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Comitato Direttivo Fillea Nazionale - 9 maggio 2003
Relazione introduttiva di Franco Martini Il Comitato Direttivo è chiamato oggi ad approvare gli orientamenti della Fillea sulla base dei quali lavorare alla preparazione delle piattaforme per il rinnovo dei CCNL di categoria. Come è noto essi riguardano il cemento, che inaugura le scadenze (31.7.2003), i lapidei e laterizi (30.9.2003), il legno e l’edilizia (31.12.2003). Il lavoro che ci attende dovrà con il mese di giugno essere completato con il coinvolgimento di Filca e Feneal sull’insieme delle piattaforme. Siamo già in una fase avanzata per il primo dei contratti in scadenza, il cemento, mentre per quanto riguarda l’edilizia il nostro lavoro dovrebbe essere portato a sintesi in un seminario previsto per il 5-6 giugno a Fiuggi. Sul resto dei settori siamo in fase di impostazione del lavoro, che con il mese di maggio dovrà riguardare tutti i contratti (lapidei, laterizi, legno). Naturalmente non è compito di questo Direttivo entrare nei dettagli delle piattaforme. Vi sono aspetti che attengono ad un quadro di coerenze e di scelte omogenee che attraversano tutti i contratti, pur nelle loro peculiarità. Sono queste le scelte di cui dobbiamo discutere e che dobbiamo approvare. La prima considerazione di ordine generale è che i nostri contratti dovrebbero tentare di interpretare la scelta strategica del Cantiere Qualità, essere cioè strumenti attraverso i quali provare a far avanzare l’obiettivo della qualità nella condizione di lavoro e nel processo organizzativo dei settori. Per questa ragione, fin dalla discussione nella precedente riunione della Direzione Nazionale abbiamo rinunciato a considerare questi rinnovi contrattuali degli adempimenti burocratici, di ordinaria amministrazione, scegliendo il terreno certamente più impegnativo di una analisi attenta dei bisogni e delle necessità che in termini anche nuovi si esprimono in ordine alla tutela e al miglioramento delle condizioni di lavoro. Abbiamo detto di rileggere con attenzione il bilancio della fase contrattuale che abbiamo alle spalle, sia per il rinnovo dei bienni economici, che per l’esercizio della contrattazione integrativa, per cogliere in essa alcuni spunti, alcune sollecitazioni, alcune indicazioni da proiettare nella costruzione delle nuove piattaforme. Abbiamo scelto di seguire con altrettanta attenzione l’evoluzione della situazione produttiva della categoria, che difficilmente vivrà negli anni che abbiamo davanti le stesse dinamiche conosciute nella felice stagione iniziata a partire dalla seconda metà degli anni ’90. E questo non solo per esercitare il tradizionale pragmatismo, la concretezza che caratterizza il nostro approccio alle politiche rivendicative, quanto per sintonizzarci al meglio con i bisogni che la sfida competitiva richiede e che la contrattazione può sollecitare. Siamo, infine, pienamente consapevoli del contesto complesso, difficile in cui si inserisce l’imminente stagione per i rinnovi contrattuali, sia per il rapporto con il quadro politico generale, che per lo stato dei rapporti unitari. L’epilogo grave della vicenda contrattuale dei metalmeccanici difficilmente potrà non avere riflessi sull’insieme dei rapporti sindacali. Ma pur consapevoli di tutto ciò la determinazione a fare di questi nostri appuntamenti occasioni di crescita del settore e delle condizioni di tutela dei lavoratori non ci manca. Per questo proponiamo al Direttivo di assumere, dopo averle discusse, queste linee guida per la contrattazione, dando per acquisite tutte le analisi e le proposte di contesto settoriale che abbiamo prodotto nel corso di questi mesi come organizzazione. Il primo punto riguarda la valorizzazione del contratto collettivo nazionale come sede di rafforzamento e di qualificazione di un moderno sistema di relazioni sindacali. Siamo cioè per qualificare la cosiddetta “prima parte” dei contratti, i sistemi di informazione, quali sedi per implementare la funzione delle parti, sia nell’ambito della concertazione, che della bilateralità, in quanto strumenti di sostegno alla contrattazione. Questo della bilateralità è il secondo punto importante della prossima stagione dei contratti. Noi da