Oggi terminiamo la nostra fase congressuale.

A poco più di sedici mesi dalla provincializzazione della nostra categoria, com’è giusto che sia, tenteremo di fare un bilancio d’attività e ci cimenteremo nello stabilire le priorità politiche ed organizzative che la Fillea si deve dare.

Lo scopo del congresso è proprio questo. Individuazione delle politiche, delle proposte, gli impegni e le valutazioni del lavoro svolto. La nostra organizzazione, e l’intera CGIL, ha sempre vissuto il momento del congresso come se fossero dei bilanci consultivi e preventivi. Quest’assise rappresenta il momento più alto di discussione, di dibattito e di decisione politica. Sulle spalle di tutti noi abbiamo l’onere di portare le sintesi delle sei assemblee territoriali e delle 42 svolte nei luoghi di lavoro. In sostanza noi oggi porteremo avanti e a compimento il confronto avuto con 2099 nostri lavoratori e lavoratrici, pari ad una percentuale, sul totale degli iscritti, quasi del 48 %.

Qualche compagno ritiene questo risultato soddisfacente. Personalmente ritengo che la presenza operaia ai nostri congressi sia buona ma non credo che possa essere considerata sufficiente per una struttura come la nostra.

La mia visione del sindacato, ed in particolare della CGIL, mi porta ad essere persuaso che gli sforzi per rendere protagonisti attivi i lavoratori non sono mai sufficienti. La nostra è una grande organizzazione sindacale, con una grande storia, con forti e saldi radici, con un’autorevolezza presso le controparti, gli interlocutori e tra la forza lavoro enorme.

Tutto ciò si basa, specie nelle mobilitazioni e nel percorso congressuale che è il momento più alto, più democratico, e più importante per le scelte politiche ed organizzative, con un’ampia partecipazione alla nostra vita dei nostri iscritti e dei nostri militanti. Caratterialmente non posso dichiararmi soddisfatto, non lo sarò mai neanche quando vedremo la presenza dei nostri iscritti ai nostri lavori con percentuali di tipo "bulgare", per utilizzare un termine molto in voga alcuni anni fa.

Vedete compagni, in questo periodo storico, per un’organizzazione di massa com’è la CGIL poter svolgere un congresso tenendo molto ben fermi i capisaldi della discussione interna, del reciproco rispetto tra le varie posizioni, salvaguardando la democrazia decisionale, innalzando il nostro livello di rappresentanza e rappresentatività, e diventando nei fatti un autorevole punto di riferimento in grado di elaborare e proporre proposte politiche accompagnate da una grande capacità di mobilitazione, è già di per se un grande atto enorme. Specie se consideriamo che ormai anche alcuni partiti della sinistra con un passato prestigioso e che erano così forti da potersi permettere il "lusso", durante il fascismo ed in piena clandestinità, a celebrare ben due congressi nazionali, nella nostra provincia ci hanno fatto assistere, purtroppo, ad uno spettacolo indecoroso al punto tale che oggi quel partito non ha celebrato la propria assise provinciale. O meglio, per riportare la frase di un compagno che è "maligno" almeno quanto me, è così forte da potersi permettere il lusso di tenere in contemporanea due congressi provinciali.

Ho voluto citare questa triste e penosa esperienza di un grande partito della sinistra non per esaltare le capacità della CGIL né per denigrare esperienze negative che anch’io nel mio piccolo, in quanto singola persona, ho vissuto. Non è questo il senso, semplicemente ho voluto sottolineare la grande forza che la nostra CGIL non deve mai perdere: una grande capacità d’ascolto, di riflessione, di dibattito interno, di rispetto reciproco, anche quando il dibattito è aspro e acceso, per arrivare poi, tutti insieme, ad una sintesi politica. Personalmente, proprio alla presenza dell’attuale fase politica, sociale ed economica, avrei preferito che almeno in questa occasione ci fosse un unico documento politico per questo congresso. Tutti sanno e stanno toccando con mano quali sono le priorità che questo governo si è posto. Il dibattito sull’articolo diciotto dello statuto dei lavoratori e la legge delega per modificarlo è una chiara ed inequivocabile convergenza d’interessi con le associazioni datoriali. Questo dibattito lo stanno riempiendo solo di contenuti ideologici con un falso, e preoccupante, populismo.

Purtroppo quella attuale è una fase storica che non ci permette d’essere ironici. Il barbaro atto criminali dell’11 settembre non ha e non può avere nessun tipo di giustificazione o d’attenuante. Sicuramente quell’attentato segna un punto di svolta nell’intero pianeta. Un punto di svolta tragico, drammatico, che ci può portare, ancora oggi, ad un reale pericolo di guerra. La CGIL, la propria posizione, anche se sofferta e molto discussa dai nostri organi di decisione politica nazionale, è chiara al punto tale da non lasciare a nessuna interpretazione. Per la lotta al terrorismo, senza tentennamenti, con il massimo vigore. Ma questa guerra, strana anche per come si sta svolgendo e che purtroppo vede la nostra nazione partecipe, non può essere lo strumento di lotta, né la soluzione, al terrorismo.

La guerra colpisce solo le popolazioni civile e scava un solco ancora più profondo tra la cultura occidentale e il resto del mondo.

