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Pagliarelle  Manifesto e invito Pagliarelle  

 

 

Festa dei MINATORI

Tavola rotonda “I minatori di Pagliarelle: storie di lavoro e di emigrazione”.

Conclusioni di Frano Martini

 

Nell’ambito delle iniziative per la celebrazione del Centenario della CGIL ed in occasione della Festa del Minatore di Pagliarelle, con il patrocinio della Regione Calabria

con il patrocinio della Provincia di Crotone e con l’Alto patrocinio della Presidenza della Repubblica Italiana, venerdì 18 agosto 2006,  si terrà, Piazza dei Minatori,  Pagliarelle – Kr, la Tavola rotonda dal titolo “ I minatori di Pagliarelle: storie di lavoro e di emigrazione”

 

 

 

 

MINATORI, MINIERE E GALLERIE

di  CALABRIA

                                           

Relazione storica

 

La tradizione dei minatori di Calabria è molto più antica di quanto oggi, per via di  tanti luoghi comuni, si possa immaginare. Infatti, il lavoro attraverso cui crebbe e si sviluppò l’arte della costruzione di gallerie e quant’altro assomigli ad essa in termini di scavi per la realizzazione di cunicoli nelle viscere della terra, in profondità orizzontale e verticale, prese avvio man mano che l’uomo scoperse l’utilizzo e il valore dei minerali solidi o liquidi. A dimostrazione di questa tesi ci sono moltissimi elementi che si potrebbero citare, quella che più d’ogni altra riteniamo esaustiva per la pluralità di aspetti concernenti la specificità del minatore, rimane quanto asserito in una dichiarazione di 120 anni fa dalla massima Autorità in campo minerario. Il responsabile del Corpo Reale delle Miniere d’Italia, per quel che riguardava la Calabria aggiungeva: “ … trovate poco a Sud di Reggio, le vestigia di una fonderia di rame (primo metallo estratto e sfruttato dagli uomini primitivi) … furono scoperte delle gallerie strettissime, capaci da dar passaggio ad un solo uomo, scavata a scalpello. In esse si trova del carbonato di rame … dal di sotto dei sovrastanti terrazzi dell’Aspromonte …”.

E seppure sappiamo bene che l’iniziativa per la quale stiamo a discutere in questa tavola rotonda tratta delle condizioni dei minatori edili addetti agli scavi e alle perforazioni delle moderne gallerie, il profilo storico di questa categoria di operai ci conduce a tempi remotissimi.

La figura del minatore, dunque, non è il prodotto della moderne tipologie del lavoro, magari professionalizzatosi o specializzatosi con l’epoca della rivoluzione industriale, ma è una figura professionale che ha ben altra origine. Di essa, potremmo ben dire, si ha notizia con l’origine della civiltà, ovvero da quando l’uomo imparò ad usare per la sua alimentazione l’uso razionale dei beni naturali esistenti sul globo terrestre e per abitazione a costruire le sue spelonche nelle rocce. Un solo esempio su tutti, l’uso del salgemma, oppure, per altri versi, la realizzazione delle caverne come abitazione. 

Tuttavia, per avere una idea di quanto fosse praticata l’arte estrattiva e lo sfruttamento dei minerali in questa regione, è sufficiente ricordare per il momento i risultati del censimento realizzato dal Ministero dell’Ambiente in merito ai siti minerari abbandonati dal 1870 ad oggi. Da questo censimento viene fuori una realtà costituita da ben 60 siti, di cui 29 miniere a cielo aperto e 31 nel sottosuolo, mentre per la tipologia dei minerali si hanno i seguenti siti: 17 di zolfo, 16 feldspati, 7 caolino, 7 mica, 6 marna per cemento, 5 manganese, 3 salgemma, 3 lignite, 2 lignite xiloide, 2 pirite, 1 silicati idrati alluminio, 1 barite, 1 fosforite, 1 limonite, 1 quarzo, 1 molbidenite, 1 grafite, 1 arsenopirite e 1 cinabro.