tempo abbiamo posto il problema di un rinnovato ruolo della bilateralità nelle nuove dinamiche che investono il settore che prevalentemente ha vissuto e vive questa esperienza. Recentemente abbiamo elaborato una proposta che traduce il documento politico già approvato a suo tempo dalla Direzione Nazionale in proposte operative utili per aprire un confronto con Filca e Feneal e poi con l’Ance. Non sto a richiamare le ragioni della riforma necessaria degli enti bilaterali avendone discusso in più di una occasione. Questo tema, oggi, incrocia il rinnovo dei contratti anche per effetto delle scelte governative che in materia di mercato del lavoro prevede un ruolo attivo degli enti bilaterali fino alle funzioni di certificazione dei rapporti di lavoro. Voi sapete che la Cgil non ha mai condiviso questa visione degli enti che vedrebbero snaturata la loro funzione originaria di supporto della contrattazione. Ma la stessa funzione del sindacato rischierebbe pian piano di essere modificata, con la prevalenza di una funzione di servizio invece che contrattuale. Sono opinioni, condivisibili o meno, ma altrettanto legittime, come quelle di chi pensa invece che la L.30, attuativa della delega sul mercato del lavoro sia una grande opportunità per il sindacato. La L.30, tra l’altro, pone il tema della bilateralità non solo nei settori che tradizionalmente già vivono questa esperienza, tant’è che lo stesso contratto separato dei meccanici prevede l’istituzione di un ente bilaterale per lo svolgimento dei compiti previsti dalla stessa legge. Nella nostra categoria il riflesso di questa spinta lo abbiamo già percepito, avviando la discussione sul contratto del cemento. Tuttavia, è nostra convinzione che lavorando sulle posizioni da noi espresse e cogliendo in quelle degli altri il reale contributo alla qualificazione degli enti quali strumenti di attuazione delle conquiste contrattuali sia possibile costruire una sintesi unitaria, ovviamente se la priorità di una soluzione unitaria viene considerata condizione decisiva per il pieno funzionamento degli enti stessi, soprattutto in un settore come quello nostro. La nostra posizione resta di indisponibilità a funzioni sostitutive delle strutture e dei servizi pubblici e privati che operano nel collocamento, mentre è pienamente perseguibile la strada di un ruolo nella politica attiva del lavoro, sulla base di funzioni che vanno dall’orientamento alla formazione, secondo quanto proposto nel documento della segreteria. Così come ci sembra sbagliata la proliferazione di nuovi enti negli altri settori, mentre è possibile adottare strutture e forme della pratica bilaterale più snelle, valorizzando nel campo della formazione e della sicurezza le strutture di cui il settore già dispone. La formazione professionale è la terza coordinata strategica che deve attraversare tutti i contratti di categoria e risponde alla scelta dell’investimento sul capitale umano per la valorizzazione del lavoro. In questo caso i contratti debbono definire spazi e risorse destinate alla formazione, per verificarne la fruibilità anche nell’abito degli orari di lavoro e –soprattutto- la loro ricaduta nell’ambito dei percorsi di carriera. Sul tema della formazione, inoltre, occorre con attenzione verificarne l’effettiva fruibilità nel caso delle forme di lavoro flessibile, a partire dall’interinale, a fronte di una intesa nazionale sulla sperimentazione che ha già incontrato sul territorio alcune prime resistenze sull’applicabilità della parte relativa alle risorse da destinare alla formazione tramite gli enti formativi di categoria. La sicurezza è l’ennesima priorità o meglio la priorità permanente che, nel caso delle prossime scadenze contrattuali, dovrà misurarsi con le intenzioni contenute nella delega del Governo e fortemente caldeggiate dalle associazioni delle imprese. Tuttavia, il nostro orientamento deve tendere a confermare l’impianto della attuale normativa (e questo vale un po’ per tutte le materie soggette a nuove normative peggiorative, come nel caso dell’orario di lavoro, per difendere le condizioni di miglior favore). Sicurezza deve significare, nel nostro caso, piena agibilità degli strumenti e dei soggetti preposti alle funzioni individuate dalla 626, a partire