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Comitato Direttivo Fillea Cgil – Roma, 19 settembre 2008

Intervento di Franco Martini

 

 

Care compagne, cari compagni,

 

come non vi sarà difficile immaginare ho trascorso queste ultime settimane pensando a cosa avrei potuto o dovuto dirvi in questo intervento di saluto. Mi conoscete abbastanza, ormai, per sapere che non sono tipo da frasi di circostanza, così come considero abbastanza “patetici” i testamenti politici.

Di quello che penso ed ho pensato in tutti questi anni del nostro lavoro non vi ho mai nascosto niente, vi ho tediato ad ore intere e difficilmente troverei ancora parole nuove ed originali per descriverne il significato.

 

So –però- che questo è il momento dei sentimenti. I sentimenti, per quanto mi riguarda, sono un fatto privato. Esporli in pubblico mi è quasi impossibile e so che non andrei molto lontano nel ragionamento. Vi chiedo, quindi, di scusarmi se potrei risultare meno lucido di altre circostanze, ma –si sa- questo capita quando gli occhi diventano lucidi ed io non vorrei sottopormi a questa prova.

Voglio, quindi, essenzialmente salutarvi, salutare la categoria e ringraziarla per quello che mi ha dato in questi anni.

Innanzitutto, Vorrei ringraziare Carla Cantone, che otto anni fa mi ha voluto alla Fillea, consentendomi di fare la più bella esperienza della mia vita sindacale.

Poi, le compagne e i compagni dell’apparato della Fillea Nazionale, con i quali mi scuso per la scorbutaggine mostrata in tutti questi anni. So di non essere stato tipo di facile comunicazione e relazione personale. In questo, però, voglio dirvi che sarete abbondantemente e giustamente indennizzati dal bel carattere socievole e solare di Walter, che un po’ invidio. Ringrazio Luciana per la collaborazione che ho ricevuto in questi ultimi anni, con la modestia, l’umiltà e l’umanità che l’ha contraddistinta; Alida per essersi sempre resa disponibile in ogni circostanza, con la puntualità quasi “ossessiva”, segno di rigore e precisione sul lavoro; Giuseppina, per aver sopportato la maniacale precisione dei miei rimborsi.

Non era per deformazione familiare, perché a casa mia erano tutti contabili, babbo, mamma, sorella, moglie, ma perché la prima cosa che mi rimase impressa dei racconti che mi fece il vecchio segretario della Camera del Lavoro di Prato, quando mi portò in Cgil, fu la storia dei “collettori”, che da prima io non capivo bene. Poi mi resi conto della fatica fatta per costruire uno stipendio negli anni antecedenti l’introduzione della trattenuta automatica sulla busta paga. Poi, venuto in Fillea, pur lontani dall’era dei collettori, ho ritrovato persone che tute le mattine vanno a fare le deleghe (la guerra delle deleghe), perché mai nulla è scontato definitivamente. Credo che l’etica sindacale inizi dal rispetto di chi rende a noi possibile svolgere questa attività, i lavoratori che pagano la tessera della Cgil. Non c’è falso moralismo in questo, quando affermiamo che sono soldi dei lavoratori e per questo vanno rispettati e amministrati con parsimonia. Ed è da qui che nasce il bisogno di adottare e mantenere comportamenti ispirati alla sobrietà ed al rispetto.

Con la stessa maniacale precisione hanno dovuto fare i conti le altre compagne dell’amministrazione, Anna e Maria, che ringrazio per l’accortezza con la quale hanno sempre assicurato una gestione trasparente del bilancio e delle altre procedure amministrative.

Con Michele abbiamo vinto una scommessa importante, quella del sito Fillea, diventato negli anni uno degli strumenti principali della nostra proiezione esterna. Ma la vera scommessa vinta (il sito è la conseguenza) è legata alla capacità di rimettere in gioco funzioni di apparato cristallizzate, rimettere in gioco noi stessi, non lasciarsi sedurre dall’alienazione di un lavoro che rinuncia alla autorealizzazione degli individui. Siamo partiti quasi dal nulla e abbiamo costruito con le nostre mani un prodotto all’altezza dei bisogni, mossi solo dal desiderio di costruire con le nostre mani, dimostrando che pochi limiti sono frapposti alla creatività umana, quando l’energia che ti muove è la forte motivazione.

