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Conclusioni di Franco Martini Segretario Generale Fillea Cgil

Attivo sulla sicurezza del 3 febbraio 2005

                                                                                        

Come vi è stato ricordato questa mattina la Segreteria Nazionale della FILLEA ha dato e dà molta importanza all’appuntamento di oggi, perché è una tappa significativa di quello che noi consideriamo il primo dei terreni sui quali siamo impegnati da tempo. Mara ricordava che nel nostro linguaggio comune abbiamo definito la sicurezza il nostro assillo quotidiano e purtroppo nella quotidianità degli eventi questo assillo cresce perché alle preoccupazioni che qui sono state espresse sugli effetti dell’evoluzione del quadro normativo e legislativo si aggiungono quelle vissute sul campo, cioè, la preoccupazione di un processo che investe la qualità del nostro lavoro che continua a presentare gravi contraddizioni.

Proprio perché è una tappa di un percorso credo sia utile che dedichi alcune brevissime considerazioni conclusive a come dare continuità a questa discussione, quella continuità che c’è stata chiesta anche dagli esperti che sono intervenuti al nostro dibattito che io nuovamente ringrazio perché, come dirò alla fine di questo intervento, il nostro rapporto con le competenze tecniche e giuridiche è parte importante della capacità del Sindacato di avanzare proposte anche nel merito delle soluzioni ai problemi legati alla tutela ed alla sicurezza in un processo produttivo che è in forte evoluzione e non solo nei cantieri.

E’ utile, però, che spenda due minuti per una premessa perché, come è ovvio e come è accaduto questa mattina in una parte degli organi di informazione, questa iniziativa produrrà qualche rimbalzo polemico. Sembra incredibile, ma quando noi pubblichiamo i dati sugli infortuni mortali nei cantieri siamo tempestati dalle telefonate dei quotidiani, cosa che non avviene se mettiamo nel circuito dell’informazione notizie relative ad altre vicende sindacali.

I morti sul lavoro evidentemente rappresentano in qualche modo una notizia spendibile, mentre lo è molto meno – come qui veniva ricordato – il minuto successivo all’evento che ha procurato quel danno irreparabile, dopo il quale il mondo continua ad andare avanti esattamente come prima.

Noi abbiamo deciso di continuare a recitare un po’ la parte dei “bastian contrari”, coloro che, ormai da un po’ di tempo, nel momento in cui l’INAIL sforna dati che parlano di un calo significativo degli infortuni anche mortali in edilizia, calo  ancora più importante perché avviene a fronte di un notevole aumento delle ore lavorate dichiarate, continuano a dire che gli infortuni sono in aumento e che questo è il dramma principale con il quale il settore deve misurarsi e così via”.

E allora ripeto per l’ennesima volta, come abbiamo già avuto occasione di dire in altre sedi, che l’iniziativa della FILLEA che ci ha resi in un certo qual modo “testimonial” di questo triste fenomeno, il monitoraggio quotidiano che il nostro sito fa, non si propone di fare concorrenza alla statistica ufficiale dell’INAIL, non è questo. Così come se di cantiere si muore meno – lo ripeto un’altra volta, semmai ce ne fosse ancora bisogno – non è che siamo tristi ed infelici per questo, perché il nostro obiettivo è che nei cantieri ci si faccia meno male e si muoia meno e se si muore meno valutiamo questo risultato anche come il risultato di un pezzo del nostro lavoro.

Abbiamo sempre detto che vogliamo fare la parte dei “bastian contrari” scegliendo nel coro dell’ottimismo di essere una voce stonata innanzitutto perché noi ci occupiamo del lavoro reale e non del lavoro ufficiale. Il monitoraggio della FILLEA non distingue tra i lavoratori in regola ed i lavoratori non in regola, perché noi contiamo tutti e se l’INAIL stessa dichiara che tra lavoro nero e lavoro grigio, con tutte le tonalità e sottotonalità che il nero ed il grigio possono avere, l’edilizia tocca punte di lavoro irregolare non molto distanti da quelle che noi abbiamo denunciato, evidentemente le statistiche ufficiali nel loro impatto con la realtà necessitano di una ritaratura o quantomeno impongono prudenza.                            

