V CONGRESSO PROVINCIALE FILLEA CGIL LA SPEZIA

Relazione del Segretario Generale uscente Moulay El Akkioui

Buongiorno a tutti

Nell’aprire i lavori del nostro congresso territoriale della FILLEA, desidero anzitutto esprimere il mio benvenuto a tutti i delegati, agli invitati e ai nostri graditi ospiti: tra essi ringraziamo e salutiamo il nostro Segretario Generale Franco Martini.

Un saluto ed un ringraziamento agli amici segretari della FENEAL UIL, Fabrizio Tassara, e della FILCA CISL, Salvatore Ristagno.

Hanno accolto il nostro invito e sono presenti al nostro congresso le associazioni imprenditoriali ANCE, CNA e UPA, che ringrazio molto.

Compagne e compagni, si è spesso e giustamente insistito in tutti questi mesi di dibattito congressuale nella nostra categoria sul carattere nuovo e diverso del congresso che stavamo svolgendo.

Tutti noi, che siamo stati delegati dai congressi aziendali della FILLEA, abbiamo avuto certamente modo di esprimerci su tale diversità, di apprezzarla, di sottolinearne le potenzialità e gli aspetti positivi ed innovativi, come anche di valutare i rischi di contrapposizione, di divisione e addirittura di lacerazione che avrebbero potuto derivarne.

Credo che possiamo dire, riflettendo sul lavoro fin qui svolto, ripensando all’andamento delle nostre assemblee, che gli iscritti alla FILLEA hanno saputo interpretare correttamente sul piano del merito e con grande equilibrio il ruolo che ci era stato proposto dalla Confederazione, cioè quello di partecipare alla discussione e alla definizione di quel ricco complesso di analisi, valutazioni, proposte, obiettivi, impegni di lavoro politico ed organizzativo, costituito dal programma fondamentale della CGIL, dalle nuove regole per la formazione degli organismi e dei gruppi dirigenti della nostra organizzazione.

La CGIL ha chiesto a tutte le strutture di categoria, e anche alla nostra FILLEA, di realizzare i propri congressi in preparazione del suo prossimo congresso nazionale ed insieme ad essi ha deciso di concentrare il dibattito sui soli documenti congressuali della Confederazione, allo scopo di ottenere il più ampio coinvolgimento di tutta la nostra organizzazione su un problema centrale e cruciale, quello di un marcato rinnovamento delle sue analisi, della sua cultura, delle sue politiche, della sua collocazione all’interno di una società italiana profondamente mutata, in una concreta e necessaria dimensione europea, in un mondo in rapida, travolgente, entusiasmante trasformazione.

La CGIL, attraverso queste scelte, si propone di far vivere la sua grande forza, la sua grande storia nella nostra società di oggi, rinnovando ed adeguando le sue concezioni fondamentali alle esigenze diverse, poste da tempi diversi.

Il dibattito congressuale della nostra categoria ha saputo cogliere questa esigenza, ha saputo radicare con efficacia l’approfondimento ed il confronto su queste grandi tematiche nella realtà, nell’esperienza quotidiana, nell’iniziativa, nelle lotte della nostra categoria.

Questa impostazione, priva di connotazioni ideologiche ma, al contrario, estremamente concreta e soprattutto fondata su un solido terreno di elaborazione e di iniziativa, ha reso possibile nelle nostre assemblee congressuali un confronto civile e sereno, in cui la legittima, doverosa espressione  delle opinioni diverse e delle diverse sensibilità presenti fra i lavoratori ha potuto manifestarsi e cercare consenso senza determinare lacerazioni nella nostra categoria, disorientamento tra i lavoratori, fratture profonde nel corpo dell’organizzazione.

Da questo punto di vista riteniamo di aver dato un contributo vero al dibattito congressuale della CGIL e di aver tutti insieme preservato le condizioni per un dibattito ricco ed un confronto utile e positivo nel nostro congresso nazionale.

Gli elementi di grande valore politico e culturale presenti nell’impostazione del programma fondamentale della CGIL e delle tesi congressuali sono molteplici. Qui voglio sottolinearne uno, che ne racchiude e sottintende molti altri: il rilancio forte nella società italiana di oggi dell’esigenza di un sindacato generale, cioè confederale, dei diritti e della solidarietà, fondato sul riconoscimento e sulla valorizzazione delle diversità culturali, professionali, politiche, etniche, di genere, presenti nel mondo del lavoro o più concretamente dei lavori.

L’impegno al rilancio di una confederalità quindi; non certamente l’esaurirsi in una mera, magari unanime adesione, che potrebbe però essere anche generica, acritica, quindi ben poco feconda al programma e alle tesi della CGIL.

