15° Congresso Regionale Alto Adige / Südtirol                       FILLEA/GBH

 

Bolzano, 28 novembre 2001                                            FIERA DI BOLZANO

 

 

 

Relazione del Segretario Generale Giuseppe Terranova

Non è mai facile decidere con quale argomento iniziare una relazione, ancora di più in un contesto così denso di cambiamenti e di aspettative qual è quello in cui ci troviamo.

Quando guardiamo all’attuale crisi internazionale, alla guerra, a quel rallentamento di tutte le economie, rallentamento che sembra autorizzare gli economisti a dichiarare che, oggi, sarebbero necessari radicali cambiamenti in quello che loro definiscono mercato del lavoro, ci accorgiamo allora che essere confederali, essere cioè organizzati per rappresentare tutto il variegato mondo dei lavori, è di fondamentale importanza.

Perché garantirsi una vita libera e dignitosa solo attraverso la contrattazione di categoria è sempre stato difficile ma oggi è davvero impossibile.

Quando nelle scorse settimane, durante una assemblea per il contratto, un compagno mi ha detto:

Anche 300.000 Lire in più non bastano, se poi l’affitto aumenta, mi diminuiscono gli assegni familiari, ogni giorno rischio di licenziamento, e poi, a 50 anni, dovrò lavorarne altri 10, perché non mi hanno versato tutti i contributi.

Non c’è dubbio aveva ragione lui, ed io credo sia chiaro che la risposta alle sue e nostre domande non la troveremo mai, cercandola nel solo contratto collettivo di categoria, ma la potremmo trovare solo con tutti gli altri lavoratori, in un’organizzazione capace di difendere quei diritti fondamentali che fanno la differenza.. Se poi pensiamo alle proposte che le organizzazioni degli industriali ci fanno, come ad esempio contratti individuali, libertà di licenziamento, innalzamento dell’età pensionabile, riduzione di costo degli straordinari e dei superminimi, ci accorgiamo che il tentativo è quello di sempre, dividere i lavoratori, allettarli con promesse di importanti riconoscimenti delle loro capacità professionali, per poi poterli più facilmente sfruttare usando il denaro per ottenere qualsiasi rinuncia alle loro libertà, quelle si individuali.

Una proposta che si presenta come un vero e proprio programma politico e prefigura uno stato senza regole, dominato da chi possiede mezzi e capitali. La nostra organizzazione ha conquistato nel tempo leggi e contratti. Regole generali e regole particolari, frutto di lotte e di intelligente mediazione, ma sempre regole servite a garantire uno sviluppo equilibrato che andasse a beneficio di tutti e noi non accettiamo che quell’economia che tanto abbiamo contribuito a risanare, venga depauperata a beneficio di pochi.

Perché noi siamo convinti che solo uno sviluppo di qualità, basato su obiettivi condivisi, possa portare quel benessere di cui tanto si parla ma che oggi ci appare più precario e per altri diventa praticamente irraggiungibile.

Tra pochi giorni anche noi sciopereremo per rinnovare i due contratti collettivi, quello nazionale e quello provinciale, dei lavoratori edili. Scadono a fine anno, e da parte imprenditoriale si registra una pressoché totale indisponibilità. E pensare che ci troviamo di fronte ad un andamento più che positivo del settore delle costruzioni , con una crescita  già prevista anche per il 2002.

E poi, per il contratto nazionale, esiste un accordo, datato 23 luglio 93, per il recupero del potere d’acquisto dovuto all’inflazione. Un accordo, quello del 93, voluto da tutti firmato dalla Confindustria, dal governo e da noi, e adesso si tenta di scipparci un diritto che è lo stesso per il quale ha scioperato la Fiom, la nostra categoria dei metalmeccanici.  Il contratto provinciale invece è vincolato da un massimale, che gli imprenditori si rifiutano di concordare.

Lo sappiamo, è il tentativo di sempre, ci tengono in ostaggio perché sono delusi dal programma del governo e vorrebbero che noi li aiutassimo a modificarlo. Sicuramente ci sono cose che vogliamo tutti, e che anche noi insieme alle imprese vogliamo raggiungere. Pensare però di bloccare i rinnovi contrattuali ci allontana fino a costringerci allo sciopero.

