Oggi la Fillea di Firenze celebra il suo congresso.

 

Sono passati cinque anni dal precedente congresso. Molte cose sono cambiate dal 1996, non necessariamente in meglio.

 

Nel luglio scorso il direttivo della Fillea, convocando il congresso per questa data e assumendo i documenti congressuali da presentare nelle assemblee, propose una diffusa campagna di consultazione fra gli iscritti, campagna chiusa pochi giorni fa che ha visto il coinvolgimento di n. 2698 iscritti, per un totale di 146 assemblee che hanno espresso i 108 delegati al congresso provinciale nel rispetto del rapporto delegati/iscritti votato dal direttivo. Il 47,82% degli iscritti convocati per l’assemblea congressuale hanno espresso la preferenza per una o per l’altra mozione congressuale. In quel direttivo assumemmo anche l’obbiettivo di una presenza più consistente delle compagne iscritte alla Fillea e di lavoratori o lavoratrici extracomunitari.

Anche su quest'impegno lo sforzo ha prodotto il superamento delle percentuali del congresso precedente.

Rispetto alla differenza di genere siamo comunque lontani dalle percentuali previste dallo statuto della nostra organizzazione ed è evidente che si deve aprire un confronto che ragioni di regole, condivise nella sostanza, ma non praticabili al momento. Basta guardare ai verbali delle assemblee congressuali per comprendere quanto è difficile nel settore delle costruzioni coinvolgere nell’attività le iscritte alla Fillea. Quindi su questo punto serve una strategia diversa, che porti prima di tutto le donne ad essere più presenti nel lavoro, in un settore dove uno dei due sessi è superiore al 90% di addetti è comprensibilmente difficile far emergere quadri femminili. Noi continueremo a provarci. Assumemmo a luglio anche l’obbiettivo di un confronto sereno che consentisse ai lavoratori di comprendere le differenze proposte nelle due mozioni, complessivamente a me pare che questo si sia realizzato pur nelle difficoltà organizzative di un congresso con un regolamento molto rigido. Se in alcuni momenti ci sono state delle incomprensioni o degli errori questi non hanno mai rappresentato una volontà di esclusione o emarginazione di nessuna componente.

 

Il XV congresso della Fillea si celebra in un periodo di forte ripresa degli investimenti pubblici e privati nel settore. Nel 1996 eravamo nel pieno di tangentopoli, nel momento più alto di crisi del sistema delle imprese costruite allora secondo uno schema di regole nocive al lavoro: non era importante il prezzo di un appalto, tanto tutto si sistemava con la revisione dei prezzi.

Nel 2001, con norme legislative modificate, con il mercato unico europeo, con l’entrata in vigore dell’euro, nessuno può permettersi di guardare al passato con nostalgia, tutti dobbiamo misurarci con le compatibilità economiche e ambientali. Tutti dobbiamo essere i protagonisti di un interesse collettivo.

Lo slogan che la Fillea ha scelto per il congresso ben rappresenta i bisogni del settore, la nostra aspirazione.

 

Ben rappresenta quel processo d'innovazione qualitativa necessario. E’ uno slogan che racchiude tutte le speranze e i bisogni del settore: noi siamo convinti che sia necessario accompagnare la ripresa con un impegno per qualificare il sistema delle imprese e la forza lavoro.

E’ importante tornare a parlare del cantiere come sviluppo di tutte le fasi di lavoro, ma anche come occasione per una politica contrattuale che dia certezze di diritti ai lavoratori occupati, ai giovani che si avvicinano all’edilizia, ma anche certezza dei costi all’impresa e dei tempi di realizzazione per i cittadini.

Dobbiamo pretendere oltre alla buona esecuzione dell’opera i diritti indispensabili per coloro che sono il vero valore aggiunto di un’impresa: i lavoratori. Lavoratori che con il loro saper fare sono alla base delle strategie e dell’impegno del sindacato. E’ per questo che noi li immaginiamo specializzati, giustamente inquadrati, formati, sicuri, ben organizzati nel loro lavoro e con orari certi.

 

COSTRUIRE UN FUTURO DI QUALITA’

Costruire è il nostro mestiere, noi siamo il sindacato delle costruzioni, ma non solo, costruire è per sua natura il mestiere del sindacalista: costruire consenso, costruire solidarietà, costruire con l’iniziativa condizioni migliori per i lavoratori.

Costruire un futuro in un momento in cui nessuno sembra interessato a progettare il domani, nel momento in cui a fatica si vive il presente, e non solo per gli avvenimenti internazionali. La Fillea guarda al Futuro, guarda non all’oggi ma al domani più lontano, un domani che può, che deve essere migliore. La Fillea vuole costruire il suo progetto per il settore, così come la CGIL nel suo congresso costruirà il progetto per questa città

 

Noi proveremo non solo in questo congresso ma in tutti i congressi della Fillea e a conclusione nel congresso nazionale a sviluppare un progetto per il settore, un settore strategico per lo sviluppo di qualità del paese. Non pensiamo di avere la ricetta per tutti i mali del momento, però possiamo provare a rispondere ad alcuni dei bisogni di quei cittadini che scelgono questo settore come occasione di lavoro. Penso anche ai tanti lavoratori non Italiani che sfuggono dalla loro povertà per cercare un futuro migliore in Italia.

 

E’ per questo che coniughiamo la parola futuro con la parola qualità.

 

Qualità non solo del costruire ma anche delle condizioni di vita e di lavoro di coloro che costruiscono le nostre città, le nostre infrastrutture, i materiali per le costruzioni; quei lavoratori che sono protagonisti del mestiere che rappresentiamo.  

E’ importante ragionare di cantiere più che d'impresa perché il modello oggi praticato: subappalto di tutte le fasi della lavorazione, decine di lavoratori artigiani impegnati in una singola fase di lavoro, sono la trasposizione delle esternalizzazioni tipiche dell’industria manifatturiera, nel nostro settore tutto ciò è finalizzato a ridurre i costi, quindi decentrare la titolarità del rapporto di lavoro per allontanare la responsabilità del rispetto delle norme contrattuali e di legge. Nostro compito è sconfiggere un modello culturale che sembra dire che le condizioni di lavoro senza regole sono il prezzo da pagare al mercato, sono fisiologiche, ci dobbiamo convivere. La Fillea non ha intenzione di convivere con questo modello. In ogni occasione conosciuta interveniamo con denuncie, in ogni occasione contrattiamo per modificare lo stato delle cose.

E’ importante intrecciare la contrattazione territoriale delle confederazioni con la nostra contrattazione per il nesso stretto tra le politiche dell’accoglienza nell’ambito delle attività lavorative e sociali. Abbiamo possibilità nel campo urbanistico, rese disponibili già da questa legislazione, attraverso partecipazioni pubbliche e private queste possibilità possono rappresentare uno strumento utile per una politica abitativa che offra soluzioni al problema, io credo che il terreno del recupero dell’edilizia abitativa, quello della riqualificazione urbana, della riorganizzazione delle città, sia il vero terreno sul quale le Istituzioni e le parti sociali dovranno concentrarsi per garantire politiche per l’accoglienza e l’integrazione efficaci volte a valorizzare il carattere multietnico delle comunità.

Non convince la Fillea l’idea proposta dall’ANCE, l’abbiamo definita l’offerta dei quartieri-ghetto, case costruite dalle imprese che danno lavoro agli immigrati e le affittano loro costruendo una sorta di ghetto nel quale si confinano a vivere, ovviamente con tanto di incentivi che si chiedono allo stato. Ci sono zone periferiche delle nostra città o quartieri del centro storico che necessitano di interventi urbanistici o manutenzioni che possono essere l’occasione per sperimentare anche questi concetti.

 

L’obbiettivo di elevare il livello di competitività del sistema economico fiorentino passa attraverso la realizzazione di grandi opere strategiche (alta velocità, tramvia, variante, terza corsia, parcheggi, piani di recupero, ed altre opere minori) cui il sindacato delle costruzioni è interessato, ma soprattutto passa dalla definizione di un sistema integrato di area vasta che risponda meglio ai bisogni dei cittadini, ai problemi di impatto ambientale e delle amministrazioni locali penso al trasporto locale, all’acqua, ai rifiuti, ect., alle reti immateriali, per rispondere meglio alle esigenze di competitività di quest’area e delle imprese che vi sono insediate. Così prioritario è anche per il sindacato ripensare la propria organizzazione e la presenza delle proprie strutture in un concetto di area vasta.

 

 

Elevare il livello di competitività del sistema fiorentino vuol dire anche investire nel capitale umano, che si tratti dell’immigrato che non conosce la lingua e le norme che regolano il rapporto di lavoro, piuttosto che di un Italiano da attrarre nel settore.

Come rispondiamo alla progressiva dequalificazione delle nostre imprese? Alla continua dequalificazione del settore? Non certo con le proposte del Governo sul lavoro irregolare, non certo con minori regole o controlli sul sistema degli appalti come chiede ANCE. Il nostro obiettivo è dare risposte con la contrattazione e ragionare soprattutto di formazione e organizzazione del lavoro: formazione per l’accesso, formazione continua, formazione alla sicurezza, qualificazione e specializzazione da trasferire in norme contrattuali che aggiornino l’inquadramento in un settore in continua evoluzione, e che deve trovare risposte contrattuali appropriate.

 

Il nostro obbiettivo è contrattare prima dell’apertura dei cantieri.

