni legislative di prevenzione
sanzionate penalmente in norme volontarie di buona tecnica e buone prassi
(l'art. 46, comma 2, della legge 24.4.1998, n.
Inoltre, le norme derubricate sono solo quelle relative ad elementi di
natura tecnico-costruttiva e organizzativo‑procedurale ritenuti
obsoleti.
Tanto premesso, è certamente vero che la mancata ottemperanza al=
le
disposizioni tecniche o organizzative dei decreti degli anni '50, una volta
trasformate in norme di buona tecnica o buone prassi, non integrerebbe più, come per qualsiasi altra "norma" o
"prassi” volontaria, gli estremi di un illecito.
Ma si trascura di considerare che tutti i principi fondamentali e gli
eventuali e connessi requisiti essenziali di prevenzione, sottesi ai precet=
ti
da derubricare e, oggi, sanciti e sanzionati dei decreti presidenziali degli
anni '50, vengono integralmente trasposti nell'emanando provvedimento o nei
suoi allegati, con il puntuale corredo di sanzioni per la relativa violazio=
ne.
Dunque un falso problema, che rischia di porre in ombra la vera
novità costituita dalla possibilità di aggiornare le soluzioni
prevenzionali di natura tecnico‑costruttiva e organizzativo‑pro=
cedurale,
al momento "obbligatoriamente" ferme agli anni '50 (fatto salvo il
riemergere dei l'obsolescenza/inadeguatezza delle misure adottate, quale
elemento accusatorio proposto nei procedimenti di responsabilità a
carico dei datori di lavoro in forza dell'art. 2087 c.c.) (a questo proposi=
to,
v. successivo paragrafo).
In definitiva, tale aggiornamento viene perseguito attraverso il
riconoscimento alle imprese della libertà di scegliere, nell'ambito
delle norme di buona tecnica o delle buone prassi a carattere volontario (i=
vi
comprese quelle così derubricate dai decreti degli anni '50) o anche=
al
di fuori di tale ambito, le soluzioni tecnico‑costruttive e
organizzativo-procedurali ritenute più idonee alla realizzazione
delle prescrizioni del decreto (semprechè, beninteso, queste ultime =
non
indichino espressamente e puntualmente la soluzione da adottare, sanzionand=
one
l'omissione).
Orientamento e incentivazione
=
Nel "sistema" delineato dallo schema di decreto, la promozione
dlí misuire di sicurezza più aggiornate, moderne ed efficaci =
ai
fini della tutela dei lavoratori fa, leva, in primo luogo, sul ripristino d=
ello
strumento ispettivo della "disposizione" (art. 32).
In tal modo si intende evidentemente "sollecitare" e supporta=
re,
in una fase amministrativa e attraverso il dialogo tra datore di lavoro e
organo di vigilanza, l'assolvimento da parte delle imprese degli obblighi di
sicurezza, nella logica del prevalente interesse alla regolarizzazione della
violazione a tutela dei lavoratori, piuttosto che all'applicazione della
sanzione.
Peraltro, il provvedimento interviene in modo parziale laddove è
invece necessario accomunare illeciti sia amministrativi che penali in una =
fase
propedeutica fortemente orientata ad ottenere l'adempimento degli obblighi =
di
cui sia accertata la violazione .
Inoltre l'uso della potestà dispositiva viene espressamente
finalizzato all’adozione di norme di buona tecnica e buona prassi che,
conseguentemente, sembrano acquisire valore cogente, in netta contraddizione
con il loro carattere volontario.
Al contrario deve essere espressamente sancita l'assoluta libertà=
;,
per l'azienda, di adottare una tra le norme di buona tecnica e buone prassi
individuate dal provvedimento e, per altro verso, deve essere introdotto il
principio secondo cui l'ispettore non può imporre l'adozione di una
norma di buona tecnica o buona prassi diversa da quella liberamente scelta e
adottata dall'impresa.
Una seconda leva promozionale è costituita dall'introduzione del
"principio di conformità", enunciato in alcuni articoli de=
llo
schema di decreto (artt. 42, 46, 56, 74), secondo i quali l'adozione di nor=
me
di buona tecnica e di buone prassi conferisce una presunzione di
conformità ai principi fondamentali ed ai requisiti essenziali di
sicurezza posti dallo stesso provvedimento.
In termini sostanzialmente non dissimili, pur se con formulazione diver= sa, la presunzione di conformità viene enunciata anche per le prescrizio= ni, cogenti e sanzionate, racchiuse nel decreto, rispetto all'art. 2087 cod. civ. (art. 1, comma 4),<= o:p>
In proposito è doveroso sottolineare come i contenuti di tale
disposizione siano emblematici di quella tipologia di norme, diffuse
nell'attuale ordinamento, che senza prescrivere comportamenti predeterminat=
i,
si limitano a indicare i risultati da conseguire, con l'effetto di attribui=
re
all'organo di vigilanza e all'autorità giudiziaria , nelle valutazio=
ni
ex post in ordine alla correttezza dei l'adempimento, margini di discrezion=
ailità
talmente vasti da collidere con il principio costituzionale di legalit&agra=
ve;,
fondato sui canoni della tassatività e della determinatezza della
fattispecie penale (artt. 41 e 25 Cost.).
Quanto mai opportunamente, quindi, trova finalmente spazio in un testo
normativo un canone di assoluta civiltà giuridica orientato a fornir=
e di
contenuto operativo l'art. 2087 cod. civ.
Emerge tuttavia, in tale contesto, stante l'attuale formulazione dell'a=
rt.
