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MARTINI
Come sindacato, abbiamo pensato di proporvi questo confronto perché ci muove la consapevolezza che le difficoltà, le preoccupazioni, la crisi di cui da un pò di tempo si va parlando, al di là poi di come questa vuole essere quantificata, è indubbiamente una tendenza che ci preoccupa, e ci preoccupa soprattutto perché sta dentro un contesto che va oltre i confini locali e sicuramente non aiuta; però a noi muove la consapevolezza che questa crisi non è un fatto ineluttabile, non è una condanna, la crisi non è inevitabile, la globalizzazione non è necessariamente una iattura, i cinesi non sono per forza degli extraterrestri che stanno invadendo le nostre aree produttive. Certo c’è un mondo nuovo con il quale dobbiamo fare i conti, ci sono delle difficoltà vecchie e nuove che ci complicano la vita, ma non siamo condannati a subire tutti questi processi. Il nostro punto di vista è che dalla crisi non solo ci possiamo difendere, che è già qualcosa di utile e di importante, ma il nostro punto di vista va oltre l’esigenza di aprire un ombrello protettivo rispetto alle difficoltà e alle tensioni che sono alimentate dal contesto delle difficoltà internazionali. Anzi queste stesse difficoltà, la stessa crisi, come spesso è accaduto nella storia del nostro paese e nella storia di tanti settori produttivi, può anche essere un’opportunità per stimolare, per sollecitare nuove spinte, nuove dinamiche anche creative. Ci si difende anche contrattaccando: ecco noi riteniamo che la miglior difesa in questo caso da problemi molto complessi come quelli di fronte ai quali ci troviamo, è proprio quella che non nega la necessità anche di ripensare a un proprio sviluppo per mettere in gioco quelle che sono certezze consolidate nel tempo. A chi fa paura la globalizzazione, l’internazionalizzazione e le sfide e quindi i mercati? Soprattutto a chi ha paura del cambiamento, ma questo è un fatto trasversale, non è una nozione che appartiene a una delle parti in campo. Generalmente il futuro fa paura a coloro che pensano di coniugare il futuro sempre con la nicchia dentro la quale si sono costruite delle certezze, degli equilibri che a volte vanno messi in discussione per effetto di dinamiche che prescindono dalla nostra volontà. Ecco allora, se è vero come è vero, che il vento può essere cambiato, forse non siamo ancora alle grandi bufere, però a maggior ragione è bene fiutare per tempo il cambiamento, che noi dobbiamo affrontare con l’ambizione di uscire possibilmente ancora più forti da come lo siamo stati e da come lo siamo. Certo il tema è particolare perché la realtà è particolare e perché questo paese è anche la somma di tante realtà particolari, però questa nostra convinzione è fatta anche di un altro concetto molto forte che noi abbiamo chiaro nella mente. Certo il sindacato rappresenta una parzialità degli attori in campo, come ognuno di noi. Noi rappresentiamo il mondo del lavoro, essenzialmente il lavoro dipendente anche se lo facciamo assumendo il valore dell’interesse generale, come sempre spesso abbiamo cercato di fare, qualche volta ci è riuscito di più qualche volta di meno. Però di una cosa siamo convinti sempre di più, e a maggior ragione di fronte a sfide come queste: e cioè, che la nostra forza, la forza di tutti ma anche il successo degli obiettivi che ci proponiamo sta nella capacità di stare insieme. Qui non c’è nessuno che da solo può vincere una battaglia come questa, credo di questo siamo tutti convinti o abbastanza consapevoli. Lo scopo del ragionamento che abbiamo fatto stamattina è anche quello di rafforzare questa convinzione. Non c’è un “si salvi chi può” che può salvare qualcuno, perché sarebbe pura sopravvivenza, dal fiato corto. Noi invece vogliamo mettere in campo una prospettiva di lavoro, di iniziativa che assicuri una possibilità di risposta positiva alle sfide che abbiamo davanti e che valorizzi tutte le risorse di cui dispone una realtà come questa. Quindi