E se dai dati del censimento prima citato, secondo noi parziali, emerge un quadro consistente della ricchezze naturali esistente nel sottosuolo calabrese, il decreto del Ministero delle attività produttive del 13 luglio 2005 documenta ulteriormente l’antica ricca realtà mineraria di questa regione. Con quest’ultimo decreto, infatti, si integrano le aree calabresi indiziate per la ricerca mineraria, allargandole in provincia di Cosenza, perciò che concerne i siti di minerali di oro, piombo, rame e zinco, e in provincia di Reggio Calabria, estendendoli negli antichi siti di Bivongi e Pazzano, per i minerali di molibdeno.

Proprio quest’ultimo sito, per la storia millenaria che ruota intorno alle miniere di minerali di ferro, ci introduce nella tradizione antichissima delle attività in cui maggiormente il contributo degli operai addetti alle opere estrattive e alle figure dei minatori calabresi si contraddistinguono per essere professionalmente e sindacalmente anticipatori di processi, cui la generalità del mondo del lavoro ebbe approccio iniziale alla fine del XIX e, quindi, successivamente nell’intero ‘900 del XX secolo. Si tratta, infatti, dei siti minerari nei quali per oltre mille anni si sviluppò l’attività umana del cavatore che, man mano che si svilupparono le tecniche della perforazione e realizzazione di gallerie, assunse sempre e meglio la definizione del moderno minatore.

Il maggiore periodo di splendore del sistema Minerario metallurgico calabrese, che ruotava intorno al complesso ricadente nel vasto territorio di Stilo e Mongiana, si ebbe appunto tra il 1750 ed il 1860. Infatti, nel 1749, Carlo di Borbone, per poter introdurre moderne tecniche e metodologie di scavo delle gallerie e delle miniere fece pervenire dalla Sassonia e dall’Ungheria un gruppo di tecnici e di esperti. Cosicché, in quell’anno, proveniente dall’Accademia di Freyberg, arrivò il professore tedesco Hermann e l’esperto Ungherese Fuches. Gli studi furono fruttuosi al punto che, già nel 1753, diretti dal tedesco Bruno M. Schott, fervevano i lavori di ammodernamento  delle attività estrattive. Così, alle gallerie delle miniere che prendevano il nome di grotta della Sellara, grotta della Regina, grotta del Perrone e grotta di S. Venere, intorno al 1797, dopo i devastanti movimenti tellurici del 1764 e del 1783, ad opera dell’esperto Melograni (1) vennero aperte le nuove gallerie denominate Carolina, Principe Ereditario e San Ferdinando.

In quel periodo, si è intorno al 1804, la paga legata prevalentemente al sistema del cottimo risultava per i minatori pari a 4 ducati per ogni cantajo di minerale lordo estratto (un cantajo = a 80 Kg.).

La consistenza degli operai in attività nelle variegate gallerie delle miniere e delle saline, se si considera che nel solo comparto di Pazzano nel 1803 risultano impiegati 140 unità, per una quantità di minerale estratto che si aggirava intorno ai 14.000 quintali, per lo stesso periodo si può indicare per l’intera regione la presenza di almeno 2.000 minatori.

All’inizio del XIX secolo, il rilancio che fece del comparto minerario-metallugico calabrese della Mongiana uno dei maggiori comparti industriali della penisola italiana, si ebbe con l’avvento napoleonico nel 1806, allorché Giuseppe Napoleone e Gioacchino Murat puntarono nel comparto minerario di questa regione per il rilancio economico dello Stato napoletano. Sicché, intorno al 1809, il generale Ritucci, cui era affidata la direzione del comparto industriale calabrese, per sopperire la carenza di minatori nella zona dell’Appennino delle Serre calabre e dell’Aspromonte chiese al Ministero delle Finanze, da cui dipendevano allora le miniere, che gli venissero inviati “i cavatori” delle soppresse saline di Nieti e di Altomonte, in provincia di Cosenza..

Altra documentazione storica, che avvalora la tesi secondo cui la Calabria oltre ad essere la regione col più alto tasso di sismicità fosse anche una regione tra le più ricche di depositi minerari metallici e litoidi, ci conduce ad altra tipologia di remote esperienze del minatore calabrese. Si tratta, infatti, del nucleo di minatori cresciuti intorno alle miniere di zolfo e a quelle del salgemma.

