Care compagne e compagni, invitati e amici,

celebriamo, oggi e domani, il 6° congresso della Fillea-Cgil Brianza.

Giungiamo a questa scadenza dopo un intenso lavoro di tutta la nostra struttura, impegnata non solo nell’organizzazione e nello svolgimento dei congressi di base,ma nell’attività sindacale, che potremmo definire “quotidiana”, che ha assunto negli ultimi mesi un carattere molto intenso: chiusura  di importanti vertenze contrattuali; trattative aperte, con iniziative di lotta, in altre importanti aziende; presenza costante nei  cantieri, anche in preparazione dello sciopero provinciale a carattere nazionale che si svolgerà il 30 novembre e, da ultima, purtroppo, l’apertura di due procedure di mobilità (Tecno e Gruppo Industriale Busnelli) per circa 70 lavoratori.

Abbiamo svolto 132 assemblee congressuali di azienda, di cantiere e di zona, coinvolgendo 2.793 iscritti su 3.348 iscritti al 31/10/2001. 

Hanno espresso un voto valido 1.105 iscritti giungendo al seguente risultato:

Ø     Mozione “Diritti e Lavoro”     1.054 voti pari al 95,4%

Ø     Mozione “Cambiare Rotta”         51 voti pari al  4,6%

 

i delegati eletti al congresso territoriale della Fillea sono 70 per la prima mozione e 1 per la seconda per un totale di 71 delegati.

 

LO SCENARIO INTERNAZIONALE

 

La nostra assemblea congressuale si svolge in una situazione di grave incertezza per il futuro.

Dopo i tragici eventi dell’11 settembre, che hanno portato morte e distruzione, uccidendo migliaia di  persone innocenti in pochi attimi, in molti si sostiene che il mondo non sarà più come prima. Tra questi molti ci siamo anche noi.

Ma la domanda che nasce spontanea è la seguente: Quale mondo sarà? A questa domanda tutti noi dobbiamo sforzarci di dare una risposta, perché il futuro dipende anche da noi, dalle nostre convinzioni, dalle nostre idee, dalle nostre visioni, dalle nostre azioni.

La CGIL si è schierata subito contro il terrorismo, senza incertezze, consapevole che senza la sconfitta del terrorismo non ci potrà essere garanzia di pace e di sicurezza per i cittadini del mondo. Lo sappiamo bene noi che abbiamo vissuto anni terribili, combattendo contro un terrorismo “nostrano” che non è ancora sconfitto del tutto, ultima vittima il compagno Massimo D’Antona, uomo che lavorava per il rispetto della democrazia e dei diritti . Ma lotta al terrorismo non può voler dire guerra all’infinito, bombardamenti all’infinito. Per questo la CGIL ha chiesto con molta fermezza la cessazione dei bombardamenti per garantire gli interventi umanitari.

Non possiamo rischiare la militarizzazione della politica.

Abbiamo bisogno di più politica, quella buona, quella che attraverso rapporti diplomatici riesca a risolvere i problemi, i tanti problemi aperti.

Non abbiamo bisogno di guerre di religione di una guerra dell’Occidente contro l’Oriente ( e magari contro il sud del mondo). Il mondo occidentale è già un mondo interetnico e intereligioso: le crociate non hanno senso (se mai lo hanno avuto), perché oggi sarebbe la “guerra civile”.

Abbiamo bisogno di ripensare al nostro mondo per intero, ripensare alla globalizzazione che si è affermata in questi anni. La globalizzazione non può essere fermata, non avrebbe senso, tutti noi vogliamo viaggiare, conoscere altre culture, altri popoli, altri luoghi, scambiare le nostre merci, le nostre idee, le nostre esperienze. Ma chi viaggia oggi, chi guarda i reportages seri alla TV e non perde solo tempo a guardare il grande fratello, sa che non c’è un’equa distribuzione delle risorse, sa che c’è molta povertà, sa che 3 miliardi di persone vivono con meno di due dollari al giorno, sa che c’è molta disperazione.

Tutti noi sappiamo che molti di questi per sfuggire dalla loro situazione disperata cercano un’altra vita in altri luoghi e allora arrivano in Europa, in Italia e si adattano a fare qualsiasi lavoro, anche quelli che noi non vogliamo più fare, pur di sopravvivere e far sopravvivere le loro famiglie che si trovano nei loro Paesi.

Queste persone ci chiedono più diritti.

Ci chiedono di affrontare e risolvere questioni quali la povertà, la disuguaglianza, la violazione dei diritti umani, dei diritti di cittadinanza, dei diritti di lavoratori. Tutti noi dobbiamo essere consapevoli che, se non affrontate, queste questioni potranno generare altri lutti e spingere frange di persone verso forme di violenza o, peggio, verso quel terrorismo che vogliamo e che continueremo a combattere.

