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   Comitato Direttivo Fillea Nazionale

Roma, 24 maggio 2005-05-23

    Relazione di Franco Martini

 

 

Vorremmo dedicare questa sessione del Direttivo Nazionale alla definizione del programma di lavoro e di iniziative che impegneranno la nostra organizzazione di qui alla pausa estiva, che rappresenta peraltro l’ultimo scorcio di attività prima dell’inizio del percorso che ci porterà al Congresso Nazionale. Non perché pensiamo ad una sorta di “fine legislatura” e ad un periodo di stallo dell’attività sindacale durante il percorso congressuale. Per quanto impegnativo esso sarà per tutte le nostre strutture, non abbiamo mai immaginato, né potremmo consentircelo, il congresso come un ritiro spirituale, lontano dai richiami del nostro agire quotidiano. Anzi, un buon congresso è quello che sa vivere in sintonia con i problemi di cui ci occupiamo tutti i giorni. Si tratta anche del miglior antidoto al rischio di autoreferenzialità sempre presente quando i gruppi dirigenti parlano a se stessi.

 

Vorremmo invece definire il programma di questi ultimi due mesi prima della sospensione estiva proprio per avere un quadro d’insieme del nostro lavoro ed evitare il rischio dell’ingorgo, che spesso si presenta per il tradizionale concentrarsi delle iniziative in questo periodo.

 

Se un congresso di norma non può non essere vissuto e celebrato in piena sintonia con le vicende sindacali e sociali del momento ancor di meno può esserlo in una situazione come quella che sta attraversando il Paese.

 

 

Il quadro generale del Paese, la situazione economica, la politica, le vertenze sindacali,

il Referendum.

 

Oramai ogni aggettivo è stato consumato per definire la gravità della situazione economica e finanziaria in cui ci troviamo e quella che  riguarda il sistema produttivo del Paese.

I tempi in cui parlavamo di declino appaiono lontani, soprattutto quando questa denuncia veniva percepita come un rischio al quale andava incontro il nostro Paese. Oggi tutti parlano apertamente di recessione e non come rischio ma come realtà che neanche la campagna mistificatoria di Berlusconi può mascherare.

 

Del resto a mettere sotto accusa l’Italia a partire dai conti dello Stato non è più solo il sindacato. La scorsa settimana è toccato all’Organizzazione dei Paesi industrializzati (Ocse) e in queste ore all'Eurostat di  mettere a nudo la verità sulla situazione economica e finanziaria con un rapporto semplicemente impietoso: una ripresa al rallentatore e comunque più lenta di quella degli altri paesi europei; prospettive di crecita a medio termine   “mediocri” (con prospettiva di crescita zero per l’anno in corso) dovute a scarso aumento della produttività e bassa competitività.

 

I conti pubblici sono in disordine e fuori controllo e la devolution alla padana non può che renderli ancora meno controllabili, soprattutto in alcuni settori chiave della spesa, come quello sanitario.

Il rapporto deficit-pil quest’anno sarà superiore al 3% e ancora più elevato nel 2006.

Va ricordato che fino ad oggi il nostro Paese era rimasto nei binari di Maastrich grazie a misure una tantum non certo ripetibili e che hanno reso ancora più irreversibili e urgenti interventi di tipo strutturali.

 

Voi conoscete la natura e l’entità delle misure “strutturali” che il Governo ha recentemente approvato e che il sindacato ha giudicato tardive ed insufficienti.

Il decreto sulla competitività tanto atteso e che doveva rappresentare il cavallo di battaglia dell’Esecutivo si è risolto in una serie di misure sostenute da risorse assolutamente inadeguate a sostenere il sistema produttivo e rilanciare i consumi.

La stessa abolizione dell’Irap, misura fiscale alternativa a quella che con maggiore equilibrio tra imprese e lavoro sarebbe stata rappresentata da un intervento sul cuneo fiscale per favorire anche i redditi da lavoro dipendente penalizzati dalla mancata restituzione del fiscal drag, viene introdotta scaricando su terzi il minor gettito, quei terzi già colpiti dalla ultima finanziaria attraverso il taglio del 2% dei trasferimenti.

 

E siccome i conti alla fine devono tornare qualcuno in fondo alla catena è chiamato a pagare e non occorre molta fantasia per capire su chi si scarica questa politica.

