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CONFERENZA NAZIONALE CGIL–INVESTIRE SULLA SOSTENIBILITÀ.

Roma, 23-24 novembre 2004

 

Intervento di Franco MARTINI, Segretario Generale Fillea-Cgil

 

Una questione sulla quale la categoria si è interrogata in questi anni è se e in quali termini possa essere definito un rapporto tra il declino che il Paese sta vivendo e le dinamiche in atto nel settore delle costruzioni.

L’interrogativo potrebbe apparire capzioso dato che il settore delle costruzioni vive un ciclo espansivo inferiore solo a quello della ricostruzione post-bellica e quello dello spopolamento delle campagne.

 

Ma per noi il declino non rappresenta solo un concetto quantitativo. Il caso del settore delle costruzioni può essere rappresentato come il caso nel quale si può declinare pur in fase di crescita, poiché non esiste un rapporto automatico tra crescita e sviluppo, tra la dimensione quantitativa della ricchezza prodotta e la sua capacità di trasformarsi in salto di qualità delle strutture produttive e di tutti i parametri dello sviluppo.

La riprova viene dal fatto che se dovesse improvvisamente fermarsi la tendenza in atto nel settore, anche se non è più ai livelli di quella conosciuta fino a due anni fa, le condizioni nelle quali esso verrebbe a trovarsi –per quanto riguarda la struttura delle imprese e la loro forza e capacità competitiva- sarebbe identica a quella della metà degli anni ’90, se non in alcuni casi addirittura peggiorata.

 

Il declino è dunque per noi un concetto che non separa il dato quantitativo da quello qualitativo e da questo punto di vista il settore delle costruzioni non può che essere considerato un settore di frontiera nella battaglia per la sostenibilità dello sviluppo.

 

Abbiamo tradotto questa sfida nelle due questioni di fondo che ci riguardano:

 

Cosa costruire e Come costruire

 

 

Cosa costruire

 

Il mercato delle costruzioni è stato condizionato in questi ultimi anni dal dibattito sulla grande infrastrutturazione, in particolar modo a fronte delle note promesse governative sulle famose grandi opere da realizzare.

 

Non è questa la sede per ribadire quello che la nostra organizzazione ha già denunciato a questo proposito, soprattutto il fallimento della Legge Obiettivo quale strumento di accelerazione delle opere da realizzare. Ad oggi, come è noto a tutti, gli unici cantieri inaugurati sono quelli impostati dal Centro-Sinistra, mentre la Finanziaria non contiene neanche le risorse per dare il via alle 22 opere approvate dal Cipe.

 

Ma in questa sede è ancor più interessante porre l’accento sul discutibile concetto di innovazione che il Governo attribuisce alla funzione delle cosiddette grandi opere, là dove –come si è in effetti verificato in questi anni- questo concetto è apparso palesemente contrapposto alla funzione strategica delle opere che sono parti integranti dello sviluppo locale.

Nessuno mette in dubbio il differenziale che il nostro Paese subisce rispetto all’Europa in quanto a dotazione infrastrutturale, come nessuno mette in discussione la funzione strategica che le moderne reti infrastrutturali hanno per lo sviluppo e la competizione economica.

 

Il punto è un altro e lo abbiamo enunciato sempre con un esempio semplice e chiaro: su quella moderna rete autostradale (SA-RC, ammesso e non concesso), su quel Ponte (ammesso e non concesso), su quei binari dell’Alta Capacità quale sviluppo transita, lo sviluppo di chi, forse del Mezzogiorno che rischia di non vedere su di sé traccia di una scelta pensata a prescindere, se non in alternativa ai bisogni dello sviluppo locale e regionale?

 

Dire che una grande opera dà molto lavoro, per molti anni e quindi di per sé è una scelta valida non è sufficiente se non si offre una risposta credibile anche al nesso che quella scelta deve avere con lo sviluppo delle are attraversate dalle grandi reti infrastrutturali.

 

Ecco perché la nostra risposta al cosa costruire nell’assumere un forte carattere selettivo, una forte capacità di indicare un ordine di priorità per le stesse grandi opere ha individuato terreni nei quali la risposta in termini occupazionali può produrre un rapporto stretto con la crescita e la qualificazione dello sviluppo di intere aree, a partire da quelle del Mezzogiorno: la manutenzione del patrimonio edilizio ed in parte il suo recupero (basti pensare alo stato dell’edilizia scolastica, pressoché immutato dopo la tragedia di S.Giovanni in Puglia), la difesa e la valorizzazione del patrimonio territoriale ed ambientale (basti pensare ai costi in termini di distruzione dei disastri meteorologici), la riorganizzazione delle città, il recupero e la tutela dell’ingente patrimonio artistico e culturale.

 

Tutti settori dai quali verrebbe non solo una analoga risposta in termini quantitativi ai bisogni occupazionali, ma ne deriverebbe una crescita ed una esaltazione di nuove figure professionali, di nuove competenze, una crescita qualitativa del mercato del lavoro settoriale.

 

In questa nostra idea di sviluppo settoriale, sintetizzabile nel costruire, si, ma anche nel ricostruire, recuperare, riorganizzare, restaurare il carattere della sostenibilità è forte, perché guarda alla valorizzazione delle risorse in gran parte esistenti che, con una politica economica e fiscale finalizzata, diventerebbe volano di una crescita dove quantità e qualità sarebbero parti di un binomio inscindibile.

