La formazione continua in edilizia (primi
dati incompleti di sintesi)
( 24 ottobre 2002)
Al di fuori delle attività di formazione continua realizzate dal
sistema Formedil-scuole edili, di cui
si può prendere visione nei materiali dedicati, quello che segue è un tentativo
di fotografare l’attività di formazione continua espletata dalle aziende edili
in diretta connessione con le circolari ministeriali di finanziamento e con i
bandi regionali di attuazione, dal 1997 al 2001. Sarà interessante anche verificare
eventuali intrecci tra tale attività e le azioni di sistema.
Il materiale che segue è costituito da
elaborazioni Isfol sui dati storici delle circolari e su un’indagine
campionaria Abacus, in corso, su lavoratori/imprese e formazione continua.
Questa prima sintesi è ovviamente
suscettibile di prossime modificazioni, sia alla luce dell’evolversi delle
indagini, sia alla luce delle verifiche che dovranno essere da noi fatte
territorialmente.
I materiali completi sono consultabili
sul sito della Fillea ( www.cgil.it/fillea/sito/index.htm) alla voce
“Consulta”.
La circolare del 1997
1754 aziende di cui solo 36 edili (2,1%). 21 azioni aziendali
(2,1%)e 15 pluriaziendali (1,6%). Le prime in Piemonte, Lombardia, Veneto,
Marche, Abruzzo, Basilicata, le seconde in Bolzano, Veneto, Emilia Romagna,
Umbria, Molise.
Le circolari del ’97,
37/98, 139/98, 51/99 ( in parentesi le
tabelle di riferimento)
Su 14.454 aziende coinvolte in azioni di formazione continua
finanziate con le circolari le aziende appartenenti al settore delle
costruzioni sono state 959 (F15), di cui 175 con la prima circolare e 784 con
le altre due. Tali aziende sono il 6,6% del totale (F18), e risultano quindi
sotto-rappresentate rispetto al dato generale (10,1%) delle imprese edili
rilevate nel Censimento generale dell’industria e dei servizi dell'Istat.
Tali imprese sembrano essere dislocate soprattutto nelle regioni
centro-meridionali, soprattutto nel Lazio, in Sardegna e Puglia. In alcune
regioni meridionali tali aziende rappresentano una fetta consistente
dell'universo: è il caso della Basilicata, dove un terzo delle imprese che ha
usufruito della L. 236 appartiene al settore costruzioni, ma anche della
Calabria.
Si tratta soprattutto di azioni pluriaziendali (571)
piuttosto che aziendali (388) realizzate a favore di piccole imprese: queste
ultime rappresentano l'85,8% delle imprese edili, mentre il 12,5% sono medie imprese
e le grandi sono appena 16 casi (1,6%) (7A).
La presenza di piccole aziende, molto alta nel caso della L.
236, è risultata notevole proprio in quei settori che nel tessuto economico
italiano sono caratterizzati da un’elevata incidenza di questa tipologia
imprenditoriale, come quello delle costruzioni (85,8%).
Significative
differenze si rilevano quando si opera la distinzione tra azioni aziendali e
pluriaziendali: se infatti la proposizione della prima forma di intervento
evidenzia una richiesta diretta delle aziende (88,9%), nel caso degli
interventi pluriaziendali il ruolo delle aziende quale soggetto proponente si
ridimensiona notevolmente (1,1%), mentre assumono rilievo gli enti di
formazione (44%), le ATI (23,6%) e le associazioni di categoria (15,2%), e gli
enti bilaterali (9,6%), cioè quei soggetti che le Circolari attuative indicano
espressamente come proponenti preferenziali di questo tipo di azioni formative.
(7C-8C). A questo proposito bisogna indagare se e come si tratti di enti
bilaterali di categoria e associazioni
di categoria del settore o meno.
I progetti presentati dagli enti bilaterali hanno interessato
le aziende del settore delle costruzioni (21,1%) per un totale di 56 imprese);
discreta anche la rilevanza percentuale (20,5%) degli interventi proposti dalle
ATI.