 

Politica che non pare favorire oltre misura il sistema delle imprese e sulla quale   troppo frettolosamente Confindustria ha espresso il plauso,  dopo mesi di critica verso il Governo.

Il decreto sulla competitività non restituirà certo competitività a quella parte del sistema produttivo sempre più nell’occhio del ciclone, come tutto il made in Italy, esposto alla micidiale concorrenza dei Paesi asiatici. In questo caso, la natura tardiva dei provvedimenti emerge in tutta la sua evidenza là dove si è pensato di rispondere con misure protezionistiche ad una sfida dei mercati che era prevista dagli stessi accordi mondiali sul commercio. Gridare “al lupo, al lupo” di fronte all’invasione cinese sapendo che questa invasione sarebbe stato ne più e nemmeno un appuntamento  con la storia senza muovere dito in tutti questi anni rende inutile oltre che patetico colpevolizzare chi di questa apertura dei mercati ha fatto occasione per inseguire un nuovo sviluppo della propria economia.

 

In questi anni di immobilismo sarebbe stato necessario fare dell’innovazione, della ricerca, della formazione delle risorse umane, delle politiche infrastrutturali, delle reti di servizio e quant’altro l’asse delle politiche economiche e sociali del Paese, investendo in questa direzione il risanamento finanziario a lacrime e sangue perseguito nel corso degli anni ’90. Invece si è andati in tutt’altra direzione, con misure che hanno favorito interessi di una ristretta oligarchia e oggi si cerca di rincorrere i buoi scappati dalla stalla.

 

La crisi del sistema moda e tutta lì davanti a noi a dimostrare la consistenza di questa inerzia. Ma non è certo l’unica. Anche un pezzo del nostro made in Italy, il settore del legno-arredo, del mobile imbottito, comincia a veder saltare alcuni suoi tasselli pregiati, come la crisi della Natuzzi evidenzia.

 

E se si cercasse una attenuante verso quei settori più apertamente esposti alla concorrenza asiatica come quelli tipici delle economie distrettuali che dire della crisi dell’auto, dove la competizione è persa non certo nei confronti dei modelli cinesi.

La crisi della Fiat è a tutti gli effetti la dimostrazione più evidente del fatto che si è pensata superata in questo paese la funzione di una economia manifatturiera, la funzione di un robusto sistema industriale quale leva trainante del sistema produttivo più complessivo. Infatti, tutti i maggiori sistemi industriali sono declinanti: non è solo l’auto, ma dalla chimica, alla siderurgia è tutto un bollettino di guerra.

 

Del resto, anche le dinamiche del nostro settore, dimostrano improvvisazione è scarsa capacità di capitalizzare il vantaggio derivante dai sistemi tradizionalmente anticiclici, come quello legato al mattone.

 

Di tutto ciò non solo non ne ha tratto giovamento il Mezzogiorno, ma quest’area del Paese che avrebbe dovuto essere quella interessata dai più massicci interventi per ridurre il gap competitivo e portare tutta l’Italia in Europa è quella che risulta più colpita ed esposta ad ulteriore arretramento in carenza di interventi mirati e consistenti.

 

Il declino stava in questi processi da noi da tempo denunciati. La recessione sta nelle conseguenze di una politica economica che non ha fatto dell’allargamento della sua base produttiva la scelta dominante per produrre crescita e nuova ricchezza del Paese, che ora sempre più tende a ripiegare su se stesso.

 

Fammoni ci dirà meglio della stessa consistenza reale del dato legato all’occupazione. Ma difficile mascherare dietro la crescita che tanto si sbandiera da parte del Governo un dato legato alla crescita della precarietà e alla crescita della rassegnazione di chi non trova mai lavoro e pensa inutile continuare a segnalare la propria condizione di disoccupato. Questo anche al netto di quella quota di emersione del lavoro nero che pure in parte si è verificato.

 

Capite bene che dentro questo quadro le stesse vertenze per il rinnovo dei contratti assume un significato ancora più profondo. I contratti oggi sono il principale strumento che hanno i lavoratori per tutelare i propri redditi, dopo il fallimento della politica dei redditi. Impedire il loro rinnovo, ritardarlo di mesi o di anni significa colpire questi redditi, indebolirli, colpire i consumi che dovrebbero essere aiutati a ripartire, colpire gli stessi processi di innovazione che un contratto di lavoro contribuisce a favorire, sia nel pubblico che nel privato.