dai rappresentanti alla sicurezza aziendali e territoriali, deve significare carattere diffuso e permanente della formazione in materia, dato l’alto tasso di incidenza del fattore culturale sulla tipologia degli infortuni verificatisi anche in presenza di un trend negativo, deve significare autonomia delle proposte di modifica dell’organizzazione del lavoro, soprattutto nei cicli e nelle fasi delle lavorazioni più complesse, come nel caso delle grandi opere od in quelle particolarmente nocive. Ho già accennato alla necessità che la formazione rappresenti la leva sulla quale agire per una riforma degli inquadramenti. Ciò vale per tutti i contratti che andiamo a rinnovare, anche se ognuno di loro presenta situazioni differenziate. La riforma degli inquadramenti, resa necessaria dalla sostanziale invarianza che ormai da oltre tre decenni accompagna la norma specifica, comporta un costo per le imprese, avendo per obiettivo non solo quello della riclassificazione delle mansioni alla luce delle modifiche introdotte nel corso di questi anni nei processi di lavorazione, ma anche quello della valorizzazione di professioni nuove o meno nuove rimaste schiacciate da un impianto normativo poco rispondente a questa esigenza e dunque- spesso vanificato dalla contrattazione individuale. In questo quadro, i prossimi contratti dovranno essere in grado di rappresentare bisogni ed esigenze di una soggettività del lavoro e di una articolazione delle professioni notevolmente diversificata nel corso degli anni. In alcuni casi, come in quello dei restauratori, il problema può apparire non del tutto nuovo, benchè ancora irrisolto in modo pienamente soddisfacente per la categoria interessata, che deve continuare ad individuare nel contratto dell’edilizia lo strumento principale per la soluzione dei propri problemi, senza inseguire l’illusione di soluzioni corporative impraticabili data la difficoltà nei rapporti di forza e soprattutto l’incongruità di soluzioni ispirate alla separazione dei contesti lavorativi. Un altro problema non nuovo ma che troverà nuovi impulsi dalle decisioni contenute nella Legge Obiettivo e più in generale nella politica del Ministero sulle infrastrtture è quello delle lavorazioni legate alle grandi opere, sulle quali già da anni ci stiamo cimentando con l’alta velocità. Sono cantieri dove rappresentare bisogni ed individuare soluzioni è tema forse più complesso e sul quale potrà essere utile una rivisitazione del contratto nazionale. Altri casi invece hanno visto crescere la loro incidenza nel corso degli ultimi anni. Vale per i lavoratori stranieri, arrivati ad essere in alcune realtà territoriali quasi il 20% degli iscritti nelle casse edili (figurarsi al lordo della irregolarità) e destinati, comunque, ad una ulteriore ed inesorabile crescita, date le strozzature esistenti nel mercato del lavoro interno. In questo caso il problema non è solo quello della stampa dei contratti nelle lingue più diverse, cosa che peraltro è già presente in alcune realtà. Il problema è quello di introdurre nel governo dell’organizzazione del lavoro, soprattutto sul regime degli orari, delle ferie, nei tempi delle prestazioni lavorative, soluzioni compatibili con bisogni specifici espressi da queste comunità di lavoratori e lavoratrici, come il rispetto delle festività religiose o come i rientri in patria, soprattutto nel caso in cui la condizione di lavoratore straniero coincide con quella di immigrato, che rappresenta forse la condizione maggiore. Su questo punto, come su quello affrontato in precedenza, è prevista una iniziativa specifica della Fillea Nazionale che rimetta insieme le lavoratrici, i lavoratori, i quadri sindacali di nazionalità straniera., per discutere con loro i problemi e le soluzioni migliori. L’altro problema che potrà crescere nel corso degli anni è quello della presenza femminile, componente già presente in alcuni comparti dei settori, come nel legno, in edilizia con la presenza di una nutrita schiera di restauratrici. Il tema delle pari opportunità, quindi, deve cominciare ad entrare nei nostri contratti, secondo mode e forme che riflettano le specificità dei diversi settori. Ho già fatto cenno agli orari di lavoro, tema sul quale noi proponiamo la riconferma