Le responsabilità non sono tutte dell’Occidente, ma si devono ricercare in quella “cultura”, purtroppo planetaria, che vede i rapporti con il mondo e con le persone solo nella logica del profitto ad ogni costo, del potere e della esaltazione del proprio narcisismo. Tanto è vero che nei paesi islamici una intera generazione, nata dopo l’indipendenza di quei paesi, una generazione massiva frutto dell’esplosione demografica e dall’esodo rurale di massa verso i grandi agglomerati urbani, è stata segnata dallo sfruttamento sociale, perché i regimi, siano essi militari -nazionalisti o monarchici, di molti di quei paesi, sono stati tutti regimi autoritari, liberticidi, caratterizzati dall’assoluto monopolio del potere politico come di quello economico, soprattutto laddove c’era una rendita petrolifera da gestire.

Se siamo consapevoli di questa realtà,  e se siamo consapevoli che la convivenza  tra culture, tradizioni, stili di vita diversi è il tratto caratterizzante del Terzo millennio, dobbiamo sforzarci tutti di cambiare registro.

Dobbiamo partire, innanzitutto, dal riconoscimento per ogni popolo senza patria di averne una. Dobbiamo dare al popolo palestinese uno Stato Palestinese accanto allo Stato Israeliano, trovando la pace per quei popoli da troppo tempo martoriati. Dobbiamo costruire un nuovo ordine planetario riconoscendo ad ogni Paese la propria dignità.

Per questo chiediamo: impegni immediati per la globalizzazione dei diritti umani e del lavoro, sociali e ambientali e per promuovere qualità ed equità dello sviluppo in tutti i Paesi; regole democratiche e trasparenti nelle istituzioni internazionali ; una Tobin Tax da usare per programmi di sviluppo sociale, per l’occupazione, l’istruzione di base e la sanità; una decisa azione contro la criminalità economica, contro i paradisi fiscali e le zone franche; promozione dei diritti universali alla salute, a partire dall’accesso reale ai prodotti medicinali fondamentali, e all’istruzione, per affrontare emergenze quali il divario digitale e il lavoro minorile.

 

LO SCENARIO ITALIANO

 

La situazione di grave incertezza per il futuro richiamata all’inizio della mia relazione non vale solo per lo scenario internazionale, ma anche per quello italiano.

In Italia non c’è più un Governo di centro-sinistra, un Governo che, al di là dei giudizi di ognuno di noi, ha permesso, grazie ad una politica di concertazione con le parti sociali su obiettivi condivisi, al nostro Paese di entrare in Europa e di concorrere così allo sviluppo del nostro Continente. Per inciso, provate a immaginare, se ascoltando i “consigli” del Governatore della Banca d’Italia, Fazio, non fossimo entrati nell’euro, quale Lira avremmo oggi nella situazione internazionale prima descritta.

Quel Governo ha portato l’inflazione ai minimi storici, cosa non di poco conto, lo sanno bene i lavoratori ; ha portato la disoccupazione sotto il 10% e avviato la riforma fiscale, attuando, a partire dal 2001, una minore pressione attraverso la modifica delle  aliquote e le detrazioni per i nuclei familiari.

 

Sicuramente bisognava fare di più a partire dagli investimenti pubblici per le grandi opere e per i settori più esposti all’innovazione tecnologica, accompagnati da forti investimenti sulla formazione.

Oggi il Governo di centro-destra, legittimamente eletto il 13 maggio 2001, dovrà fronteggiare, a differenza delle previsioni del Ministro Tremonti, una fase di rallentamento dell’economia dovuta non solo alle conseguenze dell’azione terroristica, ma anche da una situazione internazionale già percepibile prima dell’11 settembre.

La finanziaria 2002 presentata in Parlamento non è in grado di invertire questa rotta, dimostrandosi del tutto inefficace a contrastare l’attuale congiuntura. Infatti, invece di puntare al rilancio dei consumi, della ricerca, della formazione e al sostegno degli investimenti produttivi si continua con la logica della Tremonti bis che finanzia il cambio dell’automobile del datore di lavoro (non dimentichiamoci che Tremonti era, ed è, un commercialista e per lui i consumi da aumentare sono quelli dei suoi “ex” clienti) non attuando la restituzione del drenaggio fiscale (3.000 miliardi), abbandonando la riduzione prevista per le aliquote medio-basse dalla finanziaria 2001 per il prossimo anno (2.500 miliardi), rinunciando all’annullamento per il 2002 delle riduzioni dei ticket (2.200 miliardi).

Una finanziaria, perciò, iniqua oltre che inefficace.