Della illimitata generosità di Gaetano spero di non averne abusato, anche se so che è quello che avrebbe voluto. Nella mia camera c’è una barchetta dentro una bottiglia, che mi parlerà sempre di questa generosità ed è certo che da domani, essa navigherà nei marosi della malinconia, più pericolosi di quelli che ogni tanto mi capita di incontrare davvero in mare.

Ringrazio Vittorio per essersi reso disponibile agli incarichi itineranti che in questi anni gli abbiamo proposto e Roberto, l’uomo cibernetico della Fillea, che ho tediato con i mille problemi del computer. Del resto, sembra che lui se li procurasse a Napoli spacciandoli per nuovi ed evidentemente qualche volta c’era qualcosa che non andava….

L’altra mattina le compagne e i compagni dell’apparato mi hanno regalato una piccola, bella barchetta. Sarà un’arca ideale con la quale vi porterò sempre con me.

Daniela e Gianna ci hanno fatto trovare un ambiente pulito e ordinato tutti i giorni ed hanno con ciò contribuito, in parte, a mettere ordine nella nostra testa. Voglio salutare anche i compagni della portineria, sempre disponibili, Brunello, Massimo, Roberto.

 

Ringrazio tutti i compagni dell’apparato politico, Romano, Giovanni, Luigi, Manola, Renato, Franco, Giorgio che hanno contribuito con impegno e passione alla realizzazione dei nostri programmi. So che nel rapporto tra segreteria ed apparato politico pesa sempre un deficit motivazionale, che nasce dalle legittime ambizioni ed aspirazioni di ognuno di noi. In questi anni ho pensato che l’unica risposta praticabile alla crisi dello status fosse quella di favorire il lavoro della squadra. Credo che dobbiamo insistere in questa direzione

A Franco e Renato faccio auguri di buona salute, per quanto possibile. A Renato, voglio dire che mi mancherà il sapiente intreccio fra gli istogrammi sulla struttura delle imprese e le succulenti pietanze da lui allestite alla mensa del “sottotetto”.

Un ringraziamento particolare a Mercedes e Antonio che hanno collaborato più strettamente al mio fianco. Mercedes, che solo una grande passione per il lavoro può muovere tutti i giorni da Bracciano, ha dovuto rincorrermi in tutti gli angoli del palazzo dove mi nascondevo, ogni volta che mi cercava qualche giornalista della stampa o della televisione e se la Fillea ed il suo segretario hanno potuto conquistare lo spazio ed il riconoscimento che abbiamo avuto in questi anni, gran parte del merito va proprio alla sua tenacia, che, senza dubbio alcuno, continuerete a trovare nelle cose che continuerà a fare in futuro. Antonio è un giocatore che tutti vorrebbero in squadra, di quelli che giocano in difesa e  all’attacco. Purtroppo per me il suo cartellino è incedibile, altrimenti non sarei qui a ringraziarlo, perché già lo avrei portato con me. Magari una comproprietà…. Come sapete non esistono aggettivi per definire il suo impegno. Anche per questo il futuro continuerà a sorridervi.

Grazie Ada per quello che hai fatto. Voi sapete che considero il progetto formazione il più bel risultato di questi anni. E’ quasi tutto merito suo e se vi eravate ingannati per la gentilezza del portamento, avete poi avuto modo di conoscere la determinazione con la quale ha consentito di poter fare un bilancio dei primi anni da tutta la Cgil riconosciuto all’avanguardia nella nostra organizzazione.

 

Un ringraziamento a tutta la segreteria (Livia, Moulay, Enzo, Piero, Mauro Livi, Andrea, Marco e Mauro Macchiesi). So che non è facile lavorare con un orso, credo tuttavia che la segreteria nazionale sia stato il carburatore che ha reso possibile il funzionamento di tutto il motore della Fillea. Dopo il Congresso di Pesaro abbiamo compiuto un’esperienza originale, che inevitabilmente ha prodotto qualche difficoltà, ma è quella che ci ha permesso oggi di avere al suo interno, assieme ad esperienze consolidate,  altre più fresche, indubbiamente meno solide, ma che parlano del nostro futuro.