Quelli frasi vergognose dette dal nostro primo ministro hanno gettato nuovo discredito internazionale sul nostro paese e alimentano quanti percorrono la via dell’integralismo e dell’aperto conflitto.

La lotta al terrorismo si fa soprattutto prosciugando lo "stagno" in cui vivono e crescono le disuguaglianze tra i popoli e gli uomini.

La lotta contro il terrorismo si fa prendendo una posizione netta e chiara per l’autodeterminazione dei popoli, di tutti i popoli, a partire da quelli che oggi sono i più deboli perché i più ignorati come i Kurdi o il Polisario.

La lotta contro il terrorismo si fa con un’azione vera contro il commercio delle armi, delle droghe e degli esseri umani.

La lotta contro il terrorismo si fa eliminando lo sfruttamento del nord ai danni del sud del mondo, dando la possibilità all’80 % del pianeta a scegliersi in piena libertà le proprie strategie di sviluppo senza essere soffocati dal debito estero.

La lotta al terrorismo si fa rimovendo gli embarghi inutili e disumani visto che solo in Irak in poco più di dieci anni d’embargo ci sono stati oltre 1 milione di morti per fame e per mancanze di medicinali.

E per terminare questo argomento, la lotta al terrorismo si fa garantendo al popolo palestinese il diritto di vivere nella loro terra con i confini sicuri e senza nessuna ingerenza militare nei loro territori. Il silenzio della diplomazia italiana ed europea su questo tema è allarmante e preoccupante. Le forze del rifiuto al dialogo e del sopraffazione israeliane e palestinese devono essere isolate e rese innocue prima di tutto politicamente. La decisione del governo palestinese di aderire all’alleanza internazionale contro il terrorismo dovrebbe far ragionare quanti, ancora oggi, ritengono l'Autorità Nazionale Palestinese, e il suo naturale leader Yasser Arafat, inaffidabili.

Ovviamente il clima internazionale incide profondamente su tutte le economie compresa quella italiana. Purtroppo la nostra è esposta ancora di più e le scelte che il nostro governo si sta approntando la rendono più traballante.

L’attuale quadro politico è una pericolosa miscela tra liberismo isterico e populismo. Chi mette sullo stesso piano il disegno politico della Tatcer e Berlusconi sbaglia. Oggi l’esecutivo sta tentando di ricostruire un capitalismo locale sotto la propria ala protettrice senza voler definire le elementari regole del mercato e della concorrenza.

La riprova di tutto ciò sta nelle prime scelte di questo governo. Le prime norme approvate vanno tutte nella direzione di difesa d’interessi specifici. Al contempo le proposte avanzate sui contratti, sull’articolo 18, le "pie intenzioni" contenute nel libro bianco fanno capire le loro vera strategia su questi temi.

E su questi argomenti, su questo progetto di società messa in campo dal governo, spero che l’intero movimento sindacale sia univoco e mobilitato. Non si tratta di fare una lotta a questo governo, è questo un compito delle forze politiche non del sindacato, si tratta di difendere diritti acquisiti e di estenderli in ambiti oggi non coperti da questi diritti. Si tratta di rafforzare e praticare un modello di società con norme e leggi fatti in difesa dei più deboli, in grado di poter garantire una univocità di trattamento.

A chi giova, ad esempio, se si arriverà ad un modello di contrattazione di tipo individuale? O ad un ruolo per il sindacato solo di servizio? La risposta è semplice, è chiara a tutti, almeno lo spero, ed è compito nostro fermare questa deriva pericolosa verso una società basata sull’individualismo e sulla concezione di smantellamento di qualsiasi difesa collettiva.

Un’eventuale modifica dell’art. 18 sarebbe una iattura per tutti i lavoratori. Su questo argomento non a caso c’è una campagna di stampa che fa paura. Ad esempio un paio di settimane fa il sole 24 ore pubblicò un articolo, pieno di dati e di notizie, che spiegava che tutto sommato il ricorso all’art. 18 sono pochissimi in un anno. E, sempre in quell’articolo, si domandava del perché della nostra determinazione a difenderlo a spada tratta. Ovviamente la domanda può essere tranquillamente rovesciarla e spedirla al mittente. Se sono così pochi come mai vi ostinate a cancellarlo? Voglio semplicemente ricordare che oggi non assistiamo al primo attacco all’art. 18. Ci tentarono tempo fa grazie ad una azione dei radicali, l’utile strumento idiota in mano alla destra più pericolosa, con i referendum. Quel referendum purtroppo, diversamente da quanto auspicavamo e lavorammo, non raggiunse il quorum ma fu l’unico quesito in cui vinsero i No. La verità è che con la cancellazione dell’art. 18 vogliono cancellare una norma di democrazia e di giustizia sociale. In Italia la libertà di licenziamento esiste, è prevista anche dagli stessi Contratti. Ma per farlo, con la L. 300, chi vuole licenziare deve dimostrare che esiste il motivo reale o la giusta causa. I più anziani si ricordano di cosa significa essere licenziati per rappresaglia politica e sindacale. Ancora oggi, nonostante la legge, gli operai in genere, ed in modo particolare gli edili, che hanno la sventura di imbattersi in particolari imprenditori, e chiamarli così significa offendere i veri imprenditori, sanno cosa significa.