delle condizioni di miglior favore rispetto alla legge di attuazione della direttiva europea in materia. Ma il tema degli orari è anche quello del controllo effettivo degli orari contrattuali, soprattutto nei settori a più alta carenza di manodopera. In questo caso il problema non è quello di aggiungere nuove enunciazioni a quelle già esistenti, ma di verificare la piena efficacia delle norme esistenti, anche a fronte della pressione negativa esercitata dalla Legge 30 che fa della progressiva precarizzazione della prestazione lavorativa una sorte di stella polare. Sulla parte economica confermiamo l’orientamento secondo il quale il contratto nazionale deve essere lo strumento per il pieno recupero del potere di acquisto delle retribuzioni e pertanto respingiamo l’idea di assumere il tasso di inflazione programmata quale criterio per la composizione quantitativa delle richieste, al posto dell’inflazione attesa. L’obiettivo, ovviamente, è di perseguire tale rivendicazione approdando a soluzioni pulite, senza i trucchi vari contenuti , ad esempio, nel contratto dei meccanici firmato separatamente l’altro ieri. Per quanto riguarda la produttività confermiamo la necessità di destinare le quote eventualmente disponibili alla contrattazione nazionale sui capitoli della qualità delle prestazioni e dei processi organizzativi, secondo quanto descritto nei punti precedentemente affrontati. In questo quadro si colloca anche il tema delle prestazioni sociali integrative, ma soprattutto quello della previdenza complementare sul quale riteniamo percorribile, con modalità e forme che vanno approfondite, la destinazione di risorse aggiuntive a quelle già definite per legge, per contribuire anche a recuperare una parte di ritardo con il quale si è pervenuti all’avvio dei fondi, soprattutto in edilizia, settore nel quale, peraltro, la polemica sulla fine dell’Apes è roba del precedente rinnovo contrattuale. Infine, il tema delle regole democratiche sul quale la nostra posizione è fin troppo chiara: il contratto di lavoro, in tutti i settori, non può essere fatto senza i lavoratori (o addirittura contro!). Conosciamo la diversità delle posizioni che come Cgil ci divide da Cisl e Uil e abbiamo pieno rispetto delle altre, come chiediamo rispetto delle nostre. Sappiamo che a monte c’è una visione diversa della natura sindacale, ma riteniamo che sia possibile affrontare il tema del coinvolgimento e della garanzia della democraticità dei percorsi semplicemente affidandoci alla pratica ed alla esperienza consolidata negli anni in categoria e che ci ha permesso di rinnovare sempre in un positivo rapporto con i lavoratori i vari contratti. Chiediamo, quindi, di fare né più e né meno come sempre abbiamo fatto, evitando di caricare questo punto di significati esterni al contesto categoriale che ha buone probabilità di confermarsi come un contesto positivo e unitario. Da parte nostra confermiano la volontà a fare piattaforme e rinnovare contratti unitariamente. Servono essenzialmente due ingredienti: rispetto reciproco e buon senso –da un lato- e forte radicamento col merito dei problemi, che in una categoria come la nostra significa solido terreno comune di elaborazione e di proposte. Naturalmente, come si è potuto constatare da quanto detto, si tratta di orientamenti generali che attraversano nei singoli capitoli tutti i contratti, ma che poi in ognuno di essi troveranno risposte e soluzioni differenziate ed articolate. In parte si tratta di “cantieri” già avviati, in parte dovranno esserlo nei prossimi giorni. Scopo del direttivo è assumere questa come una direzione di marcia, come il quadro delle coerenze dentro cui inserire il lavoro dei vari settori della nostra organizzazione. Siamo consapevoli che il periodo dentro il quale questo lavoro si svolgerà vedrà crescere nuove tensioni nei rapporti con Cisl e Uil e la firma separata del contratto dei meccanici non aiuterà a vincere queste tensioni. Il nostro giudizio su questa vicenda non può che coincidere con quello dato da Epifani al Direttivo Cgil di martedi: è un atto grave che può segnare in modo non facilmente reversibile le vicende sindacali e contrattuali, in particolare perché assume il principio dell’esclusione come pratica ordinaria e