FILCA CISL – FeNEAL UIL – FILLEA CGIL

NAZIONALI

 

Proposte di Modifica al Decreto sui Profili dei lavoratori del restauro

 

 

 

 

Egregio Ministro,

 

come avrà avuto modo di sapere, si è conclusa da poco una campagna di sensibilizzazione, nei confronti dell’opinione pubblica, promossa dai lavoratori del restauro e dalle Organizzazioni Sindacali di Filca UIL, Feneal CISL e Fillea CGIL, finalizzata ad una richiesta di modifica di alcune parti, per noi assolutamente non marginali, del nuovo Decreto sui “Profili di competenza dei restauratori e degli altri operatori che svolgono attività complementari al restauro o altre attività di conservazione dei beni culturali mobili e delle superfici decorate di beni architettonici, adottato ai sensi dell’art.17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n.400 d’intesa con la Conferenza  Stato – Regioni” in elaborazione presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali

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La proposta di Decreto  a noi pervenuta, definisce il profilo di competenza del restauratore di beni culturali e superfici decorate di beni architettonici (definito restauratore conservatore), ed individua i “…contenuti essenziali delle competenze degli altri operatori che svolgono attività conservative, sotto la diretta responsabilità del restauratore, oppure attività complementari essenziali per la corretta realizzazione degli interventi di conservazione in stretta correlazione con l’attività del restauratore o interventi di conservazione.”

 

Comprendiamo e condividiamo la necessità di arrivare ad una definizione di competenze professionali che permettano una qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro, al fine di garantire una elevata qualità degli interventi stessi.

 

E’ altresì condivisibile che la progettazione dell’intervento di restauro debba essere appannaggio di figure che abbiano compiuto un adeguato percorso di studi e pertanto in grado di mettere in atto un complesso di azioni dirette ed indirette per limitare i processi di degradazione dei materiali costitutivi dei beni assicurandone al conservazione.


 

 

 

Riteniamo tuttavia che l’impostazione generale del Documento pervenutoci, come già evidenziato al precedente Ministro Giuliano Urbani, tenda a tutelare solo una  minima parte dei lavoratori del settore, male interpretando e svilendo l’attività realmente svolta da gran parte degli operatori che quotidianamente operano nei cantieri e nei laboratori di restauro conservativo.

 

Il Ministero calcola, come ci è stato riferito, che non vi siano più di 600 restauratori di beni culturali riconosciuti in Italia, mentre secondo una stima sindacale il numero complessivo di questi lavoratori si aggira intorno a 30.000 addetti, considerando anche il numero dei così detti collaboratori restauratori di beni culturali (secondo la definizione data di questi lavoratori nel DM n.294, successivamente modificato dal DM n. 420).

 

Il Regolamento concernente individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici, (Decreto del Ministero 3 agosto 2000, n. 294, così come modificato dal Decreto del Ministero 24 ottobre 2001, n. 420) divideva infatti i lavoratori del settore in restauratori di beni culturali e collaboratori restauratori di beni culturali, distinzione operata in base ai percorsi formativi.

 

In Italia, come sappiamo, esistono tre Istituti Statali di Alta Formazione; l’Istituto Centrale per il restauro di Roma, l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e l’Istituto Centrale di Patologia del Libro con sede a Roma non attivo da anni (a quanto ci risulta l’Istituto per il Mosaico di Ravenna ha ottenuto da poco il riconoscimento da parte del Ministero per i beni e le attività culturali).

In tutto quindi sono stati formati fino ad oggi solo 36 restauratori all’anno unici ad essere abilitati, non solo alla progettazione dell’intervento, ma anche ad operare materialmente sul patrimonio culturale italiano.

 

Questo esiguo esercito di restauratori diplomati non è sufficiente, e non è stato sufficiente, a soddisfare la richiesta di lavoratori nel settore.

Negli anni passati infatti si è assistito ad una crescita  del mercato in questione, cui ha corrisposto una richiesta sempre maggiore di figure professionali adeguate.

La maggior parte dei lavoratori si è quindi formata in scuole private, alcune prive di qualsiasi riconoscimento ufficiale, altre dei veri e propri corsi di formazione professionale indetti o riconosciuti dalle Regioni in base alla Legge 845 (che hanno rilasciato, fino al 2000, Attestati di Qualificazione Professionale  per Restauratore di dipinti).

Vi sono inoltre molti lavoratori privi di formazione specifica che hanno lavorato direttamente nei cantieri avviati alla professione attraverso contratti di ”formazione lavoro”.


 

 

 

Ora visti i numeri è impossibile sostenere, che tutti i lavori di restauro siano stati eseguiti, materialmente, da restauratori diplomati nelle Scuole di Alta Formazione.