L’ho già fatto a Torino, ma voglio rinnovare un ringraziamento ed un saluto particolare ad Andrea, al quale, come avete capito, mi lega un grande affetto. Mi ha preso per mano otto anni fa e con lui ho percorso migliaia di chilometri in lungo e in largo.

Un saluto anche al Presidente Carboni per l’aiuto ed i suggerimenti che mi ha dato dall’alto delle sue conoscenze e competenze

 

Ringrazio tutti voi, per le parole che mi avete rivolto in queste ore, che in questi otto anni siete stati il mio mondo, la mia vita quotidiana, la condizione prima per la realizzazione di questa straordinaria esperienza. Resterete nella mia rubrica, non solo quella telefonica, perché so che quella squillerà sempre meno, resterete nella mia rubrica del cuore.

Un caro ricordo anche ai compagni che non ci sono più, che in questi anni ci hanno lasciati. La memoria per noi è un valore, che non dovrà mai venire meno

 Ringrazio i nostri “ragazzi del muretto”, i giovani del master, per aver creduto nell’investimento che abbiamo fatto su di loro, per assicurare un futuro di qualità e di passione ai gruppi dirigenti della categoria.

Ai compagni del coordinamento immigrati ed a tutti i lavoratori stranieri perché ci hanno aperto gli occhi al mondo, ma soprattutto, perché dai loro mondi hanno aiutato ad aprirci gli occhi sul nostro mondo, sulla nostra società italiana, gravemente impreparata a capire la principale sfida della globalizzazione, quella della costruzione di una società multiculturale.

 

Per ultimo, un ringraziamento speciale alle donne della Fillea, che mi hanno regalato la conferma di una convinzione che da tanto tempo mi porto dietro: le donne sono una grande risorsa della nostra società, la più grande! Per questo la norma antidiscriminatoria non è solo una regola da rispettare, ma una condizione del futuro di questo sindacato. Portare le donne nel sindacato significa portare il sindacato dentro il futuro!

 

 

A Walter voglio fare i miei più sinceri auguri. Io ovviamente lo conoscevo, anche se non lo frequentavo granchè. Ci siamo visti una prima volta, dopo la designazione, perché lui voleva cominciare a sapere qualcosa di più di questa Fillea. Voglio dirvi che sono subito rimasto colpito dal grande interesse che già al secondo incontro era diventato entusiasmo. Ho capito che Walter era già entrato in sintonia con la categoria, aveva già catturato l’anima della Fillea. Questa cosa rende secondario qualunque altro problema. Anch’io, come lui, otto anni fa sapevo meno di voi di Casse Edili e subappalti. Quelle cose poi me le avete date, come a voi le hanno date quando da un altro settore siete venuti in categoria.

Ma la cosa più importante è quella di cui lui è già in possesso, il senso di questa missione. Questa cosa è così percettibile che, per quanto mi riguarda, è come se oggi lo conoscessi da sempre, come se avessimo sempre lavorato insieme. Bisogna fidarsi anche della pelle a volte (Jovanotti) ed è quello che mi fa dire: non dovete chiedere a lui rassicurazioni sulla fine che farà  questa esperienza, lui è già più convinto di voi, sa bene cosa abbiamo fatto. La prima volta mi ha detto “ma come avete fatto a fare tutto questo?!” e potrete stare certi che dal 27 rischierete di fare fatica a tenergli il passo. Walter è anche una persona diretta, come piace alla categoria, “senza puzza sotto il naso”, con la quale potrete parlare liberamente, senza remore. Sono contento che sia toccato a lui perché con uno come lui sarà più facile fare cose nuove ed in più, così come mantenere all’orizzonte l’obiettivo di un segretario che nasca dalla categoria. Auguri Walter!

