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ROSSO contro il NERO | |
Conferenza FLAI-FILLEA-CGIL sul Lavoro Nero Fillea-Cgil – Bari, 12/10/‘06 Relazione di Franco Martini, Segretario Generale Fillea
Quando nelle scorse settimane anche a noi è capitato di seguire le notizie che hanno impressionato il Paese sulle condizioni di sfruttamento e di neo-schiavismo nelle quali sono costretti tanti lavoratori della raccolta di pomodori in Puglia ci sono tornate alla mente altre immagini, al nostro sindacato più familiari, ma tragicamente simili nel loro contenuto umano e sociale.
Abbiamo pensato alla ragazza quindicenne bruciata viva nell’incendio che a Salerno devastò uno scantinato adibito a fabbrica di materassi, proprio pochi giorni prima della nostra Conferenza sul lavoro nero a Milano. Abbiamo pensato a quei lavoratori immigrati sequestrati per giorni e giorni dentro un tugurio di abitazione e fatti uscire solo all’alba per andare in cantiere a lavorare, ovviamente a nero, per poi tornare ad essere reclusi nella casa-prigione. Abbiamo pensato anche a quel lavoratore precipitato dall’impalcatura non a norma e scaricato moribondo nei pressi di un cassonetto della spazzatura dai propri compagni di lavoro, presi dal panico per la paura di essere scoperti quali lavoratori clandestini.
Proprio per questo abbiamo provato grande sdegno per una condizione umana e sociale che giudichiamo inaccettabile a livello civile prima ancora che sul piano del diritto sindacale. Ma anche per questo abbiamo condiviso l’idea di rappresentare assieme alla Flai, nel quadro della campagna promossa dalla Cgil, l’idea che combattere questo fenomeno si può e si deve a partire dai due settori dove sicuramente più che in ogni altro è radicato.
Non siamo qui a chiedere un po’ di attenzione ad un mondo politico e sindacale che potrebbe interpretare le nostre degenerazioni come una patologia dei settori da tentare di circoscrivere e ridurre il più possibile. Siamo qui a dire che proprio dove il fronte è più caldo occorre cogliere l’urgenza di una politica che assuma il valore del lavoro e della sua dignità quale asse centrale di tutto lo sviluppo, poiché diversamente dai comportamenti virtuosi, che debbono essere sollecitati, sostenuti, incentivati, quelli degenerativi, nelle forme più diverse, sono molto contagiosi e si propagano rapidamente. La precarietà nell’economia e nel lavoro è ricetta molto più diffusa della qualità e se nei nostri settori essa si manifesta con fenomeni che si collocano ai confini della civiltà, sotto la nostra punta c’è un iceberg di vaste proporzioni, che coinvolge settori, da noi stessi rappresentati, apparentemente i più lontani possibile dall’idea di precarietà.
Anche per questo consideriamo questa nostra discussione assolutamente intonata con i temi di cui si parla in queste ore: equità – risanamento – sviluppo non sono tre tempi separati dell’azione di Governo. Se, pur con i miglioramenti che noi stessi abbiamo chiesto, abbiamo condiviso l’impianto della manovra del Governo è proprio perché a nostro avviso le cifre, i numeri, i conti della finanziaria rappresentano una faccia della medaglia. L’altra è l’azione del Governo per fare con decisione di quella manovra la leva per affermare politiche di qualità nello sviluppo del Paese e di queste sicuramente quella del lavoro rappresenta una delle principali cartine di tornasole. E quando parliamo di politiche del lavoro qualificate intendiamo dire che la lotta contro il lavoro nero e contro la precarietà non è altra cosa dalla lotta per la sicurezza nei luoghi di lavoro e che questo fronte intero non è altra cosa dalla promozione del lavoro, dal suo riconoscimento e dalla sua valorizzazione professionale.
I segnali che ci sono giunti nelle prime settimane di attività dell’Esecutivo, ma soprattutto i primi atti, lasciano intendere che vi sia una volontà precisa di procedere in questa direzione. Proprio per questo noi, anche noi come categorie, intendiamo svolgere un ruolo sempre più costruttivo nel rapporto col Governo, consapevoli che la concertazione non è solo galateo ma luogo di scambio e di incontro delle competenze e delle conoscenze necessarie per dare il massimo di efficacia ai provvedimenti da adottare.
