>dove siamo  >chi siamo  >Contrattazione  >Documenti  >Dipartimenti  >Agenda  >News  >Uff.Stampa >Mappa sito >Le nostre foto >Valle Giulia >Disclaimer

 

Stampa questo documento

Attivo Nazionale dei delegati e funzionari Fillea Cgil – Genova, 20 Marzo 2007    

 

Relazione di Franco MARTINI, Segretario Generale Fillea Cgil

 

 

 

Questa iniziativa rappresenta un primo contributo della Fillea all’iniziativa promossa dalla Cgil e dal sindacato contro i nuovi tentativi di riportare la pratica del terrorismo e della violenza nel nostro Paese.

 

Dopo le notizie sugli arresti delle 15 persone accusate di reati di associazione sovversiva e banda armata ad opera delle questure di Milano, Padova Torino e Trieste, tutto il sindacato confederale e la Cgil in particolare, sono subito scese in campo per respingere il disegno criminoso ed il tentativo provocatorio di coinvolgere il sindacato stesso nelle responsabilità dirette con l’attività del terrorismo.

 

Al contrario, del terrorismo il sindacato è sempre stato nemico e bersaglio.

 

Siamo qui a Genova proprio perché genovese era l’operaio Guido Rossa, sindacalista e attivista del PCI, assassinato barbaramente dalle Brigate Rosse, per il coraggio mostrato nell’ostacolare e nel denunciare le attività eversive nella fabbrica dove lavorava. Ancora oggi a Genova, come in tante altre città, nostri dirigenti sindacali sono fatti oggetto di minacce e provocazioni che hanno l’intento di indebolirne la funzione di rappresentanza ed il ruolo democratico e progressista.

 

Anche per questo vogliamo con questa iniziativa esprimere tutta la nostra solidarietà ed il nostro sostegno a tutti coloro che in questi giorni sono stati fatti oggetto di provocazioni, e con loro a tutti gli altri dirigenti sindacali e non solo che sono stati scelti come bersaglio di possibili azioni intimidatorie o di violenze ad opera di gruppi che fanno della violenza lo scopo principale della loro azione.

In questi momenti, sostegno e solidarietà sono importanti, perché nella lotta al terrorismo è importante che le persone minacciate possano sentirsi parti di una risposta collettiva, non isolate, perché l’isolamento è uno degli obiettivi a cui mira la provocazione. Come sempre abbiamo fatto in questi anni, sia quando il nostro nemico è stato il terrorismo, sia quando lo è stato la criminalità organizzata, saremo sempre a fianco delle compagne e dei compagni fatti oggetto di tali minacce.

 

Vogliamo inoltre anche noi esprimere apprezzamento e sostegno al lavoro svolto dalla magistratura, che ha consentito con l’azione preventiva che ha portato all’arresto delle persone sospettate di azioni eversive, di evitare che potesse consumarsi qualche efferato delitto nei confronti di personalità in qualche modo impegnate politicamente sul versante democratico, come era nei progetti degli arrestati. Spesso, questo lavoro è svolto nel più totale silenzio, con mezzi impari rispetto alla sfida lanciata dal terrorismo. Ma anche per questo, è ancor più da apprezzare l’attaccamento alle istituzioni democratiche, insito in chi combatte i nemici della democrazia, come lo sono coloro che si definiscono rivoluzionari combattenti, ma che in realtà sono criminali che usano la violenza per negare diritti democratici dei cittadini e dei lavoratori.

 

Con questa iniziativa vogliamo, in secondo luogo, riportare all’attenzione del nostro mondo del lavoro e del Paese in generale i pericoli che il terrorismo rappresenta per la democrazia e lo sviluppo del Paese.

Probabilmente, in gran parte dell’opinione pubblica e della stessa nostra realtà il terrorismo era stato associato ad una triste e datata pagina di storia della nostra Repubblica. Troppi, anche fra noi, avevano dato per debellato il fenomeno.

 

Gli arresti del 12 febbraio hanno invece rappresentato un vero e proprio fulmine a ciel sereno, sia per la quantità degli arrestati, che per la qualità degli stessi, per i tanti significati che la composizione delle persone coinvolte racchiudono in sé.