In provincia di Salerno purtroppo, specie nell’ultimo periodo, queste persone ne riscontriamo con sempre maggiore frequenza. In tutti i settori. E’ un peccato perché mettono in discussione, in modo sleale, l’esistenza e la vita delle imprese che rispettano "le regole del gioco". Davanti a noi c’è un lavoro immenso da fare e i settori da noi seguiti sindacalmente sono tra i più importanti nello scenario economico provinciale. Infatti, oltre all’edilizia, i laterizi, il cemento i lapidei e il legno probabilmente possono essere tra i settori economici più attivi se l’economia riesce a decollare. Le condizioni mesi fa c’erano ancora ma, le scelte operate dalla finanziaria se non sarà modificata, possono divenire ostacoli insormontabili per le nostre finanze. Cerchiamo di capire meglio le scelte principali della finanziaria.

Le entrate previste si basano su una crescita del PIL per il 2002 del 2,3 %. Le previsioni del Fondo monetario parlano di una nostra crescita intorno al 2 % al contempo altri autorevoli centri di studio prevedono una crescita che oscilla tra l’1,3 e l’1,8. Inoltre circa la metà delle entrate è prevista per la vendita di immobili pubblici. I numeri appena citati se fossero per il gioco del lotto potrebbero andare anche bene. Se ci va male al massimo possiamo perdere una 10.000 £, o se preferite, poco più di 5 euro. Purtroppo quei numeri riguardano il bilancio nazionale e se le proiezioni fatte da Tremonti sono sbagliate significherebbe che, oltre a svendere sotto costo, pur di rispettare i tempi, il patrimonio immobiliare pubblico con procedure non trasparenti e a favore dei soliti "ignoti", nel prossimo futuro bisognerà fare una manovra aggiuntiva di 7-14 mila miliardi. Dove reperiranno questi fondi se non tagliando sulle spese sociali?