Non è questo ciò di cui ha bisogno la nostra confederazione, né questo impegno può esaurirsi soltanto attraverso l’estrapolazione da parte di questa o di quella categoria di questo o di quel segmento di programma, di questa o di quella tesi congressuale che più direttamente si adatta o si collega alla propria esperienza o alla propria attività quotidiana.

E’ necessario che il rilancio del sindacato Confederale, che l’affermazione di una nuova confederalità viva e si sostanzi nella pratica, complessivamente partecipe a questo disegno di tutti e di ciascuno, che si traduca in elaborazione, in proposta originale, nell’interpretazione sempre più ricca ed autentica delle esigenze dei lavoratori che rappresentiamo, nell’affermazione dei loro diritti come lavoratori e come persone che vivono e lavorano in questa nostra società.

Implica, quindi, non solo l’assunzione convinta e critica, ma anche un continuo, non facile sforzo di assimilazione di questa nuova e più feconda cultura da parte dell’insieme dell’organizzazione, ricca di storia complessa, articolata, e a sua volta attraversata e arricchita da tante e valide diversità.

E’ un processo complesso e, al tempo stesso, un compito appassionante quello che ci attende all’indomani della conclusione del nostro congresso come FILLEA e di quello della nostra confederazione ed è un compito che può e deve vederci tutti protagonisti, tutti egualmente impegnati e partecipi, tutti disposti a ripensare la propria storia, la propria esperienza, la propria cultura.

Immagino una CGIL che si rinnovi anche nei gruppi dirigenti, accettando la sfida dei tempi per superare una ormai vecchia e logora cultura, dove non si può più accettare, lo dico con la massima franchezza, che vi possano essere gruppi dirigenti che siano adatti ad ogni situazione, solo perché appartengono a delle correnti politiche. Credo che questa sia  la sfida vera e che la linea da seguire si deciderà ai nostri congressi grazie allo scioglimento delle componenti e al contributo e sostegno di dirigenti professionalmente preparati.

Qual è, quindi, il nostro contributo? La FILLEA deve riunire tutte le forze in un progetto unitario, affinché all’appuntamento del congresso confederale questo risultato di unità politica e sociale sia ribadito con rinnovato vigore.

Il protagonista del nuovo sindacato è un pluralismo che non si può risolvere con la composizione degli organismi, rispettando le percentuali delle varie mozioni, ma che si confronti ogni giorno con la realtà, nel rispetto delle scelte della linea del congresso.

Il governo unitario di una grande organizzazione sociale come la nostra impone, individualmente e collettivamente, un forte senso di responsabilità e solidarietà, pena il fallimento dell’intero progetto strategico; è una battaglia culturale ricca di nuove identità ed idealità. Quindi la nostra categoria, con i suoi gruppi dirigenti, è chiamata ad un impegno di straordinaria importanza, quello di sconfiggere le sterili contrapposizioni, le collocazioni di convenienza, ma soprattutto di decidere come si intende proseguire, per presentarci ai lavoratori con le idee chiare.

La nostra categoria, quella degli edili e delle costruzioni in generale, si pone obiettivi concreti; superiamo, quindi, la stagione dei tempi muti, il non dialogo o il troppo parlare, ricostruiamo tutti insieme una stagione di unità politica con grande franchezza e con leale reciprocità nel nostro lavoro di militanti e dirigenti, solo così contribuiremo concretamente al processo politico di ricostruire la nuova CGIL, in grado più di ieri di far fronte al proprio compito storico.

Se ci mettiamo ad osservare la realtà quotidiana cosa vediamo?

Cogliamo che i flussi migratori a cui stiamo assistendo in questi anni vanno assumendo connotati epocali.

Il sud del pianeta, dopo esser stato dilapidato ed emarginato dai cicli economici mondiali, sta cercando una via individuale al riscatto sociale che stenta a trovare nei singoli contesti nazionali.

L’Italia, il nostro paese, costituisce in questo senso territorio di frontiera, un confine tra il nord e il sud, fra le ristrette aree dell’opulenza e le vaste aree della povertà.

La FILLEA, sindacato dei lavoratori delle costruzioni, ha promosso tante iniziative per avviare la riflessione e l’intervento sulle dinamiche dell’immigrazione extracomunitaria che sta interessando il mercato del lavoro italiano.

Oggi il nostro paese, collocandosi in un particolare quadro geografico ed economico, è notevolmente predisposto a costituire un punto di riferimento per quanti, soprattutto dal Nord Africa e dal Medio Oriente, intendono entrare a far parte produttivamente delle aree industrializzate.

