Relazione Introduttiva

Signor Sindaco, signori invitati, compagne e compagni,

                                                                                     la mia avrebbe dovuto essere una semplice relazione sulla attività della categoria, ma non posso e non voglio esimermi dall'esplicitare alcune considerazioni sulla situazione attuale: sia internazionale sia nazionale. Qui, nel luogo e nel momento più alto della democrazia della vita associativa della nostra organizzazione, dove siamo chiamati a deciderne le linee politiche, gli obiettivi, le prospettive oltre, naturalmente, ad eleggere gli organismi dirigenti che dovranno attuarle.

   "Un giorno il denaro ha scoperto la guerra mondiale, ha dato il suo putrido segno all'istinto bestiale, ha ucciso, bruciato, distrutto in un triste rosario e tutta la terra si è  avvolta in un nero sudario e presto la chiave nascosta di nuovi segreti così copriranno di fango persino i pianeti, vorranno inquinare le stelle, la guerra tra i soli, i crimini contro la vita li chiamano errori" così cantava, qualche anno fà, Pierangelo Bertoli.

                                                                                     Ad Assisi migliaia e migliaia di giovani, di cittadini, di credenti e non credenti hanno manifestato per la pace, contro il terrorismo e contro la guerra. E' la parte visibile di un'inquietudine, di un desiderio e di una volontà pacifista che devono essere compresi e raccolti. Viene da lì un messaggio, un appello non solo legittimo, ma prezioso per quanti in questi giorni drammatici debbono prendere decisioni e fare ulteriori scelte difficili. Sarebbe un errore pensare a quei manifestanti, a quella straordinaria mobilitazione di giovani e di popolo come all'angolo dei sentimenti. Sarebbe una grave distrazione non cogliere il nucleo razionale delle contraddizioni che lì venivano portate allo scoperto. In Afghanistan si attua una tragedia. La lotta al terrorismo può trasformarsi di giorno in giorno in una guerra dai confini incerti, una guerra a un popolo innocente e un conflitto che può tradire le sue stesse ragioni etiche e politiche originarie.

                                                                                     Nulla sarà più come prima, si è detto e scritto, dopo gli attentati terroristici di New York e Washington.

                                                                                     Così  è stato avvertito l'11 settembre nel senso comune di milioni di cittadini in America e nel mondo, così è nel profondo delle cose. Qualcosa si è rotto in profondità e una nuova epoca si è aperta. Un'epoca che nasce sotto il segno della incertezza, della perdita di aspettative e di fiducia per il futuro, una paura che contagia le borse ed i mercati, che produce insicurezza sociale, instabilità finanziaria ed economica. Sarebbe miope non cogliere la profondità del problema. La tragedia dell'11 settembre, la violenza cieca e distruttiva del terrorismo hanno reso drammaticamente evidenti le contraddizioni ed i problemi che sono cresciuti e si sono sviluppati entro i meccanismi sociali, economici, finanziari, culturali e religiosi che non da oggi organizzano e governano il mondo. Il nuovo terrorismo è un fenomeno di barbarie: colpisce popolazioni civili, inermi e incolpevoli, pregiudica ogni mutamento politico nella democrazia, vuole imporre con la violenza, con le armi e con l'intolleranza modelli sociali e religiosi che negano i più elementari diritti della persona. E' il ritorno ad un passato oscuro. Deve però essere chiaro che il terrorismo non è solo il figlio della mente fanatica e perversa di Bin Laden, esso è anche la metastasi di un male profondo.

                                                                                     L'uso della forza, l'intervento militare è essenziale per colpire le organizzazioni terroristiche, i loro complici e le strutture di supporto, ma sarebbe non solo moralmente inaccettabile, ma anche politicamente disastroso il coinvolgimento ulteriore delle popolazioni civili e il sacrificio di nuove vittime innocenti. Non solo. Se la lotta al terrorismo si dovesse esaurire nella sfera militare, essa avrebbe il respiro di un mattino.

                                                                                      Oggi e non domani servono atti e messaggi chiari nel coniugare la forza con la politica, l'intervento militare con scelte capaci di parlare ai tanti milioni di uomini che vivono nella miseria e nella disperazione sociale. Non basta dire che non vogliamo una guerra di civiltà, è decisivo che oggi, su questa soglia critica per il futuro del mondo, la nostra civiltà tiri fuori il meglio di sé. In primo luogo la politica. E' necessario che sia restituita all'ONU la sua autorevolezza, sarebbe un artificio retorico parlare, domani, di ruolo fondamentale e di riforma delle Nazioni Unite, se nel vivo di una crisi drammatica, la funzione delle Nazioni Unite dovesse risolversi in atti formali pur importanti, ma che rischiano di essere poco più che adempimenti notarili.