Lottare per i contratti non vuol dire solo cercare risposte materiali ai propri bisogni, ma anche essere convinti che insieme e solo collettivamente possiamo garantirci quel diritto democratico di organizzare la nostra vita, quella vita che necessariamente si appoggia sul lavoro, e nel lavoro trova non solo i mezzi di sostentamento, ma anche identità e cittadinanza. Spesso ci s’interroga sull’apparente dicotomia del vivere per lavorare o del lavorare per vivere, non è così noi vogliamo vivere lavorando, lo volevano sicuramente anche tutti quegli uomini e quelle donne che ogni anno non tornano a casa, perdendo la vita in fabbrica o in cantiere, poiché come si lavora, quanto si lavora e quanto si guadagna, sono questioni che non possono essere trattate separatamente e neppure individualmente, perché il bisogno del singolo non diventi occasione di speculazione. Non è possibile sentirsi dire, com’è capitato a noi, durante un incontro con le associazioni imprenditoriali in occasione del ennesimo incidente mortale, che i lavoratori devono essere più responsabili della loro sicurezza. Come se le imprese avessero fatto tutto il possibile e tutto il necessario per la sicurezza, ma i lavoratori andassero a cercarsi i guai. Da vittime di infortunio ci si ritrova colpevoli di averlo provocato.

Lo stesso si può dire per la formazione professionale. Ogni giorno incontriamo imprenditori che ci chiedono di operai bravi e capaci, già esperti ed in grado di fare tutto.

Al lavoratore disoccupato non si offre la possibilità di riqualificarsi.

L’impresa è cambiata e non da più il tempo di imparare. Da anni parliamo di scuola edile senza essere mai riusciti a parlare di diritto alla formazione.

Anche il nostro comitato organizza corsi totalmente gratuiti, importanti occasioni per imparare a svolgere lavori diversi. Corsi costruiti su bisogni espressi dalle stesse imprese, ma poi nessuno riesce a partecipare perché c’è sempre un lavoro urgente da finire. Quando i più esperti andranno in pensione ci accorgeremo di che cosa fosse più urgente. C’è solo un modo di lavorare bene che comprende necessariamente la sicurezza. La sicurezza è professionalità, e l’infortunio è un fallimento. Un fallimento statisticamente prevedibile, evitabile solo attraverso programmazione, progettazione e totale rispetto delle regole, dei ritmi e degli orari di lavoro. L’impresa non può preoccuparsi solo della competizione, ma deve preoccuparsi anche della legalità e della salute dei dipendenti. Noi dobbiamo progettare la qualità dell’impresa, perché è da questa qualità che dipende la qualità del lavoro e della nostra vita.

Non è possibile che io Terranova Giuseppe, domani mattina, possa andare alla Camera di Commercio ad aprire un’impresa edile. Questo è quello che accade e tanti avventurieri, prima di chiudere, le provano tutte. Si evade il fisco e gli enti assicuratori, le casse edili, si truffano i propri dipendenti che poi, quando lavorano in altre imprese, faticano a ritrovare fiducia.

Non volersi sedere al tavolo delle trattative dimostra chiaramente che non si cerca la collaborazione ma si pensa, arrogantemente, che le proprie soluzioni siano le uniche e le migliori.

Poi dall’altra parte ci viene richiesto di essere disponibili sui contratti a termine sul lavoro interinale, fino alla modifica dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori: Su questo ultimo punto gli imprenditori possono farsi forza anche delle posizioni di importanti esponenti del Governo.

Il ministro delle attività produttive Antonio Marzano ha proposto di togliere il diritto di potersi tutelare in caso di licenziamento. Per ora questo diritto sarebbe negato ai nuovi assunti. A questo, si aggiunge la proposta del ministro Maroni di eliminare questo diritto anche per le aziende che emergono dall’illegalità, per quelle che supereranno i 15 dipendenti con le nuove assunzioni e per quei lavoratori che saranno assunti a tempo indeterminato dopo un contratto a termine. Si ipotizza quindi un sistema di regole variabili, diverse in relazione alla propria storia professionale. In categorie come le nostre, per effetto della grande mobilità interaziendale, nel giro di pochi anni l’articolo 18 non esiterebbe più. Ancora una volta si tenta di dividerci. Chiunque pensi, di governare un paese stravolgendo i diritti dei lavoratori deve sapere che si troverà di fronte ad un sindacato pronto a contrastarlo. Questa è la nostra autonomia.

