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Mercato del lavoro

 

Politiche del lavoro in Europa

Nel Notiziario le differenze nella Comunità Europea e

gestione del lavoro a livello globale

 

Nel Notiziario di luglio 2008 sulle politiche del lavoro in  Europa, elaborato e aggiornato dalla Cgil Nazionale, le differenze che esistono all’interno della Comunità Europea per affrontare le politiche attive del mercato del lavoro e la gestione del lavoro al livello globale.

 

 

                                                            p. La Segreteria Nazionale

                                                                    Moulay El Akkioui                                      

Roma, 22 settembre 2008 

 

 

Il lavoro in Europa

Notiziario sulle politiche attive del lavoro in Europa

 

(a cura di Ornella Cilona, Cgil nazionale)

numero 6, luglio 2008

Indice

1. Una conferenza dell’Ocse e dell’Oil su diritti del lavoro e responsabilità sociale in un’economia globalizzata

2. La nuova Agenda sociale della Commissione europea

 

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1. Una conferenza dell’Ocse e dell’Oil su diritti del lavoro e responsabilità sociale in un’economia globalizzata

La conferenza, organizzata congiuntamente dall’Ocse e dall’Oil a Parigi alla fine di giugno, è stata l’occasione per discutere di diritti del lavoro e di responsabilità sociale, mettendo allo stesso tavolo, per la prima volta, coloro che si occupano dell’attuazione delle Linee guida sulle multinazionali dell’Ocse1 e quanti seguono la Dichiarazione di principi tripartita dell’Oil sulla politica sociale e le multinazionali2, con l’obiettivo non solo di migliorare l’efficacia di entrambi questi strumenti internazionali, ma anche di trovare una possibile sinergia fra essi. L’evento ha, insomma, dimostrato che oggi i vertici dell’Ocse e dell’Oil sono consapevoli del fatto che senza uno sforzo congiunto delle organizzazioni internazionali intergovernative non è possibile migliorare il rispetto dei diritti del lavoro nell’attuale fase della globalizzazione. John Evans, segretario generale della commissione sindacale consultiva presso l’Ocse (Tuac), ha proposto nel suo intervento che le amministrazioni pubbliche che si occupano a livello nazionale dell’attuazione delle Linee guida e della Dichiarazione tripartita dell’Oil siano le stesse, in modo da evitare duplicazioni e inefficienze. Evans ha, inoltre, suggerito che, sull’esempio di quanto si sta facendo per l’attuazione della Convenzione Ocse contro la corruzione, i rappresentanti di quest’organizzazione internazionale visitino i Paesi in via di sviluppo per verificare l’applicazione delle Linee guida. Il tema del rispetto dei diritti del lavoro è sempre più collegato alle questioni inerenti alla responsabilità sociale delle imprese. Lo scorso maggio, in Giappone, la conferenza dei ministri del Lavoro dei Paesi maggiormente sviluppati (G8) ha, infatti, messo in evidenza che la responsabilità sociale delle imprese è importante per giungere a una globalizzazione equa che garantisca adeguate tutele ai lavoratori di tutto il mondo.

 

 

 

 Adottate nel 1976 e riviste nel 2000, le Linee guida sono applicate da 30 Paesi aderenti all’Ocse e da 10 non aderenti (Argentina, Brasile, Cile, Egitto, Estonia, Israele, Lettonia, Lituania, Slovenia e Romania). Una volta che un governo decide di adottare le Linee Guida, scatta un meccanismo vincolante, definito “delle circostanze specifiche”, in virtù del quale i Punti di contatto nazionali devono regolare le dispute sulla loro applicazione e attenuare le tensioni che ne derivano.

2 Adottata nel 1976 e rivista per l’ultima volta nel 2006, la Dichiarazione di principi tripartita dell’Oil è uno strumento volontario a disposizione delle multinazionali, dei governi e dei sindacati per rafforzare i diritti del lavoro.


