Conferenza stampa di fine anno.
I LAVORI A FIRENZE
Arriviamo
alla prima verifica della stagione dei Project Financing con l’apertura
dei due parcheggi di piazza ghiberti e piazza beccarla. L’assessore
Biagi ha definito Firenze e le altre città impegnate nella finanza di
progetto come “il luogo dove si sta sperimentando il più grande processo
di trasformazione sociale e territoriale dal dopoguerra a oggi, ha
definito queste città come un laboratorio di progettazione con lati
negativi e positivi”.
Sono
portata a condividere con Lui questo giudizio, e sicuramente le
infrastrutture di cui si doterà la Firenze del 2010 (parafrasando il
piano strategico) sono imponenti, quelle ancora in fase di realizzazione
o da avviare: interventi nell’edilizia sanitaria – careggi, iot, mayer,
torregalli, santa maria nuova, etc., alta velocità ferroviaria, altri
parcheggi: piazza alberti (700 posti), area ex fiat (1600 posti), parco
urbano nella stessa area, l’università, palazzo di giustiza, 1 e 2°
lotto, terza corsia, variante di valico, variante di castello con la
scuola dei marescialli dell’arma e 2500 nuovi appartamenti oltre ad
altre infrastrutture e un parco di 80 ettari, la stazione Leopolda.
Altri interventi di edilizia residenziale, le tante ristrutturazioni,
gli interventi sui beni vincolati: sul nostro patrimonio artistico e
architettonico.
Questi
imponenti investimenti attrarranno nella nostra città lavoratori e
imprese del settore edile provenienti da ogni parte d’Italia o
dell’Europa (comunitaria e non), verso cui Firenze sembra aver perso la
sua vocazione migliore. I lavoratori che opereranno in questi cantieri
chiedono attenzioni straordinarie se guardiamo ai dati già oggi
evidenti di irregolarità e tasso infortunistico nel settore.
L’ACCORDO CONFEDERALE DEL 16 DICEMBRE
Il
recente Accordo per il patto per lo sviluppo sostenibile, la coesione
sociale, l’integrazione firmato il 16 dicembre con Confindustria, le
piccole imprese e le associazioni artigiane da CGIL, CISL, UIL, il
tavolo aperto in Prefettura su sicurezza e legalità e quelli da aprire
con altre stazioni appaltanti sono un’occasione che il settore non può
permettersi di perdere.
I
MIGRANTI
La
forte presenza di lavoratori non italiani, soprattutto in edilizia, deve
farci riflettere sui loro bisogni primari, non solo di lavoratori,
esempio la casa: un diritto oggi negato dall’alto costo, dagli affitti
troppo alti, dalle discriminazioni. Una vera politica di accoglienza e
di integrazione parte anche da qui. (punto 4 delle buone pratiche del
patto fiorentino)
La casa
rappresenta oggi la più importante delle condizioni dell’inserimento
degli immigrati, certamente la più critica, (parliamo di un 6% - 80.000
- della popolazione residente nella provincia) di un 35% regolari
occupati nel settore delle costruzioni (considerato che il settore conta
almeno un 40% di irregolari quel dato è sottostimato). E’ evidente
l’importanza del fattore abitativo nel produrre inserimento o esclusione
di queste popolazioni. Da un lato la ricerca di un alloggio stabile e
adeguato è una naturale conseguenza del passaggio alla seconda fase
dell’immigrazione: la stabilizzazione di notevoli quote di popolazione
immigrata, la crescita della componente familiare (per ricongiungimento
o per formazione di nuove famiglie), le progressioni individuali e i
tentativi di miglioramento della propria condizione, la diversa
composizione dei nuovi arrivi.
Dall’altra la maggior domanda di abitazioni urta contro la cronica
ristrettezza dell’offerta, e contro il relativo peggioramento che nel
frattempo si è verificato nei termini del mercato dell’affitto.
IL
SETTORE A FIRENZE
A Firenze operano oltre 2000 aziende con circa
15000 lavoratori iscritte agli enti bilaterali di settore; di questi
15000 lavoratori il 35% sono non italiani: 5250. Degli altri 10000 il
40% arriva da fuori regione, in prevalenza dal mezzogiorno (Campania,
Calabria).
