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Franco Martini (Fillea Cgil): “Basta con i cantieri di nessuno”

L’illegalità e gli infortuni devono essere sconfitti con nuove azioni

 

 

Per arginare il fenomeno delle morti bianche in edilizia non serve modificare le norme esistenti, ma è utile attivare un’azione sinergica di tutti i soggetti che operano nel settore delle costruzioni per sconfiggere questa piaga che nella sola Unione Europea vede ogni anno morire 1.200 edili. Bisogna fermare questo massacro non solo con le parole, ma con i fatti.

 

E’ quanto sostiene il Segretario Generale della Fillea Cgil, Franco Martini,  intervenuto oggi al convegno organizzato da Ministero del Lavoro presso l’Auditorium dell’Inail, sul tema “Sicurezza nei cantieri e regolarità contributive”.

La Settimana europea sulla sicurezza – continua Martini - rappresenta la consapevolezza che il settore sia dal punto di vista quantitativo che per la gravità degli eventi rappresenta ancora uno dei settori più a rischio del mondo del lavoro in Europa e ha davanti a sé la prospettiva di un possibile, ulteriore peggioramento della situazione relativa alla salute e sicurezza.

La catena legata alla vita di un cantiere, dall’apertura alla sua gestione quotidiana, è rimasta quella tradizionale ed in alcuni casi si è accentuata con il ricorso sempre più esasperato a subappalti ed imprese di sub-fornitura, questo anche nella realizzazione di opere complesse, non solo nella piccola edilizia privata. Se non si interviene in questa catena – afferma Martini -che in alcune aree del Paese vive anche della variabile criminosa, qualunque prospettiva di combattere per affermare condizioni di vita e di lavoro nei cantieri più dignitose e nel rispetto dei diritti, sarà del tutto illusoria.

Il cantiere rischia di essere sempre più terra di nessuno, senza regole né leggi ed è questa la vera battaglia da condurre e da vincere.

Vi è uno sforzo maggiore che possiamo compiere – conclude Martini – ed è quello di estendere l’esperienza e la pratica della concertazione e della contrattazione d’anticipo, in particolar modo in presenza di una committenza pubblica.

 

 

 

Roma 22 dicembre 2004

 

 

Intervento di Franco Martini al Convegno organizzato dall’Inail

“Sicurezza nei cantieri e regolarità contributive”

 22 ottobre 2004

 

 

 

L’aver dedicato all’edilizia la settimana europea sulla sicurezza rappresenta la consapevolezza che il settore sia dal punto di vista quantitativo che per la gravità degli eventi rappresenta ancora uno dei settori più a rischio del mondo del lavoro in Europa e ha davanti a sé la prospettiva di un possibile, ulteriore peggioramento della situazione relativa alla salute e sicurezza, dati i problemi che su questo campo sono presenti nei paesi che daranno luogo all’allargamento dell’Unione.

 

In Italia la situazione in edilizia rappresentata dai dati statistici ufficiali vede confermato il trend in diminuzione degli infortuni generali, compresi quelli mortali, anche se su questi ultimi si registra un preoccupante rallentamento del trend.

E tuttavia il settore ha nuovamente fatto ingresso nella cronaca quotidiana di queste settimane per i tristi e brutali episodi di abbandono di lavoratori vittime di gravi infortuni che in un caso hanno provocato la morte di un giovane lavoratore.

 

Ciò che ha colpito l’opinione pubblica e non poteva essere diversamente è stato questo aspetto inedito, che segna il livello di inciviltà raggiunto in alcuni cantieri del nostro Paese, il livello di caduta dei valori innanzitutto etici e morali oltre ad i più elementari diritti delle persone che lavorano.

Naturalmente per chi segue l’edilizia quotidianamente episodi altrettanto gravi –per fortuna non sempre a questo livello- sono all’ordine del giorno ed evidenziano il contrasto tra una statistica positiva ed una condizione reale che esprime in termini qualitativi un salto negativo preoccupante, anche perché questa situazione non è più associabile alle condizioni esistenti nelle aree tradizionalmente meno sviluppate.

 

Noi interpretiamo questo salto di qualità come un campanello di allarme che segnala il pericolo di una degenerazione in grado di indebolire se non di vanificare gli sforzi che in questi anni sono stati compiuti nel campo della sicurezza e che in parte hanno contribuito a determinare un abbassamento del fenomeno infortunistico. Rischiano di segnalare il superamento della soglia di tolleranza, dal momento che in discussione non è più il valore di un oggetto o di un mezzo o di una procedura legata alla sicurezza, quanto quello della persona stessa, ridotta essa stessa a puro oggetto della catena produttiva.

 

Proprio per questo occorre evitare in questa materia la diffusione di messaggi sbagliati, che potrebbero indurre a pensare che la battaglia è vinta, che il problema è sotto controllo, che la guardia può essere abbassata.