Occorre innanzitutto sviluppare questa realtà: non devo mancare quindi attente analisi di tale fenomeno, che si presenta di vaste proporzioni, e che è destinato sicuramente a crescere nel tempo (prima generazione, seconda generazione, ecc).

In secondo luogo occorre sviluppare precise programmazioni d’intervento per dare a questi cittadini una prospettiva d’inserimento positivo sia dal punto di vista produttivo, sia dal punto di vista culturale.

Ogni limite nelle analisi, ogni limite nella programmazione può costituire, per i cittadini immigrati, un dramma anche più grande di quello che li ha costretti ad immigrare e per la comunità nazionale l’innesto di nuove contraddizioni.

Occorre impegnarsi affinché la gestione di questi spostamenti sia guidata da una visione sulle multietnie quale precondizione per affrontare queste problematiche con una prospettiva di democrazia e di pluralità.

Una convinzione seria deve muovere queste iniziative: indietro non si torna, ogni prospettiva di chiusura autarchica e razzista è perdente, anche perché quello che ci diversifica è la storia e quello che ci unisce è l’informazione.

Una società che si chiude in se stessa è destinata alla contrazione dello sviluppo.

Non c’è bisogno, dunque, solo di una generica solidarietà cosiddetta “meccanica”, base minima per una prospettiva positiva, ma anche e soprattutto di comuni politiche economiche e sociali.

Abbiamo oggi la sensazione che, di fronte ai grandi cambiamenti del quadro internazionale (globalizzazione = sfruttamento legalizzato) soprattutto partendo da quello successivo alla crisi del Golfo, poi seguita dalla crisi dei Paesi dell’Est, ed ancora, arrivando ad oggi, a quello che sta succedendo nella guerra in Afganistan, il fenomeno dei grandi flussi migratori possa assumere un’accentuazione notevole anche rispetto alle più recenti immigrazioni nord africane, asiatiche e latino americane.

Se queste accentuazioni dovessero verificarsi in tempi brevi,  il nostro Paese rischierebbe di trovarsi impreparato e di vivere un fenomeno storicamente importante solo nei suoi aspetti drammatici.

Su questo versante le organizzazioni che operano nel sociale e, primo far tutti, il sindacato dei lavoratori, devono svolgere un ruolo di stimolo e di sollecitazione nei confronti delle politiche governative sull’immigrazione.

La FILLEA, con questo congresso, intende esprimere le istanze di una categoria che già vive piuttosto intensamente i recenti flussi immigratori.

Intendiamo, in altri termini, fare un’analisi attenta del fenomeno dal punto di vista quantitativo e dal punto di vista sociale e politico.

Per questo non potevamo avere la presunzione di fare questo congresso da soli: da qui le numerose partecipazioni dei diversi soggetti politici, sociali e costituzionali ai quali chiediamo un contributo di analisi e di proposte in questa direzione.

Anche oggi in questo congresso voglio ricordare quell’operaio edile di 20 anni, immigrato dal Marocco, per poter mantenere la famiglia, composta di 12 persone in Marocco, morto in un incidente nel cantiere “Malpensa 2000”. Esso rappresenta un esempio tragicamente attinente ai nostri lavori, e ci sono tanti altri esempi, anche nella nostra provincia.

Era un immigrato senza documenti, lavorava in un grande cantiere edile pubblico, e solo il giorno dopo la sua morte si è saputo chi fosse. Il suo nome non compare nelle liste ufficiali di nessuna ditta, di nessun cantiere, e poi si è riusciti a sapere che lavorava per una ditta del subappalto.

Voglio citarlo perché è anche il simbolo della situazione di disagio, di dolore e di inciviltà nel nostro paese rispetto ai lavoratori immigrati.

Il settore delle costruzioni è particolarmente interessato da flussi di immigrati; anche per questo la FILLEA intende trovarsi in prima fila per far valere i diritti di tutti i lavoratori, italiani e stranieri (il lavoro non ha nazionalità e non ha colore – Montesquieu – Sono uomo per natura e francese per caso).

In questo senso il sindacato delle costruzioni vuol dare una risposta di civiltà e dare battaglia sul terreno del mercato del lavoro e delle condizioni lavorative nel loro complesso.

Questo congresso vuole presentare, quindi, non solo un momento di confronto fra diverse esperienze d’immigrazione, ma anche una base di partenza per l’iniziativa sindacale e politica nel nostro paese e per esprimere una solidarietà non formale, ma una solidarietà organica verso i lavoratori stranieri in Italia.

Credo comunque sia essenziale poter credere di essere solo all’inizio di un necessario e profondo processo di cambiamento che deve investire l’intera società italiana e che questa nostra convinzione si è fatta più forte dopo i risultati delle elezioni politiche del 13 maggio.