 

Per questo la vicenda legata al rinnovo di due contratti importantissimi come quello dei meccanici e quello del pubblico impiego sono questioni che appartengono a tutto il mondo sindacale. Nessuno si illuda che quello che sta toccando insorte a quelle categorie non sarà la storia che riguarderà anche altre, compreso la nostra.

 

Ieri le segreterie unitarie hanno deciso quattro ore di sciopero da effettuarsi regionalmente nel mese di giugno per sbloccare le vertenze contrattuali, a partire da quella che ha nel Governo la diretta controparte. Dobbiamo da subito sintonizzare la categoria con questo appuntamento che come ho cercato di spiegare succintamente vivrà in un contesto più ampio che non è solo quello di tavoli contrattuali sui quali si è subito anche la beffa di intese quasi raggiunte e poi smentite dal Governo per bocca del premier-padrone (Pubblico Impiego).

Si tratterà di uno sciopero che avrà come quadro di riferimento i contratti da rinnovare, la crisi economica e industriale da combattere e dunque la condizione di recessione verso cui il Paese si è avviato. Non è un favore, né un atto di solidarietà che compiamo nei confronti di categorie sorelle, ma un appuntamento di mobilitazione che ha nella condizione generale del Paese la sua piattaforma e che riguarda anche noi a tutti gli effetti.

 

Del resto dobbiamo fare attenzione ai prossimi mesi, questi ultimi che rimangono della legislatura in vita, poiché ci si prepara ad una lunga, difficile e senza esclusione di colpi campagna elettorale. I provvedimenti oggetto dell’azione di Governo saranno poco ispirati agli interessi generali del Paese e molto di più a cercare di rimontare le posizioni perse nel consenso verso categorie che appaiono oggi molto deluse da Berlusconi.

I risultati elettorali di queste ultime due domeniche, anche se circoscritti a pochi casi, hanno peraltro dimostrato che la sconfitta ennesima del centro-destra alle regionali non rappresenta l’automatica sconfitta del centro-destra alle prossime politiche, fatto dato forse un po’ troppo frettolosamente acquisito nei nostri ambienti. La sconfitta del centro-destra è certo una necessità per il Paese ma è un evento tutto da costruire e così come l’azione del sindacato è stata importante in questi anni per contribuire a creare nel Paese quel “clima” favorevole al centro-sinistra anche in questi mesi la nostra capacità di mantenere al centro una iniziativa ancorata ai problemi delle persone in carne ed ossa deve essere il nostro contributo a battere le posizioni di un governo e di una coalizione che dalla sua crisi può produrre ancora il peggio del peggio che già abbiamo conosciuto.

 

Che la vittoria non sia dietro l’angolo lo dimostrano le stesse vicende nella casa del centro-sinistra, a partire da quelle legate alle recenti decisioni della Margherita. Il paradosso è che quando si discuteva del contenitore noi eravamo a dire che prioritario era discutere del contenuto, del programma. Oggi rischiamo –come ha detto Epifani- di non avere né il contenitore, né il contenuto, con il risultato che la gente che ci ha dato fiducia non capisce più niente e con il rischio che la delusione prenda anche quella parte del Paese, sempre più crescente, che aveva guardato in una direzione nuova e con nuova fiducia al centro-sinistra.

 

Ed in questa potenziale crisi pericolosa del centro-sinistra andremo al referendum sulla fecondazione assistita della cui importanza e del cui significato abbiamo già accennato nel precedente comitato direttivo. Abbiamo detto del perché non è un appuntamento che riguarda solo le donne, così come abbiamo detto dei significati di cui si è caricato l’appuntamento, che non sono solo quelli scientifici ma che investono direttamente la laicità dello Stato.

 

Molti compagni hanno espresso meraviglia per il fatto che il Direttivo Nazionale della Cgil non si sia pronunciato attraverso una espressione di voto e che questo sia stato affidato ad una dichiarazione individuale di Guglielmo Epifani e di quelle individuali che sono seguite e che seguiranno.

Io capisco che ciò appaia inspiegabile soprattutto a fronte del marcato e diffuso orientamento presente nella nostra organizzazione per i quattro SI. E tuttavia vorrei ricordare che in questo caso abbiamo applicato un principio non nuovo per la Cgil, che è quello attraverso il quale su questioni che non hanno contenuto sindacale o direttamente riferibili alla nostra funzione di rappresentanza, dobbiamo tutelare la libertà di opinione che potrebbe avere o trovare espressioni anche di una piccola minoranza in Cgil.

