Care compagne e compagni, invitati e amici,
celebriamo, oggi e domani, il 6° congresso della Fillea-Cgil
Brianza.
Giungiamo a questa scadenza dopo un intenso lavoro di tutta
la nostra struttura, impegnata non solo nell’organizzazione e nello svolgimento
dei congressi di base,ma nell’attività sindacale, che potremmo definire
“quotidiana”, che ha assunto negli ultimi mesi un carattere molto intenso:
chiusura di importanti vertenze
contrattuali; trattative aperte, con iniziative di lotta, in altre importanti
aziende; presenza costante nei
cantieri, anche in preparazione dello sciopero provinciale a carattere
nazionale che si svolgerà il 30 novembre e, da ultima, purtroppo, l’apertura di
due procedure di mobilità (Tecno e Gruppo Industriale Busnelli) per circa 70
lavoratori.
Abbiamo svolto 132 assemblee congressuali di azienda, di
cantiere e di zona, coinvolgendo 2.793 iscritti su 3.348 iscritti al
31/10/2001.
Hanno espresso un voto valido 1.105 iscritti giungendo al
seguente risultato:
Ø Mozione “Diritti e Lavoro”
1.054 voti pari al 95,4%
Ø Mozione “Cambiare Rotta” 51 voti pari al 4,6%
i delegati eletti al congresso territoriale della Fillea sono 70 per la prima mozione e 1 per la seconda per un totale di 71 delegati.
La nostra assemblea congressuale si svolge in una situazione di grave incertezza per il futuro.
Dopo i tragici eventi dell’11 settembre, che hanno portato
morte e distruzione, uccidendo migliaia di
persone innocenti in pochi attimi, in molti si sostiene che il mondo non
sarà più come prima. Tra questi molti ci siamo anche noi.
Ma la domanda che nasce spontanea è la seguente: Quale mondo
sarà? A questa domanda tutti noi dobbiamo sforzarci di dare una risposta,
perché il futuro dipende anche da noi, dalle nostre convinzioni, dalle nostre
idee, dalle nostre visioni, dalle nostre azioni.
La CGIL si è schierata subito contro il terrorismo, senza
incertezze, consapevole che senza la sconfitta del terrorismo non ci potrà
essere garanzia di pace e di sicurezza per i cittadini del mondo. Lo sappiamo
bene noi che abbiamo vissuto anni terribili, combattendo contro un terrorismo
“nostrano” che non è ancora sconfitto del tutto, ultima vittima il compagno
Massimo D’Antona, uomo che lavorava per il rispetto della democrazia e dei
diritti . Ma lotta al terrorismo non può voler dire guerra all’infinito,
bombardamenti all’infinito. Per questo la CGIL ha chiesto con molta fermezza la
cessazione dei bombardamenti per garantire gli interventi umanitari.
Non possiamo rischiare la militarizzazione della politica.
Abbiamo bisogno di più politica, quella buona, quella che
attraverso rapporti diplomatici riesca a risolvere i problemi, i tanti problemi
aperti.
Non abbiamo bisogno di guerre di religione di una guerra
dell’Occidente contro l’Oriente ( e magari contro il sud del mondo). Il mondo
occidentale è già un mondo interetnico e intereligioso: le crociate non hanno
senso (se mai lo hanno avuto), perché oggi sarebbe la “guerra civile”.
Abbiamo bisogno di ripensare al nostro mondo per intero,
ripensare alla globalizzazione che si è affermata in questi anni. La
globalizzazione non può essere fermata, non avrebbe senso, tutti noi vogliamo
viaggiare, conoscere altre culture, altri popoli, altri luoghi, scambiare le
nostre merci, le nostre idee, le nostre esperienze. Ma chi viaggia oggi, chi
guarda i reportages seri alla TV e non perde solo tempo a guardare il grande
fratello, sa che non c’è un’equa distribuzione delle risorse, sa che c’è molta
povertà, sa che 3 miliardi di persone vivono con meno di due dollari al giorno,
sa che c’è molta disperazione.
Tutti noi sappiamo che molti di questi per sfuggire dalla
loro situazione disperata cercano un’altra vita in altri luoghi e allora
arrivano in Europa, in Italia e si adattano a fare qualsiasi lavoro, anche
quelli che noi non vogliamo più fare, pur di sopravvivere e far sopravvivere le
loro famiglie che si trovano nei loro Paesi.
Queste persone ci chiedono più diritti.
Ci chiedono di affrontare e risolvere questioni quali la
povertà, la disuguaglianza, la violazione dei diritti umani, dei diritti di
cittadinanza, dei diritti di lavoratori. Tutti noi dobbiamo essere consapevoli
che, se non affrontate, queste questioni potranno generare altri lutti e
spingere frange di persone verso forme di violenza o, peggio, verso quel
terrorismo che vogliamo e che continueremo a combattere.