Occorre, dunque, combattere la sottovalutazione che in parte è diffusa anche tra la nostra gente. Ed è importante farlo per respingere con energia, con grande sdegno e determinazione lo strumentale accostamento fatto tra il nostro sindacato ed il terrorismo. Con irresponsabile speculazione politica in questi giorni si è ripetuto, rivolti a noi, l’esigenza di guardarci in casa, con l’aberrante insinuazione che la presenza di un certo numero di iscritti alla nostra organizzazione rappresentasse una contiguità tra l’azione terroristica e quella di alcuni settori della Cgil e del sindacato.

 

La speculazione ha raggiunto il limite quando si è in modo artefatto costruito delle notizie circa l’estensione dei nostri rappresentati coinvolti tra i possibili, imminenti, nuovi arresti. Si è voluto colpire la Cgil e con essa il sindacato confederale, cioè, un ganglo vitale della democrazia di questo Paese, cercando di trarre vantaggio dalla grave vicenda, con scopi di dubbio valore per quando riguarda il rafforzamento della vita e del tessuto democratico del Paese. Ed è grave che di questa azione si siano fatti protagonisti organi di informazione che dovrebbero avere il compito di informare correttamente, di rappresentare la realtà per quella che è.

 

E la realtà è quella scritta dalla storia di questi ultimi trent’anni, la storia di un sindacato confederale, di una Cgil sempre in prima fila nel combattere il terrorismo, di un sindacato che per essere coerente con questa battaglia ha avuto le sue vittime, a partire da Guido Rossa, i suoi morti e i suoi feriti e quelli che si occupavano del sindacato, del mondo del lavoro, pur con tante opinioni diverse da loro, come quelle che avevano portato D’antona e Biagi a dire la loro su come poteva e doveva essere riorganizzato il mondo del lavoro.

 

Ma la forza della democrazia sta proprio nella sua capacità  di mettere le opinioni diverse al sevizio del progresso. Ed è proprio il progresso nel bersaglio del terrorismo, ostacolarlo in ogni modo, perché il progresso democratico toglie ossigeno a chi sceglie la violenza fisica e verbale, quella delle idee come terreno di regolazione dei rapporti sociali.

 

Il sindacato ha condotto battaglie aspre in questo Paese, senza mai rinunciare al rigore ed all’intransigenza delle posizioni e degli obiettivi quando questo era necessario, ma al tempo stesso mostrando una grande capacità di sintesi e di mediazione. Ciò ha consentito una crescita e una diffusione della democrazia, un processo di emancipazione sociale e politico delle classi più deboli, che nel tempo hanno trovato la loro dignità ed il loro potere.

 

Questo spiega perché il terrorismo è contro il sindacato, e perché associare il sindacato al terrorismo, oppure solo insinuare coinvolgimenti diretti o indiretti, rappresenta una azione contro la democrazia.

 

Questa non è una verità importante solo per il sindacato, ma per l’intero Paese.

Fin dalle prime ore il sindacato, a partire dalla Cgil e dal suo segretario generale, si sono difese, hanno respinto gli attacchi e hanno rilanciato il ruolo da noi svolto nella vita democratica.

Abbiamo considerato e consideriamo un errore la timidezza con la quale si è fatto altrettanto nel mondo politico.

Difendere il ruolo democratico del sindacato confederale non è solo un piacere che si fa a noi, ma è un bene che si fa al paese, del quale il paese ha grande bisogno, soprattutto in un momento di grande incertezza e di grandi squilibri, soprattutto nel momento in cui la difesa ed il rafforzamento della democrazia dovrebbero rappresentare il tessuto connettivo che tiene insieme una società che vive problemi seri, come quelli che la crisi italiana ha manifestato in questi anni.

 

Per questo la risposta al terrorismo non può vedere impegnato solo il sindacato, ma tutta la politica, tutte le istituzioni ed è una risposta che deve andare oltre la mobilitazione che si sviluppa a seguito dei tragici eventi che hanno segnato questa drammatica pagina di storia del Paese. I questo caso la preventiva azione della magistratura e delle forze inquirenti hanno scongiurato epiloghi tragici, gli arresti hanno sicuramente evitato che ci scappasse il morto. Ma non per questo può essere proclamato lo “scampato pericolo” ed è per questo che non possono e non debbono essere tollerati atteggiamenti di sottovalutazione, né di ambiguità in una battaglia che deve essere di tutta la società civile e politica del Paese.