 

Visto in una prospettiva più ampia il carattere preventivo della contrattazione è senza dubbio lo strumento che ci consente di operare affinché la qualità dei processi produttivi ed il rispetto dei diritti dei lavoratori siano parametri irrinunciabili nell'esecuzione dell'opera, oltre alla regolarità dei tempi di consegna, alla certezza dei costi e alla qualità del prodotto. Questa metodologia d'approccio consente di affrontare temi quali la sicurezza, i parametri di realizzazione dell'opera, la mobilità occupazionale dei lavoratori, il rapporto con il territorio inteso come tessuto sociale ed istituzionale in un'ottica di sistema, ponendo l'accento, nell'ambito di un ragionamento più complessivo su lavoro, impresa e mercato, sul tema fondamentale delle regole. In sostanza quest'E' stato inoltre fondamentale, nella pratica preventiva di un modello contrattazione-concertazione, il ruolo delle Istituzioni e degli Enti Locali quali interlocutori delle parti sociali. Questo ha consentito, in alcuni casi d'eccellenza, di inserire la funzione negoziale della contrattazione in un quadro concertativo pluri-istituzionale, creando una sinergia attraverso la quale fare della realizzazione delle opere, del rispetto dei diritti dei lavoratori e dello sviluppo locale obiettivi compatibili.

Coniugare i bisogni degli uni con i diritti degli altri è il compito principale che come sindacato confederale ci guida ogni giorno del nostro lavoro. Nessuno deve dimenticare che è aumentato il livello di attenzione delle popolazioni ai temi ambientali, e della salute, come non si può dimenticare il progredire della legislazione su questi temi (per altro la Toscana è stata una delle prime regioni, se non la prima a legiferare in materia di protezione ambientale),

 

Questo non significa rinunciare a costruire significa costruire con criteri nuovi e nel rispetto di bisogni nuovi.

Sarà nostro compito, nei prossimi anni, estendere il più possibile questo sistema di relazioni, valorizzando la funzione propositiva che abbiamo svolto fino ad oggi e richiamando tutte le parti alle proprie responsabilità e competenze nell'ambito della gestione collegiale delle questioni.

 

E' da un confronto continuo che sono scaturite esperienze come quella relativa alla tratta ferroviaria dell'Alta Velocità all'interno della quale si intrecciano quattro livelli di contrattazione per affrontare questioni e problematiche che vanno dalla logistica di ogni singolo cantiere alla verifica del trattamento normativo e contrattuale dei lavoratori di tutta la tratta, all'informazione delle organizzazioni sindacali in merito alle modalità organizzative di realizzazione dell'opera anche per quanto riguarda affidamenti e subappalti, fino ad arrivare alle previsioni occupazionali, alla gestione dei fabbisogni formativi, alle incentivazioni legate al raggiungimento degli obiettivi di produttività.

 

Il confronto con le ASL e la Regione Toscana ha contribuito inoltre alla realizzazione, da parte degli organismi competenti, di continui monitoraggi per la tutela della sicurezza dei lavoratori e per il rispetto della compatibilità ambientale dell'opera.

 

Ma per praticare questo livello di confronto abbiamo bisogno di un sistema di qualificazione e selezione delle imprese e programmazione e qualità della spesa pubblica. In questi anni vi dicevo ci siamo misurati con il primo modello di contrattazione preventiva, insieme alle organizzazioni sindacali di categoria di Bologna e dell’Emlia Romagna.

 

Prima di parlare di quest'accordo mi preme ricordare un compagno scomparso un anno fa con il quale abbiamo lavorato per la realizzazione dell’ultimo accordo aziendale, Celeste Stanzani, morto mentre andava a fare un’assemblea perché un’auto non ha rispettato il rosso di un semaforo, Celeste come altri che ricorderò più avanti è stato un prezioso compagno di strada nella mia esperienza sindacale per questo lo ricordo insieme a voi come uno straordinario dirigente che ha lasciato attraverso il suo impegno un contributo importante a tutta l’organizzazione.

 

Nel 1995 in piena tangentopoli, con opere, anche finanziate, che non si avviavano, centomila posti di lavoro persi, le più grandi aziende in difficoltà o coinvolte negli scandali, il sindacato accettò la sfida di misurarsi con problemi nuovi per il settore. Questo sindacato e il consorzio d'imprese impegnato nella realizzazione dell’opera dopo alcuni mesi di confronto sottoscrissero quello che si chiama accordo quadro.

 

Una cornice di riferimento che avrebbe garantito all’impresa certezze rispetto alla realizzazione dell’opera (il loro obbiettivo era realizzare l’opera utilizzando il ciclo continuo per stare nei tempi richiesti di consegna); al sindacato l’agibilità contrattuale, oltre i livelli di contrattazione esistenti, per raggiungere miglioramenti su sicurezza, occupazione e salario.

 

In quell’accordo furono definiti tempi e modi della lavorazione oltreché miglioramenti per i lavoratori.

Questi i punti significativi:

·        unicità del cantiere che si estende su due province, oltreché su due regioni

·        organizzazione del lavoro a ciclo continuo

·        composizione della squadra tipo

·        gestione delle ferie e permessi

·        individuazione della cassa edile di iscrizione dei lavoratori

·        contrattazione aziendale e di cantiere

Questo ha consentito un numero più alto di lavoratori occupati (250 circa), un nuovo livello di contrattazione collettiva. La pratica conosciuta fino a quest'esperienza e nelle situazioni nelle quali il sindacato non ha quest'agibilità era la contrattazione individuale con l’assistente o il "capetto" del singolo cantiere.

Davvero qualcuno poteva pensare di praticare una contrattazione seria senza le garanzie di agibilità conquistate con l’accordo quadro, o piuttosto il modello sarebbe stato una contrattazione individuale per pochi, cara a Confindustria? Non ci dimentichiamo che l'opera si sviluppa su più cantieri sparsi per l’appennino tosco-emiliano e che i lavoratori occupati fra diretti e in subappalto sono circa 3000.

Davvero avremmo potuto affrontare la situazione di difficoltà nella quale siamo precipitati nel giugno scorso con il sequestro della magistratura senza quel tessuto di relazioni a tre: sindacato, azienda, istituzioni costruito fin dal 1995?

 

E’ vero invece che senza questi affidamenti, senza questa cornice, il livello di conflitto probabile, causato dall’incertezza dei risultati contrattuali per i lavoratori, avrebbe compromesso lo sviluppo dei programmi di realizzazione dell’opera tanto importante per le popolazioni locali e alle istituzioni attraversate dall’opera.

Quest'insieme agli investimenti aggiuntivi per la sicurezza concordati prima della partenza dei cantieri, anche grazie al ruolo propositivo delle Aziende sanitarie e delle Regioni, è il merito principale dell’accordo quadro.

 

L’investimento sulla sicurezza ha consentito di potenziare la presenza degli operatori sui cantieri (mediamente due volte alla settimana visitano tutti i cantieri), ha consentito che i lavoratori avessero il medico di famiglia aggiuntivo a quello del loro paese, ha consentito la presenza di un presidio di pronto soccorso in ogni cantiere, l’attivazione di un sistema di segnalazione collegato al 118, ha consentito l’aggiornamento della normativa nazionale in materia di sicurezza per queste lavorazioni con delibere delle due Regioni.

Non è per caso che dopo cinque anni dall’apertura dei cantieri gli infortuni diminuiscono per numero, per ore perse, per gravità (libro in cartella). E’ un risultato che ascriviamo all’impegno di tutti, compresi i lavoratori e la loro professionalità. Ma soprattutto al modello contrattuale e di confronto praticato che rende questo cantiere, anche similari conosciuti. Due gli infortuni mortali fino ad oggi fra i lavoratori dipendenti di Cavet.

Quindici giorni fa moriva Adamo Pasquale, uno di noi, uno che ogni giorno, lontano da casa sua, metteva in moto la macchina per consolidare il fronte di scavo e con competenza e professionalità faceva il suo mestiere. Come ogni giorno stava in galleria, era dipendente di una azienda in affido SGF,  il suo tempo era scandito dalla macchina, dai compagni di lavoro, dal riposo lontano da casa, dal ritorno a casa dopo alcune settimane di lavoro; quel lunedì mattina era tornato dopo un periodo di chiusura collettiva dei cantieri, nella sua città aveva salutato per ritrovarli dopo alcune settimane moglie e tre figli,; quella moglie e quei figli che sono andati a salutarlo alla camera mortuaria di un ospedale lontano da casa, di quella città che non ha saputo trasmetterli quella cultura della sicurezza, del lavoro, della dignità del lavoro che forse potevano tenerlo lontano dalla morte. Non possiamo liquidare quest'infortunio come una fatalità, come l’imprudenza di un operaio troppo esperto, che con troppa confidenza dialogava con la macchina.

La 626 ci ha insegnato che il diritto alla sicurezza sul lavoro viene prima d'ogni altro diritto, anche prima della conservazione del posto di lavoro, se quel lavoro è insicuro per il lavoratore, ci ha insegnato anche che nessuna macchina può essere venduta senza dispositivi automatici di sicurezza, per cui anche la “distrazione” è protetta. Allora qualcuno dovrà spiegare alla moglie e ai figli perché pasquale è morto, perché quella macchina non si è fermata mentre pasquale si avvicinava, chi è colui che ha consentito una macchina senza meccanismi di protezione. Pasquale è morto, è morto di lavoro, come altri che in questi anni arricchiscono le statiche drammatiche degli infortuni mortali sul lavoro: circa 1300 all’anno.

 

 

Tornando al modello Cavet.

I problemi di gestione quotidiana non mancano, sono il terreno di confronto con l’azienda ogni giorno, durante il sequestro dei cantiere, il confronto non si è fermato nemmeno per ferie, ma queste difficoltà non negano la soddisfazione per essere riusciti ad introdurre alcune regole, alcune certezze che rendono più semplice il confronto quotidiano.