Entriamo in Europa che nella sua carta fondamentale stabilisce il diritto al proprio lavoro e la giusta causa nei licenziamenti e a noi si chiede di peggiorare una tutela che esiste da ormai oltre 30 anni.

L’unica risposta che si può dare a chi dice che è un diritto per pochi, è quella di dire che andrebbe esteso a tutti gli altri.

E poi, davvero, ci si sente presi in giro quando ci viene detto che licenziando si creano posti di lavoro, io penso che l’unico posto creato sarebbe quello di chi è stato licenziato.

Dobbiamo rimanere fermi, l’articolo 18 non si tocca, la dignità del lavoratore non ha prezzo. In tutta Europa si assiste ad un attacco ai diritti dei lavoratori, forse l’unico lavoratore che piace all’impresa è quello senza diritti. Mi auguro che gli amici di CISL e UIL non si illudano di poter trovare, in queste proposte, spazi per raggiungere obiettivi diversi, ma poi qualsiasi cosa si voglia fare, l’importante sarà che alla fine, nei rinnovi contrattuali come nelle riforme sociali, decidano democraticamente i lavoratori.

C’è un forte bisogno di democrazia e le nostre organizzazioni sono rimaste forse le uniche a poter dare occasione di confronto democratico, sensibile ai problemi delle minoranze di ogni tipo, etniche di genere e di nazionalità. Le uniche capaci di contrapporre alla democrazia massmediatica delle immagini e degli slogan, quella più vera e viva, del confronto e delle proposte. Una democrazia dove non conta solo contarsi, ma dove la ricerca del massimo consenso resta l’obbiettivo di fondo. Bisogna essere convinti democratici per militare nel sindacato poiché, lo sappiamo per esperienza, le decisioni che non trovano il consenso di larghe maggioranze sono destinate al fallimento ed al conflitto. Ma anche la democrazia va costruita. Oggi sapere significa potere, è fondamentale dare strumenti conoscitivi e preparare anche tecnicamente attivisti, delegati, RSU, RSA e tutti i lavoratori.

Le opinioni di tutti contano, ma per poter dare opinioni efficaci è necessario sapere, oggi, molto di più di quanto non bastasse ieri. Dobbiamo garantirci il diritto alla formazione permanente a tutti i livelli, perché non sia solo addestramento professionale, poiché un cittadino completo non è solo un bravo operaio o impiegato ma deve essere anche in grado di valutare, criticamente, le scelte di chi lo governa. Forse è per questa naturale propensione alla democrazia sostanziale che diamo tanto fastidio a chi fa della democrazia una mera formalità. Messa la crocetta sulla scheda elettorale, silenziosa fiducia fino alle prossime elezioni. Diritti e lavoro devono coesistere in Italia ed in Europa, perché il lavoro senza diritti è schiavitù, e la coraggiosa scelta di continuare la strada, iniziata ormai quasi un secolo fa e che ci vede ancora importanti protagonisti della vita collettiva, deve rinnovasi oggi nel lavoro che cambia.

Personalmente voglio ringraziare la CGIL/AGB che mi ha dato l’occasione di crescere e di imparare lavorando in questa eccezionale categoria, la FILLEA/GBH. Un settore quello delle costruzioni e dei materiali nel quale il rapporto coi lavoratori e forte e continuo nel quale si impara di tutto, dove la lotta è quotidiana, a volte per i contratti, a volte per gli orari di lavoro, per le continue crisi aziendali o per i tanti licenziamenti.

Le infinite assemblee, nei cantieri e nelle fabbriche, formano i funzionari e i dirigenti e restano la parte più bella della nostra attività.