La stessa spesa pubblica per le infrastrutture, chi si ricorda ancora la famosa cartina dell’Italia a porta a porta di Vespa, l’incremento degli investimenti pubblici sul PIL è pari a zero. I 15 mila miliardi indicati sono solo un limite di spesa per il prossimo triennio, quindi non un reale impegno di finanziamento. Eppure malgrado ciò non ho avuto occasione di sentire una parola, un commento, una dichiarazione da parte dell’ANCE o della Confindustria. Eppure tutti concordano che per fermare il rallentamento dell’economia mondiale, e quindi anche quella nazionale, c’è bisogno di consistenti interventi anticongiunturali, ed in particolare un incremento reale, disponibile e spendibile subito di investimenti pubblici. La stessa ricerca pubblica vede un taglio generalizzato oltre a prevedere lo scioglimento o la privatizzazione della quasi totalità del sistema pubblico di ricerca. Ma la sfida globale il nostro sistema produttivo come pensa di vincerla se non puntando ad uno straordinario sforzo collettivo verso la qualità del prodotto. Ovviamente se le nostre previsioni fossero sbagliate saremmo i primi a rallegrarci poiché quando l’economia gira e produce ricchezza aumentano le condizioni per il sindacato per negoziare e per tentare una diversa redistribuzione della ricchezza verso le donne e gli uomini che rappresentiamo. Purtroppo non sarà così e alla luce di queste scelte lo stucchevole balletto mediatico visto durante la campagna elettorale tra Berlusconi e D’Amato su chi ha copiato per primo il programma dell’altro, dimostra che il disegno politico dei due signori è da tempo fissato e che ha un percorso molto ben preciso. In quella occasione la CGIL affermò che nasceva un rapporto nuovo e sbagliato di collateralismo tra il potere economico e quello politico. Ovviamente fummo accusati di veder sempre con sospetto gli interessi delle imprese e il loro rapporto con la politica. I fatti invece ci danno ragione e l’espropriazione dei poteri del parlamento con la richiesta di leggi delega su materie determinanti che ho già citato confermano il nostro giudizio di allora e non possono non vedere le tre confederazioni silenti e divise. Fa bene il compagno Cofferati quando afferma che "il merito delle questioni è importante e l’unità sindacale è fatta di mediazioni, di accostamento progressivo e paziente di opinioni diverse e ciò è possibile per decisione delle stesse organizzazioni sindacali, ma poi l’unità vive se c’è una regola che consente ai lavoratori di decidere quando le loro organizzazioni sono divise e non sono in grado di assumere orientamenti comuni". Sentiremo poi, se decideranno di intervenire, cosa pensano i segretari della Filca e della Feneal su un punto strategico e importante come questo. A tal proposito chiedo sin da ora e formalmente che la nostra proposta di integrativo sia discussa formalmente dai nostri direttivi convocati unitariamente ed un eventuale ipotesi d’accordo con l’ACS sia formalmente portato nei cantieri per farlo approvare, o bocciare se lo ritengono insoddisfacente, dai lavoratori. Siamo tutti e tre convinti di questa elementare e principale regola di democrazia? Siamo costretti a chiedervi ciò pubblicamente visto che l’esperienza dei metalmeccanici è esemplare. Credete che i 250.000 operai portati in piazza solo dalla CGIL 11 giorni fa erano a Roma solo per 18.000 £? Quei lavoratori, molti dei quali giovani, chiedevano semplicemente di far decidere dalla totalità della categoria con un specifico referendum. La scelta della Fim e Uilm di firmare da soli quel contratto senza passarlo al vaglio dei diretti interessati è oggettivamente un pilastro sulla strada dell’azione comune. Ma che sindacato è questo se si ha paura di sottoporre al giudizio dei lavoratori il proprio operato e le proprie decisioni politiche? Dove ci può portare questa strada? Alle assemblee convocate solo da due organizzazioni su cantieri che vedono la presenza di tutti e tre? Se è questo il gioco decidiamo tutti insieme le regole e inizierà a giocare anche la Fillea. Ma poi il prezzo delle nostre divisioni lo faremo pagare ai lavoratori? Sono stato volutamente brutale in questo passaggio perché la nostra pazienza, anche se enorme, sta per arrivare a conclusione. Vedete cari amici chi vi parla viene da una esperienza di cantiere in cui la FLC era per davvero una federazione unitaria, sto parlando di un periodo antecedente al 1984. Quella esperienza oggi non c’è, non potrebbe esserci, ma quella storia dovrebbe far ragionare tutti sulla forza di un eventuale patto d’azione unitaria. Non esistono strade alternative. La stessa manifestazione riuscita di venerdì scorsa ci indica la strada. I nostri operai se sono chiamati alla lotta con obiettivi chiari, univoci, con una piattaforma condivisa rispondono, scendono in piazza al nostro fianco, sono determinati. Il patto di azione unitaria quindi potrà essere messo in campo solo quando la smettiamo di fare la rincorsa a chi è amico e di chi e costruiamo insieme obiettivi su priorità politiche. Qualche anno fa, alla presenza del compagno Righi, la Fillea CGIL si vide costretta a fare una iniziativa pubblica, e chi ha la memoria corta può avere tranquillamente il materiale di quel convegno, in cui invitavamo in forma pubblica le altre organizzazioni a smetterla di avere un atteggiamento da tifosi e di incominciare a guardare ed a osservare il dibattito interno all’ACS con rispetto. In tutta sincerità quell’invito non fu raccolto, e credo che neanche oggi si voglia raccogliere, e i danni causati li abbiamo tutti davanti a noi. Oggi siamo chiamati a discutere come rinnovare un integrativo mai portato a compimento. I RLST ancora dobbiamo istituirli, la tessera sanitaria per i lavoratori è ancora una bella intenzione, il rafforzamento dei compiti e della operatività dei nostri enti bilaterali è ancora da perseguire, la riqualificazione e l’ampliamento delle assistenze è ferma. La lista delle nostre opere incompiute potrebbe fare tranquillamente la gara con la lista delle OOPP sempre accennate e mai cantierate. Ora è arrivato il momento di smetterla. Oggi c’è una controparte con un proprio assetto interno certo e abbiamo una strada tracciata dai nostri nazionali. Per dirla tutta, è ancora una controparte da scoprire visto che i passi fatti finora dal nuovo gruppo dirigente dei costruttori sono ancora così pochi da rendere impossibile un giudizio di merito. Eppure ci sono, con loro ci dobbiamo fare i conti tutti i giorni. Qualche idea l’hanno e credo che puntano soprattutto sulle nostre divisioni, o su pseudo rapporti privilegiati con una parte di noi, per portarli a compimento. E l’idea è sempre la stessa. La stessa ipotesi di lavoro che ci hanno sottoposto sugli invalidi è lampante. Il loro obiettivo, tra l’altro mal mascherato, non è certamente quello di rendere più facile l’ingresso di questi lavoratori. Ma semplicemente di liberarsi, scaglionandoli nel tempo e utilizzando una deroga al periodo di prova, da una serie di obblighi previsti dalla normativa. Malgrado ciò la CGIL è per accettare la sfida ma con paletti e vincoli molto ben precisi. Il primo è certamente quello di non concedere nessuna deroga al periodo di prova. L’attacco alla contrattazione nazionale portato avanti dal governo e dalle associazioni datoriali è così forte a livello nazionale che lo riteniamo più che sufficiente. L’altro vincolo che poniamo è che le aziende edili possono utilizzare i benefici di un eventuale accordo solo se assumono i lavoratori formati esclusivamente dalla nostra scuola edile. Quest’ultima richiesta ha varie motivazioni e logiche implicite già espresse durante le trattative, e quindi non le ripeto, e non intende solo valorizzare e potenziare il ruolo della scuola. Faccio solo osservare che oggi per il nostro settore, con il fine di garantire e difendere meglio i nostri lavoratori, c’è l’assoluta necessità di chiuderlo. Il nuovo CCNL ci dà un potente strumento, se usato bene, ed è quello dei crediti formativi dei lavoratori. C’è la possibilità di agevolare le assunzioni dei lavoratori locali se riusciamo a costruire con le nostre controparti le convenienze ad assumere lavoratori che si sottopongono alla riqualificazione progressiva e permanente. Ciò è utilissimo anche alle nostre imprese come supporto ulteriore alla loro riqualificazione e sulla strada della certificazione di qualità. Possiamo assumerci l’onere di una grande battaglia su questo tema? Io spero di si.