Così, infatti, per quanto riguarda lo zolfo, tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento del secolo scorso, San Nicola dell’Alto, nel crotonese, poco distante da Pagliarelle, in virtù dei suoi giacimenti di zolfo poteva ritenersi tra i comuni più industrializzati della regione. La miniera più antica di San Nicola è quella che ha per nome “Prato degli Arnagi”; essa, per i vasi antichi di terracotta, le monete, i cesti ed altri materiali ritrovati nel rifacimento degli antichi cunicoli sotterranei delle miniere di Calcarella e di Santa Domenica, risale probabilmente all’epoca greco-romana.

Per quanto riguarda, invece, il periodo a noi più vicino, si hanno notizie documentarie dell’utilizzazione a carattere industriale dell’estrazione di zolfo sin dal 1870. Talché, nel 1879, la ditta Labate di Reggio Calabria, aumentando le attività estrattive, riprese a esplorare altri siti; egli, quindi, scavò una nuova galleria, cui diede il nome di San Giuseppe. Il Labate nella circostanza, tuttavia, fece arrivare anche dalla Sicilia e dalla provincia di Cosenza molti operai esperti nella lavorazione delle miniere. I nuovi arrivati si stabilirono nel comune di San Nicola dell’Alto facendo propri i costumi, le tradizioni e la lingua del loro nuovo domicilio.

Nel 1939, cosicché, in località Carbonara, furono scavate due gallerie dalle quali vennero fuori anche 40 quintali di petrolio.

Nel 1941 le attività della miniera si estesero ulteriormente per via di una convenzione stipulata dal Comune con la Società Esercizio Solfare. 

La miniera di Santa Domenica, che restava in ogni caso in territorio di Melissa, nel 1955 occupava 330 operai, di cui 180 risiedevano nel Comune di San Nicola dell’Alto. Per una serie di circostanze negative, tra le quali lo scoppio con un incendio che provocò la morte di un operaio e di altri feriti, la società che gestiva la miniera nel 1957 chiuse le attività con il conseguente licenziamento dei minatori. I 180 minatori Sannicolesi, non trovando occupazione nella zona, emigrarono prevalentemente in Toscana.

Sempre nel crotonese, un’altra miniera si trova nel territorio di Strongoli, luogo anch’esso non molto distante da Pagliarelle, che negli anni ’50 del secolo scorso, arrivò ad occupare più di 200 minatori e, di questi, circa 150 risiedevano nel Comune di San Nicola e gli altri comuni del circondario. Ancora oggi la miniera occupa circa 25 operai, mentre gran parte di quelli che ivi trovava occupazione nella metà del secolo scorso dovette emigrare nelle regioni del Nord Italia. Per completare il quadro delle maggiori attività minerarie calabresi, non può non citarsi la miniera di salgemma di Lungro,  in provincia di Cosenza; essa, peraltro, risulta essere stata una delle più antiche della penisola italiana e, comunque, fu una di quelle rimaste in attività fino al 1976. Si pensi che di questo grande distretto salino dai “cristalli balbini” ne fa menzione Plinio allorché egli era Prefetto della flotta romana di istanza a Misseno. Sempre di questa salina fanno riferimento documenti dell’anno 1154, del 1468 e, dunque, del 1825 quando, ad opera dell’Ufficiale di genio Gregorio Galli, fu ideato il primo pozzo verticale di 81 metri che migliorò le condizioni igieniche della miniera. La miniera in quel periodo constava di quattro gallerie su quattro piani che si raggiungevano scendendo e salendo ben 1200 gradini ricavati nello stesso sale, così come dello stesso sale rimanevano le volte e le parati. Soltanto nel 1850 le gallerie di quella miniera furono consolidate con pilastri in muratura al punto che, successivamente, i lavori di ammodernamento dei metodi estrattivi e la stessa coltivazione del salgemma, resero l’antica salina un vero e proprio “tempio sotterraneo di architettura”. In termini occupazionali, nel 1880, più di 400 operai di Lungro lavoravano nella miniera, mentre per maggiore sicurezza nel 1881 fu fatto costruire un nuovo pozzo di estrazione ad una profondità di 250 metri, grazie al quale si poté risolvere anche il problema della ventilazione delle quattro gallerie. Esse, infatti, disposte su quattro diverse profondità, furono tutte collegate: la galleria “Via dei Plinii” a 77,75 m., a seguire, la “Speranza Terza” a 103 m. di profondità, la “Magliani” a 150 m. e  la “Garibaldi” a 200 m.. Il sale estratto, prima della costruzione della linea ferrata per i carrelli e la costruzione dell’ascensore, in condizioni umane miserissime, veniva trasportato in galleria a spalla dagli operai fino a raggiungere l’esterno. Poco prima che la salina venisse chiusa, proprio trentenni fa, nel 1976, dava ancora lavoro a circa 300 operai .