 

 

 

 

Come costruire

Da qui discende la risposta alla seconda domanda che deve misurarsi con elementi di complessità forse ancora maggiori, ma non per questo meno stringenti.

 

Come costruire per noi significa con quali materiali e poi con quale lavoro.

 

La prima questione rappresenta una frontiera nuova per il sindacato delle costruzioni perché la più lontana dalla nostra tradizione culturale, poco permeata dalla cultura ecologica, ma è una frontiera che va passata e dobbiamo per questo non rinunciare ad essere pionieri.

 

E’ indubbio che il costruire comporta costi per la collettività, dalle fasi di estrazione delle materie prime (le cave), alla loro trasformazione (cementerie), ai materiali di risulta dell’edilizia, per non parlare delle sostanze utilizzate nei processi di lavorazione.

Fino ad oggi per noi è stata una questione scaricata all’esterno del processo produttivo, una questione che riguardava altri. Oggi dobbiamo fare una scelta diversa, la scelta che assume nel governo del processo produttivo, nell’intero ciclo della lavorazione la gestione e la soluzione di questi problemi.

 

Non è vero che non si può. L’obiezione principale di chi sostiene la tesi dell’impotenza è il valore elevato dei costi, ma è la posizione di chi guarda solo ad un anello della catena e non ai costi complessivi che la società è chiamata a pagare per una scelta che non assume il carattere della sostenibilità.

 

Proponiamo tre concetti sui quali provare a giocare questa scommessa: programmazione, politica fiscale finalizzata, sperimentazione.

 

La sostenibilità dello sviluppo non può che appartenere ad un idea programmata dello sviluppo. La ragione è semplice, come il settore delle costruzioni dimostra: la maggior parte dei problemi può trovare soluzione solo se pensata prima di iniziare le attività, prima di aprire i cantieri o le cave.

A Brescia sabato scorso la Fillea ha premiato sette progetti di altrettanti gruppi di giovani progettisti, dopo aver lanciato un concorso di idee per il recupero delle aree del Botticino (Cave di marmo). Un piccolo esempio che ha consentito di dimostrare che i problemi della bonifica, del recupero e del riuso non hanno impedimenti tecnici, né necessariamente economici. Spesso è una questione di volontà politica. Ma soprattutto hanno dimostrato che se assunti nella fase precedente alle concessioni vedono notevolmente ridotto il loro impatto ambientale e di conseguenza ridotta la loro complessità, compresi i costi per la collettività.

Mentre oggi, in questo settore –ad esempio- le stesse istituzioni locali difficilmente vanno oltre l’obiettivo tributario ai fini del proprio bilancio, a prescindere dai vincoli posti per l’uso delle concessioni, sia rispetto agli obblighi di tutela ambientale a carico di chi scava,sia addirittura rispetto agli obblighi di destinare parte di quell’oro alle attività locali di trasformazione.

 

Bioedilizia, biomateriali, sono concetti con i quali dobbiamo misurarci. Sono concetti antitetici al modo come le imprese tentano oggi di stare sul mercato. Sono concetti antitetici alla competizione basata sulla riduzione dei costi, proprio perché, si dice, la bio-edilizia costa.

 

Ecco perché rivendichiamo una politica fiscale finalizzata, come per altro esiste in buona parte degli altri paesi europei. Le imprese che scelgono questa versante devono essere aiutate e lo possono essere solo se il Governo fa una scelta chiara in questa direzione, ciò che non è allo stato delle cose.

La stessa Associazione dei Costruttori da tempo ha lanciato l’idea della “casa del futuro”, il marchio “Casa Doc”, proponendo di riaprire il confronto sulla politica urbanistica in questo Paese, ormai sotterrato da anni ed ancor di più dalla politica dei condoni e delle sanatorie.

 

Materiali rinnovabili, energia rinnovabile, politiche fiscali finalizzate e normative di sostegno, potrebbero essere gli ingredienti per una sperimentazione da attuare sul terreno della programmazione locale di sviluppo. Sicuramente materiale per elaborare contenuti nuovi della contrattazione e della concertazione territoriale.

 

Infine, come costruire è il tema del lavoro, della sua qualità. Questo è il terreno sul quale siamo più impegnati e sul quale è sufficiente richiamare i concetti principali.

 

Non esiste modernità di una opera che non contenga quale fattore di progresso la stessa qualità e civiltà del lavoro che la realizza. Su questo terreno siamo proprio lontani dall’obiettivo. E’ il terreno sul quale  più di ogni altro può essere dimostrata la tesi che non esiste rapporto automatico tra crescita economica e innovazione qualitativa. In edilizia si continua a lavorare e a morire come negli anni della crisi e forse peggio.

Per questo l’investimento sul capitale umano è per noi aspetto centrale della sostenibilità dello sviluppo. Se dovessimo cercare sinonimi capaci di esprimere il nostro concetto di sostenibilità e li individuassimo –tra gli altri- in valorizzazione, innovazione, cultura, civiltà, rispetto è del tutto evidente che il lavoro umano, la battaglia per la sua qualità in edilizia rappresenta una chiave di volta della nostra battaglia per lo sviluppo sostenibile. Su questo terreno siamo al fronte tutti i giorni, ma è chiaro che dalle idee e dalle proposte che stiamo discutendo non può che venire un contributo concreto, sia per il respiro strategico più ampio, sia per le opportunità offerte all’iniziativa negoziale del sindacato.

 

 

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