ricorrente in carenza di regole e norme che possano misurare la rappresentatività effettiva dei soggetti interessati, a partire da coloro che si assumono la responsabilità di decidere anche per chi non è d’accordo. Vorrei che evitassimo tra noi di ridurre la questione meccanici ad una pervicace volontà autolesionista della Fiom. Può anche darsi che ognuno di voi o di noi, per la cultura, la tradizione, per le sensibilità diverse presenti nella categoria avrebbe scelto di fare diversamente, fin dall’inizio della vicenda contrattuale. Ciò fa parte di una normale dialettica interna, che vale anche per i nostri contratti e le scelte che facciamo. Vorrei però che non commettessimo l’errore di sottovalutare il contenuto politico di quella vicenda, sintetizzabile, oltre che nella questione già detta in precedenza (il tema della democrazia della rappresentanza), in quello della diversa natura che si vuol assegnare alla contrattazione. Lungo questa via è del tutto evidente che la discussione sul futuro modello di relazioni sindacale, dopo quello del luglio ’93, sarà discussione condizionata dai fatti compiuti. Avevamo messo in campo la disponibilità a discutere della necessità di riformare quel modello, ma dopo i rinnovi dei contratti: E’ chiaro che se a quell’appuntamento ci arriviamo con contratti rinnovati senza di noi e contro le nostre opinioni, con contratti che introducono elementi strutturali nel nuovo impianto contrattuale, quella discussione sarà cosa assai inutile. Ed in questo caso i rischi maggiori sono l’indebolimento del contratto nazionale ed il rapporto quasi simbiotico tra contratto e legge, spingendo sempre più il sindacato da soggetto negoziale a gestore di servizi. Mi rendo conto che il giudizio è un po’ estremo, data la ristrettezza dei tempi, ma ognuno di voi sarà in grado di valutare quanto detto, leggendo con calma il testo dell’intesa sottoscritta, soprattutto là dove il contratto assume il contesto della legge 30, assumendo quindi un terreno di forte contiguità tra l’autonomia contrattuale del sindacato e le sue nuove funzioni in materie che vedrebbero il sindacato anche nelle funzioni di prestatore di servizi oggetto della contrattazione. Si dice che l’accordo separato è frutto di una volontà premeditata, di una cultura votata alla separazione, in quanto antagonistica. Ammesso e non concesso che fosse così non si capisce la ragione per la quale, su una questione così rilevante, il ccnl, in un settore così rilevante venga scippato il diritto addirittura civile, di far pronunciare i diretti interessati. In questo caso non so di chi sia la cultura della separazione prevalente. Se sono io ad autoescludermi (come si dice nel caso della Fiom) perché non mi consenti di verificare l’opinione delle persone interessate, anche al costo di venire subissato da una ondata di dissensi dalle mie opinioni! Sono queste le ragioni di ordine generale che la vicenda meccanici pone in essere a tutta la Cgil e che devono vederci impegnati in una riflessione, non tanto per esprimere solidarietà formale alla Fiom, ma per operare nel nostro ambito affinchè venga respinta quell’idea di sindacato e di contrattazione, affinchè si affermi la piena autonomia contrattuale del sindacato e la piena valorizzazione del contratto nazionale quale strumento di tutela generale della categoria, che in un settore come quello nostro è condizione essenziale. E nel clima dei rapporti unitari potrà incidere anche la vicenda del referendum sull’art.18 e le recenti decisioni del direttivo Cgil, anche se io non credo più di tanto. Poiché vi è stata consegnata la relazione di Epifani non ripeterò niente di quanto detto da lui, né di quanto apparso abbondantemente in questi giorni sulla stampa a commento dei lavori del Direttivo. Farò dunque solo un commento su due questioni. La prima sulla parte che non riguarda la vicenda del referendum. Sono i temi della situazione politica ed economica, affrontate dal segretario in modo fintroppo chiaro per esprimere un giudizio di forte preoccupazione su un declino che rischia di non essere più solo industriale ma di aggredire anche le basi democratiche ed istituzionali del nostro Paese, come la vicenda sulla giustizia sta mettendo in evidenza. Se le questioni di