ARTICOLO DI FRANCO MARTINI,
SEGRETARIO GENERALE DELLA FILLEA NAZIONALE, SU RASSEGNA SINDACALE DEL 4
SETTEMBRE 2001
Scorrendo alcuni titoli estivi sembrerebbe d’obbligo
esonerare il settore delle costruzioni dal rischio di autunno caldo, tante sono le buone notizie apparse. E’ d’obbligo
citare per prima la dichiarazione del Ministro Lunardi, essendosi da poco
concluso il controesodo estivo: “lasciatemi costruire e non ci saranno più
code”. Poi, nell’ordine, vengono quelli sulla pioggia di miliardi (o meglio un
vero e proprio diluvio!): 4.500 per l’acqua al Sud, anzi 9-10 mila secondo
altre fonti; 6mila per la Variante di Valico; 18mila in Veneto per il contratto
tra Governo e Regione; in questo capitolo ovviamente vanno inclusi i 6mila
miliardi per la Salerno- Reggio Calabria necessari per concludere entro 5 anni
un’opera assolutamente fondamentale e i 10mila per il Ponte di Messina, anche
se solo poco meno della metà sarà a carico dello Stato. Poiché l’elenco
risulterebbe lungo basta aggiungere che il tutto è parte del piano per la
realizzazione delle opere pubbliche (la famosa lavagna televisiva di
Berlusconi), un piano da 236mila miliardi in dieci anni, dei quali il 48% a
carico dello Stato. Poi ci sono quelli che rassicurano circa i tempi di
realizzazione: niente più pastoie burocratiche, niente più ostacoli che hanno
fatto delle opere pubbliche in Italia un vero e proprio tabù. Finalmente è
stato individuato lo strumento che da certezza alle promesse, la legge obiettivo approvata dal Senato in
piena estate, proprio per non perdere altro tempo, che rappresenta in buona
sostanza il nuovo vademecum del costruttore nell'era berlusconiana. Tra tutti
questi titoli c’è scappato il classico incidente di percorso, quello che è
stato definito un vero e proprio malinteso (“per realizzare queste opere nel
Sud bisogna convivere con la Mafia”), ma noi non vogliamo dubitare della buona
fede del Ministro, sebbene per la funzione da Lui svolta in un così delicato
Dicastero quella sortita può rivelarsi nel tempo molto più pericolosa di quella
che sembra.
Ecco dunque davanti a noi il Cantiere Italia pronto ad aprire i suoi battenti e a regalare un
lungo periodo di floridità per il settore delle costruzioni. Per una volta
almeno non sembrano esserci motivi di cui lamentarsi!
Poiché non abbiamo mai messo in discussione il
valore strategico delle grandi opere infrastrutturali per lo sviluppo del Paese
non è la validità di gran parte di quelle individuate da questo Governo ad
essere da noi contestata. Del resto esse erano già in gran parte contenute
nelle agende dei precedenti Governi. Vogliano solo ribadire alcune
considerazioni già formulate al momento dell’insediamento del nuovo Governo,
che trovano conferma nelle sue prime decisioni e che rischiano di rendere più
netta la rotta di collisione con il sindacato.
Sulle risorse occorre dire subito che non c’è nessun
miracolo della moltiplicazione. La domanda più ricorrente in queste settimane
era la più ovvia “dove li troverà tutti questi soldi il Governo?” e non è una
domanda inutile dal momento che di tutto abbiamo bisogno oggi fuorchè
alimentare aspettative difficilmente sostenibili, soprattutto nelle aree del
Paese che da decenni attendono interventi importanti per il loro sviluppo (e
questa non deve essere una preoccupazione solo di chi si è sprecato in
innumerevole promesse elettorali!). Una domanda oltretutto legittima perché la
fase del risanamento economico del Paese legata allo sforzo di stabilità nel
quadro della convergenza non è assolutamente concluso e la politica di bilancio
difficilmente è in grado di sopportare allegramente il passaggio dalla fase del
rigore ad un espansionismo incontrollato della spesa. Tanto più che il
contributo dei privati alla realizzazione di questo piano è tutto da verificare
nei tempi e nei modi immaginati dal Governo. La conseguenza è che tali scelte
rischiano di essere alternative ad altre, il che non sarebbe scandaloso se
veramente le opere infrastrutturali venissero considerate strategiche. Ma allo
stato gli unici centri di spesa che sembrano diventare alternativi sono quelli
che finanziano una parte dei diritti di cittadinanza, a partire dallo stato sociale,
con il rischio di contrapporre pensioni, scuola pubblica, potere d’acquisto dei
salari e degli stipendi –per fare solo alcuni primi esempi- alla realizzazione
di strade, ponti e gallerie. La schematizzazione risulta indubbiamente
eccessiva, ma la sostanza non cambia molto, ragion per cui sarebbe utile che la
scelta di un grande piano di opere infrastrutturali da realizzare non perdesse
il suo carattere di selettività, né smarrisse la necessità di coinvolgere tutte
le realtà interessate, a partire dalle Regioni. Qui, invece, il Governo indica
una direzione opposta. La Legge Obiettivo
di fatto rappresenta un atto di liberalizzazione dell’intero processo di
elaborazione delle scelte e di attuazione delle stesse. La scelta delle opere
nel programma annuale rischia di essere frutto di un rapporto diretto tra
Governo e realtà territoriali, al di fuori degli indirizzi programmatici dei
settori strategici, a partire dai trasporti. Non si parla più di urbanistica
(tanto ognuno è padrone a casa propria, come recita il provvedimento sulla
liberalizzazione delle ristrutturazioni degli immobili). La Conferenza dei
Servizi potrà dire la sua, ma senza pensare di allungare il brodo, perché a
decidere comunque entro i tempi previsti sarà il Cipe, quindi il Governo. Per non
essere ripetitivi rimandiamo alle considerazioni di precedenti commenti circa
le conseguenze della vanificazione della normativa sugli appalti sulla qualità
e trasparenza dei cantieri che si apriranno. Il cantiere Italia rischia di
diventare terra di nessuno, dove le regole saranno quelle dettate dalle
esigenze quotidiane.
Non vogliamo essere prevenuti ma sulle strade che si
vogliono costruire, spesso a ragione, rischia di transitare una civiltà dello
sviluppo e del lavoro che invece di portarci in Europa può riportarci molto
indietro e questo non lo permetteremo e contro questa prospettiva ci batteremo
nel prossimo autunno.