Una destra arrogante, a cui temevamo che la maggioranza degli italiani potesse assegnare il compito di gestire il futuro del Paese, con ricette ultraliberiste e largamente antidemocratiche ha vinto.

Non ha prevalso invece la ragione, la carta non vincente della coalizione di centro sinistra, che non ha saputo mettere assieme le forze migliori della società italiana per perseguire una grande aspirazione per il cambiamento del Paese, con riforme adeguate ed eque finalizzate al bene di tutti gli italiani.

Una organizzazione sindacale di sinistra come la nostra deve essere comunque fiduciosa, e non solo, il nostro ruolo potrebbe assumere caratteri particolari e dovremo dimostrare  di saperlo svolgere nel migliore dei modi, riaffermando nei fatti dell’autonomia del sindacato che è alla base della nostra credibilità democratica.

Non a caso le Segreterie di CGIL, CISL e UIL hanno già indirizzato al Presidente del Consiglio e al Governo messaggi molto chiari e precisi.

L’affermazione è che i lavoratori finora abbiano fatto la propria parte, è incontestabile e dimostrabile chiaramente a chiunque sia in buona fede.

Noi siamo fra quelli, che nelle assemblee congressuali di base, fra i lavoratori iscritti alla CGIL e non, abbiamo ancora difeso con le giuste argomentazioni, con molta convinzione, l’operato e gli accordi che il sindacato ha fatto anche in questi ultimi anni.

Questo per quanto riguarda principalmente l’accordo del 23 luglio ‘93 sul nuovo modello di contrattazione per la riforma del sistema previdenziale.

Lo abbiamo fatto con la convinzione che a  distanza di anni gli accordi fatti con le controparti imprenditoriali e con il Governo e alla luce delle esperienze concrete verificate fino ad oggi non hanno bisogno di ripensamenti, semmai da migliorare e approfondire, altro che abolire l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato) che è un diritto acquisito 30 anni fa.

Se qualche conto non quadra, è perché nella politica dei redditi qualcuno non ha assolto completamente i propri impegni.

Le retribuzioni dei lavoratori sono state contenute all’interno dell’inflazione programmata ed invece i prezzi al consumo sono andati oltre.

Il potere di acquisto delle retribuzioni e delle pensioni è calato. E’ evidente e giusto pretendere opportune forme di controllo, affinché i sacrifici dei lavoratori e dei pensionati non siano vanificati e l’equità fra cittadini, particolarmente nei momenti più difficili, non rimanga una mera illusione.

Mi è sembrato necessario, prima di passare ad affrontare problemi specifici della categoria, fare anche qui questa piccola premessa molto sintetica sul quadro generale del Paese, in quanto il riferimento è estremamente indispensabile.

Quando parlo del Paese, convinto di interpretare il pensiero di tutto il nostro congresso, faccio riferimento ad un Paese che deve rimanere unito sempre.

Noi respingiamo con fermezza qualsiasi ipotesi di divisione e di federalismo falso, tra l’altro invocato da questo Governo sotto la spinta di una sorta di egoismo prettamente economico, che vede come unico mezzo possibile al miglioramento del proprio benessere individuale la rinuncia ad ogni forma di solidarietà che è il valore fondamentale del Paese.

Le novità particolari, gradite solo ai diretti interessati, non ci piacciono e le respingiamo. E’ certo che le diverse esigenze nei vari territori del Paese esistono sicuramente, non possono essere ancora trascurati e vanno rapidamente affrontati ed anche questo sarà uno dei difficili compiti che ci attendono come sindacato nei prossimi giorni.

In questi ultimi 10 anni, oltre agli imprevedibili avvenimenti che hanno profondamente modificato la vita politica del Paese, ed all'instabilità che ne è conseguita, il Paese è stato, ed è ancora ora, investito da una crisi economica generale.

La nostra provincia non è stata risparmiata, la crisi economica è stata senza precedenti, anche in considerazione della specificità della struttura economica produttiva esistente.

Se nel nord industrializzato la tendenza è quella di una certa ripresa, La Spezia ancora non intravede un minimo di certezza, una via di uscita, in quanto i segnali sono ancora molto timidi.

Non nascondo che si era difeso l’esistente, che era oggettivamente possibile difenderlo sicuramente pagando prezzi anche cari sul fronte dell’occupazione e questo in termini di posti di lavoro che si sono persi forse definitivamente sul territorio.