maggiore tensione che stiamo vivendo riguardano la gravità dello scenario internazionale, dopo la guerra in Irak, soprattutto in ordine al logoramento ed alla crisi verticale delle istituzioni sovranazionali ed al ruolo dell’Europa, tra l’altro in vista del semestre di presidenza italiana; la già citata questione democratica ed istituzionale; la crisi economica ed una politica del Governo assolutamente sorda alle esigenza di assumere lo sviluppo di qualità come vincolo per sé e per il sistema delle imprese; la politica finanziaria completamente slegata dall’esigenza di riqualificare la spesa pubblica e sviluppare le basi dello stato sociale e la questione previdenza, in questa sua lunga telenovela che vede il Ministro Maroni interpretare al meglio la favola del lupo e dell’agnello; la questione dei contratti pubblici, a partire da quello della scuola, che soffre della scelta governativa di non investire sulla qualificazione del sistema pubblico dell’istruzione; e poi le altre cose richiamate da Epifani… …se questo è lo scenario che abbiamo di fronte, allora non solo è vero che il referendum non è tra le prime preoccupazioni che dobbiamo avere e non è certamente la priorità che abbiamo di fronte, ma dobbiamo chiederci come dare continuità con efficacia e determinazione all’iniziativa che abbiamo sviluppato in tutti questi mesi e che deve proseguire nelle prossime settimane. Dobbiamo, cioè, tenere viva la tensione e la partecipazione del movimento costruito in tutti questi mesi, anche perché questo scenario così denso di rischi, di pericoli per la democrazia e per la società non è il terreno più ideale per creare il contesto più utile alla stagione sindacale che ci attende. Su alcuni di questi punti delicati vi è stato un lavoro unitario importante, come sulla previdenza, che può consentirci nei prossimi giorni di dare una prima, forte risposta unitaria alla volontà manifestata dal Governo di non modificare la delega, per ordine della Confindustria. Conoscete su questa questione le posizioni sindacali e non le ripeto. Dobbiamo cominciare a farle vivere tra la gente perché se nei prossimi giorni nulla di nuovo accadrà saremo chiamati a costruire una importante risposta in termini di mobilitazione che non può assolutamente mostrare un sindacato rinunciatario ed arrendevole. Sulla questione del referendumm tutto è stato detto e dalla relazione di Epifani avrete appreso le motivazioni per le quali la stragrande maggioranza del Direttivo ha deciso di arrpovare la proposta del Segretario. So che si tratta di un tema sul quale ognuno ha le sue opinioni e che difficilmente possono essere modificate (anche se nel caso di un membro della segreteria nazionale ciò è avvenuto!). Il mio breve commento è il seguente. La Fillea non ha volutamente partecipato al dibattito che ha preceduto il direttivo nazionale semplicemente per rispetto delle funzioni di tale organismo. È semplicemente una opinione sulla vita interna dell’organizzazione, sicuramente una caratteristica soggettiva di chi vi rappresenta. Naturalmente rispetto chi la pensa e chi ha fatto diversamente, anche se non richiesto, come ha detto Epifani in relazione. Io credo che quella scelta sia considerata la più giusta anche dalla grande maggioranza dei nostri lavoratori e delle nostre lavoratrici, semplicemente perché è considerata quella più comprensibile rispetto al vissuto collettivo di questi lunghi mesi che abbiamo alle spalle. Per spiegare che era ed è una scelta sbagliata sono stati spesi molti argomenti, a partire dai padri nobili della Cgil, argomenti che io considero in gran parte fondati. Ma dire che il referendum non allarga i diritti o che non riguarda i co.co.co. è dire una cosa semplicemente ovvia, come profondamente sbagliato è attribuire alla nostra scelta l’idea che non sappiamo che sia così. Più che dirlo come l’ha detto Epifani che il referendum non risolve le questioni dei diritti, che solo una legge come da noi proposta può affrontare, non sappiamo cos’altro aggiungere Ma il problema non è questo. Il fatto è che nonostante la nostra iniziativa il referendum c’è, il 15 giugno, e nel sentimento comune delle nostre persone è una scadenza che identifica la Cgil, poiché al di là del quesito tecnico assume un valore