È chiaro –infatti- che la presenza di un fenomeno di lavoro nero consistente e diffuso, innanzitutto in edilizia, attenua in parte il trend positivo, che resta comunque importante se confermato come tale.

Noi, quindi, facciamo questo lavoro non per polemizzare con le statistiche ufficiali ma per lanciare un messaggio, poichè il nostro metodo di rilevamento se non altro segnala una tendenza.

Avendo dichiarato, infatti, che nel 2004 gli infortuni mortali da noi conteggiati erano superiori a quelli del 2003, abbiamo aggiunto un commento: la prudenza che è solita accompagnare il nostro giudizio e le nostre valutazioni nei confronti delle statistiche ufficiali è data dal fatto che oltre quei dati formali nei cantieri reali, nel mondo reale, sono in atto dei fenomeni che rischiano di bloccare quella tendenza positiva, addirittura in alcuni casi di rovesciarla e di rendere precaria questa inversione di tendenza al miglioramento della situazione ufficiale.

In quei dati, infatti, ci sono delle cose eclatanti. Qui abbiamo visto e ci è stato spiegato (il dottor Coato ha anche proiettato una diapositiva), che una delle cause di morte nei cantieri è data dall’evento più antico, la caduta dall’alto, che non è un fenomeno legato ad un’evoluzione delle tecniche di costruzione, dei processi di modernizzazione, etc.. La caduta dall’alto è esattamente quella che 50 o 100 anni fa provocava la morte dei lavoratori e per evitare una caduta dall’alto non è necessario attendere chissà quale evoluzione normativa o chissà quale sofisticatissimo coordinamento fra tutti i mezzi e così via, basta rispettare – come qui ci è stato detto – una delle più elementari norme della sicurezza.

Noi abbiamo detto per tutto il corso del 2004: “attenzione, nei cantieri si continua a lavorare con un’organizzazione del lavoro che non aggiunge tutele e sicurezze su quelli che sono gli eventi più banali.”

La statistica FILLEA dice che le cadute dall’alto nel 2003 erano il 38%, nel 2004 sono il 44%, quindi non siamo ideologici, ma il fatto è che i morti che abbiamo conteggiato noi e che sono morti perché caduti dall’alto non sono diminuiti, sono aumentati.

Quando denunciamo che nonostante la crescita che il settore sta vivendo da alcuni anni quella ricchezza non entra nei cantieri sotto forma di maggiore sicurezza, almeno nei livelli più accessibili, che sono le misure di tutela e di prevenzione più elementari, vuol dire che nessuna fetta di quella torta della crescita ha consentito di ridurre le cadute dall’alto.

Del resto, sempre la statistica che ci è stata illustrata poco fa, e non so se era quella del Veneto o quella in generale, ha dimostrato che addirittura i tre quarti delle irregolarità riguardavano il non rispetto delle misure legate a questo tipo di evento, quindi non siamo dei sonnambuli.

Ma c’è altro, perché la nostra non è una statistica, è un rilevamento qualitativo dei processi. Ci viene chiesto –ad esempio- come sia possibile che il lavoro va tutto al Nord (basta seguire l’osservatorio degli appalti per vedere che gran parte della ricchezza si sposta al Nord ) e che gli infortuni mortali nel Sud e nelle isole, nel 2003 erano il 19% e nel 2004, mentre gli appalti sono ulteriormente andati diminuendo, gli infortuni mortali sono diventati quasi il doppio, il 35,7%?.

Io ci ho un po’ ho pensato e ho concluso che c’è una possibile risposta a questa apparente contraddizione: proprio per il fatto che al Sud c’è meno lavoro nel settore, c’è una crisi crescente, il modo che le imprese scelgono per sopravvivere è quello di dare un ulteriore colpo a quelle che sono le condizioni di tutela nei cantieri, cioè si muore di più perché la sopravvivenza ti porta a fare una scelta di abbandono quasi totale di quella che è la soglia di sicurezza. E’ possibile dunque che un’area del Paese che è in crisi di lavoro per non morire deve raddoppiare i morti sul lavoro.