Iniqua, perché attua, nei fatti, per la maggioranza delle famiglie italiane una maggiore pressione fiscale e concede ai ceti più ricchi, ai furbi e agli evasori i benefici: abolizione delle imposte di successione; emersione a costo zero per anni; Tremonti bis ; scudo fiscale per il rientro dei capitali ; rivalutazione dei beni aziendali.

Tale manovra non è a somma zero.  Poiché la crescita del prodotto interno lordo nelle migliori delle ipotesi non supererà il 1,5% (purtroppo) rispetto al 3% previsto con tutta probabilità si determinerà un buco (questo vero!!!) nei conti pubblici che dovrà essere colmato, dato il patto di stabilità Europeo, anche se modificabile.

Chi pagherà?

Ho l’impressione, ma credo che l’abbiate anche voi, di saperlo.

I tagli riguarderanno lo stato sociale e in primo luogo sanità e pensioni. La richiesta della delega in bianco avanzata dal Governo, per ora rinviata di un mese, evidenzia la volontà di procedere unilateralmente nella revisione strutturale della legge Dini sulle pensioni.

Il nostro sistema previdenziale è stato riformato e sta dando i vantaggi previsti, non c’è dunque nessuna ragione per mettere in discussione le condizioni fondamentali e le aspettative di milioni di persone. Semmai c’è bisogno di far decollare i Fondi Pensione dei lavoratori per poter permettere ai giovani di avere in futuro una pensione dignitosa. La politica del Governo, invece va in tutt’altra direzione con il pericolo reale di far saltare l’insieme del sistema.

Infatti, se andrà avanti l’idea che chi entrerà nel mondo del lavoro “beneficerà” (beneficeranno soprattutto le imprese) del taglio della contribuzione per avere, dicono, più spazi per la previdenza integrativa (integrativa diventerà un eufemismo) chi pagherà le pensioni in essere senza quella contribuzione che oggi le garantisce?

Se a ciò si aggiungono i provvedimenti, che il Governo intende adottare, contenuti nel Libro Bianco di Maroni il quadro si fa fosco.

Il Libro Bianco del Ministro Maroni sul “Mercato del Lavoro in Italia” ha un impianto che si regge su due idee guida: quella di “rimuovere” radicalmente il diritto del lavoro italiano in senso liberalista e quella di rispondere alle raccomandazioni dell’Europa. Il risultato è il seguente: reinvenzione dell’intero diritto del lavoro italiano attorno alla dimensione individuale del rapporto di lavoro, soddisfacendo così la Confindustria che aveva avanzato questa proposta nel convegno di Parma e concretizzando la parola d’ordine del “contratto libero” agitata dalla destra in campagna elettorale ; allontanamento dall’Europa che raccomanda di coniugare le esigenze di competitività dell’impresa e le esigenze di tutela e di stabilità in nome della salvaguardia dei diritti di chi lavora, “naturalmente” il Governo ha tenuto conto solo delle esigenze dell’impresa.

Nella prospettiva sopra richiamata, il Libro Bianco si propone la modifica della legislazione in essere a proposito di Part-Time, interinale, intermediazione di manodopera e prefigura nuovi istituti come il contratto a chiamata.

Se a ciò si aggiunge la pubblicazione del decreto n. 368/01 che ha recepito l’accordo separato sul lavoro a termine, la situazione diventa allarmante.

Ma tutto ciò non era sufficiente al Governo, pertanto nei giorni scorsi ha deciso di riscrivere l’art. 18. Tale articolo dello Statuto non si applicherebbe ai lavoratori che da contratto a termine passano a contratto indeterminato (!?), ai lavoratori che lavorano in nero (!?), alle aziende che aumentando la loro dimensione occupazionale sorpasserebbero la soglia dei 15 dipendenti (!?). Nel quadro prima descritto, ammesso che si fermino a questi tre casi, visto che Confindustria ha dichiarato la propria insoddisfazione, perché vuole tutto e subito, quali lavoratori tra, diciamo, 10 anni potrebbero usufruire dell’art. 18? La risposta la lascio a voi!

Nella sostanza con queste normative vogliono far saltare nei fatti l’intero sistema che definisce contrattualmente e legislativamente le normative del lavoro.

In questo contesto è lampante che la concertazione non è un obiettivo del Governo. Se “concertazione” è una pratica di confronti tesi a verificare il grado di condivisione di alcuni obiettivi di governo delle dinamiche economico-sociali e, conseguentemente, pattuire le azioni per perseguirli, il Governo considera definitamene conclusa quella esperienza.

Si limiterà d’ora in poi a presentare alle parti sociali le proprie ipotesi, prenderà atto di eventuali consensi e dissensi e comunque procederà ad esercitare le proprie prerogative.

Questo è “il dialogo sociale” secondo il Libro Bianco.

