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Congresso Nazionale Filca Cisl. Trieste, 14 giugno 2005.

Intervento di Franco Martini, Segretario Generale Fillea Cgil

 

Vorrei innanzitutto rivolgere a tutte le delegate e delegati, alla Presidenza del vostro Congresso e a Domenico il saluto caloroso e fraterno della Segreteria Nazionale Fillea e l’augurio di una proficua e positiva conclusione dei lavori.

 

  Ho sempre pensato che il congresso di una organizzazione con la quale si condividono esperienze, iniziative, comuni battaglie quotidiane sia un pezzo anche della nostra vita, della vita di noi “ospiti”, un evento al quale dedicare molto rispetto, ma soprattutto molta attenzione, capacità di ascolto, volontà di comprensione e di confronto. Ho sempre pensato che dagli altri vi sia sempre qualcosa da imparare e comunque con gli altri una migliore capacità di vedere il mondo, i suoi problemi, le giuste soluzioni.

 

  Alcuni di voi ricorderanno che al vostro precedente congresso espressi l’opinione che nelle nostre diversità fosse contenuta una ricchezza che stava a noi saper sfruttare, l’idea che le diverse visioni anche sui problemi importanti non fossero da intendersi una iattura, una disgrazia dalla quale salvarci, ma al contrario, una risorsa per rendere più vera e forte la sintesi unitaria che la nostra stessa missione ci impone.

 

  Credo che la relazione di Domenico confermi questa convinzione. Egli ha presentato un bilancio positivo dell’azione svolta dalla categoria in questi anni, che può e deve essere considerato –senza togliere nulla al protagonismo di organizzazione- e io voglio considerarlo tale patrimonio comune di tutto il sindacato delle costruzioni; ed anche là dove ci ha presentato delle posizioni che marcano delle differenze tra la Cisl e la Cgil, forti dell’esperienza che abbiamo alle spalle, noi possiamo guardare a questa differenza senza farsi prendere da chissà quali angosce, ma con rinnovato spirito di confronto e di ricerca unitaria.

 

  Quanti di noi, ad esempio, avrebbero scommesso quattro anni fa sul fatto che avremmo concluso una stagione contrattuale eccezionale, come quella che abbiamo realizzato e concluso l’anno scorso. Vi erano tutti gli ingredienti per immaginare il contrario: posizioni distanti sul mercato del lavoro, il Patto per l’Italia, diverse sensibilità sulla bilateralità, un contesto generale, politico e sindacale più congeniale ad alimentare sospetti che fiducia. Eppure è successo il contrario, adottando una ricetta semplice ma di grande efficacia: guardarsi negli occhi, dirsi la verità, non nasconderci dietro finzioni e paraventi e spendersi lealmente per una causa comune che è la tutela dei lavoratori.

  Questo non ha impedito discussioni anche aspre, confronti accesi, dissensi non tutti superati, ma da quella esperienza si è rafforzato un modo di agire e di essere tra noi, dove alla diffidenza prevale la fiducia reciproca, dove alla demonizzazione prevale il rispetto, dove alla rassegnazione prevale la voglia di guardare avanti.

 

  In definitiva ed in questo mi associo alla legittima punta di orgoglio di categoria che era nelle parole di Domenico, in un panorama sindacale non sempre ricco di esempi costruttivi questo sindacato, insieme, ha saputo rappresentare un punto di riferimento, un esempio di umiltà ma di determinazione, propri della gente che rappresentiamo e questo patrimonio credo che ognuno di noi possa portare in dote alla propria Confederazione e a tutto il sindacalismo confederale e noi sappiamo quanto di ciò il sindacato italiano ha bisogno!

 

  Ora che ci conosciamo un po’ di più sapete che le mie non sono parole di circostanza; sono certo parole che escono dal cuore, ma che nascono dalla testa perché epr noi stare insieme è un valore per il quale ci batteremo fino in fondo, oltre le possibilità se ciò fosse possibile.

 

  Ma anche per questo non dobbiamo avere difficoltà, né remore nel guardare in faccia la complessità della fase sindacale. Domenico, assieme al bilancio positivo di questi anni ha parlato apertamente di questa complessità, della problematicità anche nuova con la quale saremo chiamati a confrontarci.

  Io condivido la sua analisi e dico che abbiamo i numeri per vincere anche le nuove scommesse, tanto quelle della nuova stagione contrattuale che si staglia all’orizzonte, quanto quella della crisi più generale del Paese e dell’economia, dentro la quale i nostri settori hanno e avranno reazioni diverse ma, comunque, col fiato sempre più tirato. Basti pensare a quello del salotto imbottito.

 

  Dobbiamo non smarrire la rotta che ci ha portati fino a qui, quando abbiamo scelto di batterci fino in fondo per una nuova qualità del settore delle costruzioni. Abbiamo scelto la qualità come punto cardinale della nostra strategia. Quando il settore continuava a crescere nel mentre l’economia e l’industria andavano a rotoli, qualcuno non capiva perché dovessimo parlare e rivendicare la qualità. La ragione era semplice: perché non c’è mai un rapporto automatico tra crescita e qualità se on vi sono le azioni delle imprese e della parte pubblica che indirizzino la crescita verso gli obiettivi positivi dell’innovazione.