 

Ebbene, su questo argomento dobbiamo sapere che esiste in Cgil anche se piccola una opinione diversa da quella che credo sia quella della stragrande maggioranza e la nostra Confederazione non poteva non garantire cittadinanza a questa opinione minoritaria e non poteva che farlo assumendo la posizione assunta dal Direttivo.

Resta il fatto che in atto, oltre ai significati di merito legati al quesito referendario, vi è anche la salvaguardia dello stesso istituto referendario.

Per queste ragioni abbiamo detto che la prima battaglia da vincere è quella del quorum e che per il successo di questa battaglia è impegnata tutta l’organizzazione, per rimontare un clima troppo freddo, almeno finora, caratterizzato da impegno scarso un po’ di tutti, compresi i partiti, oggi, peraltro, divisi anche nel centro-sinistra, anche nella indicazione a non disertare le urne.

 

 

La situazione nel settore delle costruzioni

 

Ho già accennato in precedenza ad alcune situazioni di difficoltà che attraversano la nostra categoria.

Essi riguardano soprattutto quelli esposti alla concorrenza asiatica ma non solo, basti pensare alla penetrazione della Turchia nel settore lapideo che ha sottratto quote di mercato consistenti a chi esportava negli Stati Uniti.

 

Ma indubbiamente la crisi della Natuzzi è il primo vero tassello che rischia di saltare anche se non è certo una sorpresa. Da tempo vivevamo i segnali di difficoltà di questa impresa nata dall’inventiva di un artigiano e diventata in poco tempo il più grande produttore ed esportatore di divani imbottiti. Un’azienda la cui gestione paternalistica ha rappresentato per anni un vero e proprio cordone sanitario nei confronti della presenza sindacale, che ovviamente si è richiesto quando la crisi è esplosa.

 

Ma il problema non è solo la Natuzzi. Nella stessa area pugliese e più in generale del distretto altre importanti imprese, dalla Nicoletti in poi, vivono nel bel mezzo di una perturbazione che peraltro si estende ad altre regioni, come denuncia il mese scorso Mario Lancia illustrando i dati diffusi dall’ufficio studi della Cgil Marche sul distretto pesarese.

 

Certo, la crisi della Natuzzi non corrisponde ancora alla crisi generalizzata in quei termini di tutto il comparto. Ma la crisi di panico fonte di immobilismo e di errati s.o.s. può portare ad una crisi di più vaste proporzioni.

Per queste ragioni riteniamo necessario affrontare i punti di crisi come quello al quale ho accennato parlando dei sistemi territoriali, delle filiere produttive, rivendicando misure mirate alla crisi delle aziende, ma soprattutto allo sviluppo dei sistemi distrettuali.

Non possiamo, ad esempio, affrontare la crisi della Natuzzi decontestualizzandola dal fattore sistema nel quale è inserita. E’ come se nelle Marche dovessimo affrontare una malaugurata crisi di una azienda di cucine senza affrontare il tema del distretto delle cucine.

 

Per consolidare questa nostra linea strategica ed arricchirne le piattaforme propositive abbiamo in cantiere quella iniziativa sul settore al quale lavoravamo da tempo e che faremo unitariamente a Roma il 27 e 28 Giugno. Questa settimana si terrà a Bologna la commissione legno nella quale si comincerà a mettere a punto i contenuti dell’iniziativa, oltre a discutere delle questioni contrattuali ed è importante, anche se come sempre in questi casi la velocità di marcia non può essere solo determinata da noi, che si sia potuto farla unitariamente, dato che unitariamente dobbiamo promuovere le vertenze aziendali e territoriali nei confronti delle imprese e delle istituzioni.

 

Nessun altro settore di quelli da noi rappresentati vive una crisi potenziale come quello più affine al made in italy, il legno-arredo.

Altri comparti come il lapideo o il cemento, dopo anni di forte produzione vivono un rallentamento della stessa dovuta in parte agli andamenti ciclici ed in parte, soprattutto per il lapideo, alla forte concorrenza dei paesi asiatici e della Turchia.

Per il settore lapideo si può parlare di un vento di crisi che può spirare, un ponentino che potrebbe diventare tramontana se non si corre per tempo ai ripari.