 

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3 Per “sicurezza dell’impiego” la ricerca di Eiris intende ben poco: non molto di più della presenza nelle imprese considerate di meccanismi di informazione e consultazione nel caso di licenziamenti collettivi e dell’esistenza di statistiche sulla proporzione fra personale dipendente a tempo indeterminato e lavoratori temporanei.

Presso i Punti di contatto, istituiti a livello nazionale per verificare l’attuazione delle Linee Guida sulle multinazionali, sono giunti dal 2000 in poi circa 130 reclami da parte di organizzazioni non governative e sindacati, la maggior parte dei quali ha riguardato i diritti del lavoro nei Paesi non aderenti all’Ocse. L’attività di questi Punti di contatto ha messo in evidenza i due principali punti deboli delle Linee guida: la difficile attuazione e lo scarso coinvolgimento dei Paesi che non aderiscono all’organizzazione. Secondo l’Ocse, poiché gli investimenti diretti esteri rappresentano un fattore chiave per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori, le Linee Guida (e l’attività dei Punti di contatto nazionali) sono oggi uno strumento più che mai fondamentale per regolare questi investimenti. Per rilanciare le Linee Guida, l’Ocse propone un incremento del numero di Paesi (anche non aderenti all’organizzazione) che vi aderiscono e, in alcuni Paesi, maggiori risorse per il finanziamento dei Punti di contatto nazionali.

Nel corso della conferenza sono stati presentati i risultati di una ricerca, realizzata dall’istituto di studi Eiris per conto dell’Ocse, sulle pratiche di responsabilità sociale nell’area dell’occupazione e delle relazioni industriali, basata su un campione di duemila imprese. Dallo studio emerge che il tema delle pari opportunità è particolarmente gradito dalle aziende socialmente responsabili (l’80% di quelle del campione, infatti, attua progetti legati a quest’argomento), insieme a quello della salute e sicurezza del lavoro. Solo il 15% delle imprese che operano nei mercati dei Paesi in via di sviluppo, però, attua iniziative a favore del riconoscimento delle organizzazioni sindacali. Sia nei Paesi Ocse, sia negli altri, inoltre, solo il 20% delle aziende è impegnata in piani di formazione e addirittura soltanto il 10% in progetti che favoriscono la sicurezza dell’impiego3. In sostanza, dunque, le aziende preferiscono impegnarsi nell’attuazione delle pari opportunità piuttosto che di altre norme del lavoro: solo il 22% delle imprese del campione è attivo, infatti, nell’attuazione di tutte le tutele a favore dell’occupazione in ogni area del globo. Altro tema sul quale, secondo la ricerca, non c’è un’attenzione sufficiente da parte delle imprese nei Paesi in via di sviluppo è quello della subfornitura, anche se va rilevato che la situazione cambia a seconda dei settori. Infatti, nel commercio, dove il sindacato è maggiormente presente, il 58% delle aziende attua almeno qualche iniziativa per verificare l’attuazione delle norme del lavoro nelle imprese di subfornitura, una percentuale che scende al 51% nel settore dei beni personali. In due comparti dove, invece, la presenza del sindacato è molto più contenuta si registra una minore attenzione nei confronti del rispetto delle norme del lavoro fra i subfornitori. Infatti, nell’informatica solo il 18,5% e nelle telecomunicazioni soltanto il 10% delle aziende del campione applica nelle proprie imprese subfornitrici il rispetto di almeno uno dei diritti fondamentali del lavoro dell’Oil. In generale, solo il 44% delle imprese non europee del campione attua politiche socialmente

 

4 L’indagine identifica come pratiche “avanzate” quelle attuate da imprese che applicano i diritti fondamentali del lavoro dell’Oil in tutta la catena della subfornitura.