Pertanto si dichiara conclusa l’esperienza della “politica dei redditi”, poiché il Governo ritiene necessario finalizzare le scelte economiche e finanziarie alla “politica per la competitività” (quale?).

Noi abbiamo indicato in questi mesi al Governo una strada diversa, quella dell’innovazione, della qualità, quella che stimola ricerca, formazione, che valorizza le persone, che da certezza e che attraverso la stabilità e la sicurezza produce occasioni di crescita per il Paese. Altro che respingere le loro opinioni e basta!

Davanti a questa realtà come è possibile non ritrovare l’unità sindacale, non riuscire a costruire una piattaforma comune e  farla vivere tra i lavoratori, i giovani, che saranno i più colpiti, perché la flessibilità tanto decantata (e noi quella “buona” l’abbiamo praticata: politica degli orari, turnazioni, organizzazione del lavoro) si sta rivelando per quello che loro realmente intendono: precarietà ?

Io spero che dall’incontro di oggi con il Governo scaturiscano novità positive, ma se queste novità fossero solo di facciata o, peggio, non ci fossero allora mi auguro che il movimento sindacale tutto trovi la forza per una risposta adeguata.

 

SETTORE EDILE

 Nella sua relazione al 5° congresso della Fillea tenutosi nel maggio del 1996 il compagno Lino Martin descriveva e denunciava una situazione preoccupante: la crisi nel settore dovuta alla stagione di “tangentopoli” (91-95)… la macchinosità della Pubblica Amministrazione …..il sistema degli appalti inefficiente e non trasparente…. strumenti di governo del mercato del lavoro inidonei ad affrontare una situazione di precarizzazione dei rapporti di lavoro che ha pochi precedenti conosciuti…. l’aumento del lavoro sommerso e irregolare…. il massimo ribasso nelle gare di appalto come esclusivo strumento di concorrenza fra le imprese…

Concludendo: “il prezzo di questa situazione viene pagato esclusivamente dai lavoratori in termini di insicurezza del posto di lavoro e di “sicurezza” “.

Cosa è cambiato in questi lunghi 5 anni? Si potrebbe dire nulla, ma non è così.

Il settore edile oggi è caratterizzato da moltissime piccole e piccolissime imprese.

Si è creato un nuovo fenomeno di “divisione del lavoro”: molte aziende con pochissimi dipendenti si “specializzano” nell’acquisizione degli appalti, nella gestione finanziaria, amministrativa e gestionale, subappaltando ( ma è improprio usare questo termine) tutte le lavorazioni a società che forniscono solo mano d’opera più o meno specializzata e/o a piccoli artigiani, innescando la spirale negativa delle irregolarità.

La dimensione di impresa non è un dato puramente organizzativo o marginale, ma il vero problema di un settore che in una fase di forte crescita quantitativa,  qui sta la novità rispetto al 1996, (+ 2,8% nel 1999 +3,6% nel 2000 e previsione di un + 2,6% nel 2001) avrebbe bisogno di strutturarsi e di consolidarsi per reggere alla concorrenza internazionale che non tarderà ad intervenire anche nel nostro Paese.

Due dati. Nella provincia di Milano le imprese con più di 100 operai nel 1996 erano 21 oggi solamente 9; i lavoratori autonomi “regolari”,  cioè con una posizione registrata, sono pari ai lavoratori iscritti alla cassa Edile, che peraltro denunciano una media settimanale di 24 ore. A questi numeri vanno aggiunti i lavoratori in nero, a cui non riusciamo a dare un numero e dobbiamo attenerci ai dati ISTAT che stimano il lavoro nero nell’Italia del Nord attorno al 24% dei lavoratori occupati.

Se i dati rimarranno questi sarà molto difficile vincere la sfida  che abbiamo lanciato come CGIL che va sotto il nome “Cantiere qualità”.

Il lavoro è cresciuto quantitativamente, ma riproducendo le contraddizioni e storture esistenti. Cresce il lavoro, ma cresce nelle forze  più destrutturate e in un diverso equilibrio tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, dove per autonomo non va intesa una prevalenza di specializzazione, quindi lavoro qualificato, bensì, come abbiamo detto, esternalizzazione sempre più selvaggia di mansioni e funzioni. Questo spinge a forme di impresa individuale (il 64% delle imprese, dato nazionale), operando prevalentemente in un ambito comunale (il 97% delle imprese, dato nazionale). L’impresa italiana del settore rischia di non andare da nessuna parte e di rimanere schiacciata dalle nuove sfide competitive che il decollo dell’Unione Europea renderà inevitabili.