Anche per questo settore, dunque, ci siamo messi al lavoro ed è in cantiere una iniziativa che alzi il profilo della nostra proposta di sviluppo, sapendo che in questo caso l’intreccio con le politiche di sviluppo territoriali è ancora più stretto per la natura della produzione, le cave, l’ambiente, il territorio.

 

Ma alcune iniziative già svolte in alcuni territori, come quello di Brescia più recentemente o quelle che in passato hanno interessato lo stesso marmo di Carrara dimostrano la possibilità di rendere compatibile ed equilibrata una proposta di sviluppo del settore in termini di sostenibilità.

Dobbiamo tentare quindi di stringere la messa a punto di una iniziativa che riunifichi il settore per come è dislocato sul territorio. Dovremo provare ad avere una idea più precisa di cosa potremmo realizzare prima della pausa estiva per poi mettere in agenda l’iniziativa in autunno.

 

Per l’edilizia confermiamo l’esigenza di un appuntamento che metta in fila le questioni di politica settoriale, quella che abbiamo definito, la conferenza di produzione del settore. Esiste già un lavoro avviato dal dipartimento ed anche in questo caso si tratta di cogliere tempestivamente le tendenze in atto, che sembrano mantenere un andamento favorevole, per quanto non ai livelli conosciuti in passato. Ma nessuno ancora sente di dover introdurre il concetto di crisi o di inversione di tendenza. L’unica vera crisi è quella delle grandi opere che dovevano essere fatte, ripetutamente annunciate, delle quali si è continuato a confermare le date inaugurali ma che sono tutte al palo di una politica finanziaria che riduce costantemente le risorse destinate a quella che doveva essere la priorità delle priorità.

 

Per fortuna le fortune dell’edilizia in questi anni non erano legate a questo mercato e per questa ragione il fallimento della politica infrastrutturale non si è tradotto nel collasso del mercato. Tuttavia, le conseguenze che ne sono seguite in termini di riduzione delle risorse ha prodotto in alcune aree in particolare una significativa contrazione del mercato ordinario oltre a quello degli appalti pubblici.

Neanche a dirlo, le aree più colpite sono quelle del Mezzogiorno che stanno subendo una forte riduzione degli appalti e che si vedono ancora una volta più esposte agli effetti degenerativi di un ricorso esasperato alle politiche di forte contrazione dei costi, come il ricorso al lavoro nero e illegale.

 

In generale, fatto salvo per il precipitare della crisi nel distretto del salotto imbottito la nostra categoria si trova ancora nella condizione di intervenire sulle prospettive di sviluppo del settore in condizioni positive, avanzando proposte, giocando d’anticipo, per mutuare un concetto che già è entrato nella prassi contrattuale di categoria.

 

E a proposito di contrattazione la stagione contrattuale caratterizzata dal secondo livello e dal secondo biennio rappresentano uno dei principali terreni di impegno nel quale siamo in parte già immersi.

Anche di questo non debbo che fare un breve aggiornamento di quanto già discusso un mese fa al precedente direttivo.

 

Per quanto riguarda il legno ho già detto della commissione unitaria in agenda questa stessa settimana a Bologna, dove dovremo cominciare a stringere Filca e Feneal nella messa a punto della tabella di marcia, oltrechè ovviamente dei contenuti, che dovrà portarci alle vertenze aziendali.

 

Nei gruppi del cemento, dopo aver concluso il primo pezzo relativo alla sistemazione del 2004, siamo un po’ arenati nel decollo dei confronti sulle piattaforme. Una prima fase di incontri si è dimostrata sostanzialmente inconcludente ed ovviamente ci troviamo nel punto di verificare se si tratta di resistenza tattica o di una intenzione vera delle controparti di ostacolare il normale sviluppo dei confronti negoziali e la conclusione degli stessi.

 

Bisogna fare molta attenzione a quello che sta accadendo in edilizia. Per quanto abituati ai tempi biblici dell’Ance, ancora fatichiamo a liberarci delle code contrattuali. Il 31 maggio dovremo poter risolvere qualche altro problema che ci trascinavamo dalla firma del contratto, a partire da quello importante dei profili dei restauratori e degli archeologi e dare via libera all’applicazione dell’articolo sull’apprendistato.

Ma non sarà sfuggito a nessuno che questa nota tattica dilatoria dell’Ance sta alzando molto il rischio di un ingorgo contrattuale. Dovremmo nel giro di poche settimane presentare la richiesta sul tetto dell’Elemento Economico Territoriale, per poter dare via libera alla contrattazione provinciale. E già si affaccia il secondo biennio ad un orizzonte non più tanto lontano.