questa sfida è possibile vincerla se valorizziamo la componente importante del valore aggiunto di cui disponiamo, che si chiami distretto o che si chiami in un altro modo, cioè, lo stare insieme nel senso della promozione di iniziative, di proposte, di interventi che appartengano al fare concreto di ognuno di questi attori in campo, senza rinunciare naturalmente ognuno al suo mestiere. Per noi il distretto ha questo valore, è essenzialmente la forza della coesione, la forza dell’integrazione delle risorse, quella del tener insieme tutte le opportunità che ha fatto della realtà omogenea come quella distrettuale in tante parti del paese la forza della nostra economia. Qui mi pare giusto sottolineare un elemento che è venuto fuori dalla discussione, onde evitare di uscire da questo confronto con l’idea che il sindacato propone una linea di autosufficienza. E’ chiaro che molto dipende da noi, molto dipende dagli attori che stanno in campo nell’area distrettuale, ed è chiaro che il futuro di Pesaro come il futuro di altri ancora dipende da tutto quello che potremo fare insieme. Ma è certo che molto dipende anche da quello che succede a qualche km di distanza da qui. Nel dire e nel fare tutto quello che abbiamo detto di fare stamattina siamo consapevoli di mettere in campo concretamente una risposta in termini anche rivendicativi, di promozione di una iniziativa che punti a modificare una politica generale che non aiuta il conseguimento di questi obiettivi. Il sindacato qualche mese fa unitariamente ha fatto uno sciopero nazionale contro la crisi economica generale, per un nuovo sviluppo perchè come qui è stato detto e ricordato siamo un paese senza politica industriale, dove da anni non ci si occupa più del motore dell’economia. Inoltre, siamo un paese dove vi è una crisi verticale dei consumi, ed è quindi ovvio chiederci chi dovrà poi consumare i prodotti di cui discutiamo, e soprattutto siamo un paese nel quale non si sa se e quando di queste cose potremmo occuparci perché non sono all’ordine del giorno. Vorrei che si sapesse che il tentativo che abbiamo fatto con le associazioni degli imprenditori di questo settore per coinvolgere il governo in una discussione mirata sui problemi del settore non ha prodotto nulla. Non siamo riusciti ancora dopo mesi e dopo qualche anno, tentando anche di giocare d’anticipo rispetto a problemi che potevano e potranno precipitare sul settore, a mettere in agenda, e a portare su un tavolo argomenti come quelli dei quali abbiamo parlato stamattina. Qui c’è bisogno di mettere in campo politiche, di attivare interventi concreti e questa iniziativa darà forza a questo nostro approccio alle problematiche. Noi non siamo un sindacato che fa solo lo sciopero, perché poi ci rimbocchiamo le maniche e vi proponiamo, insieme, di costruire dei percorsi concreti per intervenire sulle difficoltà del paese. Allora altra parola chiave: distretto, distretto sì distretto no? Il problema è che alla fine rischia di essere un falso problema perché in realtà dietro a quella parola vi sta un modo di intervenire e governare i processi. Si può anche immaginare un declino del distretto italiano così coma l’abbiamo conosciuto e studiato. Temo però che per intervenire su realtà come questa il declino delle politiche distrettuali non può essere inteso come esaurimento delle politiche di integrazione, di coesione e di valorizzazione comune delle risorse. Noi in questo siamo “condannati” positivamente, favorevolmente a valorizzare quello che è il valore aggiunto del distretto, cioè la forza della coesione economica e sociale dei soggetti e degli attori in campo. E allora qui viene fuori quella che è forse la parola chiave che più rappresenta il concetto che come sindacato abbiamo rappresentato questa mattina che è qualità. Può sembrare banale perchè tutti oggi parlano di qualità, ma è veramente banale parlare di qualità oggi? In realtà noi oggi continuiamo a incontrare, nei tavoli dove siamo coinvolti, attori economici che pensano di