Tutto ciò porta a ridurre drasticamente gli spazi di un lavoro in sicurezza, di un lavoro professionalmente qualificato, di un lavoro che possa attrarre i giovani, di un lavoro che riesca a integrare professionalmente e socialmente un lavoratore extracomunitario. L’impresa tutta tesa alla ricerca della riduzione dei costi e schiacciata dalla propria dimensione non investe e non interviene più sulla formazione (basterebbe analizzare i dati della Scuola Edile Milanese), sulla sicurezza o per migliorare le condizioni di vita nel cantiere. Questa realtà la riscontriamo tutti i giorni nei nostri cantieri in Brianza.

La Brianza negli ultimi 5 anni non ha avuto la presenza di grandi appalti pubblici con concentrazioni rilevanti di lavoratori,  ma gli appalti più importanti sono stati quelli che hanno evidenziato i problemi maggiori d’irregolarità, di violazione delle norme di sicurezza e di presenza di lavoro irregolare.

Il sindacato, e la Fillea con molta convinzione, si è impegnato a fondo per contrastare i fenomeni negativi degli infortuni, convinti, così facendo, che oltre a incoraggiare le imprese serie, di tutelare gli interessi non sono dei lavoratori, ma dei cittadini che sono interessati alla qualità delle opere, ai tempi di consegna e alla certezza dei costi.

Proprio in questa ottica abbiamo sottoscritto e gestito l’accordo con il comune di Monza, il primo a livello nazionale, che ha permesso a tutte le organizzazioni di sperimentare un ruolo nuovo, con la possibilità di intervenire direttamente nei cantieri pubblici e negli uffici comunali per esaminare tutte le fasi dell’appalto e verificarlo.

Nei tre anni sono stati verificati 34 cantieri pubblici, 3 di questi, i più grandi, sono stati trovati irregolari: il cantiere del palazzetto dello sport (segnalato alla magistratura per irregolarità nelle procedure di appalto); il cantiere del sottopasso (appalto revocato per irregolarità dell’impresa); cantiere centro natatorio (accertamento in corso).

Nelle responsabilità individuate sono direttamente coinvolti oltre alle imprese anche i direttori dei lavori per mancati controlli e lo stesso Comune che ha commesso violazioni nelle procedure di affidamento dei lavori. Aspettiamo pazientemente l’esito delle indagini.

Altri comuni hanno firmato accordi quadro con le Confederazioni che devono essere “riempiti” con i sindacati di settore.

Tra questi, il Comune di Agrate Brianza ha recentemente firmato un accordo sulla sicurezza e il controllo dei cantieri.

Purtroppo l’attività sempre crescente  non ha migliorato la situazione del settore sul primo dei problemi: la sicurezza.

Gli infortuni sono sempre in crescita:

1999          738   infortuni

2000          815   infortuni

maggio 2001 344 infortuni di cui 4 mortali.

In un caso di infortunio  mortale, che ha visto la morte di Gomez Munoz Segundo Mariano, lavoratore 38enne dell’Ecuador, clandestino, morto in cantiere, ritrovato sulla strada per simulare un incidente stradale (a tanto siamo arrivati!!!), la Fillea, in concerto con Filca, Feneal e Cgil-Cisl-Uil, sta tentando la strada della costituzione di parte civile nel processo che si dovrà celebrare, cercando di aprire una nuova frontiera di iniziative per tutelare la dignità dei lavoratori.

Tutto ciò ci riporta alla nostra riflessione iniziale: se non riusciremo a riportare ad un logica di vera impresa l’insieme del settore, il drammatico e inaccettabile fenomeno degli infortuni  difficilmente troverà soluzione.

Noi continueremo a denunciare, a scioperare come abbiamo fatto il 23 ottobre, a sollecitare ASL, INPS, INAIL, Comuni, Magistratura a fare la loro parte, consapevoli,  anche questo è un altro terreno di contrasto con il Governo, che le ultime misure inserite nell’ormai famoso Libro Bianco di Maroni tutte tese alla depenalizzazione e agli sconti delle ammende pecuniarie, non ci aiuteranno nella nostra iniziativa.

Per tutto questo è necessario che lo sciopero di 8 ore di venerdì 30 novembre veda la partecipazione di tutti i lavoratori edili della nostra provincia.

Uno sciopero che deve rivendicare con forza la contrattazione provinciale oggi negata, in quanto non viene fissato il tetto a livello nazionale, spingendo così a far coincidere il rinnovo dei contratti provinciali con il rinnovo del 2° biennio economico, nell’aspirazione di ANCE di far saltare, nei fatti, un livello di contrattazione, facendo da apripista a Confindustria nella strategia, nefasta, dell’abolizione del contratto nazionale.

 

SETTORE LEGNO-ARREDO

Il settore legno –arredo è contrassegnato da una crescente dinamicità a livello mondiale per la forte concorrenza che si sta determinando tra i vari Paesi produttori, basti pensare al peso crescente della Cina o di altri Paesi extraeuropei.