Le responsabilità non sono tutte dell’Occidente, ma si
devono ricercare in quella “cultura”, purtroppo planetaria, che vede i rapporti
con il mondo e con le persone solo nella logica del profitto ad ogni costo, del
potere e della esaltazione del proprio narcisismo. Tanto è vero che nei paesi
islamici una intera generazione, nata dopo l’indipendenza di quei paesi, una
generazione massiva frutto dell’esplosione demografica e dall’esodo rurale di
massa verso i grandi agglomerati urbani, è stata segnata dallo sfruttamento
sociale, perché i regimi, siano essi militari -nazionalisti o monarchici, di
molti di quei paesi, sono stati tutti regimi autoritari, liberticidi,
caratterizzati dall’assoluto monopolio del potere politico come di quello
economico, soprattutto laddove c’era una rendita petrolifera da gestire.
Se siamo consapevoli di questa realtà, e se siamo consapevoli che la
convivenza tra culture, tradizioni,
stili di vita diversi è il tratto caratterizzante del Terzo millennio, dobbiamo
sforzarci tutti di cambiare registro.
Dobbiamo partire, innanzitutto, dal riconoscimento per ogni popolo senza patria di averne una. Dobbiamo dare al popolo palestinese uno Stato Palestinese accanto allo Stato Israeliano, trovando la pace per quei popoli da troppo tempo martoriati. Dobbiamo costruire un nuovo ordine planetario riconoscendo ad ogni Paese la propria dignità.
Per questo chiediamo: impegni
immediati per la globalizzazione dei diritti umani e del lavoro, sociali e
ambientali e per promuovere qualità ed equità dello sviluppo in tutti i Paesi;
regole democratiche e trasparenti nelle istituzioni internazionali ; una Tobin
Tax da usare per programmi di sviluppo sociale, per l’occupazione, l’istruzione
di base e la sanità; una decisa azione contro la criminalità economica, contro
i paradisi fiscali e le zone franche; promozione
dei diritti universali alla salute, a partire dall’accesso reale ai prodotti
medicinali fondamentali, e all’istruzione, per affrontare emergenze quali il
divario digitale e il lavoro minorile.
La situazione di grave incertezza per il futuro richiamata
all’inizio della mia relazione non vale solo per lo scenario internazionale, ma
anche per quello italiano.
In Italia non c’è più un Governo di centro-sinistra, un
Governo che, al di là dei giudizi di ognuno di noi, ha permesso, grazie ad una
politica di concertazione con le parti sociali su obiettivi condivisi, al
nostro Paese di entrare in Europa e di concorrere così allo sviluppo del nostro
Continente. Per inciso, provate a immaginare, se ascoltando i “consigli” del
Governatore della Banca d’Italia, Fazio, non fossimo entrati nell’euro, quale
Lira avremmo oggi nella situazione internazionale prima descritta.
Quel Governo ha portato l’inflazione ai minimi storici, cosa
non di poco conto, lo sanno bene i lavoratori ; ha portato la disoccupazione
sotto il 10% e avviato la riforma fiscale, attuando, a partire dal 2001, una
minore pressione attraverso la modifica delle
aliquote e le detrazioni per i nuclei familiari.
Sicuramente bisognava fare di più a partire dagli
investimenti pubblici per le grandi opere e per i settori più esposti
all’innovazione tecnologica, accompagnati da forti investimenti sulla formazione.
Oggi il Governo di centro-destra, legittimamente eletto il
13 maggio 2001, dovrà fronteggiare, a differenza delle previsioni del Ministro
Tremonti, una fase di rallentamento dell’economia dovuta non solo alle
conseguenze dell’azione terroristica, ma anche da una situazione internazionale
già percepibile prima dell’11 settembre.
La finanziaria 2002 presentata in Parlamento non è in grado
di invertire questa rotta, dimostrandosi del tutto inefficace a contrastare
l’attuale congiuntura. Infatti, invece di puntare al rilancio dei consumi,
della ricerca, della formazione e al sostegno degli investimenti produttivi si
continua con la logica della Tremonti bis che finanzia il cambio
dell’automobile del datore di lavoro (non dimentichiamoci che Tremonti era, ed
è, un commercialista e per lui i consumi da aumentare sono quelli dei suoi “ex”
clienti) non attuando la restituzione del drenaggio fiscale (3.000 miliardi),
abbandonando la riduzione prevista per le aliquote medio-basse dalla
finanziaria 2001 per il prossimo anno (2.500 miliardi), rinunciando
all’annullamento per il 2002 delle riduzioni dei ticket (2.200 miliardi).
Una finanziaria, perciò, iniqua oltre che inefficace.
