15° Congresso
Regionale Alto Adige / Südtirol FILLEA/GBH
Non è mai facile decidere con quale argomento
iniziare una relazione, ancora di più in un contesto così denso di cambiamenti
e di aspettative qual è quello in cui ci troviamo.
Quando guardiamo all’attuale
crisi internazionale, alla guerra, a quel rallentamento di tutte le economie,
rallentamento che sembra autorizzare gli economisti a dichiarare che, oggi,
sarebbero necessari radicali cambiamenti in quello che loro definiscono mercato
del lavoro, ci accorgiamo allora che essere confederali, essere cioè
organizzati per rappresentare tutto il variegato mondo dei lavori, è di
fondamentale importanza.
Perché garantirsi una vita
libera e dignitosa solo attraverso la contrattazione di categoria è sempre
stato difficile ma oggi è davvero impossibile.
Quando nelle scorse
settimane, durante una assemblea per il contratto, un compagno mi ha detto:
Anche 300.000 Lire in più
non bastano, se poi l’affitto aumenta, mi diminuiscono gli assegni familiari,
ogni giorno rischio di licenziamento, e poi, a 50 anni, dovrò lavorarne altri
10, perché non mi hanno versato tutti i contributi.
Non c’è dubbio aveva ragione
lui, ed io credo sia chiaro che la risposta alle sue e nostre domande non la
troveremo mai, cercandola nel solo contratto collettivo di categoria, ma la
potremmo trovare solo con tutti gli altri lavoratori, in un’organizzazione
capace di difendere quei diritti fondamentali che fanno la differenza.. Se poi
pensiamo alle proposte che le organizzazioni degli industriali ci fanno, come
ad esempio contratti individuali, libertà di licenziamento, innalzamento
dell’età pensionabile, riduzione di costo degli straordinari e dei superminimi,
ci accorgiamo che il tentativo è quello di sempre, dividere i lavoratori,
allettarli con promesse di importanti riconoscimenti delle loro capacità
professionali, per poi poterli più facilmente sfruttare usando il denaro per
ottenere qualsiasi rinuncia alle loro libertà, quelle si individuali.
Una proposta che si presenta
come un vero e proprio programma politico e prefigura uno stato senza regole,
dominato da chi possiede mezzi e capitali. La nostra organizzazione ha conquistato
nel tempo leggi e contratti. Regole generali e regole particolari, frutto di
lotte e di intelligente mediazione, ma sempre regole servite a garantire uno
sviluppo equilibrato che andasse a beneficio di tutti e noi non accettiamo che
quell’economia che tanto abbiamo contribuito a risanare, venga depauperata a
beneficio di pochi.
Perché noi siamo convinti
che solo uno sviluppo di qualità, basato su obiettivi condivisi, possa portare
quel benessere di cui tanto si parla ma che oggi ci appare più precario e per
altri diventa praticamente irraggiungibile.
Tra pochi giorni anche noi
sciopereremo per rinnovare i due contratti collettivi, quello nazionale e
quello provinciale, dei lavoratori edili. Scadono a fine anno, e da parte
imprenditoriale si registra una pressoché totale indisponibilità. E pensare che
ci troviamo di fronte ad un andamento più che positivo del settore delle
costruzioni , con una crescita già
prevista anche per il 2002.
E poi, per il contratto
nazionale, esiste un accordo, datato 23 luglio 93, per il recupero del potere
d’acquisto dovuto all’inflazione. Un accordo, quello del 93, voluto da tutti
firmato dalla Confindustria, dal governo e da noi, e adesso si tenta di
scipparci un diritto che è lo stesso per il quale ha scioperato la Fiom, la
nostra categoria dei metalmeccanici. Il
contratto provinciale invece è vincolato da un massimale, che gli imprenditori
si rifiutano di concordare.
Lo sappiamo, è il tentativo
di sempre, ci tengono in ostaggio perché sono delusi dal programma del governo e
vorrebbero che noi li aiutassimo a modificarlo. Sicuramente ci sono cose che
vogliamo tutti, e che anche noi insieme alle imprese vogliamo raggiungere.
Pensare però di bloccare i rinnovi contrattuali ci allontana fino a
costringerci allo sciopero.