poter reggere la sfida dell’internazionalizzazione con la strategia di riduzione dei costi;quindi non è banale insistere sul fatto che la via maestra è quella della qualità, che poi è quella dell’impresa e del lavoro oltre a quella dei sistemi. Allora le politiche distrettuali per eccellenza sono le politiche che implementano il tasso di qualità che è presente all’interno dei sistemi produttivi e istituzionali. Facciamo alcuni esempi, primo: per noi un moderno sistema di relazione sindacali rappresenta una risorsa, per fortuna qualcuno se ne sta accorgendo oggi dopo che è stato distrutto in buona parte il patrimonio concertativo in questo paese. Un moderno sistema di relazioni sindacali è una risorsa, la concertazione locale è una risorsa perché porta del valore in più, perché responsabilizza gli attori. Oggi uno dei fattori prevalenti della crisi è la de - responsabilizzazione degli attori in campo, questo è il punto (in alcuni casi addirittura con il sostegno normativo, come nell’edilizia dove le modifiche introdotte alla normativa sugli appalti rischia di alimentare un grave processo di de - responsabilizzazione nel luogo di produzione). Il problema è che se noi non invertiamo questa tendenza investendo sul processo di responsabilizzazione delle parti sociali è ovvio che alla fine rischiamo di non valorizzare il patrimonio di cui disponiamo. Un moderno sistema di relazioni sindacali serve anche a questo e in questo senso valorizza il ruolo di tutti a partire da quello delle istituzioni. Nell’ambito di una politica distrettuale il ruolo delle istituzioni non solo non è secondario ma è molto importante. Io non sono un imprenditore naturalmente, ma ogni tanto cerco per fare meglio il mio mestiere di mettermi nei loro panni, e credo che sia vera la sensazione di abbandono molto diffusa tra le imprese e tra gli imprenditori in alcuni casi, sempre più frequente. Credo veramente che l’impresa che è in questo mare sempre più agitato del mercato e dell’economia, avverta molto l’assenza di un sostegno complessivo. Quando noi diciamo che manca una politica industriale, per fare un esempio, pensiamo al fatto che manca una politica complessiva di governo dell’economia. Noi diciamo indirettamente che un industriale che deve fare il suo mestiere non ha riferimenti utili per poter fare al meglio il suo mestiere, non gli unici riferimenti ma alcuni riferimenti importanti che sono il tracciato di rotta, gli obiettivi, strumenti, risorse e così via. Ovviamente le istituzioni locali non possono sostituirsi a quella che è una funzione generale del governo dell’economia e qui io credo vadano apprezzate le parole dei rappresentanti delle istituzioni locali che sono intervenuti questa mattina. Nella dimensione locale è importante perché ci consente la valorizzazione di quella funzione, quella di rimettere in campo quello che è un contesto fondamentale per sostenere le politiche di qualificazione di aree-sistema come queste, e cioè la programmazione locale dello sviluppo, perché oggi in Italia rischia di non esistere più una programmazione a tutti i livelli. Noi abbiamo la necessità di mettere in campo gli strumenti, gli obiettivi e quindi le dinamiche che caratterizzano la programmazione dello sviluppo a partire da quello locale, perché altrimenti è ovvio che in sua assenza tutta una serie di esigenze qui giustamente declamate e sottolineate, dalla politica dell’infrastrutturazione alle reti di servizi, rimarrebbero pura rivendicazione. Questo è un punto importante che consente anche un rapporto fondamentale con le centrali della ricerca e della formazione, con l’università, rapporto sul quale anche i sindacati stanno investendo. Per noi è importantissimo perché sempre più oggi la ricerca di soluzioni ai problemi comporta il coinvolgimento di competenze. Noi non possiamo improvvisare la risoluzione complesse, di problematiche quindi soprattutto nel campo della ricerca e della formazione del capitale umano per noi questo è un rapporto fondamentale.