Scusate la schematizzazione, ovviamente è una banalizzazione, forse, ma per dire che probabilmente quel dato segnala un processo che conferma il fatto che nel settore, purtroppo, invece di investire la crescita e la ricchezza prodotta in una direzione, viene alimentata la corsa alla sopravvivenza. Nel Nord invece, che registra una diminuzione degli infortuni mortali, se voi andate alla statistica che riguarda i lavoratori stranieri  guarda caso (forse è un processo indiziario, ma non troppo…) abbiamo la conferma che, mentre al Sud aumentano i morti perché probabilmente peggiora ulteriormente il modo di lavorare, di quel poco lavorare, al Nord chi comincia a morire di più è, per l’appunto, quella manodopera di cui il Nord ha bisogno per poter rispondere a questo boom di crescita, quella straniera.

Se noi insistiamo, dunque, è perché i dati di cui parliamo e che portiamo possono avere dei significati che non autorizzano alcun ottimismo e perché – come ho già detto – i morti non sono ideologia, i morti sono un insieme di vissuto quotidiano, di sentimenti, di passioni, di problemi personali che vengono lasciati per sempre.

Il nostro monitoraggio non a caso a questi lavoratori restituisce un nome, un cognome, un’età, una nazionalità, descrive l’evento, perché per noi – e questa non è ideologia, ma cultura – il capitale umano è il principale capitale dell’impresa.

Certo che ogni morto, ogni ferito sul lavoro è un pezzo di quel capitale dell’impresa che viene distrutto, quindi non è un vantaggio per la forza competitiva di quell’impresa, soprattutto se è un cantiere, dato che l’edilizia resta un settore ad alta densità di manodopera, ma i morti, che sono tutti uguali, non sono tali in base agli eventi.

Leggete il sito della Fillea e vedrete quante morti inutili potrebbero essere evitate, tante, migliorando così la statistica ufficiale! E poi le morti non sono tutte uguali perché, quando nell’anno 2004, non nel 1904, ma quando in questo anno un lavoratore cade dall’alto, sviene o sembra morto, oppure si procura delle lesioni gravi, muore e viene abbandonato dai lavoratori, come qui è stato ricordato, vuol dire che, oltre ad una statistica ufficiale, c’è un processo reale di recrudescenza, di arretramento sul terreno del valore che ha la persona, del valore che ha il lavoro umano, come capitale sul quale investire, che da solo spiega la ragione per la quale per noi, certo, questa diventa una crociata. Non c’è alternativa, perché la nostra più che filosofia è la cultura del cantiere qualità, è la scelta di una politica sindacale che investe sul valore della persona umana.

Io, anche per questo, vorrei rivolgere – anche a nome di tutti voi – un abbraccio caloroso a Nicola Iacomino, che è qui presente con la delegazione di Napoli . . .

(applausi)

. . . perché, per chi non lo ricordasse, Nicola Iacomino è il babbo di Francesco Iacomino, il secondo dei giovani lavoratori deceduti in un cantiere, a seguito di un evento come quello che prima ho descritto, un fatto di cronaca che ha anche segnato le coscienze di tanti di noi.

Io ringrazio Nicola perché, nonostante il dolore insanabile, che non potrà mai finire, provocato dalla perdita così tragica e prematura di un giovane figlio, che aveva scelto un mestiere peraltro ispirandosi in un certo qual modo al padre, volendo orgogliosamente considerarsi figlio d’arte, perché il babbo è un grande lavoratore nei settori contigui al nostro, Nicola ha scelto di condurre con noi una battaglia su questo fronte. Lo ringrazio perchè, come dicevamo l’altro giorno a Napoli, e lo confermavano anche gli esponenti del mondo dell’informazione che hanno accolto l’invito a quella nostra presentazione, bisogna parlare di questo fenomeno, anche se diventiamo “bastian contrari” e antipatici, dobbiamo combattere il muro di silenzio e di omertà per cui ogni morto è solo un centesimo di una statistica, mentre invece, anche dietro quella morte tragica, c’è una scelta, c’è una volontà esplicita di qualcuno di negare il diritto al lavoro come un processo alto di autorealizzazione, di valorizzazione, quindi anche di emancipazione di una giovane generazione, in quel caso, che cerca di conquistarsi una propria autonomia, un proprio status all’interno della società, di questo non si parla mai, ovviamente!