L’ultimo accordo realizzato è quello dei rientri a casa, la possibilità di utilizzare le due ore di media settimanale, oltre le 40 ore, per permessi aggiuntivi a quelli già contrattati per consentire maggiori rientri a casa, anziché monetizzarli come avviene oggi. Fatto l’accordo si sono fermati i cantieri, come già detto, e ancora oggi non si lavora a pieno ritmo per il fermo di Carlone e Osteto, e quindi ancora non è stata possibile la gestione concreta dell’accordo.

Rispetto alle polemiche emerse spesso sulla stampa locale e riferite ai cantieri alta velocità io voglio solo ricordare che tutti gli accordi sono stati sottoscritti con la formale approvazione dei lavoratori.

I problemi di cui, impropriamente si parla, non attengono alla mancanza di accordi o alla possibilità di contrattare; attengono alla difficoltà della loro gestione, al nostro lavoro di ogni giorno. Ogni accordo è un processo, un divenire, è da verificare nella sua applicazione. Oggi abbiamo raggiunto l’equilibrio che dicevo, non è detto che questo sia l’equilibrio più alto o quello condiviso da tutti. Ma questo oggi è. Voglio dire a tutti noi che c’è sempre una possibilità, un’occasione per fare meglio, ma non dobbiamo mai dimenticare il contesto nel quale siamo. Oggi è diverso da ieri e comunque diverso da domani.

Ognuno di noi ha ben presente che se il lavoratore edile potesse scegliere lavorerebbe dal lunedì al venerdì, vicino a casa. Ma la risposta a questa domanda ci porterebbe in un’altra discussione, noi non dobbiamo mai dimenticare che il lavoro edile è per sua natura “nomade”, e troppo spesso anche senza accordo quadro lavorare il sabato e la domenica è la norma. Perché quando si lavora lontano da casa, e magari per pochi mesi all’anno, si sceglie di lavorare il più possibile, si sceglie di non disperdere quell’occasione.

Spesso significa anche rispettare le regole del caporale, intermediario fa più "scic", che trova il cantiere, l’alloggio e magari anche un passaggio sul pulmino per arrivare nelle nostre ricche città, ovviamente dietro compenso. Ricche di lavoro, oltreché di bellezze care ai turisti, ma povere di lavoratori disposti a lavorare in edilizia. E povere anche di quella solidarietà necessaria a creare le condizioni d'accoglienza e vivibilità, oltre al lavoro, per toglierli dalla rete dei loro sfruttatori. Quanta omertà c’è in una città come Firenze che ogni giorno accoglie nei propri cantieri 4000 lavoratori non residenti in Toscana e non si domanda come e chi ha favorito il loro arrivo? Non si domanda dove si ritirano quando cala il sole e il cantiere si ferma.

Quel cantiere che spesso è il luogo dove mangiano dei panini seduti su un mattone o nei marciapiedi del centro storico. C’è dignità in questo? C’è una risposta da dare?

Noi pensiamo di sì e per questo insieme a Filca e Feneal abbiamo costruito la piattaforma integrativa (il nostro secondo livello di contrattazione) proponendo fra i titoli i temi dell’accoglienza con l’obiettivo di chiedere all’ANCE fiorentina e alle altre controparti regionali di attrezzare in ogni cantiere locale per la mensa e se necessario anche per dormire o in ogni modo predisporre abitazioni (come stanno già facendo alcune fra le migliori aziende fiorentine, quelle che probabilmente hanno assunto la qualità del lavoro e la dignità dei lavoratori come una priorità al pari della professionalità di cui necessitano).

Andare in giro per cantieri, negli appartamenti, nei ristoranti dove mangiano i trasfertisti (spesso insieme al caporale) è un esercizio che consiglio a tutti, per capire, e soprattutto per non dimenticare mai la direzione da percorre nell’obbiettivo di migliorare le condizioni dei lavoratori che rappresentiamo. Spesso mi trovo a pensare che i lavoratori sono come i protagonisti di un video gioco, quei personaggi che appaiano e scompaiano, oggi ci sono domani no; e spesso è il contatto con noi l’occasione o il preteso per lasciarli a casa, per non farli tornare nei nostri cantieri.

 

Questa, insieme alla politica formativa e al ruolo degli enti bilaterali del settore la sfida più impegnativa che questa stagione contrattuale.

Gli enti bilaterali, di cui il settore storicamente è dotato, a cominciare dalla scuola edile possono dare un contributo nel Governo del mercato del lavoro. Per questo abbiamo dedicato un capitolo importante della piattaforma per il rinnovo dell’integrativo che auspichiamo veda un interesse, pari al nostro, degli imprenditori fiorentini. Questo deve essere accompagnato dalla contrattazione di modelli organizzativi all’interno dell’impresa che creino le condizioni affinché nuovi diritti, da quello alla formazione, siano realmente esigibili attraverso una gestione dell’orario di lavoro che sappia coniugare lavoro con formazione.  Ma se continuiamo a vedere quest'opportunità solo come un costo (penso alla formazione non realizzata rispetto alla sicurezza), perderemo ancora una volta l’occasione di qualificare quest'importante settore.

 

La precarietà strutturale del settore deve essere governata per diventare un’occasione di qualificazione e di crescita di professionalità. Perché l’impoverimento del valore professionale del lavoro non è solo un danno per l’impresa, rappresenta anche un diritto negato al lavoratore, il diritto a crescere ed autorealizzarsi sul lavoro.

 

Contro il lavoro irregolare è sempre stata forte l’iniziativa dalla Fillea e il fatto che se ne parli ancora potrebbe significare che non riusciamo a trovare la soluzione al problema. Forse è vero, una cosa è certa la soluzione al problema non attiene solo al sindacato, attiene agli enti competenti, attiene ad una civiltà del lavoro che ancora tarda a costruirsi.

Il lavoro è stato comunque importante perché siamo passati dalla fase nella quale solo il sindacato degli edili solleva il problema, ad una maggiore attenzione delle confederazioni, ad una maggiore attenzione di altre strutture di categoria interessate al fenomeno, ad una maggiore attenzione delle istituzioni. Se si guardasse al fenomeno con meno burocrazia e più intuizioni sarebbe più semplice aggredirlo, qualcuno forse si ricorderà di un momento molto alto di denuncia: il depuratore di San Colombano. Anche in quell'occasione, guardate la rassegna in cartella, la risposta era sempre burocratica e solo l’impegno personale di un lavoratore, attraverso la denuncia in procura, fece esplodere un problema che noi denunciavamo da giorni.  

Quel lavoratore si chiamava Pasqualino Celani, era un delegato della Fillea, era presente al congresso 1996 morto per una grave malattia, ma fino agli ultimi giorni della sua vita non ha mai dimenticato il suo sindacato e in ogni occasione ci sollecitava rispetto a fenomeni d'irregolarità che individuava. Era per lui un assillo costante, era per noi una guida preziosa per conoscere un fenomeno non semplice da individuare, fatto di molti silenzi, di frasi parziali, di sguardi, di suggerimenti che dobbiamo saper cogliere ogni volta che parliamo con i lavoratori, soprattutto in quelle situazioni che di per se sono a rischio.

Un fenomeno di lavoro irregolare, a Firenze, stimato dalla task force del ministero del lavoro nel maggio del 2000 su un campione scelto pari al 92% delle aziende ispezionate, con circa il 40% di lavoratori irregolari, percentuale che sale al 50% per gli stranieri e al 87% per i minori.

E’ certo in ogni modo che lavoro nero e sicurezza sono questioni che devono essere affrontate con il contributo delle parti e delle Istituzioni affinché possano essere organizzati in merito interventi ed iniziative efficaci.

 

Non c’è solo questo slogan, pensando alla convocazione del congresso abbiamo immaginato l’edilizia a Firenze perciò abbiamo scelto questo palazzo. Un palazzo storico, una palazzo che ha vissuto gli avvenimenti fiorentini, un modo per ricordarci l’importanza della memoria, un palazzo che ricorda un pezzo della storia di Firenze, un palazzo che ricorda un mestiere per cui Firenze ha una vera vocazione: il restauro, l’arte di ricostruire e conservare. Palazzo che racchiude espressioni architettoniche d'epoche diverse, palazzo che è stato finemente restaurato negli anni e che rappresenta meglio d'ogni parola quanto può essere bello questo mestiere.  Un mestiere dove troviamo tanti giovani e giovani donne che esprimono la loro professionalità e la loro passione per restituire a noi tutti quello che d'importante altre generazioni ci hanno lasciato.

Quindi un patrimonio da valorizzare oltre che un’occasione di lavoro da non disperdere. In Italia il mercato del recupero rappresenta il 59,6% degli investimenti in costruzioni, un valore certamente destinato ad aumentare se pensiamo all’invecchiamento del patrimonio edilizio. Abbiamo la storia, possediamo i palazzi, i paesaggi, le botteghe, manca di riconoscere un ruolo strategico ai mestieri della conservazione.

 

Infatti, mentre aumenta il degrado del patrimonio edilizio esistente, pur in presenza di leggi che hanno consentito in questi anni molti interventi (penso alla deducibilità dall'IRPEF), diminuisce e si va perdendo il patrimonio di conoscenze e di manualità che si tramandavano di generazione in generazione, anche attraverso il lavoro nelle botteghe artigiane.

 

E’ sciagurata l’idea di privatizzare i musei, interessante la proposta della regione toscana di decentrare le competenze sui beni culturali, è un’idea di federalismo che condivido. E’ un settore dove solo il primato dello stato, centrale o regionale, può garantire un'universalità di fruizione ai cittadini oltre che la salvaguardia di grandi patrimoni che ci invidiano nel mondo.