 

E’ chiaro che la posizione della Fillea è per il rispetto delle scadenze contrattuali, tanto più che da questo ingorgo non potremmo che rimetterci.

Insisto ancora una volta nel dire che il rischio principale è quello di impattare sulla questione dei costi che non verrà scaricata solo sulla retribuzione diretta, quindi, EET e secondo biennio, ma che potrà consolidare il tentativo di una parte del fronte imprenditoriale di ridurre le contribuzioni a vantaggio della bilateralità. Ed inoltre, potrà rilanciare, già lo è stato fatto peraltro, la storica richiesta di decontribuzione del salario di secondo livello, richiesta nei confronti della quale le organizzazioni sindacali non mostrano analoga sensibilità o allergia…

 

Da una parte potremo quindi avere maggiori difficoltà a ripetere gli stessi risultati o gli stessi successi degli ultimi quattro anni, che ci hanno visti secondi solo ai bancari, dall’altro avremmo anche qualche difficoltà in più a superare quelle già esistenti sul fronte di una riqualificazione della bilateralità che resta un nostro cavallo di battaglia.

Se abbiamo sottoscritto il protocollo allegato al contratto è perché siamo convinti che un sistema di regole più omogeneo, che non intacchi l’autonomia contrattuale delle parti territoriali, sia funzionale ad un salto di qualità degli enti bilaterali. Non abbiamo scherzato quando abbiamo sviluppato quell’incisivo confronto con Filca e Feneal sul ruolo e il futuro degli enti.

 

Ma il problema è che quella nostra piattaforma non va avanti, rischia di impantanarsi sulle difficoltà e strumentalità che la stessa Associazione dei Costruttori registra nel guardare oltre il tema delle aliquote di riequilibrio, come se il problema fosse esclusivamente quello delle giacenze.

Sulla sicurezza, sulla formazione, sul mercato del lavoro, nei termini come ne abbiamo parlato nel documento unitario la Fillea deve essere conseguente, altrimenti giocheremo sempre di rimessa verso chi vuole piegare i CPT a compiti sostitutivi degli organismi preposti alla sicurezza, le scuole edili a funzioni improprie che attengono il collocamento, mentre abbiamo detto che l’alternativa all’intermediazione della manodopera, alla certificazione dei rapporti di lavoro non è solo l’esistente ma la promozione di un ruolo attivo della bilateralità nei sistemi di governo della politica attiva del lavoro.

 

Non serve declamare i pericoli che vengono dagli altri, quando il vero antidoto a questi pericoli è essere coerentemente conseguenti con l’elaborazione nostra.

Per questo, sulla bilateralità, la segreteria nazionale con le compagne e compagni che sono nelle commissioni nazionali dei tre enti stanno predisponendo un appuntamento nel quale il gruppo dirigente della Fillea sarà chiamato a confrontarsi sia su alcune questioni di merito legate alla funzione degli stessi sia all’attivazione di un forte coordinamento nazionale che faccia vivere l’autonomia territoriale in un quadro di coerenze generali, appuntamento che cercheremo di mettere in agenda prima della pausa estiva.

 

Tutto questo per consolidare e sviluppare la mole di lavoro che in questi mesi ci ha visti impegnati. Il nostro cantiere qualità non ha giornate di riposo. Il lavoro negoziale produce accordi importanti, sia con i contraenti generali o prima ancora con le società che gestiscono grandi appalti, sia con gruppi importanti, tra questi ultimi l’accordo con la Spea. Abbiamo sbloccato e concluso vertenze territoriali significative, come quella che ha visto impegnato il settore lapideo a Carrara. Ma la stessa contrattazione e concertazione territoriale che coinvolge anche le confederazioni continua ad occuparsi di trasparenza e di regole degli appalti, come nel recente patto per lo sviluppo di Firenze e non solo.

 

Questi ultimi soprattutto, gli accordi e le iniziative che mantengono al centro il tema della trasparenza, della regolarità, della lotta alle infiltrazioni criminose nel settore, te4ma che ci ha visti impegnati il primo maggio, sono importantissimi perché proprio quando questo velivolo della regolarità stava rullando gli ultimi metri della pista di decollo la zavorra è apparsa superiore a quella prevista. Abbiamo diffuso per mesi, giustamente, la convinzione che la nascita del DURC avrebbe ridisegnato le regole del gioco, almeno in parte, ed in teoria questo è vero.