Iniqua, perché attua, nei fatti, per la maggioranza delle
famiglie italiane una maggiore pressione fiscale e concede ai ceti più ricchi,
ai furbi e agli evasori i benefici: abolizione delle imposte di successione;
emersione a costo zero per anni; Tremonti bis ; scudo fiscale per il rientro
dei capitali ; rivalutazione dei beni aziendali.
Tale manovra non è a somma zero. Poiché la crescita del prodotto interno lordo nelle migliori
delle ipotesi non supererà il 1,5% (purtroppo) rispetto al 3% previsto con
tutta probabilità si determinerà un buco (questo vero!!!) nei conti pubblici
che dovrà essere colmato, dato il patto di stabilità Europeo, anche se
modificabile.
Chi pagherà?
Ho l’impressione, ma credo che l’abbiate anche voi, di
saperlo.
I tagli riguarderanno lo stato sociale e in primo luogo
sanità e pensioni. La richiesta della delega in bianco avanzata dal Governo,
per ora rinviata di un mese, evidenzia la volontà di procedere unilateralmente
nella revisione strutturale della legge Dini sulle pensioni.
Il nostro sistema previdenziale è stato riformato e sta
dando i vantaggi previsti, non c’è dunque nessuna ragione per mettere in
discussione le condizioni fondamentali e le aspettative di milioni di persone.
Semmai c’è bisogno di far decollare i Fondi Pensione dei lavoratori per poter
permettere ai giovani di avere in futuro una pensione dignitosa. La politica
del Governo, invece va in tutt’altra direzione con il pericolo reale di far
saltare l’insieme del sistema.
Infatti, se andrà avanti l’idea che chi entrerà nel mondo
del lavoro “beneficerà” (beneficeranno soprattutto le imprese) del taglio della
contribuzione per avere, dicono, più spazi per la previdenza integrativa
(integrativa diventerà un eufemismo) chi pagherà le pensioni in essere senza
quella contribuzione che oggi le garantisce?
Se a ciò si aggiungono i provvedimenti, che il Governo
intende adottare, contenuti nel Libro Bianco di Maroni il quadro si fa fosco.
Il Libro Bianco del Ministro Maroni sul “Mercato del Lavoro
in Italia” ha un impianto che si regge su due idee guida: quella di “rimuovere”
radicalmente il diritto del lavoro italiano in senso liberalista e quella di
rispondere alle raccomandazioni dell’Europa. Il risultato è il seguente:
reinvenzione dell’intero diritto del lavoro italiano attorno alla dimensione
individuale del rapporto di lavoro, soddisfacendo così la Confindustria che
aveva avanzato questa proposta nel convegno di Parma e concretizzando la parola
d’ordine del “contratto libero” agitata dalla destra in campagna elettorale ;
allontanamento dall’Europa che raccomanda di coniugare le esigenze di competitività
dell’impresa e le esigenze di tutela e di stabilità in nome della salvaguardia
dei diritti di chi lavora, “naturalmente” il Governo ha tenuto conto solo delle
esigenze dell’impresa.
Nella prospettiva sopra richiamata, il Libro Bianco si
propone la modifica della legislazione in essere a proposito di Part-Time,
interinale, intermediazione di manodopera e prefigura nuovi istituti come il
contratto a chiamata.
Se a ciò si aggiunge la pubblicazione del decreto n. 368/01
che ha recepito l’accordo separato sul lavoro a termine, la situazione diventa
allarmante.
Ma tutto ciò non era sufficiente al Governo, pertanto nei
giorni scorsi ha deciso di riscrivere l’art. 18. Tale articolo dello Statuto
non si applicherebbe ai lavoratori che da contratto a termine passano a
contratto indeterminato (!?), ai lavoratori che lavorano in nero (!?), alle
aziende che aumentando la loro dimensione occupazionale sorpasserebbero la
soglia dei 15 dipendenti (!?). Nel quadro prima descritto, ammesso che si
fermino a questi tre casi, visto che Confindustria ha dichiarato la propria
insoddisfazione, perché vuole tutto e subito, quali lavoratori tra, diciamo, 10
anni potrebbero usufruire dell’art. 18? La risposta la lascio a voi!
Nella sostanza con queste normative vogliono far saltare nei
fatti l’intero sistema che definisce contrattualmente e legislativamente le
normative del lavoro.
In questo contesto è lampante che la concertazione non è un
obiettivo del Governo. Se “concertazione” è una pratica di confronti tesi a
verificare il grado di condivisione di alcuni obiettivi di governo delle
dinamiche economico-sociali e, conseguentemente, pattuire le azioni per
perseguirli, il Governo considera definitamene conclusa quella esperienza.
Si limiterà d’ora in poi a presentare alle parti sociali le
proprie ipotesi, prenderà atto di eventuali consensi e dissensi e comunque
procederà ad esercitare le proprie prerogative.