L’Europa detiene con 79,4 miliardi di euro il 42% della produzione mondiale, ma, per la prima volta, nel 1999 ha registrato una passività negli scambi pari a 142 milioni di euro, salita a 600 milioni di euro nel 2000. Anno che si è caratterizzato in Italia come un anno positivo dopo anni di situazioni altalenanti e molto differenziate tra comparto e comparto, tra territorio e territorio.

Nel 2001 ad un avvio positivo registrato nel 1° semestre, bisogna annotare una flessione in questi mesi del 2° semestre. Credo che i tragici eventi dell’11 settembre stiano, anche nel nostro settore, producendo un rallentamento sia nelle esportazioni che nei consumi interni.

Dicevo della forte dinamicità del mercato mondiale.

L’Italia detiene circa il 7% del mercato europeo.

Negli anni passati gli aumenti di produzione e di fatturato del mobile italiano sono derivati in buona misura dalla penetrazione negli USA, ma già nel 2000 l’export italiano ha subito una pesante flessione in quel mercato, soprattutto nelle fasce superiori a favore della Cina che costante nella quantità ha avuto in quell’anno una forte impennata.

Ciò dimostra che tutti i Paesi produttori oggi si muovono su tutto lo scacchiere mondiale alla ricerca di un mercato, spesso di nicchia, per collocare le proprie produzioni, allargando la loro presenza in alcuni Paesi per compensare la perdita o la riduzione di presenza in altri.

L’esempio più concreto nel nostro territorio è rappresentato dalla Cassina che ha raggiunto una presenza in 50 Paesi al mondo esportando l’85% della propria produzione (sarebbe interessante, ma il dato non è a nostra disposizione, sapere quale di questi Paesi sono saliti e quali scesi nella classifica dell’esportazioni di quell’azienda).

Se a questo aggiungiamo che le nostre produzioni hanno subito negli anni forti trasformazioni dovute anche all’emancipazione dei Paesi fornitori di materie prime che hanno consolidato ciò che avevano iniziato 10/15 anni fa, cioè l’esportazione (basti pensare che il 60% delle importazioni italiane è rappresentato da legname grezzo, legname semilavorato e prodotti semifiniti in legno) non solo della materia prima, ma anche di semilavorati, ci rendiamo conto che il peso specifico di ogni singolo comparto cambia e assume connotazioni diverse.

La Brianza si è sempre contraddistinta, a differenza di altri territori, per la presenza nel suo territorio di quasi tutte, per non dire tutte, le produzioni del settore legno-arredo. Questo territorio vede la presenza di aziende importanti, e di moltissime piccole e piccolissime aziende, nel comparto dell’imbottito, in quello dell’arredo, delle cucine, dei mobili per ufficio…… che hanno configurato un settore ricco di competenze diffuse estremamente flessibile, anche perché la presenza di quasi tutti gli altri settori (metalmeccanico, chimico, tessile…) accresceva la creatività, potendo disporre di materiali diversi da poter combinare.

Ma questa situazione, più unica che rara, rischia di deteriorarsi irreparabilmente sotto la spinta della concorrenza competitiva internazionale che richiede forti investimenti e grande innovazione tecnologica. Anche qui, come nel settore edile, la dimensione d’impresa gioca un ruolo determinante: non si possono fare forti investimenti se l’entità rimane molto ridotta.

Sono anni che denunciamo l’incongruenza del sistema brianzolo, con aziende tutte tese a preservare il proprio orticello invece di costruire una strategia comune che faccia leva proprio  su quella rete già esistente, ma che non comunica in modo sinergico e coordinato.

Ho l’impressione che i nodi arriveranno presto al pettine, così come si è sforzata, e di questo va dato atto, di evidenziare la stessa Federlegno nel convegno di  Cernobbio dedicato alla Brianza. Non sarà un collasso, ma una lenta e dolorosa agonia dalla quale si salveranno, ce lo auguriamo, le poche aziende che hanno compreso che se non si cambia non c’è futuro.

Io spero fortissimamente di sbagliarmi, ma ormai sono anni che verifichiamo questa tendenza: il peso specifico della Brianza diminuisce a vantaggio di altre aree (Veneto – Marche), l’occupazione negli ultimi 15 anni è diminuita del 38 % circa, alcune aziende chiudono (2001: Medaspan, Simpres), altre continuano a ridimensionarsi (Tecno, Gruppo Industriale Busnelli, Motta Tranciati Legno…).