simbolico, quello dei diritti, che tanto abbiamo sbandierato nei manifesti e nelle iniziative in occasione della grande mobilitazione contro l’abolizione dell’articolo 18. Solo una visione elitaria ed aristocratica della politica può dire che non è così. Chi frequenta la gente comune, al di là di tutto ciò che possiamo pensare di Bertinotti e del suo referendum, sa che è così, se vogliamo essereonesti. Il problema posto dal referendum è quello della nostra battaglia inserita in un contenitore che non è quello nostro. Se noi non facessimo una scelta di campo non varrebbero le motivazioni politiche che potrebbero giustificarla, quanto la scelta di rinuncia della Cgil ad essere conseguente con quanto detto fino ad oggi. E siccome dopo il 15 giugno quella battaglia va continuata, a partire dalla nostra proposta di legge e chissà se non anche con un referendum abrogativo delle norme della 848 bis, non possiamo rischiare una rottura in termini di coerenza con questa battaglia con l’esercito che deve sostenerla e che in gran parte, anche se a torto, la identifica nella scadenza referendaria. Forse non è un grande ragionamento politico, anche se io non credo che sia così. Certo c’è meno politicismo in questa analisi, ma è anche vero che sulla vicenda referendaria vi è stato un sovraccarico di politicismo, per vicende che forse poco hanno a che fare con la questione specifica dei diritti. Voglio anche aggiungere che in questa visione di parzialità della rappresentanza c’è qualcosa di molto poco parziale per noi, dal momento che il 70% dei dipendenti dei nostri settori sono occupati in imprese che hanno meno di 15 dipendenti, se non fosse per la norma che dà diritto al licenziamento. E’ chiaro che per rimettere al centro il tema della legge l’esercito deve essere ampio e non può essere solo quello dei lavoratori. Ma anche su questo, bisogna evitare di rappresentare un contesto che non esiste. Tutti coloro che si stanno sgolando per denunciare le più grandi catastrofe se vincesse il si, sapevano benissimo che questo sarebbe stato il rischio in assenza di soluzioni alternative. Il problema è che a parte la Cgil che ha messo in campo una sua proposta di legge che risolvesse alla radice i problemi dell’allargamento dei diritti, nessun altro si è dato da fare, chi per la confusione mentale in materia e guardo al centro sinistra, chi perché del tutto disinteressato, se non ostile al tema dei diritti, come tutte le associazioni della piccola e media impresa e dell’artigianato. Al contrario si è sostenuto il progetto di precarizzazione che ha portato alla L.30, come si continua ancora ad ostacolare lo sviluppo della contrattazione e guardo agli artigiani, ovviamente. La nostra posizione vuole dunque essere un ponte per il dopo referendum, rimettendo al centro la proposta di legge: altri facciano come noi se veramente preoccupati dei disastri che la reintegra estesa alle imprese sotto i 15 dipendenti possa essere fonte di grandi disastri nazionali. Per questo staremo in campo in queste settimane con le modalità autonome proposte da Epifani, parlando dei diritti da allargare a tutte le categorie di lavoratori precari e parlando della nostra legge. Dopodichè attribuire a questa scelta la capacità di guastare i rapporti tra noi e di indebolire il progetto strategico della Cgil è polemica che non merita alcun commento. So che tra noi ci sono opinioni molto diverse ed in parte inconciliabili con la scelta della Cgil: non è la fine del mondo, nessuno sarà chiamato a fare comizi elettorali, benchè nella storia personale di ognuno di noi sia capitato spesso di andare a sostenere tesi e posizioni non sempre fonti di grandi entusiasmi personali (pensioni, scala mobile, ecc..). L’importante è che tutti ci si trovi impegnati a sostenere la posizione strategica della Cgil sulla legge. Anche per questo credo che una decisione finale di sostegno della Fillea alla posizione della Cgil dovrebbe avere il valore di impegnare tutte le nostre strutture ad affermare la centralità dell’iniziativa a sostegno delle proposte legislative e di riforma elaborate dalla Cgil e che rappresentano l’orizzonte e la finalità della nostra partecipazione al Referendum. |
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