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La Fillea Cgil e la Facoltà di Architettura della Sapienza di Roma su “Disagio abitativo e nuove poverta’”.

Una ricerca sul problema abitativo in Italia,  nuova emergenza sociale.

 

Il problema abitativo nel nostro Paese, dopo oltre un decennio di disattenzione, interessa di nuovo studiosi, politici e parti sociali ed assume sempre più una  connotazione emergenziale. La convinzione che il disagio abitativo riguardi  segmenti ridotti e particolari del corpo sociale (parte della popolazione in affitto, anziani, immigrati) e che la gran parte della popolazione, proprietaria della propria abitazione (circa il 70%), sia al riparo da questa tipologia di disagio, è assolutamente superata. Le analisi più aggiornate tendono infatti  a dimostrare come sia cresciuta negli anni recenti l’incidenza dei costi abitativi sul reddito delle famiglie italiane e di conseguenza cresca il disagio.

Questi i temi affrontati in un convegno sul tema  “ Disagio abitativo e nuove povertà”,  durante il quale è stata presentata una ricerca realizzata dall’Architetto Alessandra Graziani, ricercatrice del Dipartimento Innovazione tecnologica dell’ Architettura e cultura dell’ambiente “ ITACA”, dell’Università La Sapienza di Roma.

Con la fine della Gescal, la tassa che finanziava il Fondo per l’edilizia economica e popolare,  non c’è stato,  come avrebbe dovuto esserci, il trasferimento alla fiscalità generale del finanziamento per l’edilizia sociale.

Il problema è stato aggravato dal fatto che è aumentata nel Paese per quantità e qualità la fascia di povertà,  che non può permettersi né l’acquisto di una casa, né  un affitto i cui valori assoluti sono ormai superiori a quelli di  uno stipendio. La patrimonializzazione sta allargando la fascia sociale interessata all’affitto, che non è più un problema delle famiglie monoreddito, ma si allarga al ceto medio che ha visto in questi anni corrodere il potere di acquisto del proprio stipendio con un mercato degli affitti sfuggito a qualsiasi controllo.

Dalle stime della Banca d’Italia risulta che nel 2002 il 28,5% delle famiglie italiane, pari a oltre 6 milioni di famiglie, ha sperimentato  una situazione di disagio abitativo, consistente nella esposizione a costi abitativi fortemente incidenti sul reddito familiare.

Il disagio è concentrato soprattutto nelle aree urbane densamente popolate e risiede all’interno della piccola borghesia e della classe operaia.

Negli ultimi anni però, anche i proprietari hanno cominciato  ad essere interessati da nuove forme di disagio legato all’abitazione di residenza.

In un’ indagine svolta a gennaio 2005 da “Intesa Consumatori”, si evidenzia come servano 20 anni di lavoro per comprare un’abitazione di 90 mq. Dal 2001 i prezzi sono saliti del 40%, le retribuzioni dell’11%, gli affitti sono aumentati negli ultimi cinque anni del 46,8%, con una spesa media annua di oltre 1300 euro.

Le tipologie familiari maggiormente colpite da gravi forme di disagio sono le famiglie mono reddito e monoparentali con figli minori (31,4 e 8%), ed i single, sia in età lavorativa che anziani (13,7 e 11,8%).

Le previsioni sull’andamento del fenomeno nel breve-medio periodo sono preoccupanti.

Il 70% degli intervistati mostra preoccupazione per l’aggravarsi delle forme di disagio abitativo legate all’incapacità del mercato di rispondere alle esigenze abitative primarie delle fasce più deboli della popolazione. Tra gli esperti che prevedono conseguenze negative sul mercato, l’80% giudica consistente l’aggravamento delle condizioni di disagio abitativo che si avranno sulla popolazione.

Inoltre continuano a crescere i prezzi delle abitazioni, le previsioni delle principali agenzie specializzate; Nomisma, prevede un aumento dei prezzi delle abitazioni nuove del 7,03% nel 2004 e del 4,4% nel 2005.

Alla luce di questa situazione è necessario e urgente affrontate le tematiche delle strategie da adottare per fronteggiare l’emergenza abitativa nelle grandi aree metropolitane; occuparsi degli strumenti fiscali, finanziari e creditizi per l’accesso all’abitazione in proprietà o in affitto, della  fattibilità di un programma nazionale per l’edilizia abitativa nuova e di recupero manutentivo e, infine, discutere della dismissione del patrimonio abitativo pubblico, che aggrava le condizioni di nuove povertà.

Per rispondere  al problema abitativo  occorrono risorse pubbliche e alcune soluzioni urbanistiche virtuose che possono adottare i Comuni per creare una integrazione di risorse private a quelle pubbliche.

Negli ultimi anni abbiamo assistito in Italia al fermo dell’intervento sul rinnovo del patrimonio immobiliare pubblico,  privato e sulla stessa manutenzione. Invece di  finanziare progetti di trasformazione urbana, sono stati definanziati i Contratti di Quartiere,  i programmi di trasformazione e recupero urbano, lo stesso tetto del 2% alla spesa delle amministrazioni locali ha bloccato molti progetti, perché questi programmi hanno la caratteristica di avere un piano finanziario basato su partenariato pubblico – privato.

La connessione fra questi strumenti urbanistici e gli interventi per l’edilizia sociale sta nel fatto che,  all’interno di questi Programmi Urbanistici,  possono essere ritagliati delle quote di patrimonio immobiliare da destinarsi all’affitto sociale, in un contesto ambientale idoneo ad evitare i ghetti,  che altrimenti si possono creare con l’edilizia del nuovo costruito.

Insieme alla esigenza di uno stocks di abitazione da destinare all’affitto c’è il problema della manutenzione del patrimonio delle abitazioni degli ex IACP che in molte parti del Paese è in condizioni di inciviltà.

 

 

 

Roma 29 aprile 2005

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