Ecco, io credo che dobbiamo ringraziare Nicola per aver deciso di dedicare la sua vita, da oggi in poi, per quella parte che potrà fare, a quella che è questa nostra campagna sul tema della sicurezza nei cantieri, quindi, come ho già detto a Napoli, l’altro giorno, con i compagni della FILLEA di Napoli e della Campania  valuteremo insieme le modalità di questo impegno, ma Nicola da oggi è uno dei nostri, uno che sta dentro questo esercito e che, quindi, è a disposizione della FILLEA per investire questa sofferenza in senso positivo, se non altro per costruire una continuità della nostra battaglia sulla sicurezza nei cantieri.

Questa è la ragione, dunque, culturale, altro che ideologica, per la quale scegliamo di essere insistenti, di essere assillanti e di essere anche bastian contrari.

Oltretutto perché non parliamo solo dell’edilizia. L’edilizia la fa da padrona nelle nostre discussioni, ma, come qui è stato ricordato, le statistiche ufficiali non parlano solo di morti e feriti, cioè di infortuni. Uno degli ultimi delegati che è intervenuto ha ricordato un fenomeno che generalmente è assente nelle nostre discussioni, quello delle malattie professionali, uno dei tarli di questi settori, e poi abbiamo scoperto che l’edilizia non è sempre in testa alla classifica, ci sono altri settori, a partire da quello del legno, che non hanno nulla – purtroppo – da invidiare alle statistiche dell’edilizia.

Per noi, quindi, è una battaglia a tutto campo, è un fronte ampio sul quale ci posizioniamo.

Come guardiamo, dunque, al giorno dopo questa iniziativa? Dobbiamo farlo in due direzioni. La prima riguarda il Testo Unico, sul merito del quale non credo di poter aggiungere niente a quello che è stato detto. Il sindacato, così come abbiamo fatto parlando della riforma del mercato del lavoro, non cederà alla suggestione di candidarsi a svolgere delle funzioni che non ci appartengono. La bilateralità resta uno strumento della contrattazione, che serve per produrre ed  esercitare funzioni delegate dalla contrattazione.

Altra cosa è qualificare gli Enti bilaterali, noi su questo abbiamo scelto un terreno chiaro. Quando abbiamo rinnovato il contratto, abbiamo detto: Casse edili, Enti di formazione, CPT non si sostituiscono agli organi dello Stato che hanno compiti precisi in materia di sicurezza, in materia di collocamento, in materia di certificazione e così via. Il nostro terreno è un altro perché vogliamo comunque essere attivamente presenti in alcune battaglie e dentro alcuni processi, e per questo vogliamo investire nella qualificazione e nel rinnovamento del sistema della bilateralità.

Sul Testo Unico, però, è chiaro che non possiamo fare da soli come FILLEA CGIL, quindi è ovvio che questa iniziativa ci serve per riconsegnare nelle mani della categoria unitariamente, quindi con FILCA e FENEAL, l’obiettivo di mettere in campo delle iniziative. Però è utile che tutto l’esercito sia compatto, quindi è importante che sia in campo il Sindacato, ma è importante che lo siano anche le regioni, i Movimenti e le associazioni che, direttamente o indirettamente, si sono occupate del tema del lavoro e della sicurezza al suo interno, sapendo che dobbiamo farlo indipendentemente dal fatto che questo governo con il Parlamento blindato che ha, poi, alla fine, deciderà quello che vuole decidere.

Ma noi dobbiamo farlo anche per un altro motivo ed è il secondo punto di impegno di lavoro sul quale ci lasciamo: l’impostazione FILLEA è che la sicurezza nei cantieri e negli altri luoghi di lavoro non è legata solo ad una corretta attuazione delle leggi in materia. Quello è indubbiamente il primo grosso capitolo sul quale non dico niente perché dovrei ripetere cose già dette. Ma l’asse della nostra strategia non può, soprattutto in edilizia, non concepire la battaglia per la sicurezza come battaglia per il governo trasparente degli appalti e contro il lavoro nero.