Abbiamo sperato che il distretto industriale svolgesse un ruolo propositivo nella soluzione dei problemi prima descritti, raggruppando al suo interno tutti i soggetti interessati: associazioni imprenditoriali, Organizzazioni Sindacali, Comuni, Enti di Promozione e di Formazione, ma abbiamo dovuto constatare che si trattava semplicemente di un ufficio istruttorie della Regione decentrato sul territorio per finanziare progetti di “qualsiasi” natura senza un minimo di indirizzo.

Che fare?

Noi continueremo a batterci perché si comprenda che solo una qualificazione seria delle imprese all’interno di una rete annodata e comunicante potrà portare questo territorio ad una evoluzione positiva, chiamando tutti i soggetti a fare la loro parte. Tenteremo di rivitalizzare il distretto industriale cercando di modificarne radicalmente il suo funzionamento, collegandolo ad altri soggetti pubblici e privati operanti nel territorio.

 

LA CONTRATTAZIONE

Dopo due tornate di contrattazione aziendale non possiamo che trarre un bilancio compiuto sulla applicazione dell’accordo del luglio 1993 e delle norme contrattuali in materia.

Dobbiamo constatare che la contrattazione aziendale siamo riuscita a svolgerla, tra molte difficoltà, nelle aziende più importanti, per numero di addetti, e solo in pochissime aziende minori, ma che rappresentano il 2/3 degli addetti del settore a cui viene applicato il contratto legno industria, o piccola industria (in cartelletta trovate i dati).

Questo dato, purtroppo, non riguarda solo la Brianza, ma l’insieme del territorio nazionale, fatta, forse, qualche eccezione.

La frammentazione estrema del nostro settore in aziende piccole  e piccolissime non permette l’applicazione “corretta” dell’accordo del luglio 1993, per l’assenza di dati su cui costruire il Premio di Risultato.

E’ anche per questo motivo che difendiamo con forza il contratto nazionale, convinti che una sua eliminazione, magari per sostituirlo con contratti territoriali o, peggio, solo con contratti aziendali, non darebbe più forza a questi lavoratori.

Ma un cambiamento è necessario.

Qui vorrei avanzare una proposta, in estrema sintesi, e tutta da discutere: utilizzare la produttività media di settore  che si registra a livello nazionale, in parte, all’interno del rinnovo del contratto nazionale, in parte come indice da esigere nelle aziende dove la contrattazione, diciamo classica, non si attiva per mancanza di dati certi.

Credo che, al di là della proposta avanzata, una riflessione si impone e il dibattito congressuale e post congressuale debba avviarla.

Dicevo della contrattazione svolta nelle aziende più significative.

Dobbiamo subito dire che è stata una buona contrattazione, anche se non tutti gli obiettivi che ci eravamo prefissi sono stati raggiunti.

Fillea-Filca e Feneal della Brianza si erano preparate  a questo appuntamento con grande serietà e voglia di innovare. Si era giunti all’elaborazione di un documento che riprendendo le linee guida nazionali, le rielaborava, sulla base delle nostre esigenze, e in parte le ampliava.

Quel documento cercava di aiutare a costruire piattaforme e, successivamente, accordi che innovassero la contrattazione sul nostro territorio, sia sul versante degli indici per la determinazione del Premio di Risultato (con l’idea di un mix tra produttività, quantità e redditività), sia sul versante dei diritti dei lavoratori: formazione, riqualificazione, sicurezza, orario di lavoro, carenza malattia.

Non siamo riusciti del tutto nell’intento, soprattutto per quanto riguarda il mix del Premio di Risultato, che a nostro avviso dava la possibilità di leggere l’insieme dell’andamento aziendale. C’è stato un rifiuto, salvo pochissime eccezioni, da parte delle Aziende, congiuntamente all’Associazione degli Industriali di Monza e Brianza, di prendere in considerazione gli elementi legati alla redditività. Per noi atteggiamento incomprensibile visto che da anni unitariamente analizziamo i bilanci di una cinquantina di aziende e ne conosciamo i loro andamenti.

Sul versante dei diritti dobbiamo registrare, purtroppo, il rifiuto da parte dell’AIMB di firmare accordi, poi firmati in sede aziendale, riguardanti innovazioni per quanto riguarda la sicurezza, nello specifico le due ore di formazione per i neo assunti il primo giorno di lavoro. Anche questo incomprensibile, se poi si dice nei convegni che la sicurezza è una priorità per le aziende.

Ci sarebbe un’ultima cosa da aggiungere che riguarda l’uso improprio degli orari di lavoro, ma su questo dovremo sviluppare una attenta riflessione e una iniziativa di denuncia non solo politica, ma anche formale.

 

Per quanto riguarda i rinnovi dei contratti nazionali auspichiamo, ma faremo di tutto perché ciò accada, una conclusione positiva come già avvenuto nel settore lapidei e inerti e nel settore cemento.

