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La Fillea di Reggio Calabria si costituisce parte civile

Procedimento penale contro la ditta Falco s.a.s. per la morte di un operaio edile

 

 

Il 26 luglio 2003 a Riace ( RC ) in un cantiere della ditta Falco sas, in seguito ad un incidente sul lavoro muore Antonio Barletta, operaio edile di 37 anni.

Quella del giovane lavoratore Claudio Antonio Barletta, in uno stato che ha dato al principio della tutela dei lavoratori rilevanza costituzionale, è una morte pesante come un macigno, pesante, d’altronde, come tutte le altre numerose morti sui luoghi di lavoro.

Quanto accaduto al giovane Barletta assume però una particolare gravità.

Innanzitutto perché egli è morto, lasciando una moglie trentenne e due figli in tenera età, in un cantiere per la realizzazione di un’opera pubblica, lì dove quindi maggiore avrebbe dovuto essere il rispetto concreto e non solo formale delle condizioni di sicurezza dei lavoratori.

Perché è morto mentre lavorava in un cantiere, in cui la violazione della normativa antinfortunistica e di tutela dei lavoratori era sistematica e totale.

Perché è morto, dopo un’agonia durata quasi dieci minuti, schiacciato e completamente ricoperto da una frana di terriccio e ghiaia mentre lavorava in uno scavo profondo oltre due metri e largo appena 60 cm, che se realizzato e messo in sicurezza secondo le prescrizioni di legge non sarebbe mai franato.

Quella del lavoratore Claudio Antonio Barletta è inoltre una morte particolarmente grave perché le condizioni di totale insicurezza del luogo di lavoro che l’hanno determinata sono le stesse in cui tutti gli altri dipendenti della Falco s.a.s. prestavano la propria attività lavorativa nel cantiere di Contrada Iannino.

Alla luce dei fatti, la tragica e prevedibile morte del lavoratore Barletta deve essere comunque letta come l’ennesima conferma, non solo, di una totale assenza di condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro, ma anche di una sostanziale impunità di tutti coloro che tali condizioni di sicurezza dovrebbero garantire e tutelare, primi fra tutti i datori di lavoro.

È chiaro, infatti, di fronte alla situazione esistente sul cantiere edile in cui il Barletta ha perso a soli trentasei anni di vita, che su tale sostanziale impunità si faceva affidamento.

Perché si fa certamente affidamento in una sostanziale impunità se, come sul cantiere della Falco, si realizzano scavi di trincea profondi oltre due metri privi di qualsiasi armatura provvisoria o definitiva, nonostante la legge prescriva, per evitare appunto il verificarsi di frane, la loro messa in sicurezza; se, come sul cantiere della Falco, i materiali di risulta dello scavo, in cui i lavoratori si trovano ad operare, vengono ammassati sul ciglio dello stesso, nonostante la legge lo vieti espressamente; se in presenza di aperture così profonde nel suolo, come quelle esistenti sul cantiere della Falco, non viene allestito alcun parapetto che eviti la caduta dei lavoratori al loro interno, nonostante la legge prescriva la disposizione di parapetti alti oltre un metro; se il Barletta lavorava sul cantiere della Falco sfornito di qualsiasi dispositivo individuale di sicurezza e solo con indosso un paio di bermuda dimessi, nonostante la legge imponga al datore di lavoro di fornire ai propri lavoratori attrezzature ed indumenti idonei a tutelarne l’incolumità.

Se su una sostanziale impunità non si fosse fatto affidamento e se, allora, quanto previsto a tutela dei lavoratori dalla legge fosse stato rispettato, Claudio Antonio Barletta non sarebbe morto.

La gravità dei fatti ripropone la questione della tutela dei lavoratori sui luoghi di lavoro, della loro stessa incolumità fisica, ma ancora con maggior forza ripropone l’esigenza di un intervento a loro tutela.

Esigenza che diventa una vera e propria necessità in una regione in cui alla sistematica violazione dei diritti sindacali e previdenziali e nella quale da sempre il lavoro sommerso e comunque sottopagato è una costante che raggiunge livelli allarmanti nel settore edile.

Settore, quest’ultimo, in cui maggiore è il silenzio degli stessi lavoratori di fronte alla violazione dei loro diritti, perché qui è maggiore il ricatto della precarietà del lavoro e più frequente, dati i rilevanti interessi economici che gravitano soprattutto intorno al settore degli appalti pubblici, la presenza sottesa delle organizzazioni criminali.

Oggi l’indifferenza verso la morte di Claudio Antonio Barletta significherebbe indifferenza verso tutti quei lavoratori che nelle condizioni in cui egli ha perso la vita continuano silenziosi a lavorare; acquisterebbe il senso di una imperdonabile rinuncia alla loro tutela concreta; significherebbe solamente attendere che, caduto da un’impalcatura, schiacciato da un mezzo o sepolto da una frana, un altro lavoratore muoia di una morte prevedibile ed evitabile.

 

Reggio Calabria 20 gennaio 2005                                                                                          Achille Scarfò

                                                                                                                                             Segretario Generale

                                                                          Fillea Reggio Calabria

 
 

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