Agenda /Contrattazione /News /Dipartimenti /Documenti /Uff.Stampa / Dove siamo /Chi siamo /Mappa sito

 

Stampa questo documento

   
CGIL: Distretti e Globalizzazione. Intervento Martini
       

Conferenza Cgil Nazionale sui Distretti. 1 marzo 2007. Intervento Franco Martini

 

 

Il nostro osservatorio conferma il dato che la relazione di Guzzonato evidenziava: il periodo che ci separa dalla precedente iniziativa dell’ottobre 2005 ha manifestato e continua a manifestare segnali di ripresa nell’andamento produttivo dei sistemi distrettuali, seppur non in modo univoco, anzi, con differenze anche importanti tra le varie realtà. In questo quadro, i dati positivi più significativi –uno dei parametri di misurazione è proprio il crollo del ricorso alla CIG- riguardano i distretti del mobile-arredo, soprattutto le cucine, quello della cantieristica e quello lapideo. In alcune regioni i distretti hanno rappresentato l’area di massima tenuta occupazionale rispetto alla grande industria manifatturiera. Permangono, invece, difficoltà che non sembrano avere natura congiunturale, soprattutto nel distretto della sedia, oltre che per le note vicende, in quello del salotto imbottito, dovuto alla crisi del Gruppo Natuzzi.

 

Ma in generale il quadro che ci si offre consente di dare una risposta al quesito che ha mosso anche questa riflessione circa il futuro, il destino di questa parte significativa del sistema produttivo italiano: non è vero che i distretti hanno esaurito la loro funzione, non è vero, come poteva apparire fino a qualche anno fa, che la loro crisi era ed è crisi ineluttabile. Cogliendo i vantaggi della fase congiunturale, sicuramente in ripresa, è possibile rilanciarne la funzione strategica in buona parte del nostro tessuto produttivo, intervenendo sui nodi strutturali, che la stessa relazione individuava. Perché nelle reazioni positive che si sono colte in questo periodo c’è qualcosa che va oltre la congiuntura favorevole, c’è la potenzialità ancora viva del “made in Italy”, che si conferma la risorsa principale sulla quale puntare e che non è così semplice da essere azzerata, anche dentro le sfide più difficili imposte dalla globalizzazione.

 

Certo, dipende molto da come “capitalizzare” questi segnali di ripresa, là dove essi si manifestano, e più in generale come orientare l’intera politica economica verso la creazione di condizioni nuove, atte a riposizionare l’economia dei distretti.

Nell’iniziativa precedente, parlando delle difficoltà nelle quali si dibattevano i nostri distretti, sottolineavamo la particolarità del nostro settore, quello delle costruzioni, in crescita da diversi anni, ma non per questo in grado di trasmettere ai comparti contigui all’edilizia, specie il legno-arredo, gli imput per garantire andamenti produttivi positivi. La conclusione del nostro ragionamento era che non c’era automatismo tra crescita e qualità senza un’azione di orientamento della politica e senza un protagonismo forte del soggetto impresa, il vero assente delle sfide di questi anni, anche in una parte significativa dei nostri distretti, largamente contagiato dalla ricerca di una competizione basata essenzialmente sul taglio dei costi.

 

Il rischio, oggi, è di sprecare le opportunità offerte dalla timida ripresa in atto e dalle prime misure messe in campo dal Governo, inseguendo ancora vecchie ricette. Infatti, tanto nei distretti dove le cose vanno meglio, quanto e ancor più in quelli dove le cose vanno ancora male, il tema dominante nel rapporto con le imprese del nostro settore è quello degli alti costi del lavoro, che altro non è che strategia della sopravvivenza. E noi sappiamo fino a che punto si è spinta la soglia delle tutele in tanta parte di questa economia. Già per questo non esistono margini ulteriori per confondere flessibilità e precarietà, come in tanti casi è stato fatto. Ma oggi, margini ulteriori non ne esistono anche perché abbiamo apprezzato e condiviso l’iniziativa del Governo sul terreno della lotta al lavoro nero e irregolare e consideriamo questo tema il terreno di una iniziativa irreversibile, che non offre sconti di sorta, che impone una vera ricollocazione del sistema delle imprese, comprese quelle piccole e medie, che sono l’ossatura dei distretti.

 

Per evitare che la lotta al lavoro nero si trasformi in un boomerang, come più facilmente potrebbe avvenire nei sistemi di piccole e medie imprese, occorre che siano accompagnate da un forte rilancio di quella che Mauro definiva una moderna politica industriale di cui sono parti fondamentali le politiche distrettuali  incentrate sulla qualità dei sistemi locali. E’ quello che ci attendiamo dai tavoli di confronto col Governo che abbiamo in agenda nei prossimi giorni.

 

Le politiche e gli interventi di cui necessitano i distretti per fare della qualità l’arma vincente –qui elencati in maniera precisa e convincente- dimostrano quanto poco ideologica sia stata la nostra posizione su alcuni grandi temi di discussione recente. Prendiamo il tema delle infrastrutture, una delle condizioni assolutamente necessarie per collegare i sistemi locali ai mercati globali. Quando abbiamo definito “non prioritaria” un’opera come il Ponte sullo Stretto, non era solo per le diverse e legittime opinioni sulla opportunità in termini ambientali della realizzazione di quell’opera stessa, quanto per il fatto che produrre –ad esempio- avanzatissime imbarcazioni per il mercato della nautica che rilanciano alla grande i nostri distretti della cantieristica e poi non avere le vie di sbocco al mare sufficientemente adeguate per consegnarle rappresenta un gap infrastrutturale non meno strategico dell’assenza di una grande opera come il Ponte. Ma ugualmente si potrebbe dire per i salotti del distretto della Murgia, che incontrano tra loro ed il mondo globale una struttura viaria che è una vera e propria via crucis, che molti di voi avranno percorso anche per esigenze di altra natura.