Questo è “il dialogo sociale” secondo il Libro Bianco.
Pertanto si dichiara conclusa l’esperienza della “politica
dei redditi”, poiché il Governo ritiene necessario finalizzare le scelte
economiche e finanziarie alla “politica per la competitività” (quale?).
Noi abbiamo indicato in questi mesi al Governo una strada
diversa, quella dell’innovazione, della qualità, quella che stimola ricerca,
formazione, che valorizza le persone, che da certezza e che attraverso la
stabilità e la sicurezza produce occasioni di crescita per il Paese. Altro che
respingere le loro opinioni e basta!
Davanti a questa realtà come è possibile non ritrovare l’unità
sindacale, non riuscire a costruire una piattaforma comune e farla vivere tra i lavoratori, i giovani,
che saranno i più colpiti, perché la flessibilità tanto decantata (e noi quella
“buona” l’abbiamo praticata: politica degli orari, turnazioni, organizzazione
del lavoro) si sta rivelando per quello che loro realmente intendono:
precarietà ?
Io spero che dall’incontro di oggi con il Governo
scaturiscano novità positive, ma se queste novità fossero solo di facciata o,
peggio, non ci fossero allora mi auguro che il movimento sindacale tutto trovi
la forza per una risposta adeguata.
Nella sua relazione
al 5° congresso della Fillea tenutosi nel maggio del 1996 il compagno Lino
Martin descriveva e denunciava una situazione preoccupante: la crisi nel
settore dovuta alla stagione di “tangentopoli” (91-95)… la macchinosità della
Pubblica Amministrazione …..il sistema degli appalti inefficiente e non
trasparente…. strumenti di governo del mercato del lavoro inidonei ad
affrontare una situazione di precarizzazione dei rapporti di lavoro che ha
pochi precedenti conosciuti…. l’aumento del lavoro sommerso e irregolare…. il
massimo ribasso nelle gare di appalto come esclusivo strumento di concorrenza
fra le imprese…
Concludendo: “il prezzo di questa situazione viene pagato
esclusivamente dai lavoratori in termini di insicurezza del posto di lavoro e
di “sicurezza” “.
Cosa è cambiato in questi lunghi 5 anni? Si potrebbe dire
nulla, ma non è così.
Il settore edile oggi è caratterizzato da moltissime piccole
e piccolissime imprese.
Si è creato un nuovo fenomeno di “divisione del lavoro”:
molte aziende con pochissimi dipendenti si “specializzano” nell’acquisizione
degli appalti, nella gestione finanziaria, amministrativa e gestionale,
subappaltando ( ma è improprio usare questo termine) tutte le lavorazioni a
società che forniscono solo mano d’opera più o meno specializzata e/o a piccoli
artigiani, innescando la spirale negativa delle irregolarità.
La dimensione di impresa non è un dato puramente organizzativo
o marginale, ma il vero problema di un settore che in una fase di forte
crescita quantitativa, qui sta la
novità rispetto al 1996, (+ 2,8% nel 1999 +3,6% nel 2000 e previsione di un +
2,6% nel 2001) avrebbe bisogno di strutturarsi e di consolidarsi per reggere
alla concorrenza internazionale che non tarderà ad intervenire anche nel nostro
Paese.
Due dati. Nella provincia di Milano le imprese con più di
100 operai nel 1996 erano 21 oggi solamente 9; i lavoratori autonomi
“regolari”, cioè con una posizione
registrata, sono pari ai lavoratori iscritti alla cassa Edile, che peraltro
denunciano una media settimanale di 24 ore. A questi numeri vanno aggiunti i
lavoratori in nero, a cui non riusciamo a dare un numero e dobbiamo attenerci
ai dati ISTAT che stimano il lavoro nero nell’Italia del Nord attorno al 24%
dei lavoratori occupati.
Se i dati rimarranno questi sarà molto difficile vincere la
sfida che abbiamo lanciato come CGIL
che va sotto il nome “Cantiere qualità”.
Il lavoro è cresciuto quantitativamente, ma riproducendo le
contraddizioni e storture esistenti. Cresce il lavoro, ma cresce nelle
forze più destrutturate e in un diverso
equilibrio tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, dove per autonomo non va intesa
una prevalenza di specializzazione, quindi lavoro qualificato, bensì, come
abbiamo detto, esternalizzazione sempre più selvaggia di mansioni e funzioni.
Questo spinge a forme di impresa individuale (il 64% delle imprese, dato
nazionale), operando prevalentemente in un ambito comunale (il 97% delle
imprese, dato nazionale). L’impresa italiana del settore rischia di non andare
da nessuna parte e di rimanere schiacciata dalle nuove sfide competitive che il
decollo dell’Unione Europea renderà inevitabili.