 

LA FILLEA

Primo obiettivo che ci siamo posti per dare voce e forza ai lavoratori e agli iscritti è stato quello del rafforzamento delle R.S.U., convinti che senza questa rappresentanza diretta dei lavoratori è il sindacato stesso a cambiare natura.

Questo pericolo è già presente nel settore dell’edilizia dove a causa della fortissima frammentazione delle imprese, come già richiamato, vengono meno, oggettivamente, le condizioni per l’elezione delle R.S.U.    , creando non poche difficoltà nella tutela quotidiana dei diritti dei lavoratori.

Per rafforzare le R.S.U. abbiamo organizzato una formazione mirata agli obiettivi della stagione sindacale, a partire da quelli legati alla contrattazione aziendale e alla gestione delle norme contrattuali e di legge relative ai diritti dei lavoratori.

Abbiamo avuto momenti alti di formazione relativi alla comprensione dei bilanci aziendali, ricercando indici utili a determinare la reale “ricchezza” dell’azienda.

Tale lavoro è stato utilissimo, al di là dell’inserimento o meno all’interno dei contratti aziendali di indici di bilancio.

Sul versante dei diritti, oltre alla formazione legata alla gestione dei contratti, abbiamo approfondito la legge 8 Marzo 2000 n. 53 sui congedi parentali, novità importantissima di questi anni, perché cerca di venire incontro alle esigenze dei lavoratori in momenti “particolari della vita”, che sono sempre più frequenti.

La strada della formazione è una strada che percorreremo continuamente, permessi sindacali permettendo, nella prospettiva di una crescita complessiva dell’organizzazione.

Per quanto riguarda il tesseramento dobbiamo constatare che la nostra forza organizzativa (i dati sono in cartelletta) negli ultimi 5 anni si è mantenuta costante, ma ha subito una inversione nei valori di settore, confermando ciò che ci siamo sforzati di dire.

Il settore legno nel 1997 contava 1.737 iscritti, nel 2000 1.442 con una perdita media di 100 iscritti ogni anno. Tale perdita  è stata compensata dal settore edile che ha raggiunto, nel 2000, 1.924 iscritti.

Un fatto storico per la Brianza, dove il settore legno ha sempre avuto la prevalenza.

Abbiamo cercato, e stiamo cercando, investendo risorse economiche e umane, grazie alla sensibilità della nostra struttura regionale e della C.d L.T., di allargare la nostra presenza in entrambi i settori, ma, lo sanno bene i compagni impegnati sui progetti specifici, quanto questo sia difficile e complicato.

Continueremo con perseveranza, perché siamo convinti che è nostro dovere cercare di tutelare tutti i lavoratori, e l’adesione al sindacato è la prima forma di tutela.

 

L’UNITA’ SINDACALE

Sappiamo bene tutti che la condizione migliore per difendere i diritti dei lavoratori, su ciò non possiamo avere dubbi, è quella dell’unità, ma perché quella condizione si realizzi il merito è importantissimo.

L’unità è fatta di mediazione, di accostamento progressivo e paziente di opinioni diverse, ma poi vive se c’è una regola (non è così anche per la vita interna di ogni singola organizzazione?) che consente ai lavoratori di decidere quando le loro organizzazioni sono divise e non sono in grado di assumere orientamenti comuni.

Questa regola dobbiamo costruirla, è un bene per tutti noi, per la vita democratica, per i lavoratori.

In Brianza abbiamo cercato, anche in questi momenti difficili, di rimanere al merito. Ritengo che sulle cose più importanti, nonostante tutto, ci siamo riusciti. Infatti abbiamo condotto una stagione di contrattazione aziendale in modo unitario e ci siamo spesi unitariamente sui temi drammatici  della sicurezza .

Dichiariamo da questo congresso tutta la nostra disponibilità a ricercare regole più avanzate che ci permettano di lavorare tutti con maggiore serenità, nell’interesse dei lavoratori.

 

Care compagne e compagni, invitati e amici vorrei concludere questa mia non esaustiva relazione con la stessa citazione usata dal compagno e amico Antonio Serina nel suo recente congresso.

 

Il solo fatto di sognare è già importante. Vi auguro sogni a non finire e la voglia furiosa di realizzarne qualcuno” (Jeaques Brèl).

 

Noi abbiamo un sogno :

 

LAVORO…DIRITTI…. UN MONDO DI PACE.

CONVINTI CHE SOLO CON IL LAVORO E IL RISPETTO DEI DIRITTI DI TUTTI I CITTADINI E POPOLI POTREMO COSTRUIRE VERAMENTE UN MONDO DI PACE.

E’ UN SOGNO ANTICO, MA ANCORA OGGI, PURTROPPO, ATTUALISSIMO.

“ABBIAMO UNA VOGLIA FURIOSA DI REALIZZARLO !!!”.