Per concludere il pezzo sulla Associazione Costruttori. Per alcuni anni abbiamo avuta una caduta di ruolo politico e di presenza della loro associazione causata da un confronto interno. In tutta sincerità ancora oggi non ho compreso se il loro dibattito interno era causato da visioni strategiche e alternative fra di loro. E se l’attuale gruppo ha vinto sulla base di un programma definito. Avremo modo e tempo di constatarlo a partire da tre grandi questioni. La prima è quello relativo alla legalità. Quando usiamo questo termine non riferiamo solo al rispetto della normativa sui LLPP. Ci riferiamo purtroppo alle infiltrazioni nelle opere pubbliche. Durante la frana del mese di maggio del ’98 la CGIL fu costretta a produrre una articolata denuncia. Lo facemmo in modo determinato, alcuni di noi e della Confederazione, si esposero troppo. Fu dura per questi compagni convivere con preoccupazioni per loro, per i loro familiari e per tutti i compagni dell’organizzazione. Quelle denuncie e quella battaglia dovevamo farla anche se sapevamo che potevamo pagare un prezzo altissimo. Malgrado ciò, gli stessi compagni che allora si esposero, pur sapendo cosa li può attendere farebbero esattamente le stesse cose. Quelle denuncie erano così attendibili che tutti i filoni di indagini avviate, alcune delle quali sono in ancora in corso, hanno trovati riscontri effettivi. Purtroppo dobbiamo prendere atto che, alcune delle imprese beccate allora, oggi ce li ritroviamo con la stessa ragione sociale su alcuni lavori della SA-RC. In quel periodo ci trovammo affianco l’intera nostra organizzazione. Sia Cofferati che il compagno Epifani vennero ben due volte in forma privata, e nelle nostre sedi, incontrarono l’intero gruppo dirigente regionale per garantire sul piano concreto l’iniziativa dell’intera CGIL. Non a caso a luglio dello stesso anno si tenne un convegno, alla presenza del Commissario Nazionale Antimafia Pier Luigi Vigna, con un titolo più che appropriato: "Risanare il territorio: lavoro e legalità". Quel convegno, chiuso da Sergio Cofferati, fu organizzato, proposto e realizzato dall’intera segreteria nazionale di allora. Ancora oggi non smetterò di ringraziare quei compagni, in particolar modo la compagna Carla Cantone e il compagno Nino Galante, che permisero di far sentire attorno a tutti noi la loro calda e convinta compartecipazione a quanto eravamo esposti. Anche lì vivemmo quel periodo con assordante silenzio da parte di tutti, enti locali, forze sociali, associazione costruttori. Fu una occasione sprecata per loro e per tutti noi. La lotta alla mafia non si fa con gli eroi, e nessuno di noi era ed è un eroe, né tantomeno aspiriamo a tale ruolo, possiamo aiutare questo territorio a liberarsi dalla criminalità solo quando chi la combatte non è isolato ma ha attorno a se una società reattiva, che si mobilita, si fa "sentire". A partire da queste brevi considerazioni, e dallo stesso patto per la legalità allegato al Patto Territoriale dell’Agro Noverino proposto e firmato dalle nostre Confederazioni, vi proponiamo di costruire insieme, come FLC e come ACS, un percorso, individuando anche proposte di impegno da sottoporre agli enti appaltanti, alla regione, e a tutti soggetti istituzionali interessati.

La seconda sfida che vi lanciamo è l’innalzamento della qualità di impresa. Partendo da una analisi dei dati della Cassa Edile relativa al 2000 saltano immediatamente agli occhi due dati interessanti. Il primo è che su 1604 imprese 1267 hanno la forma giuridica di imprese industriali. Preso singolarmente questo dato siamo tutti portati a fare valutazioni più che positive. Invece se facciamo la scomposizione di queste imprese sulla base del numero degli addetti ci accorgiamo che le impresi edili fino a 5 dipendenti rappresentano solo il 78,8 % del totale. Invece le imprese che hanno un numero di addetti da 6 a 9 raggiungono a malapena il 13,8. Messi insieme a stento raggiungono 92,6. Per fortuna che andiamo meglio se guardiamo al livello superiore. Infatti le imprese da 10 a 19 dipendenti riescono ad andare oltre il 6 %, il 6,16 per essere precisi. Invece quelli 20 a 49 sono soltanto l’1,71 e oltre i 49 dipendenti raggiungono la cifra stratosferica dello 0,15. I dati nazionali invece ci dicono che le imprese fino a 9 dipendenti sono il 65 %, in Europa il 45,6 %, e solo il 10 % superano i 50 dipendenti, in Europa invece la percentuale è del 26 %.