Voglio dire ai miei colleghi che li stimo e li ammiro, per il tanto lavoro profuso nell’interesse della categoria. Ringrazio Karl e Stefan per le migliaia di chilometri fatti in tutta la provincia, per contattare anche il più piccolo cantiere e per la fiducia che sono capaci di dare a chi gli si rivolge. Grazie alla compagna Berger la Gerry che non a tutti è dato di conoscere, il lavoro della quale è importante quanto quello di chi frequenta fabbriche e cantieri. La sua capacità di tenere tutta l’amministrazione della FILLEA/GBH, da subito, mi ha consentito di occupare tutto lo spazio lasciato, poco più di un anno fa, da Lorenzo Sola, dal quale ho imparato a fare sindacato e che ringrazio per l’aiuto che mi ha dato. Ringrazio la compagna Ulrike, la Ulli che si divide con la categoria degli agricoli per aiutarci nella gestione del ufficio.

A Richard e Aaron, appena entrati voglio dire che da loro la FILLEA/GBH si aspetta molto e che siamo pronti a dar loro tutto quello che potrà servirgli per esprimere al meglio tutte le loro capacità.

A tutti voi, delegati congressuali, molti dei quali conosco da tempo perché da anni nel direttivo provinciale, a voi voglio dire che non siete solo il passato ed il presente, ma siete soprattutto il futuro della nostra organizzazione che conta oltre 4.000 iscritti ed è  la più grande categoria di lavoratori attivi. Per questo è necessaria una rete di attivisti in grado di essere sempre lì dove si lavora, per raccogliere e portare fiducia. Su di voi si deve investire per dare corpo e sostanza ad un’idea di sindacato pluralista e democratico, capace di mobilitarsi ogni volta che il capitale torni a coalizzarsi contro le legittime aspettative di libertà e pari opportunità di tutti noi.

Ai compagni che vengono da paesi diversi, voglio dire che ammiro la loro capacità di integrarsi e di adattarsi accettando le difficoltà delle nuove lingue e della burocrazia. La nostra organizzazione s’impegna, per dar loro, tutte le occasioni di crescita e di valorizzazione.

Voglio ringraziare i colleghi che lavorano negli uffici dei nostri diversi servizi, sempre preparati e capaci di dare infinite risposte alle necessità dei lavoratori. Ai compagni della segreteria confederale, ed in modo particolare al Segretario generale Alfred Ebner voglio dire che hanno fatto un lavoro importante in un contesto difficile, rinnovando una organizzazione così complessa senza traumi. A loro va tutto il mio personale sostegno nel proseguimento del percorso intrapreso.

Prima di concludere, sarete anche stufi di ascoltarmi, voglio ricordare la Ruth, che lavora con noi da quasi 10 anni. La Ruth che come arlecchino, nel suo caso addirittura, servitore di tre padroni, è la prima persona che incontra a Bolzano, chi cerca il sindacato delle costruzioni.

Nonostante l’unità sindacale, sembri oggi, più lontana che mai, la FLC/LFB, questa sede unitaria che vive da ormai da più di 20 anni, continua a dimostrare la verità di un principio.

L’unità è la forza dei lavoratori.

Rinunciare a qualche particolare, della propria identità, è poca cosa di fronte ai vantaggi che si hanno nell’essere sostenuti, da tutti, quando si affermano fondamentali valori comuni.

Continuiamo a crescere sia numericamente che quantitativamente, diventare grandi significa avere sempre più responsabilità.

Sempre più lavoratori si affidano alle nostre organizzazioni, per vivere meglio e per contare di più. A noi il dovere di farli sentire compagni ed amici, cittadini dello stesso paese, sicuri della loro scelta. Noi siamo la prova che far convivere idee diverse è non solo possibile ma ancora di più, è sviluppo, crescita, esercizio di democrazia. Riuscire in questa esperienza da torto a chi fa della differenza la propria identità, a chi non si fa prossimo a chi ci vuole divisi e quindi più deboli.

La nebbia si sta alzando e davanti a noi appare lo stesso mare che affrontarono, nel loro lungo viaggio, i fondatori del movimento sindacale.

Questo viaggio nella storia, iniziato nel 1906, continua dimostrando che le nostre ragioni sono sempre vive e importanti e che il nostro modo di essere e fare sindacato è un modo giusto. La strada è lunga, oggi facciamo un altro passo, insieme arriveremo ovunque.