                                                                                     Vi sono delle ferite aperte nel mondo che oggi e non domani andrebbero  affrontate. Una per tutte. Il presidente degli USA ha sollevato il tema dello Stato Palestinese e della sicurezza di quello d'Israele. E' un fatto di grande importanza. Sono affermazioni impegnative, ma perché non si esauriscano in una sorta di "captatio benevolentiae"  bisogna rapidamente passare dalle parole ai fatti: rendere possibile e garantire con un impegno diretto della diplomazia, della politica e della forza sovranazionale il rispetto degli accordi di Oslo e l'attuazione delle risoluzioni ONU.

                                                                                     In secondo luogo, oggi e non domani sarebbe importante che qualche fatto testimoniasse  la volontà dei paesi del Nord di cambiare l'ordine economico e sociale del mondo assieme alla direzione di marcia dei processi di globalizzazione.

                                                                                     Agli argomenti critici sulla globalizzazione del movimento no-global: lo stato di miseria in cui versa la grande maggioranza dell'umanità, la devastazione dell'ambiente, l'egoismo e la voracità dei capitali finanziari, le guerre etniche e nazionaliste, si somma a maggior ragione dopo gli attentati terroristici, un argomento  che dovrebbe far riflettere anche ai molti che in questi anni si sono nutriti del mito e dell'illusione della globalizzazione comunque. Il crollo della fiducia dei consumatori americani, la crisi della borsa, i licenziamenti di massa sono certamente il prodotto di uno shock collettivo, ma il problema è ben più acuto. L'attentato alle Torri Gemelle ha reso tragicamente esplosive le fragilità, i limiti, le contraddizioni della stessa globalizzazione. Sarebbe cieco rimuovere tutto ciò. Globalizzazione è movimento, di informazioni, di merci, di capitali, di uomini, ma è anche movimento di veleni, di persone che possono seminare il terrore, di armi terribili e riciclaggio di denaro sporco.

                                                                                     Una cosa impensabile ancora poche settimane fà, l'amministrazione americana è costretta  a dichiarare guerra ai paradisi fiscali; altra cosa impensabile fino a ieri, sul sistema globale sono precipitati controlli, freni, rigidità da sempre considerati nemici della libertà di movimento. Altro che Tobin-tax.

                                                                                     La bonifica dei "giacimenti di odio" che sono numerosi e profondi, la lotta contro le spaventose disuguaglianze e ingiustizie nel mondo è sempre meno soltanto un fatto etico, un atto di solidarietà, un dovere morale; a sua volta e sempre più questa diviene una necessità ed una condizione per il sistema se vuole sviluppare le virtù e le opportunità della modernizzazione, cogliere le occasioni della nuova frontiera della globalizzazione e battere alla radice il terrorismo. Si tratta di un impegno di lunga durata. Per la sua parte all'Occidente tocca di abbandonare il proprio fondamentalismo imperniato sul feticismo economicista, l'ideologia del liberismo e di presentarsi al mondo con il modello della democrazia, del dialogo, della giustizia sociale e dello sviluppo per tutti. E' un compito che ci riguarda, difficile ma all'ordine del giorno e inevitabile. E' una sfida con cui dovremo misurarci tutti.

                                                                                     La vittoria elettorale della destra alle elezioni politiche del 13 maggio non è stato un "incidente", che verrà presto superato come avvenne nel 1994 cosicché  tutto possa tornare come prima. Non c'é un prima a cui tornare poiché la situazione politica e sociale è considerevolmente mutata e, di conseguenza, le strategie politiche e sociali perseguite dai governi di centro-sinistra che pur se hanno conseguito risultati indiscutibili nel momento in cui furono applicate, appaiono oggi non riproponibili, né  come perno per un'opposizione efficace né, meno che mai, come un programma per il futuro. In realtà la vittoria della destra ha rappresentato l'emersione di tendenze e processi sociali e politici già in corso di affermazione  nella società. Dalle elezioni ad oggi, nei cosiddetti "cento giorni" il governo ha accelerato progressivamente tutte le spinte ad una prepotente trasformazione sociale e politica del paese.

