ࡱ> uwt[bjbjssӔBSJ8(,T$8hxx(B!`"  !1.08!v!8! y 8! :Convegno Nazionale Costruire un futuro sostenibile Genova, 14 maggio 2012 Relazione introduttiva di Moulay El Akkioui Segretario Nazionale Fillea Cgil Come bene hanno spiegato i relatori della prima sessione di questo convegno, per assicurare un futuro sostenibile al Paese possibile e necessario affrontare la crisi economica e sociale insieme a quella ecologica, riqualificando lo sviluppo nella direzione di una economia verde, la cosiddetta green economy., definendo un nuovo orizzonte economico o meglio ancora un nuovo paradigma tecno-economico. Tentare di coniugare sviluppo sostenibile, tutela e cura dellambiente, lavoro e reddito che ne pu derivare un esercizio che non pu essere lasciato al caso, oppure peggio ancora, trattato da apprendisti o improvvisatori. La complessit della green economy permette di produrre e sviluppare delle opportunit economiche ed occupazionali inattese. I terreni privilegiati dello sviluppo e dellinnovazione della economia verde sono legati allo studio dei materiali, edilizia e costruzioni in maniera globale, oltre ad altri settori produttivi. Il problema principale del nostro Paese legato al peso specifico della propria struttura produttiva. Di tutto il panorama di opportunit che la green economy consente nei settori appena indicati, lItalia ha un peso specifico pari solo al 5,7%, mentre questo rapporto sale al 60% quando trattiamo le applicazioni che ne derivano. Un po poco se consideriamo gli aiuti fiscali che il bilancio pubblico italiano erogher fino al 2020, pari a quasi 70 mld di euro, con delle entrate fiscali legati al settore analizzato, non superiori a 20 mld tra Irap, Ires e Ire. Un esito scontato. Osservando il trend della potenza derivante da energie rinnovabili e la corrispondente bilancia commerciale, riferibile al settore, si osserva una forbice fastidiosa: ogni euro di incentivo produce lavoro buono in altre parti del mondo, compresa la Cina. Indiscutibilmente lapplicazione delle tecnologie pulite crea lavoro, anche nelle economie a basso contenuto tecnologico come quella italiana, ma la sostenibilit dello sviluppo necessita di una politica capace di agire su due fronti: la domanda e lofferta. Diversamente si manifesterebbero paradossi insostenibili. LItalia tra i primi produttori di energia rinnovabile al mondo, ma con il pi alto uso di energia per unit di prodotto, nonostante gli incentivi pubblici siano tra i pi alti a livello internazionale. Si dovrebbero quindi rimodulare gli incentivi legati alla produzione di energia rinnovabile al fine di creare attivit manifatturiera attrezzata a tale scopo, mentre dal lato della riduzione delle emissioni e del risparmio energetico ci sono maggiori opportunit. Si tratta di implementare il modello di riferimento dal lato della domanda e dal lato dellofferta. LItalia non ha vantaggi tecnologici rispetto a nessun competitor internazionale, mentre gli incentivi hanno allargato il gap del nostro paese, ma utilizzando in modo intelligente e oculato gli aiuti pubblici potremo almeno realizzare due semplici linee di intervento: 1. la prima interessa ladeguamento della struttura produttiva italiana alla domanda di green economy; invece che continuare a sostenere la domanda nel modo che abbiamo fatto, cos almeno la met delle agevolazioni fiscali potrebbero essere destinate allindustrializzazione della ricerca pubblica realizzata nel campo della green economy; 2. la seconda interessa la cura dellambiente, cio il ripristino di aree (inquinate, abbandonate, deindustrializzate, edifici inadeguati, ecc) che diversamente andrebbero perdute. Tra laltro, queste sono attivit a minore tasso di tecnologia importata, quindi a maggiore tasso di occupazione. Il saper fare ancora fondamentale. La green economy pu essere una opportunit, ma alla sola condizione di coniugare offerta e domanda. Il problema della politica del nostro Paese quello di avere spinto solo la domanda e non il lavoro e la derivante offerta. Questa ora la sfida da affrontare. Tra i paesi industrializzati lItalia quello che ha cercato pi di altri di competere nei mercati internazionali mediante una accentuata politica salariale deflattiva. E