 

Il problema è che proprio tutte le questioni derivanti dall’Avviso Comune e soprattutto quelle legate al decollo del DURC sembrano impantanarsi in mille e sempre nuove difficoltà messe in mostra dall’Ance, dagli artigiani, dalla Confai, a volte in lite tra loro, a volte secondo la tecnica dei “ladri di Pisa”.

Qui veramente alto è il rischio di rimanere al palo e non è da escludere che la nostra organizzazione debba valutare l’assunzione di una iniziativa che denunci lo stato delle cose. Di questo già abbiamo parlato nella segreteria unitaria e almeno in teoria abbiamo trovato condivisione da parte delle altre organizzazioni.

Tuttavia la Fillea deve essere coerente e convinta nel mettere un punto –ad un certo punto- a questo fare dilatorio che rischia di neutralizzare uno dei risultati più importanti della nostra azione di questi anni.

 

Come capite bene, Durc a rischio di impantanamento, ingorgo contrattuale, trasferta e responsabilità in solido in vista, se non mettiamo in campo una azione decisa per governare lo scenario possiamo correre qualche rischio di troppo.

Non escludo che nelle prossime settimane ed in autunno in particolare non si debba agire sulle leve di una iniziativa di mobilitazione, della quale dovremo valutare modalità e articolazione. Ma non illudiamoci che tutto sarà facile.

 

Intanto cominciamo a convincerci sempre più del fatto che non è vero che questa categoria non sa mobilitarsi e produrre anche risultati. Faccio due esempi, uno grande e uno piccolo, uno non solo nostro e uno esclusivo.

 

Il Governo ha finalmente ritirato la delega sulla sicurezza. Un risultato importante di tutto il movimento sindacale (e non solo), che non ci mette totalmente al riparo da reiterate intenzioni future, ma indubbiamente un grosso risultato. Come fare a non vedere che in questo risultato c’è una quota non indifferente del lavoro che questa categoria ha fatto da anni sulla sicurezza, problema del quale, purtroppo, siamo dovuti, ma siamo voluti essere un punto di riferimento per tutto il sindacato.

 

L’altro esempio riguarda il restauro. Quanto di voi avrebbero scommesso solo pochi mesi fa che nel giro di un anno avremmo portato a casa un risultato nel contratto nazionale, tra pochi giorni portato all’incasso dei profili,e che in questi giorni ci vede protagonisti in alcune piazze d’Italia, delle città d’arte ovviamente, a sviluppare una mobilitazione della categoria che ci ha consentito di sollecitare attenzioni, interessi anche inaspettati. Oggi Fillearestauro viene individuato come interlocutore credibile non solo per un numero crescente di lavoratori del settore ma anche per altre figure e associazioni di rappresentanza del settore, compreso il mondo delle imprese.

Tra l’altro su questo tema proprio con Fammoni abbiamo avviato un lavoro che proprio alla luce di questa mobilitazione dovremo riprendere nelle prossime settimane.

 

Voglio cioè dire che non è vero che “non si può”. Ogni tanto basta provare a buttarsi e se si hanno idee e proponimenti convincenti, come lo è stato per le grandi cose in questo Paese a fronte di una Cgil che metteva in campo le sue idee e le sue forze prima da sola poi con Cisl e Uil, prima o poi veniamo riconosciuti come interlocutori e come soggetto credibile.

Chi pensava, ad esempio, che non era possibile fare delle mobilitazioni territoriali sulla sicurezza. Le abbiamo fatte in alcune regioni e hanno avuto un grande successo.

 

Per concludere gli impegni di questo scorcio di stagione pre-estivo voglio ricordare che siamo ormai alla fine della fase di raccolta delle adesioni al fondo Prevedi.

Alcuni significativi risultati ottenuti in questi giorni dimostrano clamorosamente che non è vero che le adesioni non si possono fare, come è capitato di verificare in alcune assemblee alle quali ha partecipato il direttore del fondo.

Non voglio riaprire una discussione già fatta tante volte sul grado di convincimento dei nostri gruppi dirigenti. Voglio però dirlo perché al di là del numero di adesioni con le quali chiederemo alla Covip comunque l’attivazione del fondo il problema delle adesioni esiste anche a fondo decollato, cioè, rappresenta un dato permanente del nostro fare sindacato, soprattutto se pensiamo al continuo ricambio ed in parte ringiovanimento del mercato del lavoro, determinato dal massiccio ingresso degli immigrati.