Tutto ciò porta a ridurre drasticamente gli spazi di un
lavoro in sicurezza, di un lavoro professionalmente qualificato, di un lavoro
che possa attrarre i giovani, di un lavoro che riesca a integrare
professionalmente e socialmente un lavoratore extracomunitario. L’impresa tutta
tesa alla ricerca della riduzione dei costi e schiacciata dalla propria
dimensione non investe e non interviene più sulla formazione (basterebbe
analizzare i dati della Scuola Edile Milanese), sulla sicurezza o per
migliorare le condizioni di vita nel cantiere. Questa realtà la riscontriamo
tutti i giorni nei nostri cantieri in Brianza.
La Brianza negli ultimi 5 anni non ha avuto la presenza di
grandi appalti pubblici con concentrazioni rilevanti di lavoratori, ma gli appalti più importanti sono stati
quelli che hanno evidenziato i problemi maggiori d’irregolarità, di violazione
delle norme di sicurezza e di presenza di lavoro irregolare.
Il sindacato, e la Fillea con molta convinzione, si è
impegnato a fondo per contrastare i fenomeni negativi degli infortuni,
convinti, così facendo, che oltre a incoraggiare le imprese serie, di tutelare
gli interessi non sono dei lavoratori, ma dei cittadini che sono interessati
alla qualità delle opere, ai tempi di consegna e alla certezza dei costi.
Proprio in questa ottica abbiamo sottoscritto e gestito
l’accordo con il comune di Monza, il primo a livello nazionale, che ha permesso
a tutte le organizzazioni di sperimentare un ruolo nuovo, con la possibilità di
intervenire direttamente nei cantieri pubblici e negli uffici comunali per esaminare
tutte le fasi dell’appalto e verificarlo.
Nei tre anni sono stati verificati 34 cantieri pubblici, 3
di questi, i più grandi, sono stati trovati irregolari: il cantiere del
palazzetto dello sport (segnalato alla magistratura per irregolarità nelle procedure
di appalto); il cantiere del sottopasso (appalto revocato per irregolarità
dell’impresa); cantiere centro natatorio (accertamento in corso).
Nelle responsabilità individuate sono direttamente coinvolti
oltre alle imprese anche i direttori dei lavori per mancati controlli e lo
stesso Comune che ha commesso violazioni nelle procedure di affidamento dei
lavori. Aspettiamo pazientemente l’esito delle indagini.
Altri comuni hanno firmato accordi quadro con le
Confederazioni che devono essere “riempiti” con i sindacati di settore.
Tra questi, il Comune di Agrate Brianza ha recentemente
firmato un accordo sulla sicurezza e il controllo dei cantieri.
Purtroppo l’attività sempre crescente non ha migliorato la situazione del settore
sul primo dei problemi: la sicurezza.
Gli infortuni sono sempre in crescita:
1999 738 infortuni
2000 815 infortuni
maggio 2001 344 infortuni di cui 4 mortali.
In un caso di infortunio
mortale, che ha visto la morte di Gomez Munoz Segundo Mariano,
lavoratore 38enne dell’Ecuador, clandestino, morto in cantiere, ritrovato sulla
strada per simulare un incidente stradale (a tanto siamo arrivati!!!), la
Fillea, in concerto con Filca, Feneal e Cgil-Cisl-Uil, sta tentando la strada
della costituzione di parte civile nel processo che si dovrà celebrare,
cercando di aprire una nuova frontiera di iniziative per tutelare la dignità
dei lavoratori.
Tutto ciò ci riporta alla nostra riflessione iniziale: se
non riusciremo a riportare ad un logica di vera impresa l’insieme del settore,
il drammatico e inaccettabile fenomeno degli infortuni difficilmente troverà soluzione.
Noi continueremo a denunciare, a scioperare come abbiamo
fatto il 23 ottobre, a sollecitare ASL, INPS, INAIL, Comuni, Magistratura a
fare la loro parte, consapevoli, anche questo
è un altro terreno di contrasto con il Governo, che le ultime misure inserite
nell’ormai famoso Libro Bianco di Maroni tutte tese alla depenalizzazione e
agli sconti delle ammende pecuniarie, non ci aiuteranno nella nostra
iniziativa.
Per tutto questo è necessario che lo sciopero di 8 ore di
venerdì 30 novembre veda la partecipazione di tutti i lavoratori edili della
nostra provincia.
Uno sciopero che deve rivendicare con forza la
contrattazione provinciale oggi negata, in quanto non viene fissato il tetto a
livello nazionale, spingendo così a far coincidere il rinnovo dei contratti
provinciali con il rinnovo del 2° biennio economico, nell’aspirazione di ANCE
di far saltare, nei fatti, un livello di contrattazione, facendo da apripista a
Confindustria nella strategia, nefasta, dell’abolizione del contratto
nazionale.