Abbiamo bisogno proprio del contrario, di affermare l’opposto concetto che proprio in presenza di una riduzione degli infortuni la nostra iniziativa deve ulteriormente svilupparsi, sia per impedire una possibile inversione di tendenza, sia per il fatto che le statistiche non possono essere lette rimuovendo il dato che l’Italia e non solo nel settore delle costruzioni è agli ultimi posti dell’Europa per infortuni e quindi che la riduzione del fenomeno non solo è auspicabile ma è indispensabile che venga conseguito attraverso obiettivi più ambiziosi, resi possibili purtroppo dai margini più ampi che la nostra situazione rappresenta ed anche dal carattere degli eventi infortunistici che testimoniano di quanto tante vite potrebbero ancora essere risparmiate se fossero rispettate le più elementari norme di sicurezza.

Ovviamente parliamo degli infortuni sapendo che il fenomeno non può essere separato dall’altro, altrettanto preoccupante delle malattie professionali dove si registrano nuovi primati. Sono dunque le condizioni di lavoro complessive il campo della nostra azione ed il tema della salute e sicurezza debbono rappresentare il terreno primario sul quale verificare la reale capacità di innovazione del nostro sistema produttivo.

 

Occorre lanciare messaggi coerenti con questo obiettivo. E’ questa la ragione per la quale le confederazioni sindacali e le stesse categorie del settore hanno espresso fin dal primo momento forti perplessità sulle intenzioni del Governo di modificare la normativa sulla sicurezza. L’incontro che finalmente nei prossimi giorni dovrebbe tenersi servirà a chiarire queste preoccupazioni e a conoscere meglio le reali intenzioni del Ministero, ma è difficile sfuggire al rischio di esporre tale intenzione ad una duplice lettura, in ogni caso non condivisibile.

Si cambia la norma perché essa rappresenta un problema che ostacola il raggiungimento di risultati ancora migliori nella lotta agli infortuni? Oppure, si cambia la norma perché in presenza di un trend favorevole si può allentare la presa?

 

In ogni caso vi è contenuto un messaggio sbagliato che è quello dell’individuare nello strumento della norma un aspetto problematico, mentre noi affermiamo che i problemi della tutela della salute nei luoghi di lavoro non derivano da una norma inefficace quanto da un livello di evasione dalla stessa molto alta, che ha certamente cause diverse delle quali non si può fare di un’erba un fascio, ma che non risiedono nella struttura della 626.

 

Non vogliamo dare giudizi definitivi poiché nell’incontro previsto conosceremo meglio i contenuti della proposta di Testo Unico, ma non sarebbe un messaggio coerente con la battaglia da condurre in questo settore quello di una ulteriore deresponsabilizzazione delle imprese, derubricando buona parte degli obblighi di legge a norme di buona tecnica e a buone prassi. E fin troppo evidente che il rischio calcolato, già oggi largamente diffuso poiché poco probabile, di incappare in un controllo ispettivo con la conseguente sanzione a fronte di un mancato rispetto delle norme non potrebbe che venire ulteriormente incentivato dal fatto che l’inosservanza delle norme di buona tecnica o buona prassi non comporta reato contravvenzionale.

 

Così come ambigua e pericolosa è la scelta di affidare agli enti bilaterali il compito di certificare il rispetto della normativa, determinando una sorta di conflitto di interessi tra controllore e controllato, facendo venir meno una funzione che deve rimanere in capo allo Stato e non può essere trasferita alle parti sociali.

Oltretutto su questo tema dei controlli ispettivi siamo in presenza del dlgs 124/4 sulla riforma dei servizi ispettivi sul quale non mancano ulteriori nostre preoccupazioni per il rischio di indebolimento delle funzioni che è cosa diversa ed ancora precedente al problema del loro rafforzamento quantitativo, che pure esiste.

 

Così come non risulta del tutto chiara la funzione del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, che a nostro giudizio non può che venire rafforzata nelle sue funzioni, come peraltro affermato nelle direttive comunitarie.

 

Nel caso dell’edilizia abbiamo dimostrato che l’efficacia delle iniziative per combattere i fenomeni negativi come quello degli infortuni non risiede nella modifica delle norme esistenti quanto nell’azione sinergica di tutti i soggetti in campo.

Ciò a maggior ragione perché nel settore delle costruzioni sarebbe veramente riduttivo immaginare la lotta agli infortuni come una semplice politica “settoriale”.

Si tratta al contrario di una politica interdisciplinare ed è del tutto evidente, come dimostrano i casi di cui si è occupata la cronaca, che non si potrebbe condurre una battaglia vincente se non fosse innanzitutto quella per combattere il lavoro nero, irregolare, per affermare la trasparenza e la legalità nel settore.

 

In molti casi l’infortunio, mortale o meno, è la conseguenza di un contesto lavorativo totalmente privo di regolarità, caratterizzato da gravi ricatti e condizionamenti, da un livello di clandestinità che altri settori non conoscono.

 

Per questo l’iniziativa per la trasparenza e la regolarità nel settore che ha visto protagonisti le parti sociali e quelle pubbliche è il terreno migliore per dare efficacia alla stessa azione per la sicurezza.