Il contenuto
degli interventi formativi svolti evidenzia la predominanza delle azioni legate
ai temi del conseguimento o mantenimento della certificazione di qualità
(37,6%) e della sicurezza e della protezione ambientale (31,3%) piuttosto che a
quelli dell'innovazione organizzativa e tecnologica.
Si assiste
quindi, in questo caso, ad un'inversione rispetto al dato generale, per cui la
maggior parte delle azioni finanziate dalla L. 236 sono finalizzate
all’innovazione dell’organizzazione aziendale e dell'innovazione tecnologica.
Tale dato si spiega probabilmente con la ridotta dimensione aziendale delle
imprese del settore, che non sembra stimolare una formazione rivolta al
conseguimento di una più corretta suddivisione dei ruoli all’interno
dell’impresa o di una più definita attribuzione delle competenze, né tanto meno
all'adeguamento ad innovazioni tecniche.
E' da notare come
i contenuti relativi alla sicurezza sono soprattutto presenti nelle azioni
pluriaziendali. Infatti, poiché la scelta dell’area tematica da affrontare con
l’azione formativa va collegata all’appartenenza delle imprese coinvolte ad un
determinato settore di attività produttiva, e considerato che il tema della
sicurezza ha incontrato ampia diffusione nelle imprese edili, la sostanziale
condivisione di questo obiettivo da parte delle imprese edili ha reso questa
tematica particolarmente propizia ad essere realizzata attraverso interventi
pluriaziendali. Tali interventi si sono inoltre dimostrati validi anche per lo
svolgimento di corsi sulla qualità.
A riprova di
quanto sopra affermato, rispetto all'esistenza di un nesso tra contenuto
dell’intervento formativo e dimensione delle imprese coinvolte, emerge come, in
generale nell'utilizzo della L. 236, le aziende medio-grandi abbiano
concentrato la loro attenzione sui processi di innovazione organizzativa,
mentre le piccole imprese si siano prevalentemente impegnate nella
realizzazione di azioni finalizzate all’adeguamento alle norme in materia di
sicurezza sul lavoro (15,5%) e al conseguimento della certificazione di qualità
(30,2%.
Non risulta
esserci un particolare legame tra il contenuto dell’azione e il soggetto che se
ne è fatto promotore, ad eccezione di una tendenza degli organismi associativi
a proporre interventi sulla qualità (40,9% per le A.T.I. e 41% per le
associazioni di categoria) e degli enti bilaterali a promuovere la tematica
della sicurezza sui luoghi di lavoro (29%). Quando sono state invece le singole
imprese a farsi carico dell’intervento formativo, il contenuto prevalente è
risultato invece essere quello dell’innovazione organizzativa (38,1%).
Sintesi dell’indagine Abacus su un campione di 5000 lavoratori
(valori ponderati corrispondenti a 1.900.000 lavoratori) ed il loro
atteggiamento verso la formazione.
Solo il 38,1% sono stati
in qualche modo interessati da azioni di formazione continua, di questi 104
edili, il 22,9% del totale edili intervistati. Le aree geografiche sono
praticamente omogenee, con un più nel nord ovest (31,2%) ed un meno nel sud ed
isole (12,2%). Rispetto all’inquadramento la stragrande maggioranza sono
quadri, circa il 30% sono impiegati, mentre la percentuale dei formati rispetto
all’universo particolare degli intervistati scende al 19,1% per gli specializzati
ed al 5,7% per i comuni. In rerlazione all’età la percentuale dei formati è
varia in discesa dal 29,8% per la fascia 16-25 anni al 15,5% per quella
56-65.In relazione all’anzianità lavorativa si registrano percentuali tra 30 e 26% da un anno a venti, per scendere
bruscamente al 16,9% per edili con oltre venti anni di lavoro. La formazione è
prevalentemente in aula o in autoapprendimento, rivolta per lo più alla
sicurezza ed all’informatica, con scelta aziendale o concordata, reputata
utile. Solo il 6,3% si rivolgerebbe al sindacato per la formazione, il 17,3
all’azienda ed il 35,3 non sa. Il 34,6 non sa come è finanziata la
formazione, il 30,3 non ha alcuna disponibilità verso la stessa.