 

L’edilizia cresceva ma rimanevano alti gli infortuni, il lavoro nero. La scarsa valorizzazione professionale, la sottocapitalizzazione delle imprese e la pessima qualità dei prodotti. E gli altri settori, quelli del Made in Italy ancora di più andavano in contro alla crisi.

Abbiamo denunciato il rischio di un settore che poteva uscire dal ciclo espansivo nelle stesse condizioni destrutturate, se non peggio, nelle quali era entrato. Ma non abbiamo solo denunciato. Abbiamo voluto e in parte ottenuto contratti che avevano importanti elementi di innovazione ed al tempo stesso abbiamo fatto della regolarità e della trasparenza obiettivi da perseguire attraverso il confronto con il governo e le Associazioni delle imprese.

 

Io credo che nei prossimi mesi dobbiamo essere conseguenti con queste scelte e i risultati che ne sono derivati, sia per consolidarli attraverso la contrattazione di secondo livello, sia per combattere il pericolo di regressione sul versante della regolarità, dove molti plausi abbiamo preso e distribuito per quello che abbiamo fatto, ma altrettanti ritardi stiamo maturando, a partire dal decollo definito del DURC. A questo proposito se dovessimo scegliere un parametro per misurare il carattere innovativo delle cose che abbiamo fatto non potremmo che trovarlo nella resistenza al cambiamento che stiamo incontrando, soprattutto da parte delle nostre controparti.

 

Se c’è un modo per combattere i rischiai vanificazione dei risultati e di regressione è innanzitutto esaltare l’autonomia delle scelte che ci hanno portati a quei risultati, scelte che nessuno ci ha imposto.

Ad esempio, sulla bilateralità, qualcuno ancora pensa (e lo dico guardando anche in casa mia) che il protocollo siglato in occasione del rinnovo del Ccnl sia una scelta imposta dalla controparte. E’ sbagliato, non è così. La bilateralità è patrimonio innanzitutto nostro e se ci crediamo davvero dobbiamo sapere che le Casse Edili, le scuole edili, i Cpt così come sono nati e cresciuti non potrebbero avere un futuro se non scegliessero di mettersi in gioco per interpretare i bisogni nuovi che lo sviluppo del settore impone.

La qualificazione degli enti è battaglia nostra e se non la portiamo avanti noi con coerenza, la bilateralità rischia di diventare terreno per attuare strategie di riduzione dei costi, che avrebbero effetti solo sui lavoratori e sulle loro prestazioni, oppure per mantenere in vita pratiche non sempre buone. Non abbiamo fatto per scherzare! E questo vale per tutto il resto dalla riforma degli inquadramenti alla formazione, dalla sicurezza al governo trasparente del mercato del lavoro.

Vedete, non ho paura a dirlo, perché so che rispetto a quel poco che ci divide sulla gestione del mercato del lavoro c’è un tanto che possiamo fare e che non verrà se aspettiamo che siano gli altri a sollecitarlo.

Così come non ho paura delle coerenze contrattuali in materia di welfare integrativo e complementare, sanità, previdenza. Non abbiamo scherzato e nelle prossime piattaforme per il rinnovo dei contratti dobbiamo prevedere la seconda puntata dell’esperienza positiva vissuta in occasione dei rinnovi dei Ccnl.

 

E se mi consentite una battuta è anche il modo più concreto per stare dentro la discussione sulla riforma della contrattazione, tema secondo me molto più indicato per laboratori come siamo noi che per confronti accademici e spesso ideologici

 

Il panorama sindacale sembra ancora poter essere turbato da nuove tensioni, in parte dovute allo spessore della crisi, ma anche al fatto che le differenze che hanno segnato le vicende del passato recente non sono sempre state elaborate e portate a sintesi unitarie.

Non ho mai creduto che la via migliore per l’unità sia quella di chiedere agli altri di essere meno se stessi, dunque, chiedere in questo caso alla Filca di essere meno Cisl o alla Feneal di essere meno Uil. L’orgoglio di organizzazione è un valore positivo e non è negandolo che troveremmo la via più sicura verso l’unità. E poi è troppo facile chiedere sempre agli altri di cambiare quando invece è la disponibilità al proprio cambiamento la prima condizione da mettere in campo.

 

Per questo non ho mai considerato, né temuto la competizione tra noi, né l’ho mai considerata una smentita surrettizia del lavoro unitario che abbiamo svolto. A volte questa competizione produce pratiche non sempre edificanti (ma guardare l’erbaccia solo nel giardino del vicino sarebbe sbagliato).