Le situazioni traumatiche derivanti da queste situazioni sono state attenuate, perlomeno per gli addetti diretti della grande e media industria, utilizzando quando era possibile gli ammortizzatori sociali ordinari e straordinari. Nella nostra categoria non avevamo, e non abbiamo ancora a disposizione strumenti di tutela sociale adeguati alle circostanze dei lavoratori dell’edilizia e di tutte le piccole aziende del legno, del marmo e dei manufatti; almeno fino a quando le normative non verranno cambiate i lavoratori si troveranno sempre in condizioni discriminanti.

Del settore delle costruzioni l’edilizia è quella che sicuramente ha pagato i prezzi più alti della crisi, in quanto contemporaneamente colpita da eventi particolari, alla Spezia come nel resto del Paese.

Agli inizi degli anni ‘90 il settore edile contava alla Spezia un numero di addetti inferiore a quello di 5 anni prima, ma nel suo ridimensionamento non aveva quasi mai registrato situazioni pesanti per i lavoratori.

L’aspetto saliente era quello che i lavoratori erano ancora alle dipendenze prevalentemente di imprese locali di medie dimensioni, con strutture consolidate in termini di organici ed attrezzature, con un'organizzazione di buon livello e con gli affidamenti in subappalto contenuti.

In quegli anni si era aggiunto un considerevole flusso di appalti di grandi opere pubbliche infrastrutturali (Pontremolese, raccordo Porto – Autostrada, variante Aurelia, variante Lerici, Ospedale Sarzana, ecc.) ed altre erano programmate.

Poi, lo scenario è improvvisamente cambiato a livello nazionale su iniziativa di un gruppo di magistrati; si è così formalmente materializzato quello che gli addetti ai lavori sapevano da sempre, quello che molti cittadini sapevano da tempo e quello che noi avevamo da sempre denunciato, pagando certe volte anche qualche prezzo.

Incredibile nelle sue dimensioni, rivelando l’esistenza di un vero e proprio sistema al quale globalmente niente sfuggiva. Chi voleva acquisire importanti o modeste commesse pubbliche era costretto a pagare direttamente, o tramite loschi personaggi, tangenti rilevanti a qualche esponente politico dell’area di Governo.

Ciò era intollerabile da parte di tutte le persone oneste e anche da parte nostra, come era normale.

Da quel momento iniziava, principalmente per il settore edile, un periodo nero che ancora non è completamente finito, ed ha prodotto sulle imprese, soprattutto quelle sane, e sui lavoratori, drammi incalcolabili derivanti dal crollo delle commesse pubbliche (ricordo come vennero drasticamente contenute le risorse del PIL destinate ai Lavori Pubblici).

Pochi sono i responsabili di questa situazione che hanno pagato finora, gli altri probabilmente non pagheranno più se chi governa il paese continuerà ad interferire nella magistratura.

Un’esponente del Governo ha dichiarato mesi fa che “Cosa Nostra” è un fatto di cui non possiamo sbarazzarci e che ci dobbiamo convivere, come se fosse parte di noi, senza la minima sensibilità in relazione al disastro che ha provocato a tutti i settori produttivi e all’intera collettività nazionale.

Basta pensare al blocco di una grande parte degli investimenti destinati ad opere pubbliche infrastrutturali nel sud del Paese, che ha un bisogno vitale di queste opere, senza le quali in questa area ogni ipotesi di sviluppo è impensabile.

Nella nostra provincia, nonostante nessun episodio rilevante di “tangentopoli” sia venuto fuori, le ripercussioni nazionali si sono ugualmente fatte sentire.

Le grandi opere pubbliche, al pari del Sud d’Italia, risultano quindi indispensabili anche per il nostro territorio al fine di una ripresa economica e sociale basata su un nuovo modello di sviluppo.

A tutt’oggi siamo in attesa di una ripresa promessa a vari livelli negli ultimi anni, durante i quali purtroppo si sono succeduti alla guida del Paese diversi governi, tecnici e non. A nulla è servito l’accordo di programma tra lo Stato e la Regione Liguria che nei propri contenuti avrebbe dovuto garantire quella ripresa che aveva alimentato tante speranze.

Le iniziative del sindacato di categoria delle costruzioni e dei lavoratori, sviluppate come non mai in precedenza in qualità ed in quantità, hanno prodotto tanto “affetto” ma nessun risultato apprezzabile.

Così purtroppo di mese in mese stanno passando gli anni, tanti lavoratori si sono dovuti confrontare con l’evento del licenziamento, e se vogliamo usare una più moderna terminologia, alcuni di loro sono stati messi in mobilità e le imprese più significative per il settore sono state drasticamente ridimensionate nelle loro strutture, qualcuna di queste ha cessato la propria attività e qualcun'altra versa ad oggi in condizioni finanziarie assai difficili.