Il settore legno –arredo è contrassegnato da una crescente dinamicità a livello mondiale per la forte concorrenza che si sta determinando tra i vari Paesi produttori, basti pensare al peso crescente della Cina o di altri Paesi extraeuropei.
L’Europa detiene con 79,4 miliardi di euro il 42% della produzione mondiale, ma, per la prima volta, nel 1999 ha registrato una passività negli scambi pari a 142 milioni di euro, salita a 600 milioni di euro nel 2000. Anno che si è caratterizzato in Italia come un anno positivo dopo anni di situazioni altalenanti e molto differenziate tra comparto e comparto, tra territorio e territorio.
Nel 2001 ad un avvio positivo registrato nel 1° semestre, bisogna annotare una flessione in questi mesi del 2° semestre. Credo che i tragici eventi dell’11 settembre stiano, anche nel nostro settore, producendo un rallentamento sia nelle esportazioni che nei consumi interni.
Dicevo della forte dinamicità del mercato mondiale.
L’Italia detiene circa il 7% del mercato europeo.
Negli anni passati gli aumenti di produzione e di fatturato del mobile italiano sono derivati in buona misura dalla penetrazione negli USA, ma già nel 2000 l’export italiano ha subito una pesante flessione in quel mercato, soprattutto nelle fasce superiori a favore della Cina che costante nella quantità ha avuto in quell’anno una forte impennata.
Ciò dimostra che tutti i Paesi produttori oggi si muovono su tutto lo scacchiere mondiale alla ricerca di un mercato, spesso di nicchia, per collocare le proprie produzioni, allargando la loro presenza in alcuni Paesi per compensare la perdita o la riduzione di presenza in altri.
L’esempio più concreto nel nostro territorio è rappresentato dalla Cassina che ha raggiunto una presenza in 50 Paesi al mondo esportando l’85% della propria produzione (sarebbe interessante, ma il dato non è a nostra disposizione, sapere quale di questi Paesi sono saliti e quali scesi nella classifica dell’esportazioni di quell’azienda).
Se a questo aggiungiamo che le nostre produzioni hanno subito negli anni forti trasformazioni dovute anche all’emancipazione dei Paesi fornitori di materie prime che hanno consolidato ciò che avevano iniziato 10/15 anni fa, cioè l’esportazione (basti pensare che il 60% delle importazioni italiane è rappresentato da legname grezzo, legname semilavorato e prodotti semifiniti in legno) non solo della materia prima, ma anche di semilavorati, ci rendiamo conto che il peso specifico di ogni singolo comparto cambia e assume connotazioni diverse.
La Brianza si è sempre contraddistinta, a differenza di altri territori, per la presenza nel suo territorio di quasi tutte, per non dire tutte, le produzioni del settore legno-arredo. Questo territorio vede la presenza di aziende importanti, e di moltissime piccole e piccolissime aziende, nel comparto dell’imbottito, in quello dell’arredo, delle cucine, dei mobili per ufficio…… che hanno configurato un settore ricco di competenze diffuse estremamente flessibile, anche perché la presenza di quasi tutti gli altri settori (metalmeccanico, chimico, tessile…) accresceva la creatività, potendo disporre di materiali diversi da poter combinare.
Ma questa situazione, più unica che rara, rischia di deteriorarsi irreparabilmente sotto la spinta della concorrenza competitiva internazionale che richiede forti investimenti e grande innovazione tecnologica. Anche qui, come nel settore edile, la dimensione d’impresa gioca un ruolo determinante: non si possono fare forti investimenti se l’entità rimane molto ridotta.
Sono anni che denunciamo l’incongruenza del sistema brianzolo, con aziende tutte tese a preservare il proprio orticello invece di costruire una strategia comune che faccia leva proprio su quella rete già esistente, ma che non comunica in modo sinergico e coordinato.
Ho l’impressione che i nodi arriveranno presto al pettine, così come si è sforzata, e di questo va dato atto, di evidenziare la stessa Federlegno nel convegno di Cernobbio dedicato alla Brianza. Non sarà un collasso, ma una lenta e dolorosa agonia dalla quale si salveranno, ce lo auguriamo, le poche aziende che hanno compreso che se non si cambia non c’è futuro.
Io spero fortissimamente di sbagliarmi, ma ormai sono anni che verifichiamo questa tendenza: il peso specifico della Brianza diminuisce a vantaggio di altre aree (Veneto – Marche), l’occupazione negli ultimi 15 anni è diminuita del 38 % circa, alcune aziende chiudono (2001: Medaspan, Simpres), altre continuano a ridimensionarsi (Tecno, Gruppo Industriale Busnelli, Motta Tranciati Legno…).