cos, a dispetto della moderazione salariale, lItalia riesce sempre meno a difendere il core del suo modello di specializzazione produttiva, fondato prevalentemente su attivit e servizi che non necessitano di cospicui impegni sul terreno della conoscenza. Viceversa, in quei paesi nei quali gli investimenti in nuove tecnologie sono elevati, non solo si registrano livelli pi alti dei salari reali, ma anche i risultati in termini di competitivit internazionale sono ben superiori ai nostri. Tutti i dati sembrano confermare queste affermazioni: gli investimenti e lintroduzione di innovazioni sono correlati a un aumento della competitivit, ad un aumento della occupazione e, soprattutto, ad una occupazione di maggiore qualit. Inoltre, le imprese innovative, mediamente, realizzano profitti pi alti di quelle legate a tecnologie tradizionali; grazie agli sforzi nel campo della ricerca e sviluppo, i profitti sono garantiti nel tempo e si registrano comportamenti migliori anche nei periodi di crisi. In qualche misura si pu dunque configurare una nuova dimensione delloligopolio legata allinnovazione e agli investimenti, che diventano una barriera allentrata per gli imprenditori, delineando per le stesse imprese innovatrici un certo livello di potere nel mercato. Prendendo in esame la quota percentuale dei prodotti ad alta tecnologia sulle esportazioni dei beni manifatturieri per destinazione di produzione di Francia, Germania, Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Giappone e Canada, possiamo osservare levoluzione e la crescita della componente delle nuove tecnologie a livello generale da un lato, e il peso della produzione delle stesse di ogni paese dallaltro . I dati mostrano inoltre che dove la spesa in ricerca e sviluppo maggiore della media, il salario tende ad essere pi alto e il numero delle ore lavorate pi basso. Nei paesi in cui la spesa in ricerca e sviluppo vicina al 2% del Pil, le ore lavorate per addetto sono sempre pi contenute rispetto a quelle che si registrano nei paesi in cui la spesa in ricerca e sviluppo vicina o di poco superiore all1% del Pil. La Germania spende in ricerca e sviluppo il 2,53% del Pil, mentre le ore lavorate annue per addetto sono pari a 1.433; la Gran Bretagna spende l1,82% e le ore lavorate sono 1.670; in Francia si spende il 2,04% in ricerca e sviluppo, mentre le ore lavorate sono pari a 1.561.. Da noi in Italia la spesa in ricerca e sviluppo pari all1,18% del Pil, mentre le ore lavorate sono pari a 1.824 ore per addetto. Lo stesso trend lo possiamo osservare prendendo in esame i salari. Nei paesi che hanno rafforzato la parte manifatturiera con le nuove tecnologie, spesso pulite, si registrano valori assoluti dei salari e tassi di crescita superiori alla media; in Italia, invece, si registra un forte rallentamento della dinamica salariale rispetto ai partner economici, soprattutto a partire dal 1995. Tutto ci sembra indicare che i paesi che hanno saputo adeguare il target della propria struttura produttiva alle nuove sfide della conoscenza e dellinnovazione, hanno anche potuto sfruttare posizioni di mercato meno concorrenziali, con risultati soddisfacenti per i profitti e, in media, anche per i salari. Stando a queste evidenze, si pu affermare che lo sforzo nello spingere il sistema produttivo a credere nella ricerca e sviluppo, pi che nel trasferimento di tecnologia, dovrebbe esser considerato la vera frontiera della politica economica. Infine crediamo sia necessario, e non un compito estraneo allazione del sindacato, favorire anche con strumenti fiscali linnovazione tecnologica delle imprese e degli studi professionali, perch le strumentazioni tecniche siano allaltezza della sfida della sostenibilit e della gestione complessa delle costruzioni, ledilizia in primis e dellurbanistica. Bisogna anche incentivare le relazioni tra progettisti e industria, con la creazione di una banca delle idee per promuovere la ricerca e i giovani talenti italiani che spesso fuggono allestero, per rinnovare le qualit del Made in Italy e mantenerlo concorrenziale nel mondo. Per questo anche il sistema degli appalti pubblici deve essere uno strumento di selezione e promozione delle eccellenze e