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Casi Laval, Viking, Ruffert

Convegno Cgil in ricordo di Giorgio Ghezzi.

Intervento del Prof. Enrico Gragnoli su sentenza Corte di giustizia

 

Il Convegno Cgil, Ediesse in ricordo di Giorgio Ghezzi, tenutosi a Roma il 25 giugno scorso, dal titolo “ Attività sindacale e diritti dell’economia: un rapporto difficile ( i casi Laval, Viking e Ruffert ), è stata un’importante occasione per riflettere e capire le ripercussioni delle recenti 3 sentenze della Corte di Giustizia Europea, a partire da quella sul caso Laval, che prefigurano preoccupanti scenari sul diritto del lavoro, diritto sindacale, e diritti contrattuali, fino allo stesso diritto di sciopero, nel nostro paese, come in tutta Europa. Le ricadute di tali sentenze rischiano di stravolgere, se non contrastate anche con la pratica sindacale, l’assetto delle relazioni contrattuali e la stessa libertà di sciopero, come garantita dalla Carta Costituzionale.

 

Intervento al Convegno del Prof. Enrico Gragnoli,

Ordinario di Diritto del lavoro, Università di Perugia

 

Un significativo passaggio della sentenza della Corte di giustizia sul caso Laval fa riferimento al fatto che l’esercizio del diritto di sciopero non sarebbe stato giustificato dal perseguimento di fini di interesse generale. Sulla base dei principi italiani di diritto positivo, ma anche in relazione ad una più generale concezione del diritto di sciopero, la sentenza mostra una profonda e preoccupante sostanza illiberale, poiché il diritto di sciopero è espressione della persona e, al tempo stesso, di una dimensione collettiva, che male è stata sottolineata dalla recente giurisprudenza della Corte di giustizia. In quanto diritto della persona e di dichiarata matrice collettiva e sindacale, il diritto di sciopero non richiede alcuna giustificazione, né presuppone il perseguimento di fini di pubblico interesse.

Frutto delle scelte libere delle organizzazioni sindacali e basato sul consenso che la proclamazione riscuote fra i lavoratori, lo sciopero è un diritto che non presuppone alcuna motivazione, in quanto votato al perseguimento delle strategie sindacali, a maggiore ragione qualora sia funzionale a percorsi di negoziato collettivo, come nell’ipotesi esaminata dalla sentenza della Corte di giustizia sul caso Laval. Se così non fosse, sarebbe sacrificata la manifestazione dell’autonomia e dell’organizzazione sindacale e questa sarebbe sottoposta a vincoli o condizionamenti propri degli atti di esercizio dei pubblici poteri.

L’associazione sindacale non ha affatto natura pubblica, né persegue l’interesse generale, ma si colloca per intero nel diritto privato e, quindi, lo sciopero corrisponde alle libere decisioni sindacali, senza condizionamenti che possano provenire dalla disciplina comunitaria sulla libera prestazione dei servizi. Né si può convenire sul fatto che l’esercizio del diritto di sciopero si debba bilanciare con l’interesse delle imprese nei cui confronti è diretto lo sciopero stesso. Infatti, se il diritto italiano conosce fenomeni di bilanciamento dell’esercizio del diritto di sciopero con interessi esterni, come quelli dei cittadini all’esecuzione puntuale dei servizi pubblici, lo stesso non può valere qualora si discute delle aspettative delle imprese nei cui confronti lo sciopero è indirizzato.

In tale caso, l’idea del bilanciamento dello sciopero con le ragioni aziendali ne implicherebbe il totale e definitivo depotenziamento, mentre esso rimane un basilare diritto della persona, nella contrapposizione dei lavoratori all’impresa, in particolare nei diritti interni. Ai sensi dell’art. 137 del Trattato, la Corte di giustizia si sarebbe dovuta basare sul principio di immunità del sindacato, poiché la sua attività è regolata in tema di forme di autotutela collettiva dal diritto nazionale.

 

 

Roma, 14 luglio 2008

 

 

 

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