 

Ristrutturazione, restauro e rifunzionalizzazione dei palazzi del centro storico fiorentino è la risposta migliore per far vivere questa città, rispetto a chi pensa che la vita si debba svolgere nel chiuso delle mura domestiche. Riappropriarci dei centri storici deve essere un obiettivo da perseguire, è importante tornare a frequentare le piazze, i locali, le strade solo così abbiamo un’occasione per comunicare con altri, per sconfiggere le diffidenze, per azzerare quei tentativi di razzismo e xenofobia che si affacciano anche in questa città. Se non ascoltiamo gli altri, se non li frequentiamo le nostre parole saranno solo belle parole, ma non saranno una risposta sufficiente ai problemi nuovi che ci propone questo secolo.

 

Questo rappresenta per me il modo migliore di interpretare la nostra storia, il modo migliore di vivere Firenze la sua provincia, di interpretare questa ricca regione del centro Italia, ricca di cultura, di storia, di paesaggi, di tradizioni, di solidarietà.

 

Ma non basta perché c’è bisogno di risposte anche per l’oggi, rispetto a questo nel comparto del restauro a Firenze si sta attraversando un momento di crisi dovuto soprattutto alle dinamiche e alle logiche con le quali le Sovrintendenze affrontano i problemi posti dalle leggi in materia d'appalti e di sicurezza sul lavoro.

 

Siamo ancora alla logica degli elenchi di fiducia, omettendo fra l’altro la preventiva verifica del rispetto delle norme contrattuali e di legge previste dalla legge Merloni.

Serve ragionare di formazione, d'aggiornamento, oggi in Toscana non esiste una linea di finanziamento professionale che ci consenta, come ente bilaterale, di proporre un corso sul restauro architettonico. Progetto già definito con il coinvolgimento dell’opificio delle pietre dure, che con la riforma universitaria è diventato un istituto per la specializzazione post universitaria.

Serve inoltre arrivare finalmente alla realizzazione del centro internazionale per il restauro a Demidoff.

 

Nel corso dell'anno è nato un coordinamento di restauratori fiorentini parallelamente all'istituzione, a livello nazionale, di Fillea Restauro, di cui il coordinamento stesso fa parte. L'organizzazione è nata con il contributo decisivo della struttura provinciale anche a fronte della definizione del Decreto Ministeriale n.294 del 3 Agosto 2000 che si propone di affrontare le problematiche relative alla certificazione delle aziende nell'accesso alle gare per quanto riguarda gli appalti pubblici per il restauro e la manutenzione di beni mobili e superfici decorate di beni architettonici.

Tale decreto mira a tutelare solo coloro che hanno conseguito la qualifica attraverso particolari percorsi formativi (OPD, ICR) lasciando fuori dal quadro normativo e contrattuale tutti i lavoratori che pur avendo operato per anni nel settore, e spesso alle dipendenze dei diplomati ICR e OPD, non potranno conseguire la qualifica di restauratore. Oltre alla promozione già avviata di iniziative riguardanti la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro e altri temi, Fillea Restauro si propone di consolidare la presenza, storica, della CGIL tra i restauratori nonché di elaborare riflessioni, proposte e azioni rivendicative in vista dei rinnovi contrattuali che dovranno tener conto delle peculiarità del settore.

 

Fare la fotografia del settore significa anche fotografare i lavoratori, queste foto ci mostrano lavoratori di colori diversi, di lingue diverse, di abitudini diverse, di religioni diverse, di culture diverse, è per questo che abbiamo preso in prestito un brano tratto dall’opera di un autore che ci ricorda con molta efficacia quello che ogni giorno troviamo nei cantieri edili piuttosto che nelle aziende dei materiali, tanti lavoratori provenienti da paesi diversi: regioni del mezzogiorno d’Italia, paesi del mediterraneo, dell’est europeo, dell’Africa. Un brano che ci ricorda la fatica, il sudore, che ci ricorda che questo lavoro appartiene ai “mestieri della stanchezza”, che ci ricorda con semplicità che sotto la “polvere” siamo tutti uguali.

Un passo che ci ricorda che molti dei lavori utili a questa città, rimarrebbero nel cassetto del progettista senza la presenza di uomini che non abitano la nostra regione.

Un passo che ci richiama ad un’emergenza che dobbiamo affrontare: che si chiama politiche di accoglienza:   un alloggio dignitoso,  l’inserimento nella società di culture e razze diverse con i valori che quelle culture e quelle razze ci propongono (ho già detto prima come intendiamo muoverci), razze e culture diverse a cui dovremo dare risposte anche contrattuali. Non dobbiamo permettere che crescano distanze e barrire tra persone, popoli, culture e religioni; si acuiscano diffidenze e paure; si rafforzino atteggiamenti e comportamenti di intolleranza xenofoba e razzista.

 

“Dopo l’11 settembre niente è più come prima. E’ vero ma l’obbiettivo principale deve essere far diventare tutto meglio di prima”.

 

Anche le letture che vi proponiamo, che trovate nello zaino propongono un percorso ideale fatto di diritti, di regole, è il nostro piccolo contributo alla memoria e alla necessità di acquisire consapevolezza di sé, il cortometraggio che abbiamo prodotto è il nostro contributo alla cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro ma anche la voglia di uscire da alcuni luoghi comuni tipo: “il mestiere per sua natura è pericoloso”. Nessuno vuole disconoscere una cosa così ovvia, ma questo non significa che anche il pericolo può essere sconfitto, dal pericolo ci possiamo difendere. Ciò attiene alle scelte che l’imprenditore compie, esempi positivi di collaborazione fra i lavoratori, le imprese, le istituzioni dimostrano che si può fare.

 

Ho parlato prima della sicurezza riferito a Cavet,  per la CGIL la sicurezza nei luoghi di lavoro è un assillo quotidiano, quest’anno abbiamo lanciato una campagna di informazione, stessa cosa hanno fatto le ASL della Toscana, istituendo un numero verde. Ma non basta. Guardiamo alla cronaca recente.

Due edili sono morti sepolti da una frana, perché stavano in uno scavo senza protezioni. Una tragedia annunciata se è vero, come è vero, che ad aprile in quello stesso cantiere a quella stessa ditta era stato prescritto di mettersi a norma per gli scavi, aveva adempiuto in quella circostanza. Ma poi a distanza di qualche metro, qualche mese, ecco il risultato. Il bisogno di risparmiare sui costi per la sicurezza, forse il bisogno di far prima sono costati la vita di due persone.

E così nella nostra regione in tutti i settori produttivi si ripetono ogni anno infortuni mortali. Non è bastato l’impegno della regione, dal 22 novembre al 22 dicembre c’è una nuova campagna di prevenzione in edilizia, non bastano gli accordi che si fanno, non bastano i sopralluoghi della ASL, le prescrizioni, gli scioperi, abbiamo bisogno che in ognuno prevalga il concetto di lavoro sicuro, che sia il progettista, l’imprenditore, che siano i lavoratori, che sia il sindacato. Quando di fronte ad un lavoro insicuro si fermerà la produzione avremo finalmente raggiunto quella civiltà cara a molti paesi europei che vantano statiche meno drammatiche delle nostre.

 

Così come morì due anni fa MARZIO GHIZZANI, per molti un nome per me un compagno di lavoro con il quale ho condiviso un pezzo di strada soprattutto quando ero a Empoli. Marzio era fra i cento delegati al congresso del 1996, sicuramente sarebbe stato protagonista anche in questo congresso se l’impilatrice alla quale lavorava in un giorno del 1999 non avesse interrotto la sua vita. Marzio è morto, è morto di lavoro. La giustizia dirà, forse, chi è il responsabile di una morte tanto assurda. Lui lavorava in una multinazionale con stabilimenti sparsi in ogni angolo del mondo, uno di quei colossi che dovrebbe fare da guida all’imprenditoria, che dovrebbero essere l’esempio da seguire, si dice che la sicurezza, le norme sulla sicurezza hanno fatto chiudere molti piccoli imprenditori, (la nostra regione dovrebbe essere esentata dal rispetto della norma?), ma questa azienda pur piccola a Empoli è una parte di un colosso mondiale, una delle prime aziende ad avere costituito i CAE (comitato aziendale europeo). Perché Marzio è morto, perché quella efficientissima impilatrice si è messa in movimento mentre lui ripeteva gesti che da anni tutti ripetono allo stesso modo. Non ci accontentiamo della fatalità, che ci viene riproposta come risposta a tutte quelle domande alle quali non si sa come rispondere. Certo se guardiamo alla sentenza di Porto Marghera, dove 157 vittime del loro lavoro nel petrolchimico sono morte senza motivo, nutro poche speranze. Forse anche Marzio ci diranno che non è morto di lavoro, non capisco perché non è qui con noi.

 

Questo ci insegna che la sicurezza non è mai troppa, alla mancanza di sicurezza e di igiene in un luogo di lavoro non ci dobbiamo mai abituare, deve essere sempre il pungolo con il quale convivere ogni giorno per realizzare condizioni migliori. Anche solo conquistare servizi igienici e locali attrezzati per il pranzo è un obbiettivo non completamente realizzato nei cantieri fiorentini, oltreché il rispetto delle più elementari norme di sicurezza: è il nostro lavoro quotidiano, una priorità.

 

A proposito di lavoro quotidiano in queste settimane, oltre ad occuparci del congresso, stiamo preparando una mobilitazione contro le associazioni imprenditoriali di categoria che sembrano guardare un film diverso da quello che vediamo noi.