E potremmo continuare ancora. Purtroppo queste considerazioni anche se ci inducono all’ironia sono amare e ci fanno toccare in modo tragico la realtà in cui viviamo. E’ evidente quindi che il fatturato, le iscrizioni, e quant’altro è molto basso. Il livello competitivo scarso. Pensate davvero che, per migliorare la capacità competitiva delle aziende che rappresentate, bisogna continuare a chiedere gli spezzettamenti degli appalti? La mia valutazione è che quella strada non vi abbia giovato molto. Penso invece che abbiate, e abbiamo, davanti una strada obbligata. Quella di incominciare a pensare da imprenditori e non più da costruttori. Volutamente ho voluto riportare una definizione non mia ma di un vostro autorevole associato. Perché ritengo che lui ha pienamente ragione. E’ arrivato il momento di iniziare a vivere l’edilizia come ad un vero e proprio segmento industriale altrimenti i vostri associati saranno sempre più ai margini del mercato. La sfida dell’innovazione e della riqualificazione vi riguarda e molto anche. Su questo versante, con questi obiettivi, non potete che trovarci in sintonia. Non a caso la nostra ultima conferenza programmatica si intitolava "Il cantiere qualità: lavoro ed impresa in edilizia nelle sfide della competizione". Non ha caso il nostro ragionamento si basava, e si basa, nel tentativo di farvi comprendere che le vostre politiche indirizzate esclusivamente sulla precarietà e sulla compressione del costo del lavoro vi porteranno ad una sicura sconfitta. Il nostro paese, la nostra provincia hanno invece bisogno di un sistema delle imprese che non rinunci a puntare su un nuovo processo industriale. E per dirla con le parole del nostro segretario nazionale Franco Martini "la nostra scelta è tradurre le sfide della competizione in moderna cultura industriale, che considera fattori di sviluppo la dignità del lavoro e la funzione sociale dell’impresa, per un percorso di qualificazione del settore. Solo la qualità dei processi può raggiungere tali obiettivi: crescita e diritti sono due facce della stessa medaglia". Purtroppo le risposte date dal vostro livello nazionale, in sede di trattativa per il contratto, ci fa comprendere che volete continuare sulle stesse note strade, peraltro già percorse, e che i temi della qualificazione e dell’industrializzazione continuano a trovare il tempo che trovano.

Il terzo campo riguarda invece la necessità di rendere più trasparente il mercato del lavoro. Partendo ovviamente dalla lotta al lavoro nero, al lavoro grigio e alla concorrenza sleale. Fenomeni questi non più tollerabili per la loro vastità che sono soprattutto lesivi della dignità e dei diritti dei lavoratori che si trovano in una condizione di ricatti intollerabili, ma sono anche in contrasto con una moderna cultura industriale e del lavoro. Per questo vi proponiamo oltre ad un codice deontologico anche la creazione di una unica banca dati tra l’Inps, Inail e Cassa Edile. Ciò non basta se però non completiamo e rafforziamo il ruolo dei rappresentanti della sicurezza, compresi quelli territoriali. Tutto ciò in una cornice già accennato brevemente precedentemente. La chiusura della categoria, da attuarsi con uno straordinario piano di formazione e riqualificazione professionale degli operai della nostra provincia, dà ulteriori garanzie di professionalità e legalità nei cantieri. Solo valorizzando il lavoro edile, che è il vero "sapere fare", scusate se lo dico in italiano ma personalmente oltre a non conoscere l’inglese lo odio, dell’impresa edile.

So che queste sono proposte impegnative per tutte e due le parti ma è l’unica strada da fare se vogliamo davvero innovare e rafforzare il nostro settore. Cosi come so per certo che le proposte che abbiamo appena avanzate, alcune di queste per l’ennesima volta, vedranno tutti i nostri militanti impegnati a costruirle piano, piano, su tutti i cantieri in cui siamo presenti e con il massimo della tensione unitaria. Ora non è più tempo di discussione, i nostri iscritti non hanno più tempo per discutere. Ora è arrivato il momento di conquistarcele con l’impegno tenace, costante, e quotidiano su tutti i luoghi di lavoro. Dobbiamo, se la nostra controparte non le condivide, strapparle punto per punto, costruendo e rafforzando dal basso una vera unità sindacale.

Oggi non a caso, nella qualità di invitati, ci sono autorevoli esponenti di imprese e di associazioni delle cooperative edilizie. So per certo che alcuni di questi temi al loro interno sono già oggetto di discussione e di confronto. Vogliamo anche su questo confrontarci, anche in modo conflittuale se è necessario, ma vogliamo costruire anche con voi un percorso simile. Avanziamo tale proposta non solo perché in questa provincia vi siete conquistati una discreta fetta di mercato, lo facciamo per la vostra storia e per la vostra funzione che non è, né potrà essere, la stessa dell’impresa privata. Non a caso, con la riforma delle società, siete stati le prime vittime illustre dell’attuale governo. E’ nostra intenzione supportarvi il massimo possibile tenendo molto ben fermi la chiarezza dei nostri rispettivi ruoli. Sappiamo bene che alcuni di voi, e abbiamo una esperienza di questo tipo a 12 Km di distanza, hanno trovate soluzioni simili ai costruttori privati. Questo tipo di scelta non potrà mai trovarci d’accordo. I vostri problemi non li risolverete esternalizzando al massimo i processi produttivi. Anche se per onestà intellettuale vi devo riconoscere che, nell’esempio citato, vi siete fermati solo al sub appalto e che altri, i privati, ricorrono a tutti gli strumenti, come i noli a caldo e a freddo, i sub contratti, le forniture e posa in opera ecc., che la legge gli permette. Ma con voi, e con le vostre centrali associative e con i vostri consorzi, già da ora sarà possibile sederci, e in alcuni casi lo abbiamo già iniziato a farlo partendo dalle questioni relative alla sicurezza, per costruire modelli di contrattazione certi, duraturi e positivi per ambo le parti.