E’ da questa storica esperienza di miniere e gallerie che, a parer nostro, in grande misura prese corpo l’esperienza del lavoro degli operai edili addetti alla perforazione del sottosuolo di montagne, colline e quant’altro necessario per la realizzazione di gallerie per l’estrazione di minerali, per la realizzazione delle strade ferrate, di strade normali e, di poi, quindi, di  autostrade e oggi dei vari tratti di Tav.

Si è intorno al 1880, qualche anno dopo l’inaugurazione dei 13,6 km di galleria ferroviaria del Frèjus  allorché, nel realizzare la tratta ferroviaria Eboli – Reggio Calabria, iniziarono anche i lavori per la realizzazione di numerosissime gallerie in tutta la fascia tirrenica della penisola calabrese. Si tratta di un percorso di circa 350 Km, durante il quale si contano, tra grandi e piccole, numerosissime gallerie. Il lavoro dei minatori calabresi chiamati a perforare le granitiche rocce, delle cui indescrivibili fatiche e di quanti pagarono con la vita la mancata sicurezza cui furono costretti ad operare centinaia e centinaia di minatori, s’è persa traccia. La sua riproposizione, invece, consente di poter fare memoria della lunga tradizione cui appartengono i minatori calabresi odierni, che sono disseminati in tanti luoghi dell’Italia e del Mondo. 

Ma prima di passare a tratteggiare le condizioni dei minatori di oggi, dai quali l’associazione nata a Pagliarelle trae origine e motivazione culturale, è necessario fare memoria anche del contributo di lotte sociali, cui i minatori calabresi hanno dato luogo partendo dalla necessità occupazionale come elemento esistenziale. Si tratta delle lotte popolari che hanno contraddistinto il periodo iniziale del ‘900, del secolo scorso, e cioè le lotte sviluppatesi tra il febbraio e l’aprile del 1902, allorché le popolazioni intere di San Marco Argentano e di Castrovillari, in provincia di Cosenza, insorgono contro i ritardi e la mancata costruzione del tratto ferroviario che portava a Lagonegro; oppure allo sciopero dei 30 minatori della miniera di lignite di Donnici Inferiore (Cs), che il 27 ottobre 1917 incrociarono le braccia per rivendicare la riduzione dell’orario di lavoro da 10 a 8 ore giornaliere e all’aumento del salario. Lo sciopero, in quell’occasione, fu represso dall’intervento dell’esercito.   

Di notevole fatica anche la realizzazione del tratto ferroviario interno, denominato “Ferrovia Transilana”, che ebbe inizio nei primi anni del ‘900 del secolo scorso. I lavori proseguirono a rilento per molti anni, affidati alla Mediterranea Calabro-Lucane ebbero termine nell’ottobre del 1922 con l’apertura della linea ferrata Cosenza – San Pietro in Guarano, nel 1931 la tratta arrivò fino a Camigliatello Silano, nel 1956 i lavori terminarono con la stazione di San Giovanni In Fiore, mentre il tratto che avrebbe dovuto raggiungere Petilia Policastro non venne mai realizzato.