D’altra parte basta fare un semplice calcolo: se dalle scuole di Alta Formazione sono usciti dal dopo guerra ad oggi circa 1300 restauratori, come si può pensare che in 65 anni per svolgere tutti i lavori di restauro, fino ad ora eseguiti su tutto il territorio  nazionale, sia bastato l’esiguo numero di diplomati riconosciuti oggi dal Ministero?

I lavori di restauro, fino ad oggi, sono stati eseguiti materialmente da  lavoratori in possesso di percorsi formativi diversi dalle Scuole di Alta Formazione.

Riteniamo pertanto che molta della fama che il restauro italiano gode all’estero è anche grazie a tutti gli operatori del settore che con competenza e professionalità hanno operato nei cantieri di restauro conservativo, la cui certificazione di buon esito dei lavori è stata rilasciata proprio dalle Soprintendenze.

 

 

Il problema della mancanza di strumenti di riconoscimento omogenei delle professionalità operanti nel settore, è un problema che investe tutte le figure che operano nei beni culturali; dall’Archeologo, allo Storico dell’Arte, al Laureato in Beni Culturali, al Tecnologo della Conservazione fino ad arrivare al Restauratore.

Per quest’ultimo però, il problema è ulteriormente complicato proprio dalla mancanza di percorsi formativi chiari e dalla totale assenza di standard formativi di riferimento.

 

La proposta di Decreto, che attua le disposizioni dell’Art. 29 - comma 7 del Codice dei beni culturali e del paesaggio,  in elaborazione presso il Ministero, ci sembra vanificare la speranza di chiudere questa annosa vicenda con soluzioni che non mortifichino ma viceversa puntino a valorizzare le competenze professionali di tutti i lavoratori fino ad oggi coinvolti.

 

Molti sono gli aspetti di questa proposta che non condividiamo.

 

Il nuovo Decreto individua quattro profili professionali, il Restauratore conservatore di beni culturali, l’Operatore qualificato sui beni culturali, l’Operatore specializzato sui beni culturali, altre attività complementari e integrative di conservazione dei beni culturali e delle superfici architettoniche decorate, definendo per il momento solo la figura del Restauratore conservatore di beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici.

Per gli altri operatori vengono individuati solo i contenuti essenziali delle competenze, l’approfondimento di questi profili viene rimandato ad un successivo Decreto da concordare con le Regioni.

Le Regioni dovrebbero formare figure che si dice svolgono un ruolo secondario e caratterizzato da relativa incompletezza, capacità operativa e da relativa capacità tecnica.


 

 

 

 

Noi riteniamo che il  contenuto del profilo professionale previsto per il così detto Operatore qualificato di beni culturali sia basso. Viene di fatto affiancata ad una figura apicale, il Restauratore Conservatore di beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici, una figura dai bassissimi contenuti professionali.

Va inoltre evidenziato che il termine qualificato nel CCNL, da poco rinnovato tra le nostre OO.SS. e le imprese è inferiore allo specializzato.

Per queste figure nel CCNL si è previsto un inquadramento che va dal IV livello, fino al VI, tenendo in considerazione l’attività realmente svolta in cantiere da questi lavoratori.

 

Al comma 6, art.29 del Dl n. 42/2004, si legge che “…gli interventi  di manutenzione e restauro su beni culturali mobili e superfici decorate su beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici sono eseguiti in via esclusiva da coloro che sono restauratori di beni culturali ai sensi della normativa in materia”.

 

Riteniamo in tale proposito che, diversamente dai Decreti Ministeriali precedenti (Decreto del Ministero 3 agosto 2000, n. 294, così come modificato dal Decreto del Ministero 24 ottobre 2001, n. 420), l’attuale decreto non punti ad una crescita delle professionalità presenti nel settore, atteggiamento che a nostro avviso non salvaguarda la qualità degli interventi di conservazione che dovrebbero prevedere, in tutta la filiera del restauro, figure di alto livello (ricordiamo a tale proposito, che per il Collaboratore restauratore di beni culturali era previsto, nel DM n. 420, un percorso di Laurea triennale o l’Accademia di belle arti).

 

Inoltre la descrizione delle competenze professionali previste per la figura dell’operatore qualificato di beni culturali non corrisponde all’attività fino ad oggi svolte dalle figure di collaboratori restauratori nei cantieri e nei laboratori di restauro, dove hanno sempre svolto, sotto le indicazioni metodologiche di un restauratore accreditato presso le Soprintendenze, tutte le operazioni di restauro conservativo, talvolta gestendo interamente il cantiere.

 

Tutti questi lavoratori stanno ancora aspettando che il Ministero attui le Disposizioni transitorie previste dal 2000, per sistemare l’itero comparto e riprese all’art. 182 dell’attuale Codice dei beni culturali e del paesaggio (Dl n.42/2004).