1, comma 4, la possibile interpretazione secondo cui l'attuazione dell'art.
2087 c.c. comporterebbe necessariamente l'adozione di norme di buona tecnic=
a e
buone prassi, ancora una volta i=
n contrasto con il carattere volont=
ario
delle stesse.
Responsabilità e sanzioni<= o:p>
<=
span
style=3D'font-size:12.0pt;mso-bidi-font-size:10.0pt;font-family:Arial;mso-n=
o-proof:
no'>
In attuazione dei criterio di delega concernente la revisione del regime
delle responsabilità tenuto conto della posizione gerarchica all'int=
erno
dell'impresa e dei poteri in ordine agli adempimenti in materia di prevenzi=
one
nei luoghi di lavoro, viene opportunamente introdotta la previsione delle
condizioni per una valida delega di funzioni. La disposizione mira a recepi=
re
legislativamente il consolidato indirizzo prevalente della giurisprudenza in
materia.
Sarebbe in effetti anacronistico e non troverebbe valide giustificazioni
continuare a riservare al solo datore di lavoro gli obblighi di valutazione=
dei
rischi, di redazione del relativo documento, di individuazione delle misure=
di
prevenzione e dei dispositivi di protezione individuali e di designazione d=
el
responsabile del servizio di prevenzione e protezione, escludendo che tali
obblighi possano formare oggetto di delega con trasferimento anche delle
connesse responsabilità.
Peraltro, il testo va integrato, sulla scorta dei consolidati indirizzi
giurisprudenziali, con le definizioni di dirigente e di preposto, al fine di
renderne più chiari i ruoli e le responsabilità in funzione d=
ei
rispettivi compiti/incarichi.
Riguardo in particolare agli obblighi posti a carico del
"preposto", l'attuale formulazione dell'art. 8 non contempla alcu=
ni compiti
e responsabilità che caratterizzano il profilo professionale di ques=
ta
figura.
Inoltre, quale corollario del principio di presunzione di conformit&agr=
ave;
del comportamento imprenditoriale all'art. 2087 cod. civ. e alle prescrizio=
ni
dell'emanando decreto legislativo (art. 1, comma 4, e artt. 42, 46, 57, 65,
74), occorre introdurre una previsione normativa volta a definire un nuovo
regime di responsabilità per l'infortunio o la malattia professionale
imputabile al soggetto cui incombono gli obblighi in materia di tutela della
salute e sicurezza sul lavoro. Tale previsione dovrebbe essere formulata co=
n un
ambito di applicazione riferibile anche a specifiche e controverse fattispe=
cie
come quella delle malattie professionali contratte per avvenuta esposizione=
all'amianto.
Quanto al criterio di delega concernente la ríformulazione
dell'apparato sanzionatorio, con particolare riferimento alla previsione di
sanzioni amministrative per gli adempimenti formali di carattere documental=
e,
le attuali indicazioni del testo risultano parziali e necessitano di una
integrazione.
Bilateratit&ag=
rave;
<=
span
style=3D'font-size:12.0pt;mso-bidi-font-size:10.0pt;font-family:Arial;mso-n=
o-proof:
no'>
Merita apprezzamento in via generale l'intendimento del disposto normat=
ivo
di accentuare e valorizzare il ruolo della bilateralità nella materi=
a della salute e sicurezza sul lavoro, a partire dai compiti già
attribuiti dalla contrattazione collettiva (per l'industria, accordi
interconfederali del 22 giugno 1995 e del 18 gennaio 2002).
In particolare, sembrano condivisibili le funzioni di orientamento e
promozione di iniziative formative ed elaborazione di buone pratiche a fini
prevenzionistici, sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul
lavoro; prima istanza di riferimento in merito a controversie sui diritti di
rappresentanza, informazione e formazione.
Peraltro, al di là di alcune imprecisioni terminologiche, non
appaiono chiare ovvero sufficientemente declinate ovvero condivisibili le
indicazioni concernenti:
‑ &n=
bsp; la
previsione della dotazione di una struttura tecnica da attribuire agli enti
bilaterali attraverso la contrattazione collettiva, vale a dire con oneri
aggiuntivi a carico delle imprese;
<=
span
style=3D'font-size:12.0pt;mso-bidi-font-size:10.0pt;font-family:Arial;mso-n=
o-proof:
no'>
‑ l'attribuzione agli enti bilaterali, in
contraddizione con la natura degli stessi, di un ruolo di verifica e
certificazione sul rispetto delle norme di sicurezza, in assenza degli
imprescindibili requisiti di terzietà e specifica competenza richies=
ti
ai soggetti abilitati allo svolgimento di tali attività.
<=
span
style=3D'font-size:12.0pt;mso-bidi-font-size:10.0pt;font-family:Arial;mso-n=
o-proof:
no'>
Tali indicazioni creano perplessità in ordine all'effettiva port=
ata
ed alla reale incidenza della innovazione delineata. Per una più
puntuale e conclusiva valutazione occorrerà, tuttavia, attendere l'e=
sito
di una necessaria verifica con le organizzazioni sindacali.
Riassetto istituzionale
Le attuali previsioni appaiono limitate ed insufficienti.
In particolare, non sono state riprese le puntuali proposte formulate d=
al
CNEL (marzo 2004) e condivise, in tale sede, dalle parti sociali, dagli enti
interessati e dallo stesso Ministero del Lavoro, in ordine alla necessaria
riorganizzazione su base tripartita della Commissione permanente per=
la
prevenzione degli infortuni e dellie malattie professionali, presso il
Ministero del Lavoro.