Suggerirei un giro per la città e parafrasando Martini il cantiere Firenze è in costante sviluppo, tante sono le opere in fase di cantierizzazione, tante quelle in stato avanzato di realizzazione, opere che sono la nostra occasione per sviluppare quei rapporti di forza ancora una volta necessari per tornare al tavolo delle trattative con ANCE, artigiani, piccole imprese e cooperazione. Per tornarci soprattutto forti del sostegno dei lavoratori edili, consapevoli che il mancato rinnovo del CCNL e degli integrativi provinciali oltre ad essere un atto ingiusto non aiuta il paese ad affrontare efficacemente i problemi aperti dalla congiuntura economica internazionale.

 

Ancora una volta gli imprenditori e le loro associazioni di categoria lamentano crisi e difficoltà, ancora una volta condizionano la firma del tetto e del biennio salariale alla definizione di agevolazioni che chiedono al Governo e di sconti che chiedono ai lavoratori.

La legge obbiettivo del ministro Lunardi, con le conseguente vanificazione della normativa sugli appalti, sulla qualità dei cantieri e sulla trasparenza delle procedure non sono bastati alle associazioni imprenditoriali, così come non basta il provvedimento sulla liberalizzazione delle ristrutturazioni degli immobili (ognuno è padrone in casa propria), loro vogliono di più: vogliono la decontribuzione dei super minimi individuali, vogliono la cancellazione della norma sulla responsabilità in solido, vogliono la riduzione dei contributi versati in cassa edile, vogliono abbassare norme e tutele per i lavoratori.

 

Non solo vogliono la nostra complicità per destrutturate il settore.

Subordinano la possibilità del rinnovo contrattuale di secondo livello e il secondo biennio del CCNL edile alla richiesta congiunta di questi provvedimenti, a prezzi scontati visto che non vogliono riconoscere il differenziale dell’inflazione per il biennio passato e non vogliono definire il tetto previsto dal contratto per gli integrativi provinciali.

Eppure il Presidente dell’ANCE nazionale De Albertis, anche recentemente ci ha ricordato che la crescita nel 2000 è stata del 3,1% su base annua e si prevede del 2,5% per il 2001 a livello nazionale.

 

I dati Toscani sono anche migliori: crescita degli investimenti del 3,6% e crescita occupazionale del2,7%.

 

Su una cosa invece dovrebbero preoccuparsi e sono le promesse elettorali del Governo di centrodestra, i tanti miliardi destinati alle opere infrastrutturali che non ci sono se non stanziando per questi interventi una parte delle risorse destinate allo stato sociale, alla spesa per scuola, sanità, rinnovo dei contratti nel comparto pubblico, pensioni.

E allora come possono nelle loro assemblee parlare di un settore in discreto stato di salute, con quasi 100000 occupati in più negli ultimi cinque anni, anni che hanno visto crescere gli investimenti e i guadagni delle maggiori imprese. Come possono le 137000 del CCNL essere considerate un prezzo troppo alto da pagare a quei lavoratori che hanno contribuito alle crescita delle loro ricchezze.

Anche quando polemizzano sul costo del lavoro più alto rispetto a quello di altri comparti produttivi non devono dimenticare che ciò è dovuto alla particolarità del settore, (disoccupazione, cigo, infortunistica); dunque se la richiesta si concentra sulla proroga di provvedimenti anche da noi condivisi, come la norma premiale inail e la decontribuzione del salario di secondo livello, allora si può sottoscrivere altrimenti no.

 

Quello che non possiamo consentire è un mercato del lavoro completamente fuori controllo, nel quale venga cancellato il modello contrattuale basato su due livelli, un modello che in edilizia è precedente all’accordo del luglio 1993 e che già una volta l’ANCE ha disatteso disdettando il ccnl, non possiamo accettare che si realizzi quella contrattazione individuale cara a Confindustria con il nostro consenso, più di quanto non sia già praticata nei cantieri, dove già si confronta un sistema duale: gli specializzati con salari più alti del ccnl, e gli altri (irregolari, comuni) a cui si propone continuamente meno di quanto dovuto, facendosi forti delle loro debolezze, del loro bisogno.

 

La difesa del modello contrattuale scaturito con l’accordo del 1993 rimane per noi una priorità. Il primo livello, quello nazionale, ha una funzione decisiva per il suo carattere universalistico e solidaristico. Il secondo livello è l’occasione per ridistribuire quella produttività di settore o aziendale che ha consentito forti guadagni alle imprese, che ci consente di ragionare di organizzazione del lavoro, di orari di lavoro, di tutte quelle politiche contrattuali connesse al ciclo produttivo, di formazione, di professionalità.

 

La nostra iniziativa si orienta tenendo sempre ben presente che l’obbiettivo non è solo il salario ma la qualità del lavoro nel cantiere e nelle aziende, una stagione di lotte (sciopero del 21 e 26 novembre) non è utile ai lavoratori e nemmeno al paese, al suo sviluppo, ma se queste rimangono le posizioni non ci tireremo indietro, Firenze farà la sua parte, i grandi cantieri che insistono nella tratta Firenze – Milano saranno i protagonisti delle lotte

 

Qualcuno ha scritto che dopo quanto accaduto l’11 settembre siamo meno liberi, ci costringiamo in casa, limitiamo la nostra libertà di movimento, di comunicazione e di relazione, il nostro futuro è diventato più corto perché non abbiamo voglia di progettare. Questa risposta è sbagliata, perché fa vincere due volte il terrorismo, terrorismo al quale non possiamo rispondere solo con la guerra, guerra che peraltro colpisce cittadini inermi, popolazioni che vivono in condizione di povertà totale, che soffrono la fame, a cui non rimane niente se non la morte. Sono le disuguaglianze un terreno fertile per il terrorismo e il fanatismo religioso. E’ il confronto fra un occidente ricco e il resto del mondo costretto alla più umiliante miseria, sono quel 20% di popolazione che detengono l’80% delle ricchezze, sono 1,800 milioni di cittadini che vivono con meno di un dollaro al giorno, sono i tanti bambini costretti a lavorare, è quella povertà che con sempre più insistenza bussa alle nostre porte. E’ una umanità con la quale ci dovremo confrontare, non risolviamo i nostri problemi pensando che è tanto lontana da noi. Possiamo risolverli se attiviamo quelle politiche di crescita e di sviluppo per la loro emancipazione dalla miseria.

Non è indifferente il loro destino dal nostro, forse pensare a quello che c’è fuori dalla porta, a quello che non vogliamo vedere o sentire perché è troppa la sofferenza è un esercizio propedeutico che consente di posizionare meglio i nostri bisogni, le nostre aspettative, il nostro piccolo mondo.

La distruzione delle torri gemelle a New York, la modalità, la morte di decine di uomini e donne, di lavoratori ci costringe a  riflettere sul significato di quanto è accaduto. Ci rappresenta, se prima non lo avevamo chiaro a sufficienza, che la fine della guerra fredda non necessariamente significa che tutti con la caduta del muro di Berlino aspirano a diventare come noi, ha dimostrato che ci sono uomini disposti a morire per un credo religioso, sono disponibili a sacrificare la loro vita, ci ha dimostrato che esistono valori non necessariamente negoziabili, identità irriducibili.

E’ caduta l’illusione del nostro mondo come l’unico possibile, del mondo piegato al dio denaro (la civiltà del consumismo) come l’unico possibile.

Nell’ovest sviluppato quello che non si compra non ha valore, tutti si misura con i soldi, questo attentato ci dice che non tutto si compra con i soldi, questo attentato ci dice che dobbiamo con urgenza ridistribuire le ricchezze dell’occidente capitalista verso quelle popolazioni del 3 e 4 mondo che soffrono la fame e che sono terreno fertile per introdurre i germi dell’odio, del fanatismo religioso.

E’ caduta l’illusione di poter difendere il mondo sviluppato lasciando fuori dalla porta la miseria e la disperazione di intere popolazioni, per troppo tempo si è pensato che le tante guerre nel mondo non ci riguardassero, perché lontane da noi, si è  pensato che la carica di odio accumulata in medio oriente, senza nessun intervento internazionale si avviasse a soluzione da sola, e invece l’odio e la disperazione, come la fame e la povertà diventano terreno fertile per reclutare portatori di morte, a cominciare dalla loro stessa morte.

Quindi l’interdipendenza non significa che siamo tutti uguali, ma che siamo costretti a misurarci gli uni con gli altri. Occorre una grande apertura culturale e politica per favorire il dialogo, e la pacifica convivenza tra i popoli, serve soprattutto lavorare per favorire la fine di quelle situazioni di guerra o guerriglia sparse per il mondo, a cominciare dalla soluzione della questione palestinese. E’ sicuro che in questa fase la firma di un accordo di pace tra palestinesi e israeliani sarebbe un colpo inferto alla strategia del terrore più di una bomba sganciata sull’Afganistan.

Quindi la strada per la nostra sicurezza e per la sicurezza del mondo passa per la nostra capacità di combattere la barbarie con la forza della democrazia e della libertà. Il nostro obbiettivo è la pace. Noi siamo contro l’intervento militare dell’Italia in ogni conflitto.

 

L’obbiettivo è globalizzare i diritti, la giustizia sociale, la solidarietà come abbiamo detto a Genova nell’incontro insieme ai sindacati dei paesi occidentali e dei paesi in via di sviluppo.

Oggi più che mai sono attuali gli obbiettivi proposti a Genova: la cancellazione del debito dei paesi poveri, uno sviluppo sostenibile, un lavoro dignitoso per tutti, i diritti delle donne e dei bambini, un commercio equo e solidale, nuove regole democratiche per le istituzioni e l’economia.

Serve favorire una crescita dell’economia , con una redistribuzione della ricchezza e delle opportunità recuperando il divario fra ricchi e poveri.