                                                                                     Gli assi di questo vero e proprio arrembaggio della destra, per molti versi sgangherato ma non per questo privo di efficacia e meno pericoloso, riguardano il complesso degli assetti sociali e politici del nostro paese

                                                                                     Smantellamento e privatizzazione dei diritti universali di cittadinanza quali la scuola, la sanità, la liquidazione dei diritti sociali e sindacali del lavoro; l'applicazione del liberismo "duro" in economia con ulteriore trasferimento di reddito dal lavoro verso i profitti e le rendite utilizzando la leva fiscale e nuovi tagli alle prestazioni previdenziali; attuazione della "devolution", modificando la prima parte della Costituzione spostandone i principi base in direzione della salvaguardia del mercato e dei profitti piuttosto che dei diritti dei cittadini e del lavoro.

                                                                                     La Legge Finanziaria 2002 approvata dal governo non è all'altezza dei problemi che il paese ha di fronte. E' inefficace, in gran parte costruita sulla sabbia per quanto riguarda numeri e previsioni, per qualche aspetto iniqua.

                                                                                     In più, l'inserimento di deleghe (previdenza, fisco ecc..) su materie che riguardano tavoli di confronto da costruire con le parti sociali la rende particolarmente pericolosa.

                                                                                     Il governatore Fazio ha rilevato, nell'occasione, che il valore dell'indebitamento tendenziale non è dell'1,7 ma dell'1,2 per cento e che, di conseguenza, la correzione per centrare nel prossimo anno l'obiettivo di un deficit pari allo 0,5% del PIL non sarà di 33.000 ma bensì di 17.600 miliardi. L'inquilino di via Nazionale, che aveva contribuito non poco all'invenzione della favola dell'enorme ed inatteso "buco" nella finanza pubblica, spiazza così il ministro dell'Economia, destinato a passare alla storia per aver raccontato agli italiani, in un memorabile telegiornale di prima sera, una colossale bugia. Si tratta, per ammissione dello stesso governo, di una Finanziaria provvisoria perché non si è ancora deciso come fare i conti con le conseguenze dei tragici avvenimenti dell'11 settembre.

                                                                                     La riduzione del tasso di crescita del PIL rende poi incerto il quadro delle entrate, che sono in larga misura una tantum.

                                                                                     Ci troviamo, quindi, in presenza di una manovra del tutto insufficiente, debole sia per quanto concerne le politiche necessarie a promuovere e riequilibrare lo sviluppo, sia sul versante del sostegno della domanda aggregata. Nella finanziaria è previsto il contenimento  delle spese per i nuovi investimenti in particolare per le aree depresse.

                                                                                     Del tutto assente rimane il Mezzogiorno e il tema del riequilibrio nord-sud. Anche decisioni, che possono sembrare positive, come l'aumento delle detrazioni per i figli a carico e delle pensioni minime agli anziani più poveri s'inquadrano all'interno di un'azione che redistribuisce risorse tra diversi soggetti ma non favorisce la ripresa dei consumi. La sospensione della riduzione delle aliquote IRPEF, insieme alla mancata restituzione del drenaggio  fiscale e al ripristino dei tickets sanitari, penalizza infatti il reddito disponibile delle famiglie dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Con la legge finanziaria si svela, inoltre, l'inconsistenza del "grande progetto" di ammodernamento infrastrutturale dell'Italia annunciato mediaticamente dal capo del Governo. Infatti nella Finanziaria, che dovrebbe essere la sede naturale in cui incardinare il "progetto", il governo si limita a proseguire con qualche ristrettezza in più quanto il centro-sinistra aveva avviato.

                                                                                     Pensare poi che le risorse mancanti in Finanziaria le si possa recuperare con la "Finanza di progetto" è francamente una "bufala".

                                                                                     Le recentissime conclusioni negative della commissione interministeriale, incaricata di esaminare la "bancabilità" del Ponte sullo stretto di Messina, è la smentita più clamorosa di questa possibilità.

                                                                                     Tant'è che quello che doveva essere uno dei pilastri per l'azione di governo del centro-destra - su cui fondare tanto l'ammodernamento dell'Italia quanto la spinta al ciclo economico - allo scadere dei fatidici cento giorni ha portato, a fatica, solo l'approvazione della legge-obiettivo.    Poteva essere diversamente? Solo l'arroganza del Presidente del Consiglio e le sue risorse mediatiche potevano indurre a pensare diversamente. D'altra parte, sono convinto, le stesse aspettative che il governo favorisce con la legge-obiettivo, andranno in larga parte deluse.