Tali disposizioni hanno dato spazio a numerose problematiche che vanno dall’interpretazione di alcuni passi della norma, alla mancanza completa di indicazioni da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali, su quali azioni materialmente devono compiere le Soprintendenze per fornire “…regolare esecuzione certificata dall’autorità di tutela”, ad un lavoratore che possa dimostrare  di “…avere svolto attività di restauro in rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa con responsabilità diretta nella gestione tecnica dell’intervento…” .


 

 

 

E’ quindi con preoccupazione che valutiamo la decisione di rimandare a successivi provvedimenti la definizione dei profili di competenza per quanto attiene le figure definite “operatori qualificato sui beni culturali”, rimandando così ulteriormente la risoluzione di problemi che per i lavoratori del settore si stanno trascinando da troppo tempo.

Questa situazione di indefinitezza sta inoltre creando seri problemi anche alle imprese che da anii operano nel settore che hanno evidenziato i seguenti punti di criticità:

“Il sistema di qualificazione, agendo retroattivamente su un mercato del lavoro nato su regole diverse, e demandando ad un regime transitorio concretamente inapplicabile in mancanza di ulteriori atti regolamentari (si demanda ad un successivo decreto per la qualificazione  di chi opera nel settore), ha come conseguenze il rischio dell’estromissione dal mercato del lavoro di gran parte dei restauratori operanti e l’impossibilità per le imprese di far fronte alle enormi necessità di recupero espresse dal patrimonio culturale.” 

 

Alla luce di tutti questi ragionamenti chiediamo che la Commissione, che sta lavorando alla stesura della proposta di Decreto, accolga le seguenti richieste di modifica proposte dalla nostre OO.SS.:

 

·  La sostituzione della voce “Operatori qualificato sui beni culturali” con “Assistente restauratore di beni culturali” o con “Collaboratore restauratore di beni culturali” facendo riferimento alla normativa precedente (Decreto del Ministero 3 agosto 2000, n. 294, così come modificato dal Decreto del Ministero 24 ottobre 2001, n. 420), prevedendo una ridefinizione del profilo professionale, non identificando le competenze professionali di questi lavoratori con la generica definizione di “Operatori qualificato sui beni culturali” descritta nell’attuale proposta di Decreto.

 

 

·  Diversamente dal Ministero per i beni e le attività culturali, che non tiene conto di quanto stabilito attraverso i CCNL Edilizia, riteniamo che la figura di supporto al Restauratore conservatore sia fondamentale e di alta professionalità.

Chiediamo quindi che venga riconosciuto “all’Assistente restauratore di beni culturali” di aver fino ad oggi svolto, nei cantieri sui beni culturali mobili e le superfici decorate di beni architettonici e nei laboratori di restauro, tutte le operazioni di restauro, eseguite sotto la supervisione del restauratore conservatore e secondo le sue indicazioni metodologiche, riconoscendo a tali figure un adeguato grado di autonomia nella realizzazione degli interventi (sulla base di quanto già stabilito nel CCNL Edilizia).

 

 

·  Chiediamo l’approfondimento dei profili di competenza “dell’Assistente restauratore di beni culturali”, nella stessa proposta di Decreto attualmente in discussione, realizzando uno specifico Allegato così come già fatto per il Restauratore conservatore.

 

 

·  Che vengano emanati gli standards formativi di riferimento sia per il Restauratore conservatore che per “l’Assistente restauratore di beni culturali” e che entrambi i percorsi siano collegati tra loro per permettere di progredire nella carriera scolastica in modo lineare ed integrato, garantendo la crescita professionale nel settore.

 

 

·  Individuare procedure e criteri di documentazione certificata chiare ed esigibili per i lavori svolti prima dell’entrata in vigore delle disposizioni transitorie, previste dal Decreto del Ministero 3 agosto 2000, n. 294, così come modificato dal Decreto del Ministero 24 ottobre 2001, n. 420 e riprese all’art.182 del DL N. 42/04, per tutti gli operatori del settore e non solo per le imprese.

Controlli finalizzati a garantire che tali procedure vengano rispettate e che queste vengano recepite ed accolte dalle amministrazioni pubbliche. Rimandare ulteriormente l’applicazione delle disposizioni transitorie non fa bene al mercato e non permette un adeguato inserimento di tali professionalità in un mercato europeo che esige una qualificazione delle imprese anche attraverso il ricorso la specializzazione degli operatori.

 

 

Pensiamo che a tutte queste figure va riconosciuto il ruolo svolto in tutti questi anni a sostegno della salvaguardia del nostro patrimonio culturale, lo riteniamo ancor più un dovere morale delle Istituzioni che fino ad oggi hanno lasciato il settore privo di standard formativi di riferimento alimentando illusioni di accesso ad un settore, puntualmente  disattese.

 

 

 

 

 

Roma 20 luglio 2005

 

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