 

Come ci lasciamo? Io credo ci dobbiamo lasciare con grande serenità e contentezza per il lavoro che abbiamo fatto insieme in questi anni. Dobbiamo essere orgogliosi di quello che abbiamo fatto, esserlo con lo stile che ci è proprio. Dobbiamo essere sobriamente orgogliosi. Però, dobbiamo esserlo. I risultati ci sono  e non si possono nascondere.

Eppure, guardando alla mole di questo lavoro, resto della convinzione che, in fondo, non abbiamo fatto assolutamente nulla di speciale, di particolarmente straordinario. Semplicemente, abbiamo fatto! Ma è diventato speciale, perché la Cgil, per molto tempo, è stata l’organizzazione più del dire che del fare. Abbiamo dato un contributo a tutta la Cgil a dimostrare che, se ci proviamo, a volte si può anche sbagliare, ma il più delle volte si porta a casa qualcosa di concreto e positivo.

 

Dopodichè, è vero, abbiamo provato a fare una cosa difficile: tenere insieme l’azione di tutela che ci comporta, col progetto, con un progetto autonomo, nostro, provando in questo a mettere in pratica uno dei principali insegnamenti di Bruno Trentin. Un sindacato che dispone di un proprio progetto di sviluppo della società, dei rapporti di produzione, dell’organizzazione del lavoro rende più forte la stessa azione di tutela. Negli anni della crisi era difficile farlo, perché quando c’è la crisi, e quella degli ani ’90 era crisi che “tagliava a fette”, si pensa a come sopravvivere. Noi abbiamo vissuto anni più fortunati e spero che la fortuna non giri troppo repentinamente le spalle alla categoria. Ma anche in questi anni fortunati potevamo correre qualche rischio, quello di cullarci sugli allori. Abbiamo certamente messo “fieno in cascina”, come diceva Andrea ieri. Ma contemporaneamente abbiamo fatto lo sforzo per farci venire delle idee, per produrre una nuova cultura del settore, perché solo attraverso una nuova cultura del settore potranno essere vinte le principali battaglie che abbiamo combattuto in questi anni.

Del resto, cos‘è la crisi dell’Italia se non una paurosa crisi di identità di un Paese, che sembra aver smarrito del tutto ogni riferimento culturale, a partire da quello del lavoro e dal valore da esso rappresentato, per non parlare della coesione sociale.

 

Il nostro Cantiere Qualità è stato questo: unire la tutela al progetto, proprio per dare più forza alla nostra azione. Per usare una felice espressione che qualcuno di voi ha coniato, il nostro Cantiere Qualità è stato rifornire la cassetta degli arnesi del nostro sindacalista di nuovi strumenti, non togliere, ma aggiungere, non togliere quello che c’era già, ma aggiungere quello che mancava, per dare anche un senso più compiuto a ciò che già rappresentava la nostra forza. Come lo è stato il rinnovamento organizzativo, a partire da quello generazionale, che in nessun caso avrebbe potuto significare togliere od emarginare. E se il nostro lavoro, anche sul piano del rinnovamento organizzativo ha avuto un buon successo, è perché l’equivoco è durato poco e di questo ringrazio le compagne ed i compagni meno giovani, ad i quali credo di aver provocato nei primi tempi qualche sofferenza

 

Vorrei ricordare che nel fare questa scelta, abbiamo cercato di rispettare l’impegno preso col gruppo dirigente che nel luglio del 2000 ci consegnò la categoria. A quel gruppo dirigente va riconosciuto e va dato atto di aver saputo traghettare la Fillea fuori dalle tempeste della crisi della metà degli anni ’90 e quel gruppo dirigente che pilotò la salvezza e la ripresa chiese a noi di offrire un profilo nuovo, più alto all’azione della categoria. L’esperienza di questi anni, quindi, deve essere considerata lo sviluppo coerente della storia vissuta dalla categoria negli anni precedenti.

Ho voluto sottolineare questa considerazione per indicare quello che, secondo me, è il giusto modo di porre il tema della continuità, dato che in questi mesi, fino al dibattito di ieri, la categoria è stata attraversata da questo dilemma: che fine farà questa esperienza?