                                                                                     Nelle nostre osservazioni si dice esplicitamente che la legge-obiettivo aprirà tante e tali contraddizioni che determineranno, come principale conseguenza, la destabilizzazione del settore delle Opere Pubbliche in quanto determinerà forti contrasti: tra i poteri del centro e quelli della periferia; tra grandi e medio-piccole imprese; tra le procedure per interventi straordinari e quelle per la spesa ordinaria;  tra i vantaggi che verrebbero concessi ai soggetti finanziari rispetto a quelli d'impresa; tra gli atti della programmazione ordinaria e le decisioni assunte nella legge-obiettivo. Senza parlare poi dei potenziali effetti derivanti dagli enormi varchi aperti alle ecomafie e alla speculazione edilizia. Che da tutto questo ne possa derivare un effetto positivo è francamente dubbio.

                                                                                     Evidentemente il governo insisterà con pertinacia nella sua impostazione neo-centralistica determinando per questa via ulteriori ritardi nell'avvio dei programmi infrastrutturali.

                                                                                     L'esperienza insegna infatti che, finché si discute in astratto di grandi opere, l'attenzione della collettività alle loro implicazioni non è mai molto alta. Ma quando dalla discussione astratta si cala la grande opera sul territorio, si impatta immediatamente con quella complessità di interessi reali che è parte costituente di un paese moderno e democratico. Interessi reali che vanno dalle titolarità istituzionale delle Regioni, Province e Comuni alle titolarità diffuse che la nostra Costituzione intesta al singolo cittadino, quali la difesa del territorio, dell'ambiente, dei beni culturali, del paesaggio, ecc...

                                                                                     Di tutto questo la legge-obiettivo non tiene nessun conto e i suoi promotori pensano invece che una decisione presa centralisticamente dal Consiglio dei Ministri possa mettere a tacere quest'insieme di interessi. La storia italiana è ricca di esempi che dimostrano quanto sia effimera questa convinzione. E d'altra parte non è forse per risolvere questo problema che gli italiani hanno approvato la riforma della Costituzione che dà al nostro sistema istituzionale un impianto federalistico solidale? Anche la CGIL è convinta che il paese ha  bisogno di importanti programmi di ammodernamento. Siamo convinti che questi programmi debbono essere realizzati rapidamente e in tempi certi. Ma per realizzare questo obiettivo, in un paese con le caratteristiche storiche, ambientali, territoriali, istituzionali e politiche come quello italiano, non esiste altro percorso se non un'azione che tenga fermi tre punti politici fondamentali.

                                                                                     Il primo è una grande capacità di programmazione pluriennale strategica con un forte e impegnato contributo delle Regioni. Per questo è indispensabile che il paese si doti delle sedi tecniche necessarie tanto a livello centrale che regionale.

                                                                                     Il secondo punto è quello di verificare i programmi e le decisioni sulla base di strategie partecipative capaci di coinvolgere le organizzazioni sociali rappresentative di interessi collettivi. Questa azione evidentemente dovrà essere più stringente nei casi in cui si toccano problemi quali la salute, la sicurezza dei cittadini e fondamentali risorse storiche e naturali.

                                                                                     Il terzo punto è promuovere una politica industriale per i settori interessati ai programmi di infrastrutture a partire da quelli delle costruzioni e dei trasporti. Non basta più una politica fondata solo su un'alterna offerta pubblica di infrastrutture. Occorre invece promuovere un'azione capace di indurre forti processi di aggregazione, riqualificazione e trasparenza in settori strategici per la competitività del paese.

                                                                                     Ma c'è un'altro aspetto, delle politiche governative, che a me pare particolarmente odioso, Nel suo editoriale, su La Repubblica del 7 ottobre, Eugenio Scalfari definiva il Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia presentato dal governo alle parti sociali come "la corda per legare Cofferati".

                                                                                     Nell'ampio articolo si dava bene conto delle ragioni di un titolo così immaginifico. Le quasi cento pagine che compongono quell'elaborato sono, in effetti, la prefigurazione di un sistema di relazioni in cui è negato ogni ruolo all'esercizio della rappresentanza collettiva del lavoro e ogni scelta che riguardi le relazioni di lavoro è consegnata al potere unilaterale dell'impresa. Alle parti sociali, frequentemente evocate in quel contesto, si assegna un ruolo tutt'al più corporativo, autoreferenziale, forse anche ben remunerato a patto, però che non si debordi da una funzione meramente consultivo-assistenziale.