Sugli impianti fissi.

La nostra struttura nell’ultimo periodo è riuscita ad entrare in alcuni stabilimenti facendo nuove deleghe e sindacalizzando queste realtà. Possiamo affermare che il salasso dell’ultimo decennio oggi è alle spalle. C’è una ripresa, specie nel settore legno. Ovviamente la struttura di queste imprese, in linea con la realtà storica, è basata sui piccoli impianti e su piccole nicchie di mercato, in alcuni rari casi anche nicchie di eccellenza. Registriamo anche una ripresa della contrattazione aziendale che avevamo tralasciato da diverso tempo propria per la grande moria di impianti che abbiamo registrato negli ultimi anni. Gli accordi fatti comunque sono ancora pochi, non sempre soddisfacenti, insufficienti per gli argomenti toccati. Quindi pochi atti significativi ma che comunque dobbiamo prendere atto positivamente dell’inversione di tendenza. Dobbiamo però anche riconoscere che abbiamo ancora bisogno di un approfondimento della nostra analisi sulla struttura industriale nella nostra provincia, del rapporto esistente con il territorio, con la pianificazione urbanistica e con le potenzialità di crescita. Ci sta capitando anche di trattare con imprese che hanno progetti di ampliamento dei propri stabilimenti che purtroppo sono costretti, nonostante gli sportelli unici, a combattere contro lungaggini burocratiche o norme urbanistiche non chiare. Il ruolo di rappresentanza e di servizio dell’associazione industriale è importante. Sappiamo bene che con il loro attuale presidente continueremo ad avere momenti di "reciproci scambi di tenerezza pubblica", siamo convinti di stare nel giusto, e che loro ovviamente non condividono, quando affermiamo che non notiamo un ruolo attivo degli industriali e degli enti locali sul ruolo, secondo noi completamente assente, dell’Asi. Ma al di là delle diverse e divergenti opinioni e di interessi riconosciamo alla associazione industriale un ruolo anche se, ultimamente per l’ingresso dei nuovi associati, li vedo più come un associazione dei servizi e meno industriale. Mi piacerebbe assistere ad una ripresa della loro naturale "mission". Insieme alla nostra Confederazione con loro però dobbiamo spingere il confronto in avanti sulle diseconomie esterne alle imprese causate dalla insufficiente rete di infrastrutture e da strutture di servizio alle imprese. Ovvio che sappiamo bene che anche nella realtà industriale troviamo padroncini, lavori a nero e precari, e tutto la gamma della fauna, compresi i pescecani, a cui la nostra realtà territoriale ci ha abituati. Ciò nonostante siamo disponibili a ragionamenti di contratti di emersione, specie per i piccoli laboratori del settore del legno.

Inoltre, e questo lo dichiaro in qualità di membro dell’OPP, crediamo opportuno dare un impulso maggiore all’organismo paritetico. Specie nella direzione di naturale camera di raffreddamento, e di soluzione, per eventuali conflitti sulla materia della salute e come supporto, anche tecnico, alle RSU e alle imprese. Avremo modo di discutere visto che considero alcuni nuovi vostri rappresentanti dell’OPP persone con grande preparazione in materia e con progetti, anche se in alcuni casi assolutamente da non condividere, bene fissati e ben delineati.

Infine, con l’Italcementi abbiamo compiuti nello scorso febbraio, durante una difficile trattativa, dei piccoli passi. Il giudizio che diedi, e oggi confermo, di quella vertenza fu che avemmo una parziale vittoria anche se ci lasciava in bocca un sapore molto amaro. Malgrado ciò credo che sia nostro dovere valorizzare i due risultati che considero più importanti. Il primo che fu individuato il numero minimo di addetti alla cementiera sotto il quale la proprietà non può scendere e l’altro fu la individuazione di fonti energetiche alternative da utilizzare nell’impianto. Ovviamente la nostra richiesta di investimenti ulteriori per ulteriore innovazione e per nuove iniziative in quell’impianto non decade, anzi è ancora tutta in piedi. E spero proprio di riuscire a restituire alla mia bocca un sapore più dolce.

Per concludere alcune valutazioni sulla nostra struttura.

In questa platea oggi, alcuni come delegati altri come invitati, sono presenti dei vecchi compagni che hanno fatto la storia della Fillea. Sono compagni a cui deve andare il nostro rispetto e la nostra gratitudine per il lavoro immane che hanno svolto negli anni passati. Personalmente li devo ringraziare anche e soprattutto per il loro insegnamento ed esempio di vita fatta di generosità, di impegno, di coraggio. Dobbiamo guardarli con questo spirito, e dobbiamo trasformarci in tante spugne per assorbire il massimo del loro insegnamento. Lo dobbiamo fare perché oggi tocca a tutti noi continuare sulla strada da loro tracciata. Davanti a noi c’è una strada tutta in salita e ci aspettano tempi che saranno molto duri e purtroppo, a mio avviso, non saranno neanche brevi. Anche per questo dobbiamo utilizzare tutte le intelligenze e le risorse umane che disponiamo. Non a caso in alcune assemblee abbiamo chiesto, e ottenuto dai nostri iscritti, di delegare alcuni nostri compagni che possono darci un contributo enorme sui temi del mercato del lavoro, sull’urbanistica e sulla formazione. Li voglio ringraziare pubblicamente perché di compagni come l’architetto Pelosio e come il geometra Sacco ne abbiamo estremamente bisogno per le nostre analisi, per le nostre elaborazioni e per le nostre strategie.

