Sentenza n. 4913 del 3 aprile 2001


Lavoratori esposti all'amianto - Prova del rischio per la salute - Superamento limite di concentrazione delle fibre

 

Mauro B. e Maria R. hanno lavorato per alcuni anni alle dipendenze della ditta Sacelit che impiegava nelle sue lavorazioni materiali di amianto. Essi hanno chiesto all’INPS la rivalutazione dei contributi previdenziali, in base alla legge 27 marzo 1992 n. 257, sostenendo che, pur avendo svolto mansioni impiegatizie, essi erano stati esposti alle polveri di amianto, materiale trattato e lavorato in grandi quantità dalla loro datrice di lavoro, specie nel piazzale antistante i loro uffici. La legge n. 257 del 1992 concerne i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore ai dieci anni e stabilisce in loro favore che “l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestite dall’INAIL, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1.5”. L.’INPS ha rigettato la domanda proposta da Mauro B. e Maria R., sostenendo che non risultava che essi fossero stati sottoposti ad un effettivo rischio ambientale di nocività per la loro salute.


Ne è seguito un giudizio davanti al Pretore di Firenze, che ha dato ragione ai lavoratori, affermando il loro diritto alla rivalutazione di contributi. Questa decisione è stata confermata, in grado di appello, dal Tribunale di Firenze, che ha ritenuto irrilevante la mancanza di una posizione assicurativa presso l’INAIL, affermando che il diritto previsto dalla legge n. 257 del 1992 si fonda su un accertamento di fatto; in questo caso –ha osservato il Tribunale- l’esposizione alle polveri di amianto era emersa dalla prova testimoniale assunta dal Pretore, in quanto i testi avevano confermato la pressoché costante presenza di un elevata dose di polveri di amianto nella zona circostante il posto occupato dai lavoratori.

 

L’INPS ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che il legislatore ha previsto la concessione del beneficio pensionistico solo per i lavoratori che abbiano subito effettivi rischi per la salute a causa di una particolare esposizione all’amianto e non per tutti i lavoratori che in qualche modo siano stati impiegati nei luoghi ove si lavora l’amianto.

 

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 4913 del 3 aprile 2001, Pres. Ianniruberto, Rel. Vidiri) ha accolto il ricorso dell’INPS, affermando che la legge n. 257 del 1992 deve essere interpretata nel senso che il beneficio da essa previsto vada concesso soltanto ai lavoratori che provino di avere lavorato in un ambiente effettivamente rischioso per la loro salute, nel quale la concentrazione di fibre di amianto superi i valori stabiliti dal decreto legislativo 18 agosto 1991 n. 277, emesso in attuazione delle direttive europee in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici. Questo decreto ha stabilito che la concentrazione media annuale non deve essere superiore a 0,1 fibre per centimetro cubo su otto ore al giorno. Deve escludersi –ha affermato la Corte- che il legislatore del 1992 abbia voluto attribuire il beneficio pensionistico in esame a tutti i lavoratori comunque esposti all’inalazione di amianto, anche di minima entità. Pertanto la Cassazione ha rinviato la causa per nuovo esame alla Corte di Appello di Firenze, stabilendo per il giudice di rinvio il seguente principio di diritto: “Il disposto del comma 8 dell’art. 13 della legge 27 marzo 1992 n. 257 (“Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”), va interpretato, in ragione dei criteri ermeneutici letterale, sistematico e teleologico, nel senso che il beneficio stesso va attribuito unicamente agli addetti a lavorazioni che presentano valori di rischio per esposizione a polveri d’amianto superiori a quelli consentiti dagli artt. 24 e 31 d. lgs. 15 agosto 1991 n. 277. Nell’esame della fondatezza della domanda di detto beneficio il giudice di merito deve accertare – nel rispetto dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c. – se colui che ha avanzato domanda del beneficio in esame, dopo avere provato la specifica lavorazione praticata e l’ambiente dove ha svolto per più di dieci anni (periodo in cui vanno valutate anche le pause “fisiologiche” proprie di tutti i lavoratori, quali riposi, ferie e festività) detta lavorazione, abbia anche dimostrato che tale ambiente ha presentato una concreta esposizione al rischio alle polveri di amianto con valori limite superiori a quelli indicati nel suddetto decreto n. 277 del 1991”.