Nessun segnale positivo fa pensare ad una rilevante inversione di tendenza; per fortuna le amministrazioni locali – Provincia, Comune ed altri enti – hanno ripreso i loro programmi di investimento ed hanno lievemente alleggerito il dolore che affligge il settore.

Oggi più che mai il mercato dell’edilizia è diventato per lo più una giungla, dove la selezione non avviene più sulla base della sana competitività, ma è diventata territorio di personaggi scaltri senza molti scrupoli assolutamente deleteri per il sistema (basta riflettere sulle forme di cottimismo mascherato formalmente da subappalti autorizzati o meno). È evidente quindi che ciò arreca danno alle aziende che non ritengono utopistico continuare ad operare nel rispetto delle regole, a quelle piccole e piccolissime realtà che si affacciano su questo mercato per la prima volta provenendo da esperienze di rapporti di lavoro dipendente (penso in questo momento a quelle persone meridionali ed extracomunitarie che armate di tante speranze e con molti sacrifici decidono di “mettersi in proprio”) e soprattutto ai lavoratori, vittime inconsapevoli di tutto questo.

Ci rendiamo conto che questa problematica così diffusa sarebbe difficile da contrastare per il sindacato in assenza di un coordinamento tra le istituzioni preposte (ispettorato del lavoro ed asl).

Chi conosce bene la situazione in cui versa oggi il settore edile, come il sindacato, comprende benissimo le necessità di molti lavoratori e può usare molta sensibilità nell’affrontare certe situazioni ma non può assolutamente giustificare il ricorso a forme così drammatiche di rapporto di lavoro.

Il rischio è grave se dovesse permanere questa situazione: sarebbe devastante il passaggio da un sistema giustificato, certamente non da noi, ma dall’emergenza ad un vero e proprio sistema strutturato.

È per questo che invitiamo i nostri interlocutori a non trascurare le ricadute negative che certi metodi pregni di varie irregolarità hanno:

ü      sugli enti bilaterali in edilizia: le Casse Edili per prime, non da meno le Scuole Edili e gli enti paritetici per l’igiene e la sicurezza;

ü      sulle Organizzazioni Sindacali che vedono diminuirsi i loro iscritti e conseguentemente le loro risorse;

ü      sulle Associazioni datoriali, sostanzialmente per i soliti motivi.

 

Quale ruolo deve avere e quale contributo può e deve dare il nostro sindacato per uscire da questa situazione?

In primis è necessario sviluppare una nuova strategia veramente all’altezza della situazione. E per questo bisogna uscire dal chiuso delle politiche sindacali prettamente di categoria, cercare “vere alleanze”, verificare sul campo la loro concretezza, rimandare al mittente tutte le attestazioni di ipocrita sensibilità che non producono alcun effetto. Occorre quindi consolidare ancor di più nei fatti il concetto di autonomia nei confronti di tutti senza risparmiare critiche e promuovere iniziative nei confronti di quegli interlocutori che di volta in volta sfuggono dal dare quel contributo che oggettivamente potrebbe risultare determinante per la risoluzione del problema.

Sono questi, a mio parere, i punti cardine dai quali partire e sviluppare i contenuti.

Qualche anno fa, al fine di ottimizzare la gestione degli appalti pubblici, la Fillea Nazionale ha promosso un’intesa con la Segreteria Nazionale della Funzione Pubblica della CGIL, ma purtroppo si è rivelata solamente un atto formale scritto sulla carta senza nessun sbocco operativo. È indubbio il contributo che invece i compagni della Funzione Pubblica avrebbero potuto dare, a tutti i livelli, nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni. Ci si mette poco ad intuire come il tutto si sarebbe potuto riverberare positivamente su entrambe le categorie.

Ma nonostante episodi di questo tipo bisogna ricordarne altri come l’elaborazione congiunta tra sindacati e associazioni degli imprenditori (Ance) di protocolli di intesa di comune interesse sottoposti successivamente al confronto con alcune pubbliche amministrazioni, che hanno prodotto e stanno producendo risultati considerevoli (protocollo sulla sicurezza in collaborazione con il C.P.T.).

Le prospettive possono sicuramente esserci ma occorre complessivamente una maggiore volontà da parte di tutti, a mio parere non ancora maturata quanto meno a livello generale, e soprattutto da parte di imprenditori e pubbliche amministrazioni, ai quali nessuno nega di poter giocare un ruolo fondamentale per il buon andamento dei settori.