 

Declinare il tema della grande infrastrutturazione in funzione dello sviluppo di un’area produttiva così significativa per il nostro Paese, come lo è quella rappresentata dai sistemi distrettuali, significa saper scegliere sia tra le grandi opere, tra le quali appare evidente la priorità del completamento della rete dell’Alta Capacità, sia tra le infrastrutture intermedie, che collegano i sistemi locali con il resto del Paese e dell’Europa.

 

Vorrei aggiungere una considerazione su un altro tema che appartiene alla politica di qualificazione dei sistemi distrettuali, quello delle risorse umane. Su questo punto le diverse esperienze in campo hanno confermato il nesso strategico tra la formazione delle competenze e le strategie di marchio, facendo della formazione professionale una delle leve principali sulle quali agire, non solo per collegare crisi e sviluppo per quanto riguarda le politiche di reinserimento al lavoro, ma soprattutto per fare dell’innovazione il vero valore aggiunto del Distretto. Gran parte delle politiche istituzionali, da quelle Regionali a quelle Provinciali, si sono concentrate sul ruolo della formazione per favorire l’incontro tra domanda e offerta, con l’obiettivo di realizzarlo al livello qualitativo più alto.

 

Tuttavia, vi è in questo un limite. Quando parliamo di formazione delle risorse umane ci si riferisce quasi sempre alla formazione degli operai. In realtà, uno dei limiti riscontrati nella vita dei distretti, soprattutto nei momenti di difficoltà, è stato proprio l’inadeguato livello qualitativo degli altri attori, a partire dagli imprenditori. L’inadeguata visione strategica di gran parte delle imprese, che porta poi a favorire la scelta verso politiche di semplice galleggiamento, è dovuta molto ad una sostanziale estraneità dell’impresa e, dunque, degli imprenditori ai necessari processi di innovazione anche sul versante della formazione delle competenze. Per questo sarebbe importante favorire processi di intervento formativo che coinvolgessero contestualmente tutti i soggetti impegnati. Non si può parlare di un Distretto che guarda oltre i confini locali, con una impresa che sotto il campanile pensa di poter tenere aperto lo “stanzone” chiedendo di pagare meno tasse e cercando di pagare meno i lavoratori. Questo nuovo respiro della dimensione distrettuale non può essere se non viene favorita attraverso progetti mirati alla formazione di una nuova classe imprenditoriale, che nelle politiche pubbliche deve trovare sostegno alla propria inventiva e non risposta assoluta a tutti i problemi posti in essere dalla nuova dimensione della sfida competitiva.

 

Infine, una terza considerazione sul distretto come modello di partecipazione. In effetti, potremmo dire che la concertazione è nata con e nei Distretti a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 e poi di seguito. Oggi viene da chiedersi se questo livello, assolutamente importante per il successo di tali sistemi, sia ancora un livello pienamente esercitato. Qui, la nostra esperienza offre un quadro veramente disarticolato, ma nel quale i dubbi superano le certezze. In alcuni casi siamo ad una crisi di partecipazione delle parti sociali, almeno quelle sindacali, in altri siamo addirittura alla partecipazione “azionaria” di alcune organizzazioni sindacali.

 

Su questo punto non possiamo che ribadire quello che già abbiamo affermato nella precedente iniziativa, il Distretto come modello ideale di concertazione e di contrattazione”integrata” dove una nuova dimensione della contrattazione aziendale difficilmente potrebbe essere agita senza il contesto di una qualificata contrattazione territoriale, come dimostrano le principali esperienze che hanno avuto come oggetto soprattutto il superamento dei punti di crisi. Del resto, questa inevitabile integrazione è la dimensione che meglio connette la contrattazione con lo sviluppo della programmazione locale, facendo di quest’ultima laboratorio ideale della sostenibilità dello sviluppo (vedi distretti bio-edilizia e beni culturali) e –dunque- una dimensione assolutamente interdisciplinare, dove le necessarie politiche settoriali –delle quali si avverte sempre più la necessità di un forte rilancio- si integrano con le altre politiche territoriali. Concertazione e contrattazione territoriale come leve sulle quali agire per fare di un moderno sistema di relazioni industriali una risorsa indispensabile allo sviluppo di sistemi economici e produttivi così fortemente integrati. Ma su questo punto non si tratta di chiedere solo agli altri, dobbiamo noi stessi dimostrare di credere ad una funzione che chiede allo stesso sindacato prova di forte innovazione, a partire dal considerare una discussione come questa la somma di tanti bisogni settoriali, che danno come risultato una crescita della nostra natura e della nostra pratica confederale.

 

 

Roma, 1 marzo 2007

 

 


Via G.B. Morgagni 27 - 00161 ROMA - Tel: ++39 06 44.11.41  fax: ++39 06 44.23.58.49

©Grafica web michele Di lucchio