Altra parola chiave è impresa: perché se qualità significa ruolo delle istituzioni, qualità è anche dell’impresa e del lavoro, però innanzitutto dell’impresa. Potremmo rischiare di dedicare qualche supplemento del convegno a questo capitolo, perché spesso noi sappiamo di quale impresa parliamo. Mi capita spesso di ascoltare i rappresentanti delle associazioni e notiamo questo: che il mondo dell’impresa che da loro ci viene descritto non coincide esattamente con quello che quotidianamente troviamo strada facendo. Questo intanto si presta ad una considerazione simpatica perché spesso il sindacato viene messo al centro di una polemica sul suo effettivo livello di rappresentanza, mentre scopriamo che è un tema di tutti. Vi prego di credermi che le imprese che noi conosciamo tutti i giorni non sono tutte esattamente coincidenti con il mondo che voi descrivete, questo lo dico perché è ovvio che noi siamo per apprezzare e sostenere le imprese che coraggiosamente fanno le scelte e accettano le sfide di qualità, resta tuttavia una dimensione del mondo d’impresa che esprime un livello di contraddizione elevato sulle quali bisogna intervenire. Quando si chiede al sindacato di orientare i lavoratori verso comportamenti c.d. virtuosi (lo si è fatto molto nell’epoca delle politiche di risanamento del paese e lo si continua a fare), questo vale per tutti, vale anche per le imprese?. Ma alla domanda quanti imprenditori fanno la formazione? Sicuramente la faranno in tanti, però non so se è un investimento altrettanto considerato come quello del lavoro dipendente. Quando arriviamo a fare i conti a saldo di cicli congiunturali favorevoli, cicli di crescita che per tre, quattro, cinque anni hanno caratterizzato l’andamento di alcuni settori del nostro sindacato e scopriamo che nonostante questi periodi di crescita l’impresa mediamente resta ancora piccola e sottocapitalizzata. E qui il problema non è di fare l’impresa più grande, ma di sviluppare politiche di aggregazione tra imprese per le quali noi spesso facciamo fatiche enormi per reperire risorse creditizie che spesso se ne vanno non per progettare il futuro dell’impresa ma per sopravvivere quotidianamente. E noi tutti i giorni ci troviamo di fronte a questa realtà che ovviamente è un problema serio, per poi connettere le risorse che possono essere mobilitate ad un progetto complessivo di qualificazione del sistema dell’impresa. Bisogna che da qualche parte questo deficit che ci deriva dal prevalere della piccola dimensione lo affrontiamo fino in fondo con politiche efficaci di rafforzamento dell’impresa stessa, o altrimenti bisogna prendere atto che questo è un elemento che ci indebolisce. Allora vanno messi in campo tutti i necessari processi di aggregazione che aiutano il sostegno perché altrimenti tutto ciò si scarica sul terzo fattore che è il lavoro, che nonostante il sospetto della maturità del settore (perché spesso si sente dire che questo settore segue la dinamica dei settori più maturi) con gli oltre 300000 addetti, quindi con una presenza di capitale umano non indifferente, resta uno dei fattori prevalenti della produzione, quindi, uno dei fattori di impresa sul quale bisogna investire di più. Per tutelarlo, perché contrariamente a quello che si pensa non è vero che quelli che più si fanno male sono solo nell’edilizia, perché il settore del legno è un settore che ha un alto tasso di infortuni e un altissimo tasso di malattie professionali, e quindi se il lavoro è un capitale importante per l’impresa va tutelato non può essere distrutto (esagero, per capirsi) va innovato e quindi la formazione deve essere una scelta vera perché anche io credo ad una cosa che qui è stata detta, che ci sono sfide molto importanti che dovrebbero essere colte anche come risposta alla crisi. E’ stato fatto riferimento alla biotecnologia, questo peraltro è un settore che si presterebbe positivamente a intervenire sull’integrazione del processo, cioè dal taglio dell’albero al prodotto finale, inserendo