Non possiamo credere di poter vivere sereni e felici nel nuovo millennio dimenticando che milioni di persone non godono di diritti universali basilari: sanità, istruzione. Che milioni di donne e uomini soffrono la fame e non dispongono di acqua potabile.

 

Qualcuno provò ad avvertire i bianchi, un vecchio capo indiano pellerossa  scriveva all’età di 87 anni:

 

“le colline sono sempre più belle delle case di pietra. In una grande città la vita si riduce ad una esistenza artificiale.

Molti uomini sentono ancora a stento la vera terra sotto i piedi, vedono ancora appena crescere le piante, eccetto che in vasi di fiori, e solo di rado lasciano dietro di se le luci delle strade, per lasciar agire su di loro la magia di un cielo notturno sparso di stelle.

C’è molta follia nella vostra cosiddetta civiltà. Voi saccheggiate i boschi e la terra, sprecate i combustibili naturali, come se dopo di voi non venisse più alcuna generazione che ha altrettanto bisogno di tutto questo.”

 

Alle parole del saggio indiano risponde l’ignoranza del nostro presidente del consiglio: con l’odio che dimostra ormai ogni giorno nei confronti di chiunque osi dissentire, “ha dichiarato la superiorità della civiltà occidentale sull’islam” ha fatto esattamente quello che vogliono le frange terroriste, di qualunque terrorismo, ha risposto con odio che fomenta l’odio, con l’intolleranza che chiama il razzismo.

I giornali stranieri hanno parlato di umiliazione per l’Italia e di un uomo inadatto a governare. Peccato che l’Italia sia il paese con la più bassa scolarizzazione tra i paesi sviluppati, e che la conoscenza di quanto si pensa di noi nel mondo si riduca ai lettori affezionati dei pochi giornali indipendenti rimasti nel nostro paese.


 

Un Governo che in un momento come questo anziché scegliere, per il paese, un deciso sostegno dei consumi e degli investimenti, con l’obbiettivo di contrastare la congiuntura negativa e di preservare gli assetti di qualità,: formazione, infrastrutture, ricerca, innovazione tecnologica ed efficienza dei servizi pubblici, in grado di evitare il declino, sceglie la riduzione degli investimenti, non destina risorse per i contratti pubblici, teglia gli interventi per il mezzogiorno, taglia le risorse agli enti locali.

Tutto questo dopo i provvedimenti dei cento giorni, insieme al libro bianco di Maroni, conferma una volontà di esclusione dal confronto delle associazioni sindacali e a seguire anche del confronto parlamentare (l’idea della delega) in materie di interesse per il mondo del lavoro (fisco, pensioni,) rappresentano una vera e propria offensiva contro i diritti e le aspettative dei lavoratori. L’attacco che viene portato è tanto più grave perché oltre ad essere profondamente ingiusto non aiuta il paese ad affrontare efficacemente i problemi aperti da questa fase economica.

Anche in relazione al libro bianco di Maroni il nostro giudizio è negativo, la filosofia a cui si ispira è una accentuazione delle forme di precarizzazione del rapporto di lavoro e soprattutto si ispira con assoluta fedeltà alla idee di Confindustria, che punta a scardinare il sistema della contrattazione collettiva e della rappresentanza sindacale. Nel libro alla contrattazione collettiva si assegna la funzione di stabilire alcune norme cornice derogabili a livello territoriale o d’impresa o in sede di contratto individuale; inoltre si dichiara conclusa l’esperienza della politica dei redditi per finalizzare le scelte economiche e finanziarie alla politica per la competitività.

L’idea stessa di intervenire sull’art. 18 dello statuto dello statuto dei diritti dei lavoratori con la delega al Governo, con l'intento di sospendere la giusta causa nei licenziamenti sostituendola con l’arbitrato è un fatto gravissimo. In contraddizione con la carta europea dei diritti.

Così come va respinta la teoria dei diritti a geometria variabile che rende inefficace e senza sostanza ogni forma di tutela e trasmette un’idea di lavoro senza dignità e senza responsabilità, non vogliamo nessun doppio regime né in materie contrattuali, né in materie previdenziali

 

Sono convinta che il sindacato tutto saprà rispondere con efficacia e tempestività al tentativo di smantellamento del sistema pubblico in materia di sanità, di scuola, e di previdenza, così come auspico un coinvolgimento dei lavoratori costante ed immediato rispetto alle scelte da compiere.

L’unità sindacale è un patrimonio prezioso per il mondo del lavoro e per il progresso del paese, ma l’unità non può prescindere da un chiaro e democratico rapporto con i lavoratori. E’ importante definire una legge sulla rappresentanza.

 

Questo paese si è lasciato alle spalle la parte più impegnativa e difficile del risanamento economico e quindi ha le condizioni per poter crescere. Lo sviluppo però deve essere accompagnato da un’idea di qualità che deve contenere quegli elementi di equità che sono importanti per i soggetti che rappresentiamo.

Uno sviluppo che utilizzi la ricerca, l’innovazione, la valorizzazione delle risorse umane, e non prefiguri un modello nel quale, si metta in discussione perché costose, le tutele delle persone o il sistema dei diritti che quelle persone si sono conquistate in interi decenni.

 

A giugno Confindustria nella sua assemblea annuale indicò al Governo le sue priorità, quelle priorità si stanno traducendo in provvedimenti che colpiscono o vogliono colpire i lavoratori e  pensionati.  Per questo la CGIL non starà a guardare. Io spero che tutto il sindacato non  si fermi a guardare ma sappia reagire. Spero che siano lontani i tempi degli accordi separati. Venerdi i lavoratori metalmeccanici sostenuti dalla sola Fiom CGIL hanno manifestato per riaffermare regole comuni e percorsi condivisi per approvare le intese oltreché per difendere il CCNL, in nessun punto di quel corteo si respirava aria di autosufficienza o voglia di separatezza, è cara agli uomini e alle donne della CGIL l’unità sindacale.

 

 

Anche le leggi già approvate: falso in bilancio, abolizione dell’imposta di successione per i patrimoni superiori a 350 milioni, rogatorie, rientro dei capitali dall’estero. Quest’ultimo provvedimento è odioso soprattutto perché dice a tanti cittadini onesti che hanno fatto il loro dovere ed hanno pagato le tasse che sono stati degli sciocchi. Sarebbe bastato aspettare e avrebbero risparmiato un po’ di tasse, mentre nel contempo si toglieva il recupero del fiscal drag ai lavoratori. Dunque non solo questi furbi hanno reso più povero il paese perché hanno distolto risorse preziose per lo sviluppo dell’Italia, ma questo non conta nell’epoca delle libertà, ma oggi sono addirittura premiati. (provvedimenti che non servono alla generalità dei cittadini o al paese ma sono utili per gli amici del capo e lui stesso)

L’attacco continuo ai magistrati “hanno emesso sentenze senza prove”, consegna ai cittadini un ‘idea della giustizia “ingiusta”.  Allora è meglio farsi giustizia da soli. È questo il messaggio. Si vuole spingere il paese verso un’idea di società dove sono sospesi i diritti e le libertà. Un paese dove siamo liberi di violare le leggi perché tanto i magistrati emettono a prescindere sentenze ingiuste, perché emettono sentenze senza prove, e inoltre nel paese delle libertà vogliono anche essere scortati nel loro lavoro ingiusto!

 

Altre scelte di politica industriale che incrociano gli interessi del premier e dei suoi amici  delineano una strategia che favorisce l’assenza di regole, premia i poteri e i soggetti forti, orienta l’azione del fisco su sgravi e condoni, limita il potere del parlamento.

 

Inoltre si asseconda l’idea di Confindustria che pensa di recuperare competitività riducendo i diritti delle persone che lavorano, e ottenendo trasferimenti a pioggia. E’ stata cancellata quella politica inaugurata dal Governo precedente di incentivi finalizzati alla ricerca, alla innovazione, alla formazione, allo sviluppo qualitativo. 

 

Il rischio che corriamo è che la congiuntura sfavorevole, una crisi morale evidente, insieme ad un arretramento culturale diventino terreno fertile per la demagogia, le facili promesse, per il trionfo dell’individualismo, per il rifiuto della solidarietà. Serve a noi tutti uno sforzo per non perdere la memoria storica degli avvenimenti, la storia ci ha insegnato che il movimento operaio è già passato attraverso momenti alti e duri di conflitto con chi provò a distruggerlo, pensiamo al ventennio fascista. So che oggi l’Italia è una repubblica  democratica sorretta da una costituzione a cui tutti si richiamano nel loro impegno civile ma quello che mi spaventa è il potere mediatico, sono entrati nelle nostre menti con messaggi rassicuranti, con la promessa di una ricchezza facile basta un quiz, una telefonata, con la rappresentazione di una vita che si allontana dalla vita reale. Si ascolta solo la loro versione, in questa logica tutto quello che non si dice non esiste, e sono molte le cose  non dette dalle Tv o dai giornali maggiormente diffusi nel paese. Vi ricordate di quei film di extraterrestri che si impadroniscono della terra entrando nel corpo delle persone? Quando mi soffermo a pensare alla realtà che vedo, quando discutendo con un lavoratore o semplicemente con un conoscente e non riesco a convincerlo che la realtà che lui vede non è quella ma è quella che altri gli fanno vedere, allora penso che gli extraterrestri sono già arrivati.

 

Ai giovani lavoratori che oggi lavorano in condizioni da migliorare, ma con diritti acquisiti,  frutto di conquiste molte dure, di scioperi repressi violentemente, dobbiamo dire che quei diritti vanno difesi ogni giorno, perché sono costati sacrifici, mortificazioni, umiliazioni a molte generazioni di lavoratori e perché la storia di anni recenti ci ha insegnato che niente è definitivo.