5 Aderiscono a questi Principi volontari, adottati nel 2007 e riguardanti il settore estrattivo, i governi di Olanda, Norvegia, Stati Uniti e Gran Bretagna, organizzazioni non governative come Amnesty International e Oxfam e imprese come Chevron e Shell.

6 OHSAS (Occupational Health and Safety Assessment Series) è una norma internazionale che fissa le regole che un sistema di gestione deve avere nel campo della salute e sicurezza del lavoro. OHSAS 18001 è stata definita da alcuni organismi di certificazione e di normazione nazionali e si muove sulla linea di Iso 14000, la serie di norme internazionali relativi alla gestione ambientale delle organizzazioni.

7 A SA8000, la norma internazionale che certifica i comportamenti delle aziende nel campo dei diritti umani, della salute e sicurezza e delle tutele del lavoro, aderiscono attualmente 1461 imprese, di cui 701 in Italia. Di queste 701, 219 si trovano in Toscana: la Regione, infatti, fin dal 2001 favorisce la certificazione SA 8000 delle piccole e medie imprese del territorio.

. L’appartenenza ai settori non è l’unico fattore che influenza la propensione delle imprese a impegnarsi in iniziative socialmente responsabili nel campo dei diritti del lavoro. Anche l’ammontare del capitale azionario conta: le società che hanno oltre tre miliardi di dollari quotati in Borsa, infatti, appaiono più propense ad attuare progetti nel campo dei diritti umani rispetto a quelle che posseggono meno di tre miliardi di dollari quotati. Questo avviene per due motivi: le imprese con una maggiore capitalizzazione hanno bisogno di più visibilità e, inoltre, alcuni mercati azionari richiedono come condizione per il collocamento un impegno nel campo delle norme sul lavoro. In particolare, le aziende con un maggiore capitale azionario tendono sempre di più ad applicare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite e i diritti fondamentali del lavoro dell’Oil, nonché altre iniziative come i Principi volontari sulla sicurezza e i diritti umani. Anche standard di certificazione come OHSAS 18001responsabili nella subfornitura456 e SA80007 sono sempre di più applicati dalle imprese. Un terzo fattore che determina la propensione delle aziende a impegnarsi nei diritti del lavoro è la posizione geografica: quelle che possiedono la casa madre in Europa attuano progetti su questo tema con maggiore frequenza rispetto a quelle con sede nel Nord dell’America o in Asia e Pacifico. Gli autori dello studio, tuttavia, notano che ci sarà probabilmente in futuro un maggiore impegno sul fronte dei diritti del lavoro da parte delle aziende statunitensi e asiatiche, poiché i dirigenti dei fondi di investimento responsabile stanno sempre di più chiedendo codici di condotta aziendali che facciano esplicito riferimento ai diritti fondamentali del lavoro dell’Oil.

Un altro studio presentato da John Martin, a capo della direzione Occupazione, lavoro e affari sociali dell’Ocse, durante la Conferenza riguarda le conseguenze che gli investimenti diretti esteri realizzati dalle multinazionali hanno sui salari e sulle condizioni di lavoro. Sono due le conclusioni sottolineate da Martin. In primo luogo, le imprese transnazionali pagano in media il 50% di più i propri dipendenti nei Paesi dove investono rispetto alle imprese locali, “ma questo non significa necessariamente che le aziende estere offrono migliori condizioni di lavoro, perché può esserci una differenza di qualità fra la loro manodopera e quella impiegata nelle imprese locali”. Sono Asia e America Latina le aree dove il divario fra i salari nelle multinazionali e quelli nelle imprese locali è più ampio. In particolare, i neo assunti nelle multinazionali sembrano beneficiare di paghe più alte rispetto ai loro colleghi che lavoravano già alle dipendenze di un’impresa acquisita dalla società straniera. Anche i dipendenti delle aziende subfornitrici di gruppi transnazionali