all’interno del processo anche scelte innovative dal punto di vista dei nuovi confini e delle nuove frontiere delle biotecnologie e dei biomateriali (tra l’altro il ciclo di produzione nostro non è da meno di altri quindi potrebbe essere un settore importante e va valorizzato). A Pesaro dove ho fatto delle assemblee per la piattaforma contrattuale, all’interno delle vostre imprese, ho notato che non solo vi sono tanti lavoratori e lavoratrici, non più solo italiani, ma ci sono anche tante professionalità che non vengono valorizzate; e questo non è solo un problema che produce un danno limitando la propensione al consumo, ma produce un danno ancora maggiore perché è ovvio che la conseguenza della mancata valorizzazione professionale del lavoratore o della lavoratrice anche qui come spesso succede in altri settori è che per trattenere la forza lavoro bisogna investirci sopra, magari in forme poco trasparenti e regolari. E allora ecco perché non era banale dire che la qualità è un tema sul quale bisogna insistere, dobbiamo cercare di capire perché dopo sei mesi non può essere rinnovato un contratto di lavoro dove le parole chiavi sono appunto l’investimento sul capitale umano e dove la risposta che ci viene data è paradossale. Cioè di fronte alla globalizzazione , di fronte alla internazionalizzazione, di fronte ai cinesi che dovrebbero atterrare dappertutto, di fronte a quello che abbiamo detto, la strategia più efficace che si possa mettere in campo è aumentare le flessibilità a quelle che già esistono. Discutiamo, può darsi che qualche cosina in più si possa fare, ma lo dico per dire un’altra cosa, cioè tutto precipita su questo? Tutto un ragionamento come quello che abbiamo provato a fare questa mattina precipita sul fatto che se non c’è un x per cento in più di flessibilità non c’è possibilità d’uscita dalla crisi? Io estremizzo per dire che dobbiamo ovviamente essere realisti sulle cose e quindi per questo io credo che andrebbe anche apprezzato uno sforzo come quello che abbiamo fatto in questo convegno, e che in altre realtà abbiamo fatto nel corso degli altri mesi, vada apprezzato come il contributo di un soggetto che non solo si preoccupa di rappresentare corporativamente una parte, perché ci compete come mestiere, ma farlo in ragione anche di un progetto di sviluppo e di qualificazione del settore, come quello che qui a Pesaro è fortemente rappresentato, sapendo che ci sono le potenzialità. Quando ho fatto le assemblee con gli amici e i colleghi che mi hanno accompagnato, ho parlato anche con gli imprenditori che non sono esclusivamente preoccupati dei cinesi, perché a detta loro il mondo non casca perché sono arrivati i cinesi. Non c’è nessuno stravolgimento se prevale ovviamente la capacità di valorizzare le risorse da poter mettere in campo. Giustamente la cucina che può essere progettata e prodotta in questa realtà qualche colpo potrà subirlo dal fatto che i cinesi impareranno anche loro, però è ovvio stando dentro la nicchia il rischio è maggiore mettendo in campo tutto quello che abbiamo detto c’è qualche possibilità in più. Non è un fuori tema perché se si rinnovasse il contratto rapidamente daremo un segnale che ci crediamo perché lo facciamo mettendo in campo anche questo esercito che è l’esercito delle professioni, di chi quel prodotto deve contribuire a farlo con quella qualità maggiore. Credo che tutto questo rappresenterà una volontà di continuità perché dei convegni di solito si fanno gli atti, però la continuità più concreta alla quale noi pensiamo è quella di far rimbalzare questi orientamenti nei comportamenti concreti di ognuno di noi e quindi producendo atti concreti nei rapporti bilaterali o nei rapporti concertativi nell’area distrettuale. Questa è la nostra ambizione. Anche per questo ringrazio tutti coloro che hanno portato un contributo e credo che possiamo rimboccarci le maniche e proseguire positivamente su questa strada. Venerdi 4 giugno Pesaro |
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