   Alla domanda “Come pensa la FILLEA di ridurre gli infortuni? Bisogna fare una legge migliore della 626 o semplificarla?”, noi rispondiamo, come del resto facciamo con le iniziative di tutti i giorni, che la legge era sufficiente, era già buona e non era necessario cambiarla e che bisogna solo applicarla, ma soprattutto che in edilizia questo solamente non basta. Occorre che i sindacati insieme alle imprese, insieme alle istituzioni locali, che spesso sono la committenza, definiscano una modalità di governo degli appalti pubblici e privati che lasci fuori dal cantiere, per quanto è possibile, il lavoro nero, il ricorso sfrenato al subappalto e alle subforniture.

Ecco perché abbiamo sostenuto che una delle armi più importanti per affermare la sicurezza nei cantieri è applicare quella buona pratica che in questi anni abbiamo inaugurato in alcune opere complesse, che è decidere anticipatamente all’apertura dei cantieri, e quindi, precedentemente all’attivazione del processo dell’appalto, quali sono le condizioni di sicurezza, di regolarità e di trasparenza di quell’appalto. Una pratica che l’ultimo Ccnl ha riconosciuto e generalizzato e che va esercitata senza titubanze, soprattutto da parte delle istituzioni.

Noi, il 23 di febbraio, andremo a Torino, ad un’iniziativa importante, alla quale verrà anche Epifani e lo abbiamo chiamato ad un confronto con imprenditori ed amministratori di Torino e di Milano su un tema molto preciso: a Milano si fanno grandi opere a partire dalla Fiera, che è il simbolo della modernità; a Torino se ne fanno altrettante, ancora più simbolo della modernità, perché sono gli impianti per le Olimpiadi invernali. Dietro tutta questa modernità i cantieri sono dei salotti, è tutto tranquillo, tutto in regola?” Si scopre invece che con una certa frequenza le nostre organizzazioni territoriali devono denunciare fenomeni di caporalato, di lavoro nero e infortuni.

A Torino, in Piemonte,– guarda caso – il nostro monitoraggio dice che i morti sono raddoppiati, eppure parliamo di opere importanti!

Se vi chiedono: “Ma vi siete preoccupati, prima che aprissero i cantieri, di definire quelle condizioni, come si è fatto nei cantieri dell’Alta Velocità tra Firenze e Bologna, provando a contrattare anticipatamente, etc.?”, Si, ci abbiamo provato, in qualche posto ci siamo riusciti, in qualche altro un po’ meno, anzi, forse per niente e noi non possiamo fare distinzioni tra i colori delle amministrazioni. Il Sindacato deve rivendicare in piena autonomia la contrattazione d’anticipo per tentare di definire prima che apra il cantiere cosa mettiamo in campo: sindacati, imprese, regioni, comuni, province, Prefetture, organismi ispettivi e così via, per governare insieme quel sistema complesso che è l’appalto.

Finisco con una terza considerazione: il nostro esercito. Diceva Mara che questa iniziativa ha una caratteristica tra quelle già illustrate in apertura. Abbiamo fatto uno sforzo forse tardivo della FILLEA per chiamare a Roma, e sappiamo di non poterlo fare frequentemente, oltre ai sindacalisti, con i quali invece lo facciamo frequentemente, anche i delegati, i rappresentanti della sicurezza e così via. Il messaggio più importante che vorremmo lanciare è che non possiamo dare l’idea che in questa battaglia, che qualcuno chiama “la madre di tutte le guerre”, trascuriamo l’esercito principale, che poi è quello che sta dentro la trincea.

Intanto, come Fillea, ci siamo impegnati in questi ultimi anni e mesi a dare una risposta ai bisogni di conoscenza, di formazione e di informazione dei delegati, oltre alla formazione che dovrebbe svolgersi tramite i canali istituzionali e contrattuali.