 

Quindi la previdenza complementare, in tutti i settori, continua a meritare una attenzione maggiore, un approccio oserei dire pedagogico che i nostri gruppi dirigenti debbono avere.

 

L’ultimo tema è proprio quello degli immigrati. Proprio alcuni giorni fa si è tenuta la Conferenza Nazionale della Cgil alla quale ha lavorato il dipartimento di Fulvio e ovviamente la Segreteria Nazionale e nella quale abbiamo portato come era doveroso il nostro contributo. Quella Conferenza è stata preceduta da una posizione della Fillea non proprio coincidente con quella della Confederazione sulla costituzione del dipartimento immigrati. La presenza qui di Fammoni ci può essere di aiuto per capirne meglio il significato. Credo tuttavia che dobbiamo evitare di complicarci la vita. L’organizzazione non è un fine ma un mezzo ed il dipartimento se si farà non può che essere uno strumento per raggiungere degli scopi, cioè la presenza degli immigrati nella Cgil. E’ ovvio che la politica verso l’immigrazione è la più interdisciplinare che ci sia e non può essere affrontata “ghettizzandola” anche nella Cgil. Non credo sia stata questa l’intenzione della Cgil.

 

Noi non possiamo che continuare a lavorare come abbiamo fatto, con i risultati che stanno venendo in termini di presenza degli immigrati nelle strutture e in occasione del Congresso dobbiamo fare un altro passo in avanti riempiendo le segreterie provinciali dei nostri fratelli e di qualche sorella possibilmente.

 

 

Il Congresso della Cgil e della Fillea

 

Infine il Congresso della Cgil. Nei fatti, parlando della nostra iniziativa, ho detto quale sarà il contributo di merito della Fillea alla elaborazione del documento, che si spera sia unitario, perché di un congresso unitario si sente il bisogno nel Paese e nella Cgil.

 

La prossima settimana si riunirà la commissione per il documento e lì cominceremo a misurare le possibilità di questo approdo, che dovrebbe essere nelle cose.

Rispetto alle cose dette nel direttivo del 20 aprile non vi sono dunque novità sulle intenzioni con le quali si guarda a questo appuntamento che, allontanatesi definitivamente la prospettiva di un voto anticipato, dovrebbe svolgersi nei tempi previsti.

 

Noi, la Fillea,  dovremo provare a dare un contributo anche sui temi della rappresentanza e della rappresentatività a partire da quello che siamo, cioè un laboratorio importante di uno spaccato del mondo del lavoro dove insiste una complessità vasta di soggetti e di problematiche. Lo abbiamo detto tante volte, il nostro settore non è quell’insieme di contenitori dentro i quali ci stanno centinaia di lavoratori. Siamo una galassia dove prevale la polvere e questo rende tutto più difficile. Ma proprio per questo dobbiamo provare a declinare concetti come democrazia, rappresentanza, contrattazione dentro questa polvere, partendo dalla convinzione che forse abbiamo scelto la strada giusta, quella del cantiere qualità.

 

Abbiamo iniziato questo lavoro al precedente congresso, forse un po’ prima. Ci abbiamo creduto e siamo cresciuti tutti insieme su quel percorso. Abbiamo ancora qualche anno davanti per continuare a sostenerlo dopo il prossimo congresso (parlo almeno per me). Dovranno essere gli anni nei quali, ancora insieme, dovremo raccogliere il frutto forse più bello di questo cantiere, la costruzione di un nuovo gruppo dirigente della Fillea a tutti i livelli, ma a partire dalla struttura nazionale, che sappia tenere insieme esperienza e rinnovamento, tradizione e discontinuità.

Questo nuovo gruppo dirigente forse ci è già cresciuto intorno e vive tra noi, protetto con affetto e intelligenza dalla saggezza che rende solida questa organizzazione. Dobbiamo essere coraggiosamente conseguenti.

 

Gli ingredienti ci sono tutti, la volontà e la determinazione credo non manchino. Non possiamo che metterci al lavoro, anzi, rimanerci perché di lavorare non abbiamo mai smesso un minuto.   

 

 

Roma 24 maggio 2005 

 

 Segreteria Generale

 

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