Lottare per i contratti non
vuol dire solo cercare risposte materiali ai propri bisogni, ma anche essere
convinti che insieme e solo collettivamente possiamo garantirci quel diritto
democratico di organizzare la nostra vita, quella vita che necessariamente si appoggia
sul lavoro, e nel lavoro trova non solo i mezzi di sostentamento, ma anche
identità e cittadinanza. Spesso ci s’interroga sull’apparente dicotomia del
vivere per lavorare o del lavorare per vivere, non è così noi vogliamo vivere
lavorando, lo volevano sicuramente anche tutti quegli uomini e quelle donne che
ogni anno non tornano a casa, perdendo la vita in fabbrica o in cantiere,
poiché come si lavora, quanto si lavora e quanto si guadagna, sono questioni
che non possono essere trattate separatamente e neppure individualmente, perché
il bisogno del singolo non diventi occasione di speculazione. Non è possibile
sentirsi dire, com’è capitato a noi, durante un incontro con le associazioni
imprenditoriali in occasione del ennesimo incidente mortale, che i lavoratori
devono essere più responsabili della loro sicurezza. Come se le imprese
avessero fatto tutto il possibile e tutto il necessario per la sicurezza, ma i
lavoratori andassero a cercarsi i guai. Da vittime di infortunio ci si ritrova
colpevoli di averlo provocato.
Lo stesso si può dire per la
formazione professionale. Ogni giorno incontriamo imprenditori che ci chiedono
di operai bravi e capaci, già esperti ed in grado di fare tutto.
Al lavoratore disoccupato
non si offre la possibilità di riqualificarsi.
L’impresa è cambiata e non
da più il tempo di imparare. Da anni parliamo di scuola edile senza essere mai
riusciti a parlare di diritto alla formazione.
Anche il nostro comitato organizza corsi totalmente
gratuiti, importanti occasioni per imparare a svolgere lavori diversi. Corsi
costruiti su bisogni espressi dalle stesse imprese, ma poi nessuno riesce a
partecipare perché c’è sempre un lavoro urgente da finire. Quando i più esperti
andranno in pensione ci accorgeremo di che cosa fosse più urgente. C’è solo un
modo di lavorare bene che comprende necessariamente la sicurezza. La sicurezza
è professionalità, e l’infortunio è un fallimento. Un fallimento
statisticamente prevedibile, evitabile solo attraverso programmazione,
progettazione e totale rispetto delle regole, dei ritmi e degli orari di
lavoro. L’impresa non può preoccuparsi solo della competizione, ma deve
preoccuparsi anche della legalità e della salute dei dipendenti. Noi dobbiamo
progettare la qualità dell’impresa, perché è da questa qualità che dipende la
qualità del lavoro e della nostra vita.
Non è possibile che io
Terranova Giuseppe, domani mattina, possa andare alla Camera di Commercio ad
aprire un’impresa edile. Questo è quello che accade e tanti avventurieri, prima
di chiudere, le provano tutte. Si evade il fisco e gli enti assicuratori, le
casse edili, si truffano i propri dipendenti che poi, quando lavorano in altre
imprese, faticano a ritrovare fiducia.
Non volersi sedere al tavolo
delle trattative dimostra chiaramente che non si cerca la collaborazione ma si
pensa, arrogantemente, che le proprie soluzioni siano le uniche e le migliori.
Poi dall’altra parte ci
viene richiesto di essere disponibili sui contratti a termine sul lavoro
interinale, fino alla modifica dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori:
Su questo ultimo punto gli imprenditori possono farsi forza anche delle
posizioni di importanti esponenti del Governo.
Il ministro delle attività
produttive Antonio Marzano ha proposto di togliere il diritto di potersi
tutelare in caso di licenziamento. Per ora questo diritto sarebbe negato ai
nuovi assunti. A questo, si aggiunge la proposta del ministro Maroni di
eliminare questo diritto anche per le aziende che emergono dall’illegalità, per
quelle che supereranno i 15 dipendenti con le nuove assunzioni e per quei
lavoratori che saranno assunti a tempo indeterminato dopo un contratto a
termine. Si ipotizza quindi un sistema di regole variabili, diverse in
relazione alla propria storia professionale. In categorie come le nostre, per
effetto della grande mobilità interaziendale, nel giro di pochi anni l’articolo
18 non esiterebbe più. Ancora una volta si tenta di dividerci. Chiunque pensi,
di governare un paese stravolgendo i diritti dei lavoratori deve sapere che si
troverà di fronte ad un sindacato pronto a contrastarlo. Questa è la nostra
autonomia.