del merito, non dellaccanita concorrenza e del massimo ribasso come avviene spesso, investendo sui talenti e le professionalit migliori, quelli in grado di non badare solo al profitto ma anche ad uno sviluppo complessivo e sostenibile economicamente, socialmente e ambientamente. Sostenibilit delle opere e del lavoro, coniugando attenzione allambiente e al territorio, attenzione a cosa si costruisce, a come si costruisce, tutelando e mettendo in primo piano CHI costruisce e CHI ci abita; spesso sono gli stessi lavoratori. Infine per concludere, la valutazione della qualit ecologica degli edifici pubblici e privati rappresenta una delle pi importanti opportunit che il nostro Paese ha a disposizione per imboccare la strada della sostenibilit del costruire. Un concetto che va ben oltre i semplici, seppure cruciali, risparmio ed efficienza energetica. Alcune proposte Fillea-Cgil Ma ora, dopo aver delineato un quadro generale di riferimento, vediamo quali possono essere nel concreto le nostre proposte, le proposte della Fillea Cgil. Vorrei iniziare dal patto di stabilit, strumento che garantisce, attraverso la definizione delle regole fiscali nelle manovre di finanza pubblica, il controllo del livello di indebitamento di Regioni, Province e Comuni. Il patto di stabilit naturalmente, figlio del Patto di Stabilit e Crescita Europeo che fissa, appunto, i criteri finanziari che ogni Stato Membro deve raggiungere per salvaguardare la solidit delle Finanze Pubbliche nazionali; tuttavia, come ampiamente riconosciuto da pi parti, uno strumento che pur essendo meritorio negli obiettivi, tende oltremodo a bloccare e limitare gli investimenti, limitando la capacit di spesa degli enti locali anche nel caso paradossale in cui essi abbiano le risorse a disposizione per poterli fare. Secondo la Corte dei Conti, nel 2010 lirrigidimento del patto di stabilit ha provocato una riduzione del 18,5% della spesa in conto capitale degli enti locali rispetto allanno precedente. Questo ha significato in termini assoluti una contrazione di 7 miliardi di euro. Si stima che sulla base delle ultime manovre correttive dei conti pubblici (l.98/2011, l.138/2011 e legge di stabilit 2012) verranno a mancare qualcosa come 32 miliardi di euro di investimenti nel triennio 2012-2014 per le Regioni (-20 miliardi), le Province (-2,7) e i Comuni (-8,3). Non sarebbe, quindi, opportuno rimodulare il patto di stabilit consentendo leliminazione di tutti quegli elementi distorsivi che bloccano gli investimenti? Un altro intervento necessario sarebbe una legge nazionale che incentivi in maniera consistente il riuso e il recupero delle aree industriali e la demolizione e ricostruzione delle aree residenziali degradate. Questo porterebbe alla nascita di un patrimonio edilizio moderno, adeguato a tutte le norme sia di sicurezza che di risparmio energetico. Una delle nostre proposte un programma di rigenerazione sostenibile delle citt, luoghi dove vivono il 70% degli italiani e dove si produce l80% del Pil nazionale, per affrontare il decadimento dello stato delledificazione esistente privata e pubblica, ladeguamento a standard di sicurezza ed energetici, valorizzare il restauro dei beni culturali, il recupero degli spazi pubblici e del verde, attraverso lutilizzo dellinnovazione delle reti tecnologiche. Sarebbe utile, inoltre, la codificazione immediata di strumenti normativi dalla legge nazionale urbanistica alla perequazione - e fiscali, con bonus di volumetria per chi interviene rigenerando case e quartieri ponendo a zero il consumo del territorio, anche con lemissione di eco-bond e ponendo requisiti di sostenibilit ambientale dei progetti cos come nei bandi di vendita del patrimonio pubblico, a fronte dei quali abbassare il costo degli oneri di urbanizzazione. In questo modo, dalledificio rigenerato e tecnologicamente innovato si avvierebbe un processo di risparmio delle risorse, energetiche e idriche, la razionalizzazione del ciclo dei rifiuti, di tecniche costruttive innovative che favoriscano leccellenza e lecologia dellindustria italiana, la riqualificazione di strade e quartieri favorendo sopratutto la coesione sociale. Oltre a questi interventi proponiamo un progetto