Di queste aziende iscritte (molte di
provenienza extraregionale) circa 300 non versano regolarmente la Cassa
Edile per i loro dipendenti (evadono norme contrattuali e legislative).
Quanti
lavoratori perdono parti significative del contratto nazionale di lavoro
senza nemmeno saperlo, perché non sanno che deve arrivargli un assegno
della cassa a dicembre, uno a luglio, e dopo due anni di presenza nel
settore uno entro il 1 maggio.
Quanti
di questi diritti, che sono costati oltre 200 ore di sciopero per la
costituzione della cassa edile e della scuola edile di Firenze vengono
persi?
Quanti
dei lavoratori interessati conoscono il meccanismo e sono consapevoli di
quello che perdono sul piano del salario e dei diritti?
L’evasione delle norme contrattuali e legislative in materia di diritto
del lavoro è il sintomo più evidente di un settore MALATO, dove fra
l’altro si registrano ancora tassi di infortuni (compreso quelli
mortali) insopportabili. In una recente intervista il Dott. Petrioli
della Azienda Sanitaria 10 ci ricordava che se si rispettassero le norme
già oggi esistenti avremmo il 90% di infortuni in meno.
Ci
ricordava però nella stessa dichiarazione quanto sia difficile per il
servizio intervenire date le ridotte dimensioni delle imprese e
soprattutto l’impossibilità di intervenire sul lavoro autonomo.
Anche per
queste ragioni noi siamo particolarmente preoccupati di un fenomeno che
sta assumendo connotati numerici importanti a cui serve una adeguata
politica di orientamento e di informazione, mi riferisco al proliferare
di aziende in campo edile, ma non solo, il cui titolare o socio è un
cittadino non italiano (spesso ex lavoratori del settore, regolarizzati
con la Bossi-Fini, convinti dai facili guadagni promessi dalle imprese
più grosse locali a lavorare in proprio o costituendo piccole società).
Il
dato:
dato CCIAA a giugno n. 1687 imprese edili il cui titolare o socio non è
cittadino italiano, di queste 704 sono albanesi, 395 rumene, etc. Nel
2002 erano 1073.
IL RUOLO DELLA COMMITTENZA
Così come
risulta con sempre più evidenza operando sul territorio, soprattutto
attraverso la vertenzialità individuale che molte delle imprese in
subappalto (quelle che dovrebbero garantire quella specializzazione che
la legge consente di subappaltare e che devono essere autorizzate dal
committente) sono in realtà dei semplici prestatori di manodopera,
in violazione del divieto di intermediazione.
Spesso i
lavoratori non sanno nemmeno con chi hanno un rapporto di lavoro,
conoscono il nome di chi li ha ingaggiati, lavorano nel cantiere senza
conoscere l’impresa principale (magari sono loro dipendenti, ma i soldi
li prendono da qualcun altro).
Questa
fotografia è semplice da mettere a fuoco. Basta soffermarci su alcuni
particolari, soprattutto basta che tutti i soggetti coinvolti in un
appalto (dal committente fino all’ultima impresa impegnata) facciamo
semplicemente quello che la legge prescrive loro anche in termini di
controllo e verifica.
I dati
sulle vertenze fatte dalla Fillea di Firenze e dagli uffici confederali
nella provincia parlano di irregolarità, che con un controllo attento
nel cantiere della Direzione del Lavoro o del Responsabile Unico del
Procedimento sarebbero facilmente individuabili e sanabili.
Il
Direttore dei lavori con un controllo puntuale delle presenza in
cantiere (che gli compete per legge), una verifica documentale non
formale di tutte le procedure (soprattutto in fase di autorizzazione del
subappalto) potrebbe davvero ridurre il fenomeno. Dove si fa i risultati
si sono visti e anche purtroppo la reazione delle imprese interessate
dai controlli più accurati. Siamo arrivati alla diffida verso il
committente dall’utilizzare “certi personaggi”.
LE
VERTENZE
Il
dato:
totale 510 vertenze nel 2004, il 75% di migranti, di cui 100 per
allontanamento dal cantiere (licenziamento), 171 per differenze
salariali dovute ai lavoratori, 83 su istituti contrattuali e
legislativi non applicati o applicati irregolarmente (cassa edile,
legislazione sugli appalti, contratti a termine, bossi-fini), 55
conteggi su buste paga, 80 pratiche per fallimento, 3 pratiche di
mobbing, 18 provvedimenti disciplinari. Di queste 147 chiuse in sede
sindacale, chiamando in causa spesso anche l’impresa titolare
dell’appalto o la committenza, 14 passate al legale, 102 abbandonate dai
lavoratori, dopo il mancato accordo in sede sindacale o all’ufficio del
lavoro, le altre sono ancora aperte.