 

Garantire continuità non può significare negare il carattere evolutivo dei processi storici. A chi viene dopo di noi non si può mai chiedere di essere dei replicanti. La storia non ha bisogno di replicanti, ma di innovatori, di evoluzionisti, perché i tempi cambiano, i contesti si modificano, le stesse persone si modificano e con questo portano nuove idee, nuovi stimoli, nuovi stili. Non bisogna mai confondere la missione sindacale con gli affetti. Il danno principale che arrecheremmo all’organizzazione sarebbe quello di negarle una maggiore crescita. Noi abbiamo fatto insieme tante belle cose in questi anni. Ma voi, da oggi, avete il compito di farne ancora di più ed ancor più belle di quelle fatte fino ad oggi, non per una astratta ed assurda competizione tra predecessori e successori, semplicemente per assicurare il progresso dell’organizzazione. Non vi preoccupate, io non sarò mai geloso, invidioso se voi senza di me farete cose ancora più belle, al contrario, sarò molto contento e sarò il primo tifoso perché la partita che giocherete senza di me potrete vincerla con un risultato ancora più forte di quello che abbiamo realizzato insieme. Solo un gruppo dirigente narcisista e masochista si sentirebbe soddisfatto dalla staticità dell’organizzazione, dal “fallimento del successore”, chi pensa al futuro ad immagine e somiglianza di se stesso (e non nego che questo è uno dei mali, una delle ragioni che contribuisce alla crisi della politica e dei suoi soggetti, di cui il sindacato non è immune). Per fortuna non lo siamo noi ed allora, anche in questo, dimostriamo di essere innovatori.

Del resto, l’ho già detto a Torino, quale migliore garanzia di continuità può esserci oltre al prodotto del nostro stesso lavoro, oltre a voi stessi. Se non fosse così, vorrebbe dire che avremmo fallito nel principale obiettivo, quello di fare del gruppo dirigente un organico collettivo. “un uomo solo al comando” evoca altre epopee, molto care agli appassionati di ciclismo, ma il nostro Cantiere Qualità è stato altro, è stato soprattutto la costruzione di una comunità di intenti e di persone, di tante idee messe in movimento e tanta passione umana che le tiene unite in modo forte. Se posso permettermi, senza rischiare un piccolo peccato di presunzione, che in questo caso sarebbe però equamente distribuito tra tutti noi, un nuovo modo di fare sindacato, anche se sarebbe piuttosto il caso di dire “c’è qualcosa di nuovo nell’aria, anzi, che sa di antico…”.

 

Perché a me piace dire che uno dei tratti che maggiormente ha ispirato questa nostra esperienza è stato il voler riaffermare e consolidare il principio dell’etica, quello che è stato uno dei valori principali che fin dalle sue origini ha contraddistinto il “mestiere” del sindacalista e che noi avvertiamo quanto sia considerato importante nel rapporto con i nostri lavoratori, gente semplice, umile, ma di grande spessore morale. Noi sappiamo quanto sia importante il modo come ci guardano questi lavoratori, soprattutto il loro guardare il nostro modo di essere sindacalisti. L’etica si traduce nel rispetto e nel disinteresse personale per questa funzione che esercitiamo, nell’impossibilità di misurare il nostro approccio con essa con il misurino del “dare-avere”, perché resta comunque una scelta ispirata a grandi motivazioni ideali, frutto di grandi sacrifici personali. Nessuno di noi intende tratteggiare il sindacalismo del terzo millennio come una comunità di asceti, scalzi e autoflagellanti, ci mancherebbe; ma neppure l’opposto, una azienda di servizi scissa da una forte motivazione ideale e lacerata dalle competizioni di carriera.

 

Per questo abbiamo sempre insistito sul modo di come si sta dentro questa organizzazione, sul fatto che il sindacato è un po’ una scuola di vita, fondata sul rispetto per le persone e per il loro lavoro. Questo vale sia nelle piccole cose, che nel momento delle grandi scelte. Vale quando facciamo le riunioni, sapendo lo sforzo e la fatica che tanti di voi fanno per venire qui a questo microfono (soprattutto i giovani), per portare delle opinioni e delle idee e spesso manca il rispetto dell’ascolto, non si sa perché destinato solo ai “big”; vale quando rinnoviamo i gruppi dirigenti, quando rinnoviamo incarichi importanti. In questo caso le legittime ambizioni personali, che non sono un disvalore, non possono venire confuse con gli scopi generali, fino al punto da smarrire il rispetto, la stima, la fiducia che sono e debbono rimanere alla base del nostro disinteressato agire.