Il mese di agosto è stato funestato da tante altre vittime nei cantieri, pur essendo il mese di agosto il periodo del grande riposo. A seguito di questo fenomeno dilagante, che ci ha portati oggi a registrare attraverso il nostro monitoraggio quotidiano degli infortuni mortali lo stesso numero di morti di tutto il 2005 (e mancano ancora poco meno di tre mesi alla fine dell’anno!) il Governo con l’emendamento dei Ministri del Lavoro e delle Infrastrutture al decreto Bersani ha emesso un pacchetto di provvedimenti che abbiamo fortemente condiviso. Ma abbiamo condiviso soprattutto un aspetto, che è l’asse del nostro ragionamento anche qui a Bari, l’impossibilità –cioè- di separare la lotta agli infortuni da quella al lavoro nero, contro il caporalato e l’illegalità nei cantieri.
Dire che occorre applicare correttamente la 626 e la 494 significa dire una enorme ovvietà. E’ più utile parlare del contesto che dovrebbe attuarla e in questo caso il nostro ragionamento si fa un po’ meno ovvio. Infatti, è nelle condizioni di irregolarità diffusa, di illegalità che viene a generarsi una quota non indifferente degli infortuni. Ecco perché la nostra battaglia contro il lavoro nero, contro il sommerso, per la regolarità delle imprese e del lavoro rappresenta il punto centrale della nostra azione a tutela delle condizioni di lavoro nel settore.
La ricerca che abbiamo presentato alla nostra Conferenza di Milano conferma, arrotondandoli verso l’alto, i dati ufficiali sul sommerso prodotti dalle fonti statistiche ufficiali. Anche nel caso del lavoro sommerso si evidenziano dinamiche simili ai dati sull’infortunistica, con un trend in calo rispetto alla dinamiche degli ultimi venti anni, grazie alla regolarizzazione degli immigrati ed ai provvedimenti di agevolazione fiscale adottati per il settore in questi anni.
Ma il fatto rilevante è che nel settore delle costruzioni l’indice del sommerso è tre volte quello dell’industria (il 15,9% contro il 5,8%), confermando il nostro quale uno dei settori più esposti al fenomeno di cui discutiamo. E la cosa non riguarda solo l’edilizia, nell’immaginario comune territorio diffuso del lavoro nero, quanto lo stesso settore del legno che registra un 14,1% di irregolarità totale dei dipendenti, effetto sicuramente della diffusissima piccola dimensione di impresa.
E’ interessante, inoltre, osservare come dalla comparazione fra i dati Istat e quelli delle Casse Edili emergono zone di lavoro grigio tendenzialmente in crescita, rappresentate dalla diminuzione delle ore lavorate pro capite e dal crescere innaturale del part-time in edilizia.
Ma tutte le indicazioni fornite dalla ricerca sono la conferma che la strada che abbiamo intrapreso è quella giusta, quella che connette tra loro gli obiettivi che ci siamo dati sul terreno dell’immigrazione, della regolarità, dell’innalzamento del profilo industriale delle imprese e della legislazione sugli appalti e che appartengono ad un percorso comune che da tempo ci vede impegnati con le associazioni di categoria e che lo scorso anno ha portato alla firma dell’Avviso Comune con il passato Governo, ma che in parte è rimasto lettera morta .
Di queste misure, il recente pacchetto di provvedimenti adottati dal Governo ne contiene alcune che da tempo il sindacato rivendicava. Di particolare importanza è per noi quella relativa alla comunicazione dell’avvenuta assunzione del lavoratori 24 ore prima dell’inizio del lavoro, per la nota coincidenza di una parte delle morti in cantiere con il primo giorno di assunzione, fenomeno che descrive il ricorso diffuso a forme di irregolarità, superate solo nel caso estremo dell’infortunio grave o mortale. Altrettanta importanza abbiamo assegnato al cartellino individuale di identificazione del lavoratore, provvedimento che già in sede negoziale avevamo iniziato ad introdurre e che ci proponiamo di estendere a tutte le imprese, indipendentemente dal numero degli addetti.
La sospensione dell’appalto nei confronti delle imprese con oltre il 20% di lavoratori irregolari (il che non significa che fino al 20% vi è un salvacondotto per l’irregolarità!) può apparire un provvedimento forte, anche per il sindacato, dato che l’interruzione di attività dell’impresa genera l’interruzione del lavoro di chi spesso ne ha bisogno come il pane. Ci siamo trovati in più di una occasione a dover misurare le ragioni della coerenza con quella dell’opportunità (e non dell’opportunismo). Ma di fronte alle ripetute tragedie nei cantieri non possiamo non affermare il valore dell’integrità fisica e psichica del lavoratore quale primo diritto per il quale batterci. E’ ovvio che la nostra funzione non si ferma all’atto della sospensione dell’appalto: noi ci battiamo affinché quelle imprese possano lavorare in condizioni di regolarità, distinguendo il necessario sostegno alle stesse perché ciò avvenga dalle scelte spesso criminose compiute da imprenditori spregiudicati.