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percepiscono salari migliori, anche se di poco, rispetto a quelli offerti dalle piccole aziende locali indipendenti. La seconda conclusione cui giunge lo studio è che le multinazionali, quando investono all’estero, non trasferiscono nelle filiali le pratiche di lavoro presenti nella casa madre, preferendo seguire le leggi e i sistemi di contrattazione locali. Tuttavia, la maggiore possibilità di formazione e il più alto tasso di sindacalizzazione di cui godono i lavoratori delle imprese transnazionali rispetto a quelli impiegati nelle aziende locali sono due aspetti che indicano migliori condizioni di lavoro nelle multinazionali. La ricerca, infine rileva un elemento interessante: l’efficacia dei codici di condotta attuati da alcuni grandi gruppi nella catena della subfornitura appare limitata, a meno che un’adeguata rappresentanza dei lavoratori non verifichi l’attuazione del codice.

Theodore H. Moran, professore all’università di Georgetown, è apparso ottimista sul rapporto fra multinazionali e salari: i lavoratori delle filiali dei grandi gruppi operanti nei settori ad alta tecnologia godono generalmente di paghe migliori rispetto a quelli impiegati nelle multinazionali o in imprese locali a più basso contenuto di innovazione. Tuttavia, “quando migliorano le condizioni dei dipendenti nelle imprese di proprietà estera ad alta tecnologia, spesso succede lo stesso anche ai lavoratori delle multinazionali, o delle imprese locali, appartenenti a settori a minore valore aggiunto, che si trovano nei pressi”. Generalmente si ritiene che le multinazionali investano prevalentemente nei Paesi in via di sviluppo in settori come il tessile e le calzature, creando posti di lavoro mal pagati e poco tutelati: Moran nota, invece, che la massa degli investimenti prodotti dalle multinazionali si dirige verso i settori a maggiore valore aggiunto: questo non significa, però, che l’occupazione prodotta dalle imprese transnazionali nei Paesi in via di sviluppo riguardi le mansioni più qualificate. Moran risponde poi alla spinosa questione se la globalizzazione dell’industria attraverso gli investimenti delle multinazionali avvenga a spese del lavoro dignitoso nel Paese dove ha sede la casa madre: “la globalizzazione dell’industria attraverso l’investimento delle multinazionali costituisce un fenomeno vantaggioso sia per le imprese, sia per i lavoratori, sia per le comunità nei Paesi in via di sviluppo e in quelli sviluppati.

 

 

Il testo della proposta di Direttiva si trova, in lingua inglese, all’indirizzo http://ec.europa.eu/employment_social/labour_law/documentation_en.htm#12

9 Il testo della proposta di Direttiva si trova, in lingua inglese, all’indirizzo http://ec.europa.eu/social/BlobServlet?docId=477&langId=en

10 Il testo della proposta di Direttiva si trova, in lingua inglese, all’indirizzo http://ec.europa.eu/employment_social/labour_law/documentation_en.htm#23

11 Il testo di questo documento della Commissione europea si trova, in lingua inglese, all’indirizzo http://ec.europa.eu/social

12 Il testo della Comunicazione “Agenda sociale rinnovata: opportunità, accesso e solidarietà nell’Europa del XXI secolo” si trova in italiano sul nuovo portale della Commissione europea dedicato agli affari sociali, all’indirizzo http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=547&langId=en

 

 Gli investimenti dalle economie più ricche verso quelle maggiormente povere rafforza la competitività della base economica nel Paese di origine e crea nuovi posti di lavoro in quelli ospiti. La distribuzione dei benefici provenienti dalle multinazionali non è un risultato a somma zero che aiuta i lavoratori da un lato del confine a scapito di quelli dell’altra parte. Alla fine, gli investimenti delle multinazionali possono essere una forza potente per creare un lavoro decente simultaneamente a casa e nei Paesi ospiti. Ma l’investimento delle multinazionali può anche diventare il giocattolo delle pressioni dei governi per proteggere specifici lavori e impedire il cambiamento”.