 

Io credo che nel sindacato e soprattutto nella “stanza dei bottoni” del sindacato, si debba entrare “in punta di piedi” e si debba uscire “in punta di piedi”, con la consapevolezza che in quella stanza non c’è niente che ci appartenga personalmente, anche se è stata molto comoda, se ci si è ambientati bene nel periodo in cui l’abbiamo abitata. Ed è una stanza che dobbiamo lasciare ordinata e pulita quando arriva il momento di uscirne. L’unica cosa che possiamo portare con noi, oltre ai pochi effetti personali, è l’ingente patrimonio di relazioni umane, affettive costruite negli anni e che solo una scuola di vita come quella che abbiamo concepito può rendere indistruttibile. Lo voglio dire soprattutto ai nostri giovani, al nostro futuro, nella speranza che questa nostra scuola di vita risulti un vaccino efficace contro il contagio.

 

Questo è il sindacato che ci piace e che abbiamo voluto contribuire a diffondere negli anni che siamo stati insieme, per rinsaldare la migliore tradizione di quella Confederazione che abbiamo ricevuto in eredità. Lo dicevo ieri mattina alla Filcams e voglio qui ripeterlo, con le stesse, identiche parole per costruire un ponte ideale tra questo mio passato ed il futuro iniziato ieri.

Questo modo di fare sindacato, che noi amiamo, ha un difetto, soprattutto per i deboli di cuore: ci se ne innamora e quando arriva il momento del distacco spesso diventa una tragedia. Perché questo viaggio che si conclude è stato molto più dell’espletamento di un mandato, è stata una storia sentimentale, che ha unito donne e uomini attorno a drammi umani, come lo sono le morti sul lavoro, e tanta voglia di riscatto. E’ stato un viaggio che mi ha permesso di conoscere la dignità delle persone, come un valore assolutamente più trasparente della polvere alzata dal subappalto nei cantieri, dalla mafia negli appalti, dalle baracche condivise da 5-6-7 rumeni o albanesi. E’ un sindacato lontano da tante nostre noiose ed inconcludenti discussioni, che non spostano di un centimetro la realtà delle cose, non perché si sottrae a quelle discussioni, ma perché cerca di offrire loro gambe concrete.

 

Spesso, quando avvicinandosi le scadenze di mandato, si faceva sempre più insistente fra di voi la domanda sulla fine che avrebbe fatto questa esperienza, sapevo che si trattava di un falso dilemma, perché era un pretesto per trasmettere un sentimento che ha accomunato anche sul piano umano tutti i suoi protagonisti, un modo per rendere legittima la malinconia che accompagna la conclusione di un bel viaggio. In realtà, è l’esperienza stessa che nel suo divenire ha prodotto al suo interno le garanzie di continuità e di ulteriore sviluppo. Sono quelle del progetto culturale e delle donne e degli uomini che lo hanno realizzato fino ad oggi. Sono, soprattutto, quelle delle giovani ragazze e dei giovani ragazzi che sul loro cammino hanno incontrato la Fillea ed hanno intrapreso il viaggio, per loro sicuramente più affascinante. E come ad ogni rientro da un viaggio lungo ed entusiasmante, la malinconia si allontana progettando le tappe future, perché saranno quelle di un nuovo viaggio nel quale si scopriranno nuove cose, si conosceranno realtà ancora solo percepite, si approfondiranno cose già viste, ma non sufficientemente indagate, ed in ogni caso il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi. Insomma, come la storia insegna, il futuro è sempre dietro la conclusione di un viaggio e tanto più bello sarà stato il viaggio da poco concluso, quanto migliore sarà il futuro che ci attende.

 

Buon lavoro  a tutti noi compagne e compagni!

 

 

 

 

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