La competizione “a fin di bene” non è una volata all’ultimo chilometro ma una corsa di fondo, perché abbiamo tanti colli da scalare. Voglio cioè dire che il valore più grande della competizione sta nell’allargare l’area della sindacalizzazione, nel fare sempre più nuove deleghe, non nel combatterci a suon di revoche, che ridurrebbe l’agonismo ad una guerra estenuante per dividerci in continuazione quel che già abbiamo. Domenico ha lanciato per la Filca la sfida a diventare la prima organizzazione. Ovviamente noi faremo di tutto per impedire il raggiungimento di questo obiettivo. Voglio però dire che è mille volte meglio un lavoratore iscritto alla Filca o alla Feneal che un non iscritto alla Fillea! E crescere ancora si può, è possibile portare altre migliaia di lavoratori nelle nostre organizzazioni, ad aggiungersi a quelli che già rappresentiamo, a partire dal nuovo esercito degli immigrati, che potrebbero rappresentare il terreno di un’azione comune di sindacalizzazione, anche per dare un esempio di civiltà e di cultura dove forse c’è più bisogno di combattere l’immagine delle divisioni, degli odi, della disperazione conosciute nelle terre di origine, spesso segnate da eterni conflitti.

 

Non voglio illudermi che norme di buone pratiche da sole possano rendere possibile questo scenario. Ho ben presente che vi è un contenuto sul quale agire. So che questo contenuto ha titoli impegnativi, come il modello della contrattazione, l modello della rappresentanza sindacale o della democrazia. E non amo liquidare questo contenuto con il fatto che “gli altri hanno un’altra idea di sindacato”. Ci mancherebbe! Siamo tanti e differenti tra noi, ci mancherebbe che avessimo tutti la stessa idea: Che brutto sindacato sarebbe!!

Ma come abbiamo fatto fino ad oggi? Ci siamo guardati in faccia, abbiamo costruito edifici comuni, senza buttare via le diversità, ma considerandole terreno sul quale immaginare l’apertura di nuovi cantieri.

Domenico ci ha lanciato nuove sfide, partendo dal progetto Filca e Cisl (l’iscrizione al sindacato attraverso gli enti bilaterali, la partecipazione, …). Mentirei se dicessi che su questioni come queste potremmo trovarci d’accordo domattina. Ma una verità ve la dico: voglio vedere fino in fondo, voglio confrontarmi fino in fondo sul merito delle proposte che non demonizzo, voglio essere convinto e anche convincere.

A Domenico l’ho detto più di una volta: mi piacerebbe che potessimo rinchiuderci un giorno dentro una stanza con i nostri Segretari Regionali, con i gruppi dirigenti più ristretti per fare una discussione vera sul merito, tenendo arrotolate le bandiere, fondata su grande capacità di ascolto e rispetto reciproco e capire perché Si, perché No, dove si può e fino a dove, rispondere con argomenti ad argomenti. Dobbiamo creare sedi comuni di discussione.

 

Dopo aver lavorato questi ultimo quattro anni con voi, con i compagni della Ferneal, con Domenico e Franco (Marabottini) e le rispettive segreterie nazionali non posso che guardare con fiducia alle prove che ci attendono, consapevole del grave errore che sarebbe disperdere l’enorme valore aggiunto della stagione che insieme abbiamo realizzato, un valore aggiunto da investire non solo in categoria ma in tutto il sindacato, anche quello europeo.

Per questo guardiamo con attenzione ai lavori del vostro congresso e ci attendiamo conclusioni incoraggianti e stimolanti per la nostra stessa discussione.

 

Credo che averlo fatto a Trieste abbia anche un significato simbolico. La storia insegna quanto questa città sia stata e sia un crogiolo di culture, un incrocio di civiltà che a volte ha anche prodotto sofferenza, ma che alla fine ha consegnato un esempio di moderna convivenza, un modella di cultura della tolleranza. Una città che ci ha insegnato un concetto diverso di confine, non uno steccato, un diaframma, un muro, ma una porta di accesso, una porta spalancata sul futuro, su nuovi orizzonti.

Quello che rende fragile il confine tra noi è che ci battiamo per la stessa cosa: la dignità delle persone che lavorano nei cantieri e negli impianti fissi, al di là del colore della pelle e delle religioni.

La dignità non è in vendita, anche se è molto a rischio, quando si continua a considerare questo mestiere un lavoro per gente ignorante, sporca, negando l’alto valore creativo e professionale, l’alto contenuto positivo di una categoria che costruisce pace e progresso.

 

Questo vogliamo essere per i lavoratori delle costruzioni e per tutto il sindacato e con questo auspicio comune rinnovo gli auguri di un proficuo lavoro e un ringraziamento per quanto fino ad oggi avete contribuito anche attraverso la vostra azione a renderci sempre più convinti che una vita al servizio dei più deboli è il modo più bello di spendere la nostra vita.

 

 

 

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Caro Domenico,

 

  Ti esprimo a nome della Segreteria Nazionale Fillea gli auguri per la tua riconferma alla guida della Filca Cisl, rinnovandoti la disponibilità della nostra organizzazione a collaborare per il conseguimento degli obiettivi che sono alla base della nostra iniziativa di tutela e di avanzamento del settore delle costruzioni.

 

 

                                                                    Franco Martini

 

 

 

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