 

E’ una battaglia, questa contro il terrorismo, che deve prendere atto del fatto che il fenomeno, unico in Europa del genere, rappresenta un male endemico della società italiana, che ancora non si è riusciti a debellare. Gli arrestati non solo confermano questo, ma dimostrano come la pianta del terrorismo, in contesti e con caratteristiche che tendono anche ad evolversi, è pianta che si riproduce. Ha colpito tanti di noi il fatto che assieme a rappresentanti di quello che potrebbe essere definito il “vecchio” terrorismo, cioè, personaggi che potrebbero essere catalogati nella generazione che ha conosciuto le vicende degli anni ’70 e ’80, vi sia stata tra gli arrestati una presenza di giovani e giovanissimi, cioè, di una generazione che non ha conosciuto direttamente gli anni di piombo. Ed in tanti di noi è sorta naturale la domanda di come un fenomeno cosi aberrante, che nega libertà e diritti alle persone, a partire da quello principale alla vita, possa attecchire in chi oggi dovrebbe esprimere forse più di ogni altro questo bisogno.

Questa nuova pagina di potenziale violenza politica ripropone, dunque, all’attenzione della società la questione giovanile, come questione centrale del futuro di una società che ha fatto del disagio il suo principale metro di misura.

Occorre, tuttavia, affrontare questa questione senza accettare equazioni che potrebbero in qualche modo legittimare, validare l’uso della violenza ad ogni livello.

 

Il tema del disagio sociale è tema centrale della crisi della nostra società, che da anni non solo noi abbiamo denunciato, ma contro il quale abbiamo orientato l’iniziativa sindacale a tutti i livelli. Il disagio sociale, nelle sue principali manifestazioni dell’assenza di prospettive, di certezze per il futuro, nella prevalenza della precarietà sul lavoro, nella società, nell’esercizio dei principali diritti di cittadinanza, è il parametro che meglio di ogni altro misura il declino della società italiana.

Probabilmente vi è stato ed in qualche caso permane un limite della politica, che spesso chiede a se stessa più realismo del re (ma che negli anni che abbiamo alle spalle è stata la conseguenza di scelte volute), che ha sottovalutato i rischi di destrutturazione complessiva della società civile, dei suoi valori, del suo tessuto connettivo insiti nell’inarrestabile processo di precarizzazione a tutti i livelli delle attività lavorative, sociali, istituzionali.

 

I giovani, come anche la nuova realtà rappresentata dalle migliaia di persone che da altri paesi vengono in Italia a cercare lavoro e futuro, rappresentano l’anello più debole in questa catena della precarietà.

 

E’ compito nostro, del sindacato e della politica, rappresentare e consolidare i punti di riferimento che insieme costituiscono la risposta democratica al disagio, la risposta democratica al processo di ricostruzione delle certezze.

Il disagio sociale è comprensibile, legittimo, ma non giustifica l’uso della violenza, tanto quella politica, che quella che incontriamo in tutte le pieghe della vita sociale. Oggi, indubbiamente, la nostra società è più violenta, perché la violenza è diventata sempre più la leva attraverso la quale in molti casi si tenta di regolare i rapporti sociali, i conflitti che al suo interno si sviluppano.

 

Essere contro la violenza non significa negare l’antagonismo, la radicalità molto più diffusa nello spirito giovanile, nelle dinamiche che animano le aspettative delle nuove generazioni. Anche in questo caso occorre distinguere tra il sano radicalismo che è stato anche delle nostre generazioni e che ha rappresentato una sorta di liberazione dalle maglie del conformismo politico e sociale di quegli anni e la violenza quale fine  e mezzo, al tempo stesso, della stessa esistenza dei gruppi violenti che tramano o si fanno strumento di chi trama contro la democrazia.

 

Qui dentro è contenuta un riflessione importante per la vita e l’iniziativa del sindacato, che riguarda il suo rapporto con i giovani e con i movimenti sociali, che rappresentano una delle forme attraverso le quali essi esprimono disagi ed aspettative.

Anche in questi casi occorre respingere l’equazione che rende automatico il nesso tra questi movimenti e l’uso della violenza. Noi dobbiamo guardare a queste realtà avendo ben chiaro il confine che separa legittimità da ciò che legittimo non può essere. E non si tratta solo di un fatto formale, poiché sarebbe sufficiente in questo caso rappresentare questo confine attraverso la legalità.