Sull’organizzazione.

E’ mia opinione che il futuro prossimo ci dovrà vedere organizzati diversamente. Un ulteriore funzionario a tempo pieno da dedicare esclusivamente al territorio a sud della città capoluogo è indispensabile, cosi come non possiamo più rimandare la costituzione di uno specifico dipartimento sugli impianti fissi e chiedere ad un singolo compagno della segreteria di seguirlo e guidarlo in modo quasi esclusivo.

Le nostre leghe devono essere rivitalizzante, con ruoli e compiti anche di proposta politica verso i comuni, di strutture di servizio per i lavoratori e di analisi politica. Cosi come dobbiamo porci il problema della nascita di sedi in territori importanti per la nostra categoria come il comune di Buccino.

Infine, cari compagni e compagne, quello di oggi per me non è il primo congresso che svolgo con la Fillea. Di certo però, comunque vadano le cose, sarà il primo che faccio come massimo dirigente e anche l’ultimo.

Infatti ho già formalizzato alla segreteria nazionale e alla segreteria della Camera del Lavoro, e oggi tramite voi lo faccio a tutti i nostri iscritti, la mia disponibilità a lasciare l’incarico.

I motivi sono diversi. Tutti importanti. Alcuni dei quali, quelli più intimi e personali, sono a conoscenza solo una cerchia ristrettissima di amici-compagni a cui mi legano 27 anni di militanza politica. Uno di questi oggi non c’è più. Era il compagno Gaetano Galderisi responsabile dell’ufficio H della CGIL. Per questo chiedo alla Confederazione di dedicare il primo congresso provinciale confederale a lui, e chiedo a tutti voi di fare altrettanto con il nostro congresso.

Ma è giusto, e opportuno, però che vi motivo, almeno in parte, il perché di tale scelta. Ho sempre considerato il mio incarico nella Fillea legato a due obiettivi. Il primo, quello più immediato, era quello di continuare e portare a termine il lavoro iniziato dall’ex segretario del comprensorio di Salerno, Franco Tavella. Ironicamente noi due l’avevamo battezzata "operazione scopa". Si trattava di restituire la Fillea di Salerno ai lavoratori edili. Dovevamo in sostanza garantire l’agibilità politica e democratica messa in crisi da un gruppo di persone che con la categoria nulla avevano a che fare. Non è stato semplice, né facile e che ci ha costretto a chiuderci a riccio, spesso al punto tale da rinunciare ad alcune operazioni su diverse opere pubbliche. I compagni di Salerno, quelli più attivi, sanno a chi e a cosa mi riferisco. Lo sanno bene al punto tale che loro hanno sofferto la fame e la disoccupazione. Ma non avevamo alternative. Infatti, una volta chiusa quella fase, chiusa definitivamente solo da poco tempo, abbiamo iniziato a rivedere un po’ di luce. Era così buio quel periodo che decisi di tenere in gran secreto, commettendo anche un atto di scarsa democrazia pur di non demotivare ancora di più i compagni, il dato del tesseramento dei lavoratori edili attivi di allora. Oggi, quel dato, è quasi raddoppiato e tramite i tabulati della Cassa edile è possibile riscontrare tale mia affermazione. Per riuscire in tutto ciò abbiamo costretto, solo nella zona di Salerno, ad allontanarsi dalla Fillea 273 persone indesiderate. Se poi aggiungiamo che un processo simile lo abbiamo svolto anche nell’Agro Noverino Sarnese i conti sono facili da fare. Oggi con orgoglio posso affermare che finalmente questa categoria è frequentata da persone che hanno la faccia e le mani di lavoratori edili.

Il secondo obiettivo era quello di portare a compimento il processo di provincializzazione. Lo abbiamo fatto, penso che forse lo potavamo farlo meglio, in ogni modo lo abbiamo portato a termine. Ora dobbiamo ragionare solo come un’unica Fillea provinciale, dobbiamo liberarci dalle ultime scorie residue della cultura di comprensorio. Badate bene quando dico ciò lo dico con il massimo rispetto. Perché quell’esperienza ventennale ha prodotto un’importante cultura, sensi di appartenenza, legami con il territorio e quindi anche modi diversi di intendere e di vivere il sindacato. Questa pluralità di visione e di intendere il sindacato oggi la dobbiamo trasformare in ricchezza non più come divisione. Con un nuovo segretario, non proveniente da nessuna delle due esperienze, tutto sarà più semplificato.

Inoltre c’è un problema di coerenza personale. Ho sempre pensato che un dirigente sindacale non può rimanere per più di cinque anni alla stessa carica. Penso che per la Fillea questo mio pensiero debba essere più radicato. Perché in questa categoria ci si usura di più e perché il rischio di consociativismo è più elevato. Quindi ritengo opportuno che in questo congresso si decida che nell’immediato futuro si avvii un rinnovamento generale a partire dal segretario generale.

Un grazie a voi tutti.