Riflettiamo ad esempio sulla gravità dei problemi che esistono nelle aziende che producono e lavorano gli inerti nella zona Parco del Magra. Premettendo che da anni non prelevano più materie prime dal fiume, sulle stesse incombe costantemente la minaccia di un’espulsione dalle aree dove svolgono attualmente la loro attività, senza che venga proposta in cambio un’adeguata pianificazione operativa e ambientale di una possibile alternativa dislocazione e senza tenere conto delle lavorazioni che svolgono per il mercato in cui operano.

Il sindacato di categoria ha alimentato per lungo tempo e con molta insistenza un confronto con gli imprenditori e con le loro associazioni al fine di ricercare un’adeguata soluzione al problema; ciò che è emerso alla fine è di lasciare le aziende dove sono a condizioni di operare radicali ristrutturazioni tali da rendere sicuri, non solo sotto il profilo fisico e geologico ma anche dal punto di vista della compatibilità visiva rispetto all’ambiente in cui si trovano. Su questa ipotesi è stato avviato un confronto congiunto con l’amministrazione provinciale. La proposta è stata giudicata interessante e meritevole di approfondimento; la stessa si è impegnata ad elaborare un piano di coordinamento territoriale certamente non facile e sicuramente molto impegnativo. Ritengo però che l’importanza della materia non lo renda impossibile e ci aspettiamo quindi un riscontro in merito.

A nostro parere le problematiche di questo comparto non vanno valutate in modo isolato anche per i riflessi che sviluppano su altri settori (primo di tutti l’edilizia).

Analogo ragionamento può essere fatto per il comparto della lavorazione del marmo e del granito. Oggi molte aziende, e mi riferisco a quelle aziende disponibili a continuare a stare sul mercato predisponendo piani e programmi di investimento finalizzato all’ammodernamento dei propri impianti, sono localizzate in modo non adeguato rispetto ad un corretto assetto del territorio.

Anche su questo ambito l’azione del sindacato non è mancata; ci siamo fatti promotori nei confronti dell’Associazione degli Industriali e dei comuni di Castelnuovo ed Ortonovo di iniziative dedicate. Qualche anno fa si è convenuto sulla necessità di individuare una nuova area industriale nel Comune di Castelnuovo Magra, rispolverando un’idea delle precedenti amministrazioni comunali, per trasferirvi le aziende oggi dislocate nel mezzo di abitazioni civili. In tale area potrebbero, a seconda della sua estensione, sorgere nuove aziende per la lavorazione del marmo e del granito, con idonei controlli e garanzie che impediscano il riprodursi di vecchi e conosciuti problemi.

Ci è parso di rilevare su questa ipotesi un certo interesse; i tempi appaiono assai lunghi anche perché sussistono una serie di passaggi politici e burocratici necessari. Abbiamo in ogni caso chiesto a tutti i nostri interlocutori di muoversi con sollecitudine. La nostra concezione della democrazia ci obbliga ad essere coerenti e ci impone quindi di attendere che su questa proposta sia verificato un largo consenso di coloro che sono interessati dall’iniziativa.

Non bisogna perdere di vista il trascorrere del tempo poiché le situazioni di pericolo potrebbero presentarsi in maniera inaspettata, minando la capacità di continuazione dell’attività delle aziende; spettro che potrebbe essere tranquillamente allontanato risolvendo tale problema, creando così le condizioni per una migliore sicurezza ed igiene, per una migliore organizzazione del lavoro (negli orari, nei servizi), elementi fondamentali per ottimizzare il rapporto qualitativo tra assetto strutturale dell’unità aziendale e benefici per i lavoratori.

Nella zona industriale del Comune di Ortonovo si riscontra la stessa situazione, ma riteniamo che la realizzazione di quanto ipotizzato per Castelnuovo possa fungere da traino anche per questo comune.

In questo congresso voglio ribadire che le nostre proposte non sono un alibi dietro cui nascondere la vecchia logica del sindacato “difendere tutto l’esistente”; esse sono portatrici di una corretta idea di sviluppo.

Questo argomento mi da modo di introdurre brevemente alcune considerazioni anche per il comparto del legno.

Nella nostra provincia il settore non è mai stato rilevante ed ancora non lo è dal punto di vista del numero di aziende presenti, salvo alcuni casi dove si svolgono produzioni di fascia medio alta (addirittura decisamente alta in qualche contesto aziendale) sia nel campo dell’arredamento che in quello navale.

Di queste, tre – pur occupando una forza lavoro diretta non superiore alle 200 unità complessive – sono conosciute ed apprezzate a livello internazionale. In questi giorni stiamo aspettando e gestendo, nella parte che ci compete, l’arrivo del Gruppo Ferretti che senza dubbio porterà una boccata di ossigeno per il settore anche dal punto di vista occupazionale.