E’ chiaro che per noi, difendere le regole della democrazia significa rispettare innanzitutto la legalità. Lo dice una categoria che della legalità sul lavoro ha fatto necessariamente una delle sue principali battaglie, perché da essa discende la possibilità di garantire diritti fondamentali nel nostro mondo del lavoro.

 

Ma quel confine è segnato anche e soprattutto dalla cultura della non violenza, dal rifiuto della violenza in quanto negazione dei diritti delle persone, come rifiuto della democrazia quale terreno di convivenza civile.

Ad un sindacato grande e forte come il nostro non è il radicalismo che può far paura, non è la cultura antagonista, quando essa esprime una spinta autentica, anche se radicale, al cambiamento. Occorre, però, che questa energia venga ricondotta all’interno di una positiva dialettica democratica, quella che ha fatto crescere e diventar forte il nostro sindacato e la democrazia della quale noi stessi siamo stati principali costruttori e garanti.

 

Non è in discussione il diritto al dissenso, che deve restare esercizio libero all’interno di una organizzazione democratica. Chi non ricorda, ad esempio, la sofferta discussione a metà degli anni ’90 sulla riforma delle pensioni. In quella circostanza le nostre assemblee furono palestra di una grande prova democratica della libertà del dissenso, assieme al consenso, ovviamente. Ma il sindacato non ne uscì più debole da quella prova. Al contrario, le diversità che lo animarono hanno rappresentato una risorsa per rendere questa grande organizzazione ancora più in grado di sostenere le prove alle quali negli anni successivi la difesa dei diritti e la lotta per la difesa delle condizioni di chi lavora ci hanno chiamati.

 

Altre prove impegnative ci attendono nelle prossime settimane e noi dobbiamo affrontarle rafforzando e diffondendo questo insegnamento.

Il disegno del terrorismo tende sempre a cavalcare battaglie e parole d’ordine che muovono da contraddizioni insite nella società, dalle condizioni sociali di chi la vive.

Nel caso nostro –ad esempio- i nostri compagni e con loro la nostra organizzazione sono stati fatti oggetto delle minacciose provocazioni in relazione all’opposizione al completamento del progetto TAV. Noi sappiamo quante discussioni e quali contraddizioni questo progetto ha prodotto, soprattutto quando ha incrociato le posizioni, gli interessi, le aspettative delle popolazioni dei territori attraversati da quel progetto. Sappiamo anche che non sempre può esistere una coincidenza perfetta tra interesse generale ed interessi delle comunità locali.

 

Ma abbiamo sempre considerato le opinioni e gli interessi delle popolazioni attraversate dal progetto come un qualcosa che non solo non può essere calpestato, ma che, al contrario, deve rappresentare punto di riferimento per costruire una sintesi tra i diversi interessi. E là dove questo difficile esercizio è riuscito è stato grazie alla paziente discussione, al tenace confronto di opinioni, alla necessità di ricondurre l’inevitabile animosità sul terreno del confronto civile e democratico, il solo che può alla fine mettere d’accordo tutti. Non potrebbe certo essere un delitto perpetrato dalle Brigate Rosse a produrre la necessaria sintesi tra le diverse posizioni che si manifestano sul progetto dell’Alta Velocità ed è per questo che tante parole, come questa, esprimono il loro esplicito carattere di strumentalità.

Così come i brigatisti cercano il sindacato per agire con le coperture da loro ritenute necessarie, altrettanto cercano le parole d’ordine per coprire con una causa inventata, u disegno criminoso e delittuoso.

 

Anche per questo, nel nostro fare cultura democratica e della legalità, occorre fare attenzione alle parole d’ordine, che devono sempre, come sempre fino ad oggi lo sono state, essere trasparenti, chiaramente ispirate ad un principio di evoluzione democratica dei rapporti politici e sociali.

 

Naturalmente, il coinvolgimento di attivisti, militanti, di delegati sindacali iscritti alle nostre organizzazioni ha posto un problema in più nell’impegno che dobbiamo mettere in campo contro il pericolo di rigurgito del terrorismo.