vero di salvaguardia ambientale, paesaggistica e monumentale mettendo a frutto i valori unici del patrimonio culturale e paesaggistico italiano, il primo al mondo per quantit e ricchezza, anche in funzione dellindustria turistica. Per far questo occorre affiancare a un chiaro sistema di vincoli progetti di sviluppo sostenibili, non invasivi, culturalmente attraenti, promuovendo il turismo culturale, mettendo in rete i borghi storici, vera ricchezza nazionale, in un sistema nazionale di museo diffuso, collegati virtualmente in un sistema unico, didattico e di ospitalit. Serve, poi, e se ne parla da troppo tempo, un presidio di sicurezza al servizio del Paese, per monitorare lo stato dei beni monumentali e le condizioni di sicurezza degli edifici e del territorio, oltre allistituzione di un presidio di legalit per segnalare e contrastare labusivismo edilizio, cos come le infiltrazioni mafiose negli appalti. Si stima che il patrimonio delle famiglie italiane sia di 8.600 miliardi di euro. I beni immobili rappresentano pi della met di questa ricchezza. Ma del patrimonio edilizio del nostro Paese, che per oltre il 50% formato da edifici storici, non si conosce nulla: n leffettiva consistenza volumetrica, n lo stato di conservazione dei materiali. Non esiste uno strumento a disposizione delle amministrazioni pubbliche che metta nero su bianco tutti i singoli interventi edilizi, legittimi e non, effettuati su un intero fabbricato. Di conseguenza impossibile monitorare e mettere in relazione le modifiche che nel tempo hanno stravolto il sistema strutturale degli edifici, le stesse cause in molti casi di crolli e disastri come successo recentemente qui a Genova a Barletta a Messina e in tanti altri luogi... Occorrerebbe una sorta di anagrafe dei fabbricati e un fascicolo statico di ogni edificio esistente, se ne parla da tempo, ma nulla o molto poco si fatto. Per far questo ed avere sempre chiara e a disposizione la situazione di ci che fabbricato e di ci che si fabbrica occorrerebbe tagliare il costo della burocrazia ed andare verso la semplificazione di norme e procedure. Il costo totale della burocrazia italiana stimato in 14 miliardi lanno, che principalmente fonte di malaffare e ostacolo allo sviluppo. Altro tema da affrontare il dissesto idrogeologico e la sicurezza del territorio. Come tristemente noto, il nostro Paese presenta numerose aree a forte rischio di dissesto idrogeologico e sono numerosi anche gli insediamenti abitativi realizzati in queste aree. Del resto, lItalia un paese, che pur presentando notevoli differenze territoriali, risulta particolarmente urbanizzato (201 abitanti per kmq nel 2011). Secondo il Ministero dellAmbiente circa 6.700 comuni (l82% del totale) sono interessati da almeno unarea ad alta criticit idrogeologica. In Italia stata sempre assente una vera politica di prevenzione, politica che avrebbe permesso di attuare la tanto auspicata manutenzione del territorio a costi notevolmente pi contenuti rispetto a quelli effettivamente sostenuti in fase di post emergenza. Ma veniamo al tema cruciale dei mancati investimenti infrastrutturali. In Italia c una riserva di investimenti inutilizzata destinata al potenziamento e allammodernamento della rete autostradale gestita dalle concessionarie e previsti nei piani di concessione Anas. Solo una quota minoritaria del volume complessivo di spese previsto nei piani del 1997 e successivamente in quelli del periodo 2002-2004, e su cui le concessionarie si sono impegnate con i governi del passato stato realizzato. Lestrema lentezza nella realizzazione degli investimenti concordati al momento delle convenzioni stipulate con lAnas in occasione degli accordi di privatizzazione sta solo contribuendo a generare extraprofitti grazie a un margine operativo davvero assai elevato o magari a garantire lespansione delle attivit allestero o una diversificazione di attivit di impresa. Lentit di investimenti che manca alleconomia nazionale di circa 20 miliardi di euro, gran parte dei quali, come recentemente evidenziato dallex Governatore della Banca DItalia, Mario Draghi, nellultima relazione annuale, attribuibili alla principale concessionaria autostradale, vero e proprio