 

Successivamente, in Calabria, grandi lavori di perforazione di montagne e la consequenziale costruzione di gallerie si ebbe con il raddoppio della tratta ferroviaria Battipaglia – Reggio Calabria, realizzata intorno alla fine degli anni ’60, inizio anni ‘70 del secolo appena trascorso, e dell’autostrada A3, Salerno - Reggio Calabria, terminata anch’essa nel corso dei medesimi anni ’60, inizio anni ‘70. Nell’uno e nell’altro caso, immane rimane il sacrificio in vite umane immolate sull’altare della modernizzazione del sistema viario del Paese, causate però, nella stragrande maggioranza dei casi, per la mancata realizzazione delle opere necessarie a rendere i cantieri più sicuri dal punto di vista della sicurezza. Nella stazione di Vibo-Pizzo, dove il primo treno della nuova tratta percorse i binari il 21 settembre 1973, campeggia una targa ad imperituro ricordo dei 73 operai caduti per infortuni sul lavoro.

Altro lavoro consistente, per la lunghezza della galleria che supera i tre Km, riguarda la trasversale Ionica-Tirrenica nel reggino, terminata negli anni ’80.

 

Pagliarelle di Petilia Policastro (KR), grazie all’opera di Pietro Mirabelli, dal 2001 ha costituito un’Associazione dei Minatori che oggi, soltanto in questo addentrato paese situato sulle falde della Sila, conta più di 700 aderenti, di cui oltre 500 ancora in attività. E’ un record in assoluto, se si pensa che la sua popolazione oggi non conta più di 1400 anime. Dei 500 minatori in attività, seppure il grosso dei lavoratori di Pagliarelle attualmente opera nei cantieri dell’Alta Velocità ferroviaria fra Firenze e Bologna, ha una dislocazione così distribuita per cantieri e indicazione territoriale: 150 unità per la Tav BO – FI, 100 unità per la Cavtomì, 100 per la Tav Svizzera, 6 in Islanda, 10 in Austria, altri 100 sono occupati per la Variante del Valico.

Ma se a Pagliarelle la popolazione attiva che svolge la funzione di minatore è quasi interamente dedita a questo lavoro, almeno una quarantina di paesi calabresi sono interessati al fenomeno migratorio con addetti nel settore. Da una prima indagine, i paesi di maggiore provenienza, risultano i seguenti: Petilia Policastro, Cotronei, San Giovanni in Fiore, Laino Borgo, Tortora, Acri, Botricello, Celico, Pizzo Calabro, Crotone, Cosenza, Castrovillari, Luzzi, Montalto Uffugo, Rogliano, Scigliano, Coslosimi, Bocca di Piazza, Serricella, Spezzano Albanese, Spezzano Piccolo, Aprigliano, Locri, Ardore, Piano Lago, Roccabernarda, Cerenzia, Rocca di Neto, Caccuri, Mesoraca, Petronà, Altilia, San Nicola dell’Alto, Belvedere Spinello, Sellia Marina, Gimigliano, Bianchi, Cirò, Attilia Grimaldi, Paola, Gioia Tauro.

Dei circa 2.000 moderni minatori calabresi, il grosso è utilizzato nei cantieri della TAV, moderne tratte ad alta velocità che, per l’appunto, per raggiungere lo scopo per le quali vengono introdotte nel moderno sistema dei trasporti, sono realizzate in grandissima parte in galleria.

Un plastico esempio di questa moderna tipologia sono i lavori nel Mugello, laddove la Tav, costituita da circa 78 Km di tratta ferroviaria ad alta velocità tra Bologna e Firenze, è quasi interamente realizzata in galleria. Per la realizzazione di questa opera, dove ormai si lavora da sei anni, non solo si sta perforando l’intero Appennino applicando il massimo delle tecnologie di cui si è a conoscenza, ma si sta concretizzando la sperimentazione di un modello contrattuale innovativo nel comparto dell’edilizia cosiddetto “a  ciclo continuo”, ovvero si lavora sette giorni su sette e 24 ore su ventiquattro. Si tratta di turni di lavoro di 8 ore, che a rotazione tutti i lavoratori effettuano per una settimana di mattina, poi per un’altra settimana di  pomeriggio e, dunque, di notte; durante lo svolgimento del turno i minatori hanno nel primo caso un riposo di un giorno, nel secondo caso di due e, infine di tre giorni, durante ai quali i nostri minatori calabresi rientrano nel proprio paese.