Queste aziende negli ultimi tempi hanno navigato tra alti e bassi senza però determinare ripercussioni sui rispettivi livelli occupazionali, dimostrando capacità di adeguamento e lungimiranza rispetto ai mutamenti di mercato.

Chiediamo quindi alle aziende di non abbandonare mai la leva dell’innovazione, dell’ammodernamento, della formazione continua della proprie risorse umane (proprio come anche noi facciamo nel nostro piccolo), chiediamo di non far mai venire meno il circuito della comunicazione e della collaborazione tra la direzione e i dipendenti (i propri organismi di rappresentanza – RSU e Organizzazioni Territoriali) per agevolare un clima il più possibile sereno sicuramente costruttivo per entrambe le parti.

Si tratta, per quel che ci riguarda di un’esigenza fondamentale, ma penso che lo sia anche per le aziende al fine di agevolare la cosiddetta contrattazione di secondo livello (in questo caso aziendale).

Pur rilevando che sono già stati rinnovati alcuni accordi integrativi aziendali ed altri sono in fase di conclusione, al di là delle differenze legate alle diversità produttive, tutto si è svolto fin ora nello spirito del protocollo di intesa del luglio 1993 e dei CCNL, ma in quasi tutti i casi non c’era la presenza dei rappresentanti dell’Associazione degli Industriali.

Ci domandiamo allora perché alcune trattative non si svolgono nelle sedi degli Unioni Industriali e non si pensa a sviluppare nuovamente l’idea di un contratto integrativo provinciale per questo settore, come se per i nostri interlocutori fosse decisamente impossibile definire criteri e livelli di un premio di risultato con valenza provinciale.

La strada del “tutto a livello aziendale” non lo vogliamo percorrere a priori e lo abbiamo chiaramente espresso tutte le volte che, per vari motivi, se ne è presentata l’occasione.

Nei comparti di nostra competenza, escluso il legno dove la contrattazione aziendale è consolidata, ci sono decine di piccole aziende che non vengono coinvolte nella disciplina contrattuale di secondo livello in quanto non rappresentate dalle proprie associazioni datoriali, privando quindi tanti lavoratori di importanti voci che influenzano la sfera dei rapporti sociali, dell’organizzazione del lavoro, dell’ottimizzazione di prevenzione – sicurezza - igiene ambientale nell’unità aziendale, del trattamento economico per il premio di risultato, discriminandoli di fatto rispetto ad un altro lavoratore, che ha solo la fortuna di prestare la propria professionalità in aziende dove esistono rapporti sindacali. 

Mi sembra quindi inopportuno, ingiusto, ricondurre, per coloro che operano in aziende diverse ma appartenenti allo stesso settore, ad un evento di casualità la possibilità di vivere il proprio rapporto di lavoro in modo il più possibile uniforme.

È evidente che quanto detto non è esaustivo rispetto alla quantità di problemi che riscontriamo nell’affrontare le contrattazioni nei vari ambiti di competenza della categoria.

In questa direzione chiediamo quindi ai nostri amici della Filca CISL e della Feneal UIL, nell’interesse dei lavoratori che rappresentiamo, di mantenere sempre e forte il nostro rapporto unitario.

Carissimi compagni delegati ho voluto concludere questa relazione argomentando sul tema dell’unità sindacale che, alla luce di positive esperienze passate,  considero fondamentale per il futuro della nostra categoria, soprattutto oggi in cui troviamo alla guida del Paese un governo che potenzialmente non gode del nostro consenso, considerati gli orientamenti fino ad ora espressi convergenti verso la progressiva demolizione dello stato sociale.

Mi rendo conto delle infinite problematiche con cui, di qui in avanti, ci confronteremo nella nostra categoria; sono convinto che sono per la maggior parte quelle che non ho affrontato in questa relazione o che ho solamente accennato. Ho scelto quelle che ritengo in questo contesto più importanti ma da cui ne discendono molte altre; non so se ho fornito sufficienti spunti ed argomenti per il dibattito che in ogni congresso è auspicabile debba trovare ampio svolgimento, in ogni caso invito ognuno di voi a non esitare nell’intervenire con assoluta libertà e serenità su tutti gli argomenti che desiderate (siano stati o meno toccati nel mio intervento), anche perché è un’occasione importante che ci aiuta a capire ed a migliorare la nostra categoria sul piano politico ed organizzativo, per poter continuare ad affermare la nostra piena capacità nel rappresentare gli interessi ed i diritti dei lavoratori delle costruzioni.

Grazie compagni e mi scuso se ho abusato della vostra pazienza.

Non perdiamo mai di coraggio di fronte agli avvenimenti avversi e stringiamoci tutti assieme nella nostra Fillea CGIL.