 

DIMENTICARE è il primo passo verso l’arretramento. Dedichiamo un po’ di tempo per trasmettere ai nostri figli  e ai nostri nipoti il significato vero di quelle lotte, di quelle conquiste.

Per  dire loro che sono state tappe fondamentali nell’emancipazione dei popoli, nella conquista di uno stato sociale fondato sul principio dell’universalità dei diritti, sulla solidarietà fra generazioni, fra ricchi e poveri, fra nord e sud.

 

Ho parlato fin troppo del Governo e delle sue scelte, che sono le scelte della Confindustria, sono a questo punto della relazione vorrei parlare del nostro mestiere: la contrattazione, potendolo fare soprattutto perché il quadro delle relazioni sindacali e istituzionali in questa regione sono più avanzate e meno condizionate dalle logiche introdotte nel cambio di direzione della Confindustria nazionale con l’avvento di D’Amato; uso questa espressione per dire che in questa regione, nella nostra provincia sicuramente si è più attenti al confronto e c’è più disponibilità a misurarsi nel merito delle proposte senza condizionamenti o logiche di appartenenza che non aiutano mai. Di Cavet ho già detto, non è l’unico esempio di contrattazione.

Nella relazione del 1996 dicemmo che in edilizia avevamo saltato una tornata contrattuale, le regole contrattuali definite con il protocollo del 1993 recepite dal CCNL consentirono nel 1997 di recuperare un livello caro ai lavoratori consegnandoli una aumento salariale importante completato con la definizione delle prestazioni extracontrattuali della cassa edile nel 2001. Nei giorni scorsi abbiamo presentato la piattaforma, sulla quale faremo sciopero il 21 e il 26 prossimi, con questa rivendicazione concludiamo la contrattazione di secondo livello in categoria per il quadriennio successivo al 1997.

Abbiamo confermato la contrattazione in tutte le aziende tradizionali e contemporaneamente abbiamo aumentato il numero dei lavoratori e delle aziende coinvolte. Sono  35 le realtà aziendali interessate alla contrattazione,  l’accordo interaziendale nel settore della Pietra Serena, oltre ad aver chiuso tutti gli accordi regionali per i settori artigiani. Dal punto di vista salariale i risultati sono significativi è mancata una connotazione di questi accordi su argomenti diversi (orari, formazione, organizzazione del lavoro).

Abbiamo inoltre avviato una sperimentazione di contrattazione territoriale nel distretto di Poggibonsi, comparto legno industria e piccola industria, a scavalco di due provincie (Siena e Firenze) con l’obbiettivo di allargare ancora il numero dei lavoratori coperti da questo livello di contrattazione, ponendo quale obbiettivo prioritario ed interessante per le imprese un ruolo delle Istituzioni locali a sostegno dell’industria del mobilio e cornici, della commercializzazione e promozione dei prodotti e per la qualificazione della manodopera attraverso politiche formative.

 

Se vogliamo fare una osservazione a noi stessi non siamo stati così bravi a definire politiche diverse da quelle salariali, politiche che intervenissero su organizzazione del lavoro, su orari, su formazione e soprattutto su sicurezza. Anche nelle aziende dove è più forte e organizzata la presenza del sindacato non si è fatto  quanto necessario per migliorare le condizione e gli standard di sicurezza e il nostro intervento troppo spesso è stato solo di denuncia.

 

L’obbiettivo della Fillea è inaugurare con questo congresso una stagione di contrattazione di qualità a cominciare dalla formazione e dalla sicurezza. Formazione intesa come risposta al bisogno di maggiore professionalità ma anche come crescita individuale per affrontare meglio quello che la vita ci propone.

 

La formazione risulta una delle questioni fondamentali da affrontare in una riflessione sulla natura e sugli strumenti della contrattazione. Essa costituisce certamente uno dei terreni sul quale dovremo sempre più esercitare una funzione propositiva verso le aziende, per il valore strategico che sempre più va assumendo in qualità di strumento di Governo del mercato del lavoro e come elemento in grado di rispondere alla flessibilità con la costruzione di professionalità qualitativamente spendibili sul mercato ed in continuo aggiornamento attraverso la formazione permanente.

 

Contrattare la formazione significherà sempre più contrattare l'occupabilità dei lavoratori, significa già oggi affrontare la questione salariale nel settore partendo dall'idea che professionalità qualificate corrispondono alla necessità delle aziende di investire maggiori risorse. Possedere una professionalità qualificata  diverrà sempre più il potere contrattuale di ogni singolo lavoratore rispetto al mercato, alle imprese, all'esigibilità dei diritti; è per questo che la formazione deve diventare nella nostra pratica di contrattazione un obiettivo essenziale.

 

Per chi oggi svolge un lavoro a bassa qualifica o a professionalità bloccata la formazione deve diventare lo strumento per fare in modo che quel contesto produttivo, che spesso ha caratteristiche di scarsa tutela dei diritti e di ricattabilità occupazionale, non divenga una gabbia ma una situazione dalla quale poter progredire attraverso l'acquisizione di una professionalità più competitiva. La formazione inoltre, insieme alle politiche per l'accoglienza, è un elemento fondamentale per affrontare in maniera efficace anche il tema dei diritti per i lavoratori immigrati, presenti in maniera sempre più consistente nel nostro settore.

 

Dovremo impegnarci a trasmettere alle aziende una cultura di sviluppo e di crescita qualitativa del settore dentro la quale formazione del personale e qualità del sistema di impresa siano elementi inscindibili  che vanno di pari passo con la costruzione di un'immagine del settore che superi gli antichi stereotipi legati alla dequalificazione professionale, elementi che oggi determinano la scarsa affluenza di nuove risorse umane nel campo dell'edilizia.

Per raggiungere questo obiettivo ci siamo spesi per l'istituzione di un tavolo permanente tra le parti con il contributo dell'Assessorato alla Formazione della Provincia di Firenze che dovrà diventare sempre più un luogo di discussione e proposta nel merito delle questioni formative.

Un postazione fondamentale in questo panorama, come ho già detto, è occupata dagli Enti Bilaterali ed in particolare dalla Scuola Edile, che dovrà vedere potenziato il proprio ruolo nell'ambito di un sistema capace di integrare l'offerta formativa su base regionale anche in relazione alla recente riforma del sistema di formazione ed istruzione. Ma la formazione è un elemento sul quale siamo chiamati a riflettere non solo per quanto riguarda i lavoratori che la Fillea rappresenta ma anche per quanto riguarda il nostro interno e l'organizzazione del lavoro che nel tempo ci siamo dati. Saremo facilitati in questa riflessione dall'iniziativa che la Confederazione  ha già da qualche tempo promosso per la formazione interna dei quadri e dei delegati.

 

 

Altra esperienza particolarmente significativa sul piano del dialogo con le Istituzioni è il protocollo d'intesa stilato da Fillea, Filca e Feneal con l'azienda ospedaliera Careggi in merito all'informazione e alla sorveglianza sugli appalti di opere pubbliche per quanto riguarda il rifacimento del complesso ospedaliero.

 

Il protocollo prevede lo svolgimento di una attività sinergica delle OO.SS. e dell'azienda per il rispetto delle norme sulla sicurezza, degli obblighi previdenziali, assicurativi e contrattuali da parte delle imprese esecutrici. Inoltre all'interno del protocollo è contenuto il progetto di istituzione di un master, da svolgere con il contributo dell'Università degli studi di Firenze, che vede l'utilizzo degli anni di cantiere come scuola operativa per la formazione e la riqualificazione di figure professionali dedicate alla sicurezza e alla qualità.

E’ stato presentato  il progetto di formazione per il bando della legge 236 le cui risorse finanziarie  la regione Toscana ha deciso di indirizzare prioritariamente alla  sicurezza, progetto che vede il coinvolgimento di tutte le aziende coinvolte negli appalti di Careggi e presentato a cura della scuola edile di Firenze.  

 

I rapporti con le altre organizzazioni sindacali di categoria sono certamente stati caratterizzati da una positiva collaborazione senza annullare le differenze che ci caratterizzano e che spesso si evidenziano impropriamente nel confronto con i lavoratori o con le controparti, facendo prevalere una logica di organizzazione più che una strategia condivisa che è il frutto di una necessaria mediazione.

 

Lo dico in modo particolare agli amici della Filca quando ci si rivolge agli stessi lavoratori, quando si affrontano problemi comuni non funziona lo slogan dell’unità competitiva, è una contraddizione in termini. O c’è l’unità o c’è la competizione e io sono perché ci sia l’unità. E’ una valore troppo grande per disperderlo nell’obbiettivo di fare qualche iscritto in più.

 

La Fillea non aspira ad avere il monopolio della rappresentanza dei lavoratori e delle lavoratrici del comporto delle costruzioni auspica però che le si riconosca una oggettiva capacità di rappresentanza che gli deriva dai risultati prodotti e dalle adesioni di quanti condividono il suo progetto. Spazio per crescere c’è, ognuno di noi deve guardare a quanti non sono iscritti a nessun sindacato perché questo deve essere l’obbiettivo comune: convincere i lavoratori e le lavoratrici ad iscriversi al sindacato confederale di categoria, che si chiami Fillea, Filca o Feneal. 