La firma del recente avviso comune e con esso l’avvio della sperimentazione del Documento Unico di Regolarità Contributiva (Durc) rappresentano strumenti utili a ridefinire il profilo della regolarità e della legalità nel settore. Così come le stesse modifiche al dlgs 276, fortemente volute dal settore, a partire dalle organizzazioni sindacali, come quella relativa alla comunicazione anticipata dell’avvenuta assunzione o quella del mantenimento della responsabilità solidale delle imprese che appaltano i lavori.

 

Si tratta dunque di procedere con decisione verso l’attuazione e la sperimentazione di queste decisioni, sapendo che l’efficacia delle stesse non potrà che essere implementata se la complessa gestione della politica degli appalti verrà ricondotta ad un governo unitario tra le forze che sul territorio sono protagoniste dello sviluppo.

Non è questa la sede per riproporre le nostre opinioni sugli interventi che la stessa legislazione in materia di appalti ha subito. I fatti si incaricano di dimostrare che tutto essi hanno prodotto fuorché la possibilità di fare presto e bene, ossia realizzare in tempi brevi e con le condizioni qualitative richieste le opere di cui questo Paese ha bisogno.

 

Sta di fatto che la catena legata alla vita di un cantiere, dall’apertura alla sua gestione quotidiana, è rimasta quella tradizionale ed in alcuni casi si è accentuata, con il ricorso sempre più esasperato a subappalti ed imprese di sub-fornitura, questo anche nella realizzazione di opere complesse, non solo nella piccola edilizia privata. Se non si interviene in questa catena, che in alcune aree del Paese vive anche della variabile criminosa, qualunque prospettiva di combattere per affermare condizioni di vita e di lavoro nei cantieri più dignitose e nel rispetto dei diritti, sarà del tutto illusoria.

 

Il cantiere rischia di essere sempre più terra di nessuno, senza regole né leggi ed è questa la vera battaglia da condurre e da vincere.

Le iniziative di cui parlavo in precedenza vanno in questa direzione, ma vi è uno sforzo maggiore che possiamo compiere, estendendo l’esperienza e la pratica della concertazione e della contrattazione d’anticipo, in particolar modo in presenza di una committenza pubblica.

 

Là dove questa pratica ha potuto essere adottata, nei cantieri dell’alta velocità, nella realizzazione di interventi di ampliamento dell’edilizia sanitaria, sono state definite preventivamente le condizioni di sicurezza alle quali vincolare l’apertura dei cantieri e i risultati in termini di contenimento degli infortuni si sono visti.

Registriamo tuttavia una difficoltà ad estendere questa pratica in modo diffuso e questo è inammissibile nel caso delle istituzioni locali che spesso rappresentano le stazioni appaltanti con le quali l’intero processo dell’appalto deve misurarsi e che ancora più frequentemente assumono quale parametro per orientare tale processo il massimo ribasso, che è fonte, come tutti sanno, di quella compressione dei costi la cui prima vittima spesso è quell’8,5% medio dei costi alla sicurezza.

 

Ecco perché sarebbe importante che dalla settimana europea per la sicurezza uscisse una indicazione chiara ricolta a tutte le istituzioni pubbliche affinché nel governo degli appalti fosse istituitala pratica della concertazione d’anticipo alla quale affidare il compito di assumere costi e parametri legati alla sicurezza quali criteri selettivi prioritari nelle gare di affidamento degli appalti.

 

Tutto ciò non è solo buona amministrazione ma rappresenta un contributo importante a creare quella cultura della legalità, della trasparenza e della sicurezza di cui il Paese ha bisogno. Si dice spesso che la battaglia per la sicurezza è innanzitutto una battaglia culturale ed in questo c’è una grande verità e per questo uno degli sforzi principali delle parti sociali è quello di rafforzare gli stessi interventi bilaterali attraverso gli enti di formazione e i comitati paritetici territoriali nel campo della formazione alla sicurezza.

Ma il problema culturale è ancora più grande, perché non riguarda solo la cultura alla sicurezza ma il valore stesso del capitale umano, delle risorse umane che sono la principale risorsa dell’impresa. Quando si arriva al punto di poter abbandonare un lavoratore sul ciglio di una strada o nei pressi di un cassonetto della spazzatura dentro quella violenza etica e morale è contenuto anche un disprezzo o uno scarso rispetto o una scarsa stima e valorizzazione per il lavoro e la professione che si rappresenta e che si esercita.

Per questo la prima cura contro gli infortuni è la valorizzazione del proprio lavoro, è l’investimento formativo sul contenuto professionale del proprio lavoro e tutto ciò non è coerente con la ricerca esasperata di una cosiddetta flessibilità che in molti casi è solo precarietà voluta semplicemente per combattere la battaglia dei costi sul terreno più sbagliato che vi sia.

 

La prima cura per gli infortuni è la battaglia per l’innovazione delle imprese, per una competizione svolta sul terreno dell’innovazione e della qualità. Il semplice galleggiamento è il terreno più congeniale per un fenomeno che misura forse più di ogni altro i ritardi del nostro sistema produttivo.

 

 

Roma 22 ottobre 2004

 

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