Altro
esempio di cosa offre questa città nel settore è un cantiere alla
periferia della città (recupero dell’area ex SMA), venuto alla ribalta
della cronaca nell’estate, perché alcuni cittadini ne avevano
evidenziato la modifica ambientale della collinetta, per noi è l’esempio
più critico delle condizioni attuali degli edili in questa città e delle
grandi contraddizioni che convivono nel bisogno evidente di dotarsi di
nuove realizzazioni, in tempi certi e con costi certi e dall’altro i
diritti, la sicurezza, la trasparenza nella realizzazione.
In quel
cantiere opera una impresa venuta dalla Romania con tanto di lavoratori
propri, reclutati per l’occasione, arrivati direttamente da quella
nazione utilizzando una norma del nostro ordinamento: art. 27 lettera i
della legge sull’immigrazione, detta distacco. La norma attuale prevede
che ai lavoratori venga rilasciato un regolare permesso di soggiorno,
per la durata della loro fase lavorativa e nel rispetto dei contratti e
delle leggi del nostro paese (che loro però non conoscono).
Ingenuamente pensavamo che questa fosse una occasione importante per
rispondere al bisogno cronico di manodopera nel settore, spesso
denunciato anche dalle associazioni di rappresentanza imprenditoriale.
La procedura ha rispettato quanto prescritto dalla normativa, compreso
la sigla da parte del sindacato delle costruzioni e dalle imprese
coinvolte di un accordo sindacale.
Segnalo due questioni: hanno un permesso vincolato a quel lavoro e non
parlano la nostra lingua.
Fin da
subito abbiamo provato a dialogare con loro, perché avessero la
conoscenza dei diritti, del contratto, della nostra legislazione, con
molte difficoltà. E’ certamente servito che si potesse dialogare con un
loro connazionale, che ci ha aiutato a capire meglio cosa realmente
avvenisse nel cantiere, e soprattutto a quali condizioni loro si erano
vincolati prima di partire firmando contratti individuali (orari e
salari non conformi alla nostra normativa) scritti nella loro lingua.
Questo lavoro è stato lungo e difficile e soprattutto è venuto
chiaramente allo scoperto quando uno di loro ha scelto di andarsene dal
cantiere. Questo ci ha consentito di fare una denuncia alla Procura
della Repubblica documentata, e alla fine di discutere con l’azienda e
il committente per recuperare quanto era stato sottratto ai lavoratori,
che oggi in maggioranza non sono più nel cantiere.
Nella
denuncia noi abbiamo definito questa situazione come una nuova forma di
schiavitù.
Le condizioni ci sono tutte, vivono nel cantiere, non sono integrati,
non parlano e non capiscono la nostra lingua, non conoscono le norme e i
contratti, vengono da un paese lontano (non geograficamente, ma
sicuramente culturalmente, soprattutto rispetto alla cultura sindacale).
Quanti
casi ci sono come questo che non conosciamo in città? Se penso alle
vertenze individuali descritte prima, ho già la risposta: TROPPI. E
coinvolgono con sempre più frequenza lavoratori non italiani,
oggettivamente più deboli perché nemmeno conoscono le norme e i DIRITTI.
Fra
l’altro nel caso specifico del distacco (art. 27 lett. i) se passa la
proposta di direttiva della Commissione Europea sui servizi nel mercato
interno, attualmente all’esame del Consiglio dei Ministri dell’Unione
Europea nonché del Parlamento Europeo (conosciuta con il nome di
Direttiva Bolkestein) le cose possano anche peggiorare perché lì si
prevede che in casi questi tipo basti dimostrare di applicare la
legislazione e la contrattazione del paese di provenienza per poter
lavorare il un paese della comunità europea.
Quale
mercato del lavoro stiamo preparando per le generazioni future? Sarà
davvero possibile far convivere nello stesso cantiere lavoratori
trattati con tante differenze?