Abbiamo dunque condiviso e apprezzato il primo nucleo di provvedimenti adottati dal Governo, dei quali dovremo vigilarne insieme l’efficacia e la loro diffusione. Ma proprio su questo punto il maggior numero di domande alle quali siamo stati sottoposti in queste settimane dai giornalisti che ci chiedevano un parere riguardava la capacità di controllarne il rispetto. Il sistema è in grado di esercitare i necessari controlli?
Sarebbe fin troppo facile dire che sul terreno dei controlli è necessario potenziare i servizi ispettivi, oggi penalizzati da una paralizzante scarsità di risorse. Ovviamente lo diciamo, perché questo è un problema, dato che in molti casi le attività si svolgono sottoforma di vero e proprio “volontariato”. Sappiamo le difficoltà nel far quadrare i conti della finanziaria e di come a questa quadratura dovrà contribuire una riduzione della spesa pubblica, compresa quella degli enti locali. Il problema è capire se la battaglia per la sicurezza, la legalità, la regolarità del lavoro è una battaglia che può essere condotta ad invarianza di costi o addirittura attraverso una loro riduzione, perché questo è il rischio che abbiamo davanti? Allora occorre anche capire se nel confronto con le autonomie locali, provinciali e regionali il tema dei servizi ispettivi, dei controlli, della sicurezza può rappresentare un criterio ed un vincolo di selezione e di finalizzazione della spesa oppure no! Dovremmo dire che anche per il bilancio di un Comune dovrebbe valere il divieto di abolire o ridurre i costi della sicurezza dall’offerta in gara d’appalto, cioè, il divieto di far quadrare il proprio bilancio senza il rispetto di un adeguato livello di spesa in materia, che per noi non è spesa corrente ma di investimento!
Vi è anche un’altra risorsa da usare con intelligenza che sta nella capacità di incidere attraverso una programmazione mirata, che si avvalga anche della sinergia con le informazioni in possesso delle Stazioni appaltanti, dei Comuni, delle banche dati INPS e INAIL connesse al DURC; degli Osservatori delle Casse Edili e dei Cpt, la risorsa del “fare sistema”, come si dice spesso.
La capacità di fare sistema anche in funzione di elevare l’efficacia dei controlli è dimostrata dalla vicenda del DURC, che lo stesso Ministro del Lavoro ha ribadito giustamente quale strumento per spingere le imprese sul versante della regolarità, nel settore pubblico e privato e non più solo dell’edilizia.
Abbiamo avuto occasione di affermare in questi mesi l’importanza del Durc e della sua estensione al settore privato. Proprio per questo vogliamo rendere partecipe il Ministro Damiano delle difficoltà e delle preoccupazioni che ci hanno accompagnati lungo tutta la vicenda a fronte dei colpevoli ritardi burocratici che per lungo tempo ne hanno ritardato il decollo. Ancora oggi siamo nella fase in cui non si può parlare di andata a regime dello strumento in questione, tanto più che lo stesso è già fatto oggetto di fenomeni di aggiramento della norma che rischiano in molti casi di vanificarne l’efficacia. Siamo ai Durc clonati, spesso autocertificazioni ed il sistema triangolare preposto al suo rilascio risulta anche screditato –in alcuni casi- dalla iniziativa di Casse Edili non firmatarie del Contratto Nazionale e quindi non abilitate, nei confronti delle quali organi stessi di emanazione ministeriali assumono posizioni equivoche e compiacenti, cosicché la confusione aumenta ancor più.
Anche per questo riteniamo doveroso rilanciare con forza l’obiettivo della congruità senza del quale lo stesso Durc rischia di essere una scatola vuota. Il fatto che la stessa acquisizione contrattuale incontri non pochi ostacoli per la sua attuazione nel rapporto con le Associazioni dei Costruttori la dice lunga sull’efficacia che tale strumento verrebbe ad acquisire per misurare l’effettiva regolarità delle imprese, ed anche per questo non si capisce oltre una certa misura la resistenza dei Costruttori dato che la congruità rappresenterebbe uno degli sbarramenti alla concorrenza sleale tra imprese. Ma anche per questo riteniamo che una azione convinta del Governo, come lo è stata anche sulla responsabilità in solido, servirebbe a rendere irreversibile il percorso verso la diffusione del Durc.