Anche in questo caso vogliamo esprimere la nostra solidarietà a quelle categorie che sono state sbattute sulle prime pagine, quali mostri da denunciare, mettendo in discussione il carattere democratico e progressista della loro storia. Da parte nostra vi è tutta la necessaria solidarietà unita allo sdegno per tale, inaccettabile speculazione politica.

 

Indubbiamente, anche noi ci sentiamo impegnati per sommare all’iniziativa politica e culturale, una dose in più di vigilanza sulla vita della nostra organizzazione. E’ un fatto ovvio e naturale, che non costituisce nessuna legittimazione per coloro che immediatamente hanno pensato di liquidare la faccenda dicendo a noi di “guardarci in casa”. La vigilanza democratica appartiene alle più antiche tradizioni del movimento dei lavoratori e delle organizzazioni politiche e sindacali che lo hanno rappresentato e sare4bbe bene che questa tradizione fosse esercitata da chi ha veramente qualche scheletro nell’armadio e che oggi vorrebbe dare lezione di democrazia e legalità.

 

Ma intensificare la vigilanza democratica, come la Cgil ha giustamente deciso di fare, non significa assolutamente trasformare la nostra organizzazione in una succursale del corpo di polizia, né in un distaccamento militare. Significa semplicemente rafforzare i meccanismi e le dinamiche che rendono trasparenti e qualificati i processi di formazione dei gruppi dirigenti, degli organismi di rappresentanza a tutti i livelli, di formazione delle decisioni. E significa farlo facendo i conti con una realtà che è molto diversa da quella di metà degli anni ’70 e ’80, dove il luogo simbolo del mondo del lavoro era ancora la grande fabbrica, mentre oggi è più facilmente il precariato diffuso, rappresentato anche dalle centinaia di migliaia di piccole aziende, molte delle quali ai limiti della regolarità nel nostro settore.

 

Occorre dunque un maggior investimento culturale nel sindacato, per accompagnare i nostri quadri, soprattutto quelli nuovi, quelli giovani, quelli stranieri, con il necessario investimento formativo, in grado di trasmettere la memoria del sindacato confederale ed i principi, che rendono poi le piattaforme rivendicative, i progetti sindacali terreni solidi sui quali esercitare l’azione di tutela. Qui sta forse il principale antidoto alla violenza, la trasmissione dei valori democratici e progressisti che hanno fatto forte il sindacato.

Io credo che noi siamo sulla buona strada, che la nostra categoria sia sulla buona strada. Spesso, nelle nostre discussioni, sentiamo dire che non vogliamo essere il sindacato delle deleghe, nel senso che ci interessa non solo avere il lavoratore iscritto, come un numero da conteggiare nella competizione con le altre organizzazioni,  ma soprattutto come una persona, una persona in carne ed ossa da ascoltare, da coinvolgere nel nostro lavoro di rappresentanza e di tutela, da coinvolgere nelle nostre battaglie comuni. Questo modo di essere sindacato è la principale garanzia per far si che la cultura della solidarietà si radichi profondamente e sappiamo quanto la cultura della solidarietà sia la principale garanzia per tenere lontana la violenza dal nostro agire quotidiano.

 

Per questo siamo qui, oggi, a Genova, per ribadire tutto il nostro impegno nella lotta al terrorismo, per ribadire che questa lotta non è solo una lotta per impedire che valori negativi si impossessino ancora della nostra vita civile, ma soprattutto per far avanzare ulteriormente i valori positivi della democrazia e del progresso, per ribadire che la cultura della legalità, contrapposta all’uso della violenza è ciò che rende più forte una democrazia e, quindi, più forte il sindacato e le sue battaglie. Per dire che non ci fermeremo e che da domani con ancora più forza ripeteremo queste cose a tutti i lavoratori che incontreremo, perché con loro vogliamo continuare a costruire una società più giusta e per farlo con loro dobbiamo continuare a combattere il terrorismo, che la società più giusta non la vuole.

 

Se saremo uniti vedrete che ce la faremo. Anche per questo vi abbiamo chiesto di essere in tanti, oggi, qui a Genova.

 

 

 

Via G.B. Morgagni 27 - 00161 Roma - Tel: ++39 06 44.11.41  fax: ++39 06 44.23.58.49  Home page

©Grafica web michele Di lucchio