Abbiamo sperato che il distretto industriale svolgesse un ruolo propositivo nella soluzione dei problemi prima descritti, raggruppando al suo interno tutti i soggetti interessati: associazioni imprenditoriali, Organizzazioni Sindacali, Comuni, Enti di Promozione e di Formazione, ma abbiamo dovuto constatare che si trattava semplicemente di un ufficio istruttorie della Regione decentrato sul territorio per finanziare progetti di “qualsiasi” natura senza un minimo di indirizzo.
Che fare?
Noi continueremo a batterci perché si comprenda che solo una qualificazione seria delle imprese all’interno di una rete annodata e comunicante potrà portare questo territorio ad una evoluzione positiva, chiamando tutti i soggetti a fare la loro parte. Tenteremo di rivitalizzare il distretto industriale cercando di modificarne radicalmente il suo funzionamento, collegandolo ad altri soggetti pubblici e privati operanti nel territorio.
LA CONTRATTAZIONE
Dopo due tornate di contrattazione aziendale non possiamo che trarre un bilancio compiuto sulla applicazione dell’accordo del luglio 1993 e delle norme contrattuali in materia.
Dobbiamo constatare che la contrattazione aziendale siamo riuscita a svolgerla, tra molte difficoltà, nelle aziende più importanti, per numero di addetti, e solo in pochissime aziende minori, ma che rappresentano il 2/3 degli addetti del settore a cui viene applicato il contratto legno industria, o piccola industria (in cartelletta trovate i dati).
Questo dato, purtroppo, non riguarda solo la Brianza, ma l’insieme del territorio nazionale, fatta, forse, qualche eccezione.
La frammentazione estrema del nostro settore in aziende piccole e piccolissime non permette l’applicazione “corretta” dell’accordo del luglio 1993, per l’assenza di dati su cui costruire il Premio di Risultato.
E’ anche per questo motivo che difendiamo con forza il contratto nazionale, convinti che una sua eliminazione, magari per sostituirlo con contratti territoriali o, peggio, solo con contratti aziendali, non darebbe più forza a questi lavoratori.
Ma un cambiamento è necessario.
Qui vorrei avanzare una proposta, in estrema sintesi, e tutta da discutere: utilizzare la produttività media di settore che si registra a livello nazionale, in parte, all’interno del rinnovo del contratto nazionale, in parte come indice da esigere nelle aziende dove la contrattazione, diciamo classica, non si attiva per mancanza di dati certi.
Credo che, al di là della proposta avanzata, una riflessione si impone e il dibattito congressuale e post congressuale debba avviarla.
Dicevo della contrattazione svolta nelle aziende più significative.
Dobbiamo subito dire che è stata una buona contrattazione, anche se non tutti gli obiettivi che ci eravamo prefissi sono stati raggiunti.
Fillea-Filca e Feneal della Brianza si erano preparate a questo appuntamento con grande serietà e voglia di innovare. Si era giunti all’elaborazione di un documento che riprendendo le linee guida nazionali, le rielaborava, sulla base delle nostre esigenze, e in parte le ampliava.
Quel documento cercava di aiutare a costruire piattaforme e, successivamente, accordi che innovassero la contrattazione sul nostro territorio, sia sul versante degli indici per la determinazione del Premio di Risultato (con l’idea di un mix tra produttività, quantità e redditività), sia sul versante dei diritti dei lavoratori: formazione, riqualificazione, sicurezza, orario di lavoro, carenza malattia.
Non siamo riusciti del tutto nell’intento, soprattutto per quanto riguarda il mix del Premio di Risultato, che a nostro avviso dava la possibilità di leggere l’insieme dell’andamento aziendale. C’è stato un rifiuto, salvo pochissime eccezioni, da parte delle Aziende, congiuntamente all’Associazione degli Industriali di Monza e Brianza, di prendere in considerazione gli elementi legati alla redditività. Per noi atteggiamento incomprensibile visto che da anni unitariamente analizziamo i bilanci di una cinquantina di aziende e ne conosciamo i loro andamenti.
Sul versante dei diritti dobbiamo registrare, purtroppo, il rifiuto da parte dell’AIMB di firmare accordi, poi firmati in sede aziendale, riguardanti innovazioni per quanto riguarda la sicurezza, nello specifico le due ore di formazione per i neo assunti il primo giorno di lavoro. Anche questo incomprensibile, se poi si dice nei convegni che la sicurezza è una priorità per le aziende.
Ci sarebbe un’ultima cosa da aggiungere che riguarda l’uso improprio degli orari di lavoro, ma su questo dovremo sviluppare una attenta riflessione e una iniziativa di denuncia non solo politica, ma anche formale.
Per quanto riguarda i rinnovi dei contratti nazionali auspichiamo, ma faremo di tutto perché ciò accada, una conclusione positiva come già avvenuto nel settore lapidei e inerti e nel settore cemento.