Ma soprattutto darebbe il senso del confronto che vorremmo si aprisse attorno al tema del Codice Unico sugli Appalti. Il problema non è penalizzare le imprese, al contrario favorirne la loro qualificazione, cosa alla quale non ha certo contribuito il meccanismo del Contraente Generale e delle modifiche introdotte da Lunardi alla Merloni. Ciò è talmente vero che le stesse organizzazioni sindacali di categoria sono depositarie di una proposta di legge che sostenga un processo di re-industrializzazione del settore, favorendo la diffusione del lavoro strutturato, proposta che vorremmo portare al tavolo di concertazione di settore che vorremmo riattivare col Ministero del nuovo Governo.
Così come nel settore agricolo, anche l’edilizia è caratterizzata dalla rilevante presenza di lavoro straniero; nell’ultimo periodo questa componente sale di anno in anno e ha raggiunto la quota di 150.000 iscritti alle Casse Edili. Questo fenomeno necessariamente comporta che una quota di lavoro sommerso nel settore è svolto da lavoratori stranieri. Ed è per questo che nella nostra iniziativa contro il lavoro nero e illegale dobbiamo far confluire nuove politiche sull’immigrazione.
L’effetto combinato delle norme della Bossi - Fini (che lega la durata del permesso di soggiorno alla durata del contratto di lavoro) con le norme della legge 30 (che ha provocato la crescita esplosiva della precarietà nel mercato del lavoro) hanno avuto in edilizia un effetto dirompente sul lavoro degli stessi immigrati regolari, rendendo loro più ricattabili da parte dei datori di lavoro. Tutto ciò rischia di indebolire tutti i lavoratori del settore.
L'ultimo decreto flussi, che ha previsto la concessione del permesso di soggiorno a 171.000 stranieri, ha fatto emergere l'esistenza di ulteriori 315.000 domande di assunzione rivolte a lavoratori stranieri, i quali in realtà sono già presenti in Italia e già occupati. Già qui si pone il problema dei tempi di attuazione delle procedure di regolarizzazione che rischiano di essere lunghissimi, si parla di uno, due anni.
La regolarità della presenza nel nostro paese va costruita fin dal momento dell'ingresso in Italia, rendendo conveniente per il lavoratore straniero l'ingresso legale mediante la concessione di un permesso per ricerca di lavoro, che consenta all'immigrato di cercare "a testa alta" una occupazione senza subire i ricatti delle imprese in nero o irregolari.
Oggi, con la Bossi-Fini che lega il rinnovo del permesso di soggiorno alla continuità de1l'occupazione, condizione particolarmente difficile nell'edilizia, molti lavoratori stranieri sono costretti a trasformarsi in false partite IVA; ciò comporta per i lavoratori una perdita di diritti e per il settore una crescita della polverizzazione della struttura produttiva. Ecco perché per contrastare questo fenomeno va modificata la regolamentazione del contratto di soggiorno, sganciando il rinnovo del permesso dalla situazione lavorativa contingente, vanno resi più stabili i permessi e va semplificato l'iter di rinnovo, consentendo altresì una flessibilità nella conversione dei titoli di soggiorno con particolare riferimento a quelli stagionali.
Una nuova legge sull’immigrazione che superi le storture e le ingiustizie della Bossi-Fini è dunque necessaria e urgente. Ci auguriamo che essa rappresenti uno dei primi impegni riformatori di questo autunno, come più volte annunciato dal Ministro Ferrero.
Nel frattempo occorre rendere immediatamente operativi provvedimenti finalizzati all’emersione del lavoro nero tra gli immigrati, per aiutare loro a vincere le condizioni di ricatto che spesso condizionano la volontà di riscattare una condizione illegale. I recenti provvedimenti contro il lavoro nero in edilizia contenuti nella 248/2006 comportano paradossalmente, in applicazione della vigente normativa sull’immigrazione, l’espulsione dei lavoratori stranieri iregolari come condizione per il ripristino della regolarità. In questi casi è urgente prevedere, come già richiesto dai Segretari Generali di Cgil-Cisl-Uil il rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo. Ai fini di favorire la regolarizzazione degli stranieri clandestini che lavorano per le imprese a nero, caporali, imprenditori che rifiutano una emersione, va riconosciuto un automatismo fra denuncia della situazione di lavoro nero e rilascio del permesso di soggiorno. Questo meccanismo consentirebbe una emersione dal nero svincolata dal potere ricattatorio del datore di lavoro e il suo carattere permanente aiuterebbe a uscire dalla logica delle sanatorie periodiche.