Quello che più pesa ai nostri minatori è il contesto di isolamento rispetto ai centri abitati della zona, nel quale sono costretti a vivere distribuiti su tre campi base nel Mugello. E seppure il CAVET, il Consorzio di cui è capofila la Fiat, sarebbero del tutto autosufficienti, il problema della socialità di cui l’umana specie ha bisogno primario per ora non è per nulla risolto.

Eppure, a guardar la situazione dei minatori di circa duecento anni fa, quelli che proprio nelle gallerie delle miniere di ferro delle nostre terre di Calabria sono stati i padri o comunque i precursori diretti dei minatori di oggi, la quantità di ore del turno di lavoro è rimasta quella di allora, otto ore, così come il cosiddetto “ciclo continuo”, che comunque si attuava periodicamente; infatti, allora si svolgeva su due turni in quanto alle ore 23,00 in ogni caso doveva terminare il turno di notte (2). Le migliori condizioni di vita ed i confort dei campi base dei cantieri di oggi, dunque, sono il prodotto dell’avanzamento tecnologico; così come, la riduzione delle fatiche fisiche dei minatori sono il prodotto delle moderne attrezzature ottenute grazie ai progressi raggiunti dalla ricerca scientifica. Condizioni salariali, aspetti normativi e diritti previdenziali, nonostante le grandi conquiste ottenute dal sindacato unitario negli ultimi quarant’anni, non sono per nulla commensurabili in termini di redistribuzione per unità di prodotto rispetto ai costi ed i benefici che oggi si hanno in rapporto a quelli di quell’epoca.

 

Infine, è importante comunque chiarire che almeno due aspetti peculiari connotano le lotte dei lavoratori calabresi, sia se trattasi dei lavoratori della terra, braccianti e contadini, sia se si tratta del lavoratore nelle sue funzioni di operaio nelle variegate specializzazioni: il primo aspetto riguarda la lotta per il riconoscimento della dignità del lavoro in termini di orari, ambiente e sicurezza del posto del lavoro, delle retribuzioni e di quant’altro viene definito come aspetto “normativo, contrattuale e previdenziale”; in secondo luogo, invece, sin dalla nascita dello Stato unitario, tra le altre questioni esistenziali per le masse calabresi vi è la lotta per il lavoro, ovvero la lotta ad avere anzitutto un lavoro nel proprio paese, nella propria provincia o quanto meno nella propria regione. Quest’ultimo aspetto, da oltre 146 anni, ha dato origine a quella condizione politico-economico strutturale meglio conosciuta come “Questione Meridionale” da cui discende

 

l’altra storica condizione, che ha finora coinvolto nel tempo milioni di calabresi, conosciuta con il termine di “Emigrazione”. 

Partendo proprio da questa realtà, nel corso di oltre un secolo e mezzo, lavoratori tradizionalmente dediti all’attività di minatori sviluppano, tramandandolo di generazione in generazione, una peculiare attitudine di operai specialisti nel campo della perforazione del sottosuolo che, per l'appunto, viene conosciuto con il nome di minatore. Il minatore, dunque, non è soltanto un lavoratore che si aliena in questa occupazione soltanto per necessità, ma è un operaio che, dalla lunga storia precedentemente riferita, per millenaria tradizione sviluppa ed affina il suo ingegno perché in questa attività realizza la sua condizione di appartenenza al luogo di origine e nobilita la sua specialità lavorativa per realizzare nel campo minerario e, di poi, nelle gallerie, quel ruolo di protagonista nello sfruttamento di tutte le risorse naturali per migliorare economicamente, socialmente e culturalmente la condizione materiale ed immateriale della comunità di donne e di uomini di cui egli fa parte. 

 

                                                                                                                  Michele Furci

                                                                                                Direttore Archivio Storico Cgil Calabria

 

Luglio 2006

 

 


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