 

Io auspico che nella chiarezza delle posizioni sia possibile affrontare con serenità la prossima stagione contrattuale in edilizia avendo come obbiettivo primario quello di raggiungere un effettivo risultato per i lavoratori e complessivamente per il settore edile, che deve raggiungere a mio avviso, quegli standard di qualità, di competenza, di professionalità, che gli consentano il confronto con il sistema edile europeo, e soprattutto che consentano, nel rispetto dei diritti dei lavoratori, di affrontare la sfida dell’ammodernamento di Firenze, potendo contare su una imprenditoria locale adeguata, e  sapendo rispondere a quelle esigenze di carattere ambientale o semplicemente organizzativo (penso ai turni di lavoro già previsti nel patto per la città) che meglio rispondono alle aspettative dei cittadini fiorentini.

 

Gli esempi ci sono: piazza Vittorio. Basta continuare a provarci. Alcune delle aziende che si sono misurate in quel cantiere sono esempi positivi anche in termini di accoglienza di tanti lavoratori arrivati da fuori toscana.

 

LA FILLEA arriva a questo congresso avendo rinnovato quasi interamente il gruppo dirigente. Sette dei dirigenti della Fillea che si sono misurati nel confronto con i lavoratori sui temi congressuali erano alla loro prima esperienza congressuale. Ognuno di noi ha fatto assemblee in zone sindacali diverse da quelle in cui ha iniziato l’esperienza sindacale in Fillea.

Dal congresso scorso abbiamo anche avviato un percorso di crescita dei nostri iscritti; veniamo da quattro anni di crescita significativa.

Abbiamo cambiato il Segretario Generale, il lavoro avviato da Mauro e completato nel 1999 con la sua uscita consegna alla CGIL una Fillea completamente rinnovata e molto motivata, con un livello di organizzazione e di efficienza di cui noi tutti siamo molto orgogliosi.

Abbiamo la consapevolezza delle responsabilità assegnateci e di  quanto dobbiamo ancora fare per proseguire sulla strada tracciata e soprattutto per non disperdere il patrimonio che ci è stato consegnato.

Io personalmente ringrazio oltre a Mauro e ai compagni e alle compagne che mi hanno eletto nel 1999, dei quali alcuni sono presenti, Riccardo Nencini e Marzia, e che oggi, nel suo ruolo di Assessore al Lavoro del Comune di Firenze, contribuisce con la sua azione a quelle politiche necessarie al settore, penso alla costituzione del l'Osservatorio sulla sicurezza costituito con INAIL e Azienda Sanitaria, cito quest'esempio molto significativo. 

 

Un ringraziamento personale lo rivolgo però ad un compagno che uscendo dalla Fillea,  mi ha consentito, dovendolo sostituire a Firenze, di misurarmi con dinamiche nuove e con aspetti che nella mia esperienza a Empoli conoscevo solo per sentito dire: Gianni. E’ sicuro che questa esperienza fatta a Firenze è stata decisiva nella individuazione della mia candidatura per sostituire Mauro, se sono qui oggi, se ho avuto l’onore e l’onere di fare questa relazione lo devo anche alla sua scelta.

 

Giovanni e insieme a lui altri compagni transitati dalla Fillea penso a Filippo l’ultimo, sono un esempio positivo di quanto è viva questa organizzazione, di quanto essa può costituire un contributo alla crescita individuale di ognuno tale da consentirgli di fare anche scelte importanti per la propria vita in altri campi professionali.

 

L’uscita di un compagno dall’organizzazione è come una perdita, ma niente può e deve impedire ad ognuno di provare a misurarsi con se stesso in altre occasioni che la vita offre.

 

Questo significa una volta di più che questo mestiere non può essere visto come il mestiere di tutta una vita, soprattutto quando si arriva al sindacato giovanissimi, come è capitato ad alcuni nel passato, e come può e deve capitare in futuro, pena non avere un ricambio generazionale nei quadri sindacali.


La Fillea continuerà a sperimentare, gli ultimi “progetti attivati”, vedono il coinvolgimento di una giovane ragazza che arriva direttamente dalla scuola, e un giovane laureato, fino a pochi giorni fa impiegato di una azienda edile fiorentina. Quindi figure che segnano una discontinuità rispetto al passato, ma non sono una anomalia per la Fillea fiorentina, se guardo a me stessa.

Colgo l’occasione anche per ringraziare tutte le strutture di categoria della CGIL alcune presenti con i loro segretari generali, gli uomini e le donne che le compongono per la simpatia e l’affetto che nutrono verso questo gruppo di giovani che compongono la Fillea. Come ringrazio per la fattiva collaborazione, nell’assistenza ai nostri iscritti, il Direttore dell’Inca e del centro servizi, che non hanno mai mancato di rispondere alle continue sollecitazioni dei dirigenti della Fillea, anche quando erano un po’ scomposte.

Ma il nostro peggior difetto o miglior pregio, decidete voi, è di essere molto  esigenti, prima di tutto con noi stessi ma senza mai dimenticare di esserlo anche con gli altri.

Ringrazio anche Alessio e la CGIL non per cortesia ma con sincero affetto, una CGIL che abbiamo sentito sempre vicina soprattutto nei momenti più difficili.

Questo anno che si chiuderà fra pochi giorni, è sicuramente stato l’anno che ha richiesto a noi tutti un impegno straordinario, che abbiamo affrontato con la consueta serenità e forti degli ideali che ci contraddistinguono.

Ringrazio le RSU delle aziende organizzate sindacalmente, in alcuni casi anche di piccolissime dimensioni per il contributo portato alla Fillea, per la loro capacità di confrontarsi e contrattare con le imprese. In questi anni abbiamo praticato politiche formative per aiutarli nel loro mestiere di dirigenti sindacali aziendali, ma in molti casi è stata la loro conoscenza dell’organizzazione aziendale, la loro conoscenza professionale che ha svolto il ruolo più importante nella contrattazione. Sono un patrimonio e un valore aggiunto con cui questa organizzazione si onora di collaborare, e a cui cerchiamo di dare strumenti di sostegno nella loro esperienza. Sono una ricchezza tanto più se siamo capaci, anche insieme a loro, di sperimentare e innovare. Un dato dei 108 presenti a questo congresso, includendo i funzionari che nel 1996 erano già in categoria o come delegati o come funzionari, 93 sono alla loro prima esperienza congressuale.

 

I momenti difficili e come li affrontiamo confermano che quando l’impegno e la passione per questo mestiere sono assunti come un valore forte e condiviso, quando il gruppo è capace di confrontarsi e misurarsi con esperienze e professionalità tanto diverse, quando è capace di valorizzare le competenze e le aspirazioni di ognuno anche l’organizzazione cresce e si rafforza.

 

E se l’organizzazione cresce e si rafforza  le risposte ai bisogni dei lavoratori che si rivolgono a noi possono e devono essere più alte, più puntuali e precise.

 

Oggi però dobbiamo uscire dalla nostra riserva per contaminare il mondo che ci circonda, se ci chiudiamo in noi stessi Incapaci di proteggere, difendere il nostro operato, la bontà del nostro agire, i forti vinceranno, noi rappresenteremo sempre meno lavoratori, che saranno sempre più soli, con meno diritti e abbandonati in un deserto fatto di regole non rispettate, meno democrazia, meno libertà.

Forse questo è il sogno di qualcuno. Non il mio.

 

Per questo anche il gruppo dirigente dovrà misurarsi con quelle politiche formative che rappresentano l’obbiettivo delle nostre rivendicazioni. Non c’è possibilità di crescita senza una seria preparazione generale e specifica per il lavoro da fare.

Al nostro interno la formazione dovrà servire a superare un'organizzazione del lavoro che vede la frammentazione dei compiti a ciascuno assegnati; la pratica sindacale quotidiana ed il lavoro più propriamente politico di elaborazione e analisi.

Percorsi formativi aderenti alle caratteristiche di ogni singolo, reiterabili nel tempo e pensati sulla base di un'idea di riqualificazione ed aggiornamento continuo delle risorse umane, potranno consentirci di migliorare la nostra azione sindacale e di aggiornare continuamente le competenze indispensabili nel rapporto con lavoratori e aziende.

Per fare questo dovremo pensare un'organizzazione del tempo a nostra disposizione, anche  del nostro tempo libero, che consenta di conciliare pratica sindacale, presenza sui luoghi di lavoro, formazione e aggiornamento per tutti.

Il nostro obbiettivo resta quello di sindacalizzare il numero più alto di lavoratori, con un obbiettivo in più: sindacalizzare e  portare dentro la nostra organizzazione, anche a livello dirigenziale, giovani e giovani donne, oltreché lavoratori immigrati che rappresentano una risorsa fondamentale per il settore  e allo stesso tempo  rappresentare i loro bisogni nel modo più efficace.

 

C’è da motivare tutti all’impegno e al lavoro che non manca e non mancherà. C’è da COSTRUIRE, anche e soprattutto con il vostro contributo, UNA NUOVA CIVILTA’ DEL LAVORO. COSTRUIRE UN FUTURO DI QUALITA’.

 

Chiudo con una poesia dedicata ad un uomo che ha fatto dell’impegno, della giustizia, della democrazia una ragione di vita è il mio personale augurio e ringraziamento a voi tutti.

 

Non dormirete, malvagi della spada,

corvi notturni dalle unghie insanguinate,

tristi codardi dalle ombre tristi,

violatori di morti.

 

Non dormirete.

 

Il suo nobile canto, la sua passione aperta,

la sua statura più alta delle vette,

con il libero canto del suo popolo

vi affogheranno un giorno.

 

Non dormirete.

 

Venite a vedere la sua casa assassinata,

la miseria fecale del vostro odio,

il suo immenso cuore calpestato,

la sua pura mano ferita.

 

Non dormirete.

 

Non dormirete perché nessuno dorme.

Non dormirete perché la sua luce vi acceca.

Non dormirete perché solo la morte

è la vostra vittoria.

Non dormirete mai perché siete già morti.

 

                                   A Pablo Neruda di Raphael Alberti