La FILLEA ha fatto un grosso investimento sul progetto formativo e abbiamo previsto di formare 1.500 delegati, oltre a 500 sindacalisti che siamo tutti noi. Ebbene, io invito le Segreterie provinciali, visto che è iniziata la fase di programmazione e di reclutamento di questa parte del progetto che, ovviamente, ha un suo modulo sulla sicurezza, che questi delegati e queste delegate che oggi sono venuti qui a manifestare un bisogno di conoscenza, di informazione e di formazione, siano inseriti tutti dentro quel progetto, altrimenti è inutile aver fatto queste scelte.

L’altra cosa è decidere un modo per incontrarci periodicamente, per capire se e come le cose cambiano e se le decisioni che assumiamo sono attuate. Se qui ci lasciamo con degli impegni che sono: la battaglia sul Testo Unico, l’iniziativa vertenziale sul territorio sul governo degli appalti in edilizia e, negli altri settori, per altri obiettivi, su un intervento interno di formazione dei nostri delegati, decidiamo che periodicamente gli “stati generali della sicurezza”, chiamiamoli così, debbono riunirsi per fare il bilancio di attività, come si fa in tutte le imprese serie, per verificare, dove non si è fatto, perché e dove stanno le difficoltà.

Penso anche a tutto il sistema dei Comitati paritetici territoriali ed all’esigenza di un coordinamento interno alla FILLEA ed anche unitario, che impegni i nostri rappresentanti in questi organismi a sostenere coerentemente le cose di cui, ad esempio, abbiamo discusso questa mattina.

Il contributo, infine, che può venire da questa mattina, è la conferma di una scelta che la FILLEA ha fatto, anche su altre problematiche: abbiamo scelto di allearci con le competenze tecniche e scientifiche, perché abbiamo bisogno di capire, di conoscere, di essere stimolati e di essere forniti anche di risposte da spendere nella contrattazione, per cambiare la realtà.

Ecco perché credo che nei prossimi giorni troveremo le modalità per valutare come dare continuità ad un rapporto di collaborazione, nel rispetto delle autonomie reciproche, sia con  le istituzioni che con il mondo accademico.

Su questo punto, in particolar modo, non partiamo da zero perché Serena ricordava che a Roma abbiamo un’esperienza molto importante, quella relativa alle condizioni di rischio legate agli agenti chimici, soprattutto, di una categoria importante che è quella dei restauratori e delle restauratrici, tema sul quale abbiamo condotto una ricerca con l’Università La Sapienza di Roma.

Partendo da qui credo che potremmo fare una valutazione su come raccordarci con alcuni contributi importanti del mondo delle istituzioni, a partire dalle regioni, con il mondo accademico, per fare insieme anche un piano di attività.

Il 15 c’è la manifestazione nazionale unitaria a Milano sulla crisi dell’industria. Voi direte: “Che c’entra?”, c’entra perché anche questa volta la FILLEA deve stare lì e per una ragione molto semplice, perché diversamente saremmo in contraddizione con tutto quello che abbiamo detto questa mattina. Il nostro è un settore che, forse più di ogni altro, è in grado di dimostrare la contraddizione che il Sindacato e la CGIL va denunciando da un po’ di tempo, cioè che non c’è un rapporto automatico tra crescita e sviluppo qualitativo. Il nostro settore dimostra quello che diciamo da tempo: nonostante la crescita registrata in questi anni, circa venti punti in più di PIL prodotti dal ’98 ad oggi, la qualità non è entrata nei sistemi produttivi.

Il 15 a Milano andiamo come categoria ad un’iniziativa contro la crisi, pur non essendo un settore in crisi, perché la crisi non è solo quantitativa. Il problema per noi è che, se quella crescita domani finisce, il settore rispetto a sette anni fa non è cambiato,anzi, in alcuni casi è peggiorato nella struttura delle imprese e nella loro qualità.

La nostra “crisi”, contro la quale combattiamo e per la quale dobbiamo andare il 15 a Milano come categoria, è soprattutto quella qualitativa, cioè la crisi della qualità che rischia di inginocchiare ancora di più questo settore, quando usciremo da questo tunnel ciclico espansivo.  

Ringrazio nuovamente tutti coloro che hanno accettato questo invito, a partire dai nostri interlocutori e credo che fin da domani mattina le Segreterie regionali e provinciali saranno impegnate a tradurre in piani di lavoro questa discussione.

 

 

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