Entriamo in Europa che nella
sua carta fondamentale stabilisce il diritto al proprio lavoro e la giusta
causa nei licenziamenti e a noi si chiede di peggiorare una tutela che esiste
da ormai oltre 30 anni.
L’unica risposta che si può
dare a chi dice che è un diritto per pochi, è quella di dire che andrebbe
esteso a tutti gli altri.
E poi, davvero, ci si sente
presi in giro quando ci viene detto che licenziando si creano posti di lavoro,
io penso che l’unico posto creato sarebbe quello di chi è stato licenziato.
Dobbiamo rimanere fermi,
l’articolo 18 non si tocca, la dignità del lavoratore non ha prezzo. In tutta
Europa si assiste ad un attacco ai diritti dei lavoratori, forse l’unico lavoratore
che piace all’impresa è quello senza diritti. Mi auguro che gli amici di CISL e
UIL non si illudano di poter trovare, in queste proposte, spazi per raggiungere
obiettivi diversi, ma poi qualsiasi cosa si voglia fare, l’importante sarà che
alla fine, nei rinnovi contrattuali come nelle riforme sociali, decidano
democraticamente i lavoratori.
C’è un forte bisogno di
democrazia e le nostre organizzazioni sono rimaste forse le uniche a poter dare
occasione di confronto democratico, sensibile ai problemi delle minoranze di
ogni tipo, etniche di genere e di nazionalità. Le uniche capaci di contrapporre
alla democrazia massmediatica delle immagini e degli slogan, quella più vera e
viva, del confronto e delle proposte. Una democrazia dove non conta solo contarsi,
ma dove la ricerca del massimo consenso resta l’obbiettivo di fondo. Bisogna
essere convinti democratici per militare nel sindacato poiché, lo sappiamo per
esperienza, le decisioni che non trovano il consenso di larghe maggioranze sono
destinate al fallimento ed al conflitto. Ma anche la democrazia va costruita.
Oggi sapere significa potere, è fondamentale dare strumenti conoscitivi e
preparare anche tecnicamente attivisti, delegati, RSU, RSA e tutti i
lavoratori.
Le opinioni di tutti
contano, ma per poter dare opinioni efficaci è necessario sapere, oggi, molto
di più di quanto non bastasse ieri. Dobbiamo garantirci il diritto alla
formazione permanente a tutti i livelli, perché non sia solo addestramento
professionale, poiché un cittadino completo non è solo un bravo operaio o
impiegato ma deve essere anche in grado di valutare, criticamente, le scelte di
chi lo governa. Forse è per questa naturale propensione alla democrazia
sostanziale che diamo tanto fastidio a chi fa della democrazia una mera formalità.
Messa la crocetta sulla scheda elettorale, silenziosa fiducia fino alle
prossime elezioni. Diritti e lavoro devono coesistere in Italia ed in Europa,
perché il lavoro senza diritti è schiavitù, e la coraggiosa scelta di
continuare la strada, iniziata ormai quasi un secolo fa e che ci vede ancora
importanti protagonisti della vita collettiva, deve rinnovasi oggi nel lavoro
che cambia.
Personalmente voglio
ringraziare la CGIL/AGB che mi ha dato l’occasione di crescere e di imparare
lavorando in questa eccezionale categoria, la FILLEA/GBH. Un settore quello
delle costruzioni e dei materiali nel quale il rapporto coi lavoratori e forte
e continuo nel quale si impara di tutto, dove la lotta è quotidiana, a volte
per i contratti, a volte per gli orari di lavoro, per le continue crisi
aziendali o per i tanti licenziamenti.
Le infinite assemblee, nei
cantieri e nelle fabbriche, formano i funzionari e i dirigenti e restano la
parte più bella della nostra attività.