soggetto dominante il sistema autostradale italiano con i 2/3 della rete. A questi rilevanti importi vanno poi aggiunte anche le quote degli investimenti non realizzati ancorch previsti dalle altre societ concessionarie. A fronte di ulteriori 12 miliardi complessivi di spesa distribuiti tra le varie concessionarie possibile stimare livelli di investimenti non ancora effettuati, sulla base di una ricognizione sui principali bilanci, di almeno 5 miliardi di euro. La necessit di rilanciare gli investimenti per sviluppare e ammodernare le infrastrutture autostradali rappresenta dunque una formidabile opportunit per rilanciare il sistema di engineering (attivit di progettazione, produzione e controllo di impianti industriali) nazionale e la dotazione infrastrutturale del Paese. Per sbloccare gli investimenti nelle autostrade la nuova autorit di regolazione settoriale introdotta dalle manovre Monti potrebbe dire la sua anche sulle vecchie concessionarie, prevedendo interventi regolatori mirati allo scopo esplicito di stimolare gli investimenti. Un altro sistema che soffre di un elevato deficit di investimenti quello aeroportuale, deficit che a nostro avviso dovrebbe essere colmato al pi presto. Nonostante un recente provvedimento abbia determinato dal 2010 un innalzamento delle tariffe aeroportuali, senza peraltro alcuna analisi comparativa di efficienza o di fabbisogno reale di investimenti, le attuazioni dei piani di investimento restano al palo. Si tratta, considerando solo i maggiori aeroporti, di 5 miliardi di investimenti diretti per ammodernare e potenziare le infrastrutture aeroportuali. La costruzione o l'ampliamento delle infrastrutture aeroportuali compito delle societ, che, in regime di concessione quarantennale, gestiscono i singoli aeroporti. Attraverso contratti di programma stato individuato lo strumento giuridico che, in relazione al rapporto di concessione, dovrebbe raccordare il sistema tariffario con gli impegni della societ concessionaria alla realizzazione degli investimenti necessari. Come recentemente sottolineato della Commissione Trasporti della Camera, sul processo di attuazione degli investimenti aeroportuali gravano due ordini di problemi che devono essere affrontati e risolti: da un lato c un problema di reperimento delle risorse necessarie per il finanziamento degli investimenti stessi da ottenere verificando possibili ulteriori adeguamenti delle tariffe in ragione di effettive necessit per lautofinanziamento; dall'altro, si rileva una eccessiva lunghezza delle procedure previste per la definizione e l'approvazione dei contratti di programma che stabiliscono e regolano lesecuzione degli investimenti stessi, anche laddove i finanziamenti sono gi disponibili. LItalia , inoltre e soprattutto, un Paese con circa 8000 km di costa inserito sia nel contesto europeo sia in quello mediterraneo. In entrambi tali contesti la portualit e i litorali nazionali sono da inquadrare tenendo ben presente che un porto significa ricchezza e sviluppo, ma solo se funziona in maniera ottimale. Pur esistendo una distinzione tra porti commerciali, porti turistici e porti dedicati ai pescherecci, in genere molto frequente la coesistenza delle varie attivit e delle relative problematiche la cui sovrapposizione spesso motivo di ampliamento delle stesse. Per i porti turistici, tenuto conto del pregio delle coste italiane, sarebbe importante promuoverne uno sviluppo sostenibile nel rispetto dellambiente, favorendo uno sviluppo sostenibile della nautica e dalla cantieristica attraverso una continua ricerca progettuale finalizzata alla riduzione dei consumi e al miglioramento prestazionale. Molte, dunque, e articolate sono le nostre proposte rispetto alle quali chiederemo spazi adeguati sia di discussione che di programmazione, ma prima di tutto occorrer convincere gli altri e noi stessi dellinopportunit di ritardare ancora le scelte, programmatiche ed economiche per realizzarle. Non abbiamo pi tempo, giunto il momento di agire nel senso di un costruire diverso, pi sostenibile e pi attento allambiente e al territorio, pi attento al come, dove e per chi, che al quanto.      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