 

 La nuova Agenda sociale della Commissione europea:

Agli inizi di luglio, la Commissione europea ha presentato un pacchetto di iniziative che hanno l’obiettivo di promuovere la creazione di nuova occupazione, di sviluppare l’istruzione e lo sviluppo delle competenze, nonché di combattere la discriminazione, di potenziare la mobilità e di migliorare le

cure sanitarie dei cittadini europei. Le nuove sfide imposte dalla globalizzazione, dall’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e del petrolio e dalle turbolenze dei mercati finanziari costituiscono lo scenario nel quale si inseriscono le proposte comunitarie. “La dimensione sociale dell’Europa non è mai stata importante come oggi” ha dichiarato il Presidente della Commissione Ue, José Maria Barroso “E’ indissociabile dalla strategia di Lisbona, adottata dall’Unione europea per stimolare la crescita e garantire posti di lavoro migliori ai cittadini europei. L’Europa ha bisogno di un’Agenda sociale moderna, che permetta di rispondere rapidamente ai cambiamenti economici e sociali e di potenziare le opportunità, l’accesso e la solidarietà per i cittadini dell’Ue”.

Le iniziative della Commissione europea in materia di occupazione sono costituite da tre proposte di Direttive e dalla pubblicazione sia di quattro documenti, sia di tre Comunicazioni.

La più importante proposta di Direttiva modifica quella sui Comitati Aziendali europei varata nel 1994, legando più strettamente l’operato di tali Comitati ai diritti di informazione e consultazione dei lavoratori8. Vi è poi la proposta di Direttiva del Consiglio europeo che completa la normativa comunitaria in materia di lotta alla discriminazione in base alle convinzioni religiose, alla disabilità, all’età e all’orientamento sessuale9. La terza proposta di Direttiva attua, infine, l’accordo raggiunto fra le parti sociali europee nel 2006 per la messa a punto di tutele del lavoro nel settore marittimo10.

Il primo documento della Commissione Ue fa il punto sull’attuazione dell’accordo siglato fra le parti sociali europee nel 2002 in materia di telelavoro. Un secondo documento riguarda, invece, il contributo dato dalla Commissione europea nei casi di ristrutturazioni aziendali che hanno portato a riduzioni di personale. A questo tema è dedicata, peraltro, una Comunicazione della Commissione Ue, che si occupa del funzionamento durante il 2007 del Fondo per la globalizzazione, istituito con lo scopo di sostenere i lavoratori europei espulsi dal processo produttivo a causa di ristrutturazioni indotte dall’attuale fase di globalizzazione. Di lavoro dignitoso si occupa un terzo documento della Commissione europea: esso rappresenta il follow up della Comunicazione che nel 2006 la Commissione europea ha dedicato a questo tema. Vi è, infine, un documento sugli accordi siglati nelle multinazionali nel contesto di una crescente integrazione internazionale.

Per quanto riguarda le tre Comunicazioni, la prima riassume e chiarisce le opinioni della Commissione europea in materia di occupazione e affari sociali12. La seconda è quella, già ricordata, sul funzionamento del Fondo per la globalizzazione, mentre la terza è dedicata al tema delle pari opportunità e

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13 Il testo della comunicazione “Non discriminazione e pari opportunità: un impegno rinnovato” si trova, in lingua inglese, all’indirizzo http://ec.europa.eu/social/BlobServlet?docId=475&langId=en

rappresenta il follow up delle attività svoltesi nel 2007, Anno europeo per le pari opportunità13.

Secondo la Ces, la nuova Agenda sociale costituisce un progresso molto modesto, anche se alcune iniziative contengono delle buone intenzioni. La Ces sottolinea che, a esempio, sarebbe stato necessario un approccio più ambizioso riguardo la revisione della Direttiva sui Comitati aziendali europei. Positivo è, invece, il giudizio sulla proposta di Direttiva riguardante la lotta alla discriminazione.

 

 

 

 

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