CHE
FARE:
·
contrattazione di anticipo,
prima dell’apertura di quei cantieri di cui ogni giorno ci occupiamo,
per le questioni di impatto ambientale, per i ritardi e i costi, per le
questioni di impatto sulla popolazione. DOBBIAMO OCCUPARCENE ANCHE
GUARDANDO A CHI CI LAVORA, ai loro diritti.
·
migliore coordinamento dei servizi ispettivi.
Il tavolo aperto con la prefettura è una buona occasione che non
possiamo disperdere, altrimenti continueremo solo a registrare fenomeni
di illegalità e nessun diritto in più o nessun lavoratore in più sarà
conquistato ad uno stato di diritto
·
migliore e più efficace controllo della committenza,
anche alla luce di nuove norme legislative, penso al Documento Unico di
Regolarità Contributiva, Decreto 276/03 a cui tutti si devono attenere
fin dalla fase della predisposizione della gara di appalto, e nel caso
di lavori privati nel rilascio della concessione edilizia. E’ una norma
in più, che non aggiunge niente al lavoro che già è possibile fare,
volendolo fare
·
maggiore responsabilità del sistema delle imprese,
dove violazioni e soprusi avvengono quotidianamente, non stiamo parlando
di Marte, stiamo parlando di fenomeni presenti nei nostri cantieri e
presumibilmente sotto gli occhi di ognuno di noi.
CONCLUSIONI
Questa
città, non merita questo imbarbarimento, rischiamo di perdere tutti,
Firenze rischia di perdere la sua identità altrochè di tradire la sua
storia.
Non
possiamo accontentarci di vedere finire le opere, di vederle costare
poco, anche in termini di vite, con poco disagio per noi tutti.
DOBBIAMO
PRETENDERE CHE SIANO FATTE NEL RISPETTO DEGLI UOMINI E DELLE DONNE CHE
LE REALIZZANO.
Questo è
l’esempio da lasciare ai nostri figli.
Che
almeno ci insegni la storia: sono passati più di 100 anni da quando il 2
giugno del 1901 sul giornale “La Difesa” si commentava la morte di un
lavoratore edile per il crollo di una impalcatura con queste parole:…….
“il
ripetersi di simili fatti dolorosi costituisce una vergogna ed una colpa
per chi ha il dovere di salvaguardare la vita degli operai sul lavoro,
la quale dopo tutto costa per lo meno quanto quella dei ricchi. Ma è
inutile quando si tratta di queste non si fanno inchieste, non si
ricercano i possibili responsabili di una catastrofe che, con una più
accurata sorveglianza, avrebbe potuto essere evitata.”
Parole di
straordinaria attualità, buone per il commento nell’immediatezza di un
evento tragico.
Quante
morti dovremo commentare perché si acquisisca il valore della vita umana
a cui tutti devono prestare le loro energie????
Quanti
ragazzi albanesi, marocchini, rumeni, dovremo ancora vedere costretti
come schiavi nei cantieri di questa città prima che si levi forte e
solidale un grido di protesta???
Quanto
pensiamo possa resistere il modello Toscano se non fa i conti con queste
contraddizioni???
Il Natale
ci ha portato la firma di un protocollo fondamentale, ora tocca a noi
saperlo rendere l’occasione per incassare in termini di qualificazione
del sistema delle imprese un po’ di quel valore aggiunto e per marcare
la distanza dal passato.
Un
passato recente che per la Fillea ha gli occhi e le mani di uomini non
italiani a cui la differenza sta costando l’indifferenza, nel
migliore dei casi; i soprusi e l’umiliazione in troppe circostanze sotto
gli occhi di tutti noi.
Per
queste ragioni, ma soprattutto per dare la giusta continuità al lavoro
fatto fin dai primi scioperi degli edili fiorentini nel 1860, per
conquistare salari più equi e condizioni di lavoro migliori, che la
Fillea si impegnerà in una capillare azione contrattuale in tutti i
maggiori cantieri auspicando di trovare interlocutori attenti e
rispettosi dei patti siglati, attraverso la contrattazione di anticipo
ogni volta che ci sarà consentito, attraverso le denuncie e il lavoro
quotidiano per la difesa dei diritti dei lavoratori comunque.
Il Segretario Generale Fillea-CGIL
(Manola Cavallini)
Firenze
li, 28 dicembre 2004