Voglio dire ai miei colleghi
che li stimo e li ammiro, per il tanto lavoro profuso nell’interesse della
categoria. Ringrazio Karl e Stefan per le migliaia di chilometri fatti in tutta
la provincia, per contattare anche il più piccolo cantiere e per la fiducia che
sono capaci di dare a chi gli si rivolge. Grazie alla compagna Berger la Gerry
che non a tutti è dato di conoscere, il lavoro della quale è importante quanto
quello di chi frequenta fabbriche e cantieri. La sua capacità di tenere tutta
l’amministrazione della FILLEA/GBH, da subito, mi ha consentito di occupare
tutto lo spazio lasciato, poco più di un anno fa, da Lorenzo Sola, dal quale ho
imparato a fare sindacato e che ringrazio per l’aiuto che mi ha dato. Ringrazio
la compagna Ulrike, la Ulli che si divide con la categoria degli agricoli per
aiutarci nella gestione del ufficio.
A Richard e Aaron, appena
entrati voglio dire che da loro la FILLEA/GBH si aspetta molto e che siamo
pronti a dar loro tutto quello che potrà servirgli per esprimere al meglio
tutte le loro capacità.
A tutti voi, delegati congressuali,
molti dei quali conosco da tempo perché da anni nel direttivo provinciale, a
voi voglio dire che non siete solo il passato ed il presente, ma siete
soprattutto il futuro della nostra organizzazione che conta oltre 4.000
iscritti ed è la più grande categoria
di lavoratori attivi. Per questo è necessaria una rete di attivisti in grado di
essere sempre lì dove si lavora, per raccogliere e portare fiducia. Su di voi
si deve investire per dare corpo e sostanza ad un’idea di sindacato pluralista
e democratico, capace di mobilitarsi ogni volta che il capitale torni a
coalizzarsi contro le legittime aspettative di libertà e pari opportunità di
tutti noi.
Ai compagni che vengono da
paesi diversi, voglio dire che ammiro la loro capacità di integrarsi e di
adattarsi accettando le difficoltà delle nuove lingue e della burocrazia. La
nostra organizzazione s’impegna, per dar loro, tutte le occasioni di crescita e
di valorizzazione.
Voglio ringraziare i
colleghi che lavorano negli uffici dei nostri diversi servizi, sempre preparati
e capaci di dare infinite risposte alle necessità dei lavoratori. Ai compagni
della segreteria confederale, ed in modo particolare al Segretario generale
Alfred Ebner voglio dire che hanno fatto un lavoro importante in un contesto difficile,
rinnovando una organizzazione così complessa senza traumi. A loro va tutto il
mio personale sostegno nel proseguimento del percorso intrapreso.
Prima di concludere, sarete
anche stufi di ascoltarmi, voglio ricordare la Ruth, che lavora con noi da quasi
10 anni. La Ruth che come arlecchino, nel suo caso addirittura, servitore di
tre padroni, è la prima persona che incontra a Bolzano, chi cerca il sindacato
delle costruzioni.
Nonostante l’unità
sindacale, sembri oggi, più lontana che mai, la FLC/LFB, questa sede unitaria
che vive da ormai da più di 20 anni, continua a dimostrare la verità di un
principio.
L’unità è la forza dei
lavoratori.
Rinunciare a qualche
particolare, della propria identità, è poca cosa di fronte ai vantaggi che si
hanno nell’essere sostenuti, da tutti, quando si affermano fondamentali valori
comuni.
Continuiamo a crescere sia
numericamente che quantitativamente, diventare grandi significa avere sempre
più responsabilità.
Sempre più lavoratori si
affidano alle nostre organizzazioni, per vivere meglio e per contare di più. A
noi il dovere di farli sentire compagni ed amici, cittadini dello stesso paese,
sicuri della loro scelta. Noi siamo la prova che far convivere idee diverse è
non solo possibile ma ancora di più, è sviluppo, crescita, esercizio di
democrazia. Riuscire in questa esperienza da torto a chi fa della differenza la
propria identità, a chi non si fa prossimo a chi ci vuole divisi e quindi più
deboli.
La nebbia si sta alzando e
davanti a noi appare lo stesso mare che affrontarono, nel loro lungo viaggio, i
fondatori del movimento sindacale.
Questo viaggio nella storia,
iniziato nel 1906, continua dimostrando che le nostre ragioni sono sempre vive
e importanti e che il nostro modo di essere e fare sindacato è un modo giusto.
La strada è lunga, oggi facciamo un altro passo, insieme arriveremo ovunque.