LA FILLEA
Primo obiettivo che ci siamo posti per dare voce e forza ai
lavoratori e agli iscritti è stato quello del rafforzamento delle R.S.U.,
convinti che senza questa rappresentanza diretta dei lavoratori è il sindacato
stesso a cambiare natura.
Questo pericolo è già presente nel settore dell’edilizia
dove a causa della fortissima frammentazione delle imprese, come già
richiamato, vengono meno, oggettivamente, le condizioni per l’elezione delle
R.S.U. , creando non poche difficoltà
nella tutela quotidiana dei diritti dei lavoratori.
Per rafforzare le R.S.U. abbiamo organizzato una formazione
mirata agli obiettivi della stagione sindacale, a partire da quelli legati alla
contrattazione aziendale e alla gestione delle norme contrattuali e di legge
relative ai diritti dei lavoratori.
Abbiamo avuto momenti alti di formazione relativi alla
comprensione dei bilanci aziendali, ricercando indici utili a determinare la
reale “ricchezza” dell’azienda.
Tale lavoro è stato utilissimo, al di là dell’inserimento o
meno all’interno dei contratti aziendali di indici di bilancio.
Sul versante dei diritti, oltre alla formazione legata alla
gestione dei contratti, abbiamo approfondito la legge 8 Marzo 2000 n. 53 sui
congedi parentali, novità importantissima di questi anni, perché cerca di
venire incontro alle esigenze dei lavoratori in momenti “particolari della
vita”, che sono sempre più frequenti.
La strada della formazione è una strada che percorreremo continuamente, permessi sindacali permettendo, nella prospettiva di una crescita complessiva dell’organizzazione.
Per quanto riguarda il tesseramento
dobbiamo constatare che la nostra forza organizzativa (i dati sono in
cartelletta) negli ultimi 5 anni si è mantenuta costante, ma ha subito una
inversione nei valori di settore, confermando ciò che ci siamo sforzati di
dire.
Il settore legno nel 1997 contava 1.737 iscritti, nel 2000
1.442 con una perdita media di 100 iscritti ogni anno. Tale perdita è stata compensata dal settore edile che ha
raggiunto, nel 2000, 1.924 iscritti.
Un fatto storico per la Brianza, dove il settore legno ha
sempre avuto la prevalenza.
Abbiamo cercato, e stiamo cercando, investendo risorse economiche e umane, grazie alla sensibilità della nostra struttura regionale e della C.d L.T., di allargare la nostra presenza in entrambi i settori, ma, lo sanno bene i compagni impegnati sui progetti specifici, quanto questo sia difficile e complicato.
Continueremo con perseveranza, perché siamo convinti che è
nostro dovere cercare di tutelare tutti i lavoratori, e l’adesione al sindacato
è la prima forma di tutela.
Sappiamo bene tutti che la condizione migliore per difendere i diritti dei lavoratori, su ciò non possiamo avere dubbi, è quella dell’unità, ma perché quella condizione si realizzi il merito è importantissimo.
L’unità è fatta di mediazione, di accostamento progressivo e
paziente di opinioni diverse, ma poi vive se c’è una regola (non è così anche
per la vita interna di ogni singola organizzazione?) che consente ai lavoratori
di decidere quando le loro organizzazioni sono divise e non sono in grado di
assumere orientamenti comuni.
Questa regola dobbiamo costruirla, è un bene per tutti noi,
per la vita democratica, per i lavoratori.
In Brianza abbiamo cercato, anche in questi momenti
difficili, di rimanere al merito. Ritengo che sulle cose più importanti,
nonostante tutto, ci siamo riusciti. Infatti abbiamo condotto una stagione di
contrattazione aziendale in modo unitario e ci siamo spesi unitariamente sui
temi drammatici della sicurezza .
Dichiariamo da questo congresso tutta la nostra
disponibilità a ricercare regole più avanzate che ci permettano di lavorare
tutti con maggiore serenità, nell’interesse dei lavoratori.
Care compagne e compagni, invitati e amici vorrei concludere questa mia non esaustiva relazione con la stessa citazione usata dal compagno e amico Antonio Serina nel suo recente congresso.
“Il solo fatto di
sognare è già importante. Vi auguro sogni a non finire e la voglia furiosa di
realizzarne qualcuno” (Jeaques Brèl).
Noi abbiamo un sogno :
LAVORO…DIRITTI….
UN MONDO DI PACE.
CONVINTI CHE
SOLO CON IL LAVORO E IL RISPETTO DEI DIRITTI DI TUTTI I CITTADINI E POPOLI
POTREMO COSTRUIRE VERAMENTE UN MONDO DI PACE.
E’ UN SOGNO
ANTICO, MA ANCORA OGGI, PURTROPPO, ATTUALISSIMO.
“ABBIAMO
UNA VOGLIA FURIOSA DI REALIZZARLO !!!”.