Ci ha preoccupato il fatto che dopo ripetuti annunci da parte del Governo a favore di un tale provvedimento tardi a prendere luce.
Il progetto migratorio di ogni lavoratore straniero si riflette sull'approccio al lavoro: ne deriva in una quota di lavoratori (anche con permesso di soggiorno) l'interesse alla massima quantità di salario per un numero limitato di anni, a scapito della posizione previdenziale che, con l'attuale normativa, per queste situazioni risulta infruttifera. Ne deriva una disponibilità al lavoro sommerso che va contrastata con una normativa previdenziale più equa, realizzando con i paesi di origine delle convenzioni di reciprocità che garantiscano a questi lavoratori diritti previdenziali fruibili (così come ha fatto l'Italia nei confronti dei propri migranti) e, ove questo non sia possibile, sancendo il loro diritto alla restituzione dei contributi.
In questo quadro va tenuto conto che i lavoratori stranieri sono oggetto del distacco di manodopera previsto dalla Direttiva 96/57; è un meccanismo di ingresso in Italia di lavoratori stranieri in numero teoricamente illimitato, perché non rientra nelle quote previste dai decreti flussi, né nelle procedure burocratiche rappresentate dalle procedure lì previste; inoltre, nei casi in cui esiste una convenzione in materia di sicurezza sociale con il paese di provenienza dei lavoratori, per le imprese vi è una convenienza economica a ricorrere al distacco, rappresentata dalla possibilità di assolvere l’obbligo assicurativo versando i contributi nel paese di origine, generalmente più bassi di quelli in vigore in Italia; (paesi comunitari, neocomunitari e una serie di paesi extraUE);
La Commissione Europea, basandosi sulla giurisprudenza comunitaria, ha recentemente pubblicato una Comunicazione relativa alla Direttiva 96/57 sul distacco di lavoratori stranieri. la Comunicazione in pratica fa esplicito divieto agli Stati membri di frapporre ostacoli amministrativi al distacco di manodopera, considerando sotto questa veste anche gli elementi di controllo, di verifica e di sorveglianza da parte dell'Amministrazione dello Stato ospitante.
A questo punto è opportuno chiedere al Governo italiano un intervento al fine di ridiscutere alle radici il meccanismo del distacco. Un ulteriore fonte di criticità è rappresentata dall'ultime versione della Direttiva Bolkenstein, che sembra essere stata condivisa dall'attuale Governo nell'ultima riunione del Consiglio Europeo. In particolare, è caduto il principio del paese di origine per i lavoratori subordinati, ma è rimasto per i lavoratori autonomi; ciò potrebbe comportare una crescita abnorme dei falsi autonomi in edilizia.
Questo insieme di misure, in parte appartenenti ad un progetto di riforme sui temi del lavoro e delle politiche migratorie, in parte adottate come provvedimenti di urgenza, come nel caso delle azioni di contrasto al lavoro nero delineano una nuova stagione istituzionale alla quale non vogliamo far mancare il nostro autonomo contributo.
Noi chiediamo al Governo di proseguire con decisione lungo la strada intrapresa, sapendo distinguere le esigenze di miglioramento delle norme dal segno sociale delle stesse. Ciò che si cerca di ostacolare, soprattutto da parte degli interessi più consolidati, attraverso le obiezioni di merito è proprio la scelta politica di fondo che per la prima volta dopo molti anni cerca di riaffermare la centralità del lavoro, del suo valore sociale, dei suoi diritti, a partire dalla dignità delle persone.
Ma se vogliamo affermare tali principi è indispensabile che la discussione sul lavoro anche nel centro-sinistra sia una discussione seria. Nelle prossime settimane –ad esempio- torneremo a parlare di pensioni, di invecchiamento attivo, di allungamento della vita lavorativa. C’è un modo solo per parlarne con lo sguardo proiettato verso il futuro: sapere che esistono tanti lavori, che esistono condizioni diverse di disagio, che esistono fatiche non indistintamente comparabili.
Sarà quella un’altra occasione per dimostrare che dietro i numeri che descrivono la nostra crisi ci sono le persone in carne ed ossa, delle quali non rinunceremo a rappresentare le aspettative e le speranze al cambiamento.
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