                                                                                     Naturalmente avremo altre occasioni per ritornare sull'argomento con valutazioni più di dettaglio, utili a sostenere le iniziative di confronto e di mobilitazione che non è difficile prevedere necessarie; mi limiterò a qualche rilievo più macroscopico. L'obiettivo fondamentale, in più parti e in varie forme esplicitato, è quello di reinventare "l'intero diritto del lavoro italiano" attorno alla dimensione individuale del rapporto di lavoro. Riscopriamo qui la prima coincidenza fra il manifesto ideologico di Confindustria a Parma, la parola d'ordine del "contratto libero" lanciata dalla destra in campagna elettorale e gli intendimenti concreti dell'azione di governo.

                                                                                     Da questa prospettiva "strategica" discende, innanzitutto, la conclamata volontà di manomettere tutte le leggi fondamentali, a partire dallo Statuto dei Lavoratori, (vedi art. 18), per arrivare anche a quelle più recenti che stanno dando buona prova di sè: dall'interinale al part-time, dalla riforma dei servizi per l'impiego al divieto di intermediazione di manodopera; fino alla nuova legge sul collocamento obbligatorio; norme tutte  parimenti definite ostacoli all'efficienza del mercato del lavoro in quanto eccessivamente vincolistiche per l'impresa.

                                                                                     Per di più a ciò, non corrisponde, come ci si potrebbe attendere, un parallelo trasferimento di funzioni e poteri su quelle stesse materie alla contrattazione collettiva, tutt'altro! Si prefigura un analogo sostanziale depotenziamento della contrattazione collettiva, ridotta a fissare alcuni criteri di base per di più anch'essi derogabili attraverso il meccanismo dell'accordo individuale. In terzo luogo, a maggiore garanzia di tutto ciò, si ipotizzano alcuni nuovi istituti come: il  "contratto di progetto" e il "contratto di lavoro intermittente" le cui clausole sono, per definizione, variabili caso per caso. A completamento dell'opera si prevede l'istituto della "certificazione" per inibire ogni successiva possibilità per il lavoratore di contestare in sede di contenzioso la natura del rapporto intervenuto e naturalmente i relativi trattamenti.

                                                                                     Nulla aggiungo, in questa sede, su altre perle: la volontà di rendere obbligatorio l'arbitrato per il contenzioso sui licenziamenti senza giunta causa, la manomissione del modello negoziale fondato sui due livelli oppure l'obbligatorietà del referendum preventivo come condizione di legittimità per proclamare uno sciopero nei servizi e altro. Non poteva poi mancare l'esplicita dichiarazione di contrarietà a ogni regolamentazione per legge della rappresentanza sindacale. E' ovvio che ci si avvia ad un confronto aspro che richiederà anche iniziative forti per cui servirà il massimo di unità con CISL e UIL: il nostro impegno sarà in tal senso ma ovviamente non dipende solo da noi.

                                                                                     Ulteriori difficoltà e complicazioni le registriamo sul fronte dei rinnovi del biennio economico del settore: a fronte della chiusura sostanzialmente positiva del cemento e dei lapidei si evidenzia ancora una volta la tradizionale allergia dell'ANCE (Associazione dei Costruttori Edili) a considerare i salari dei dipendenti delle proprie imprese un costo "giusto" da pagare anche a fronte, per loro stessa ammissione, di un settore in uno stato di salute se non ottimo sicuramente discreto, con anni di crescita alle spalle e con prospettive future ancora più ampie. Nonostante ciò ed in presenza di una richiesta salariale responsabile l'ANCE risponde con la consueta arroganza che la conferma come parte più retriva di Confindustria e del padronato. Evito di dilungarmi su questo anche per la preziosa presenza di Massimo Viotti che, in quanto protagonista principe della trattativa, saprà illustrarci esaustivamente i punti del confronto; aggiungo solamente che è già sul tavolo una prima risposta: lo sciopero nazionale che nelle Marche sarà effettuato per l'intera giornata lavorativa venerdì 30 novembre.

                                                                                     Per gli altri settori: laterizi e manufatti, legno,  riscontriamo atteggiamenti e situazioni diversificate, più ottimismo per il  primo settore dei materiali un ritardo per il legno.

                                                                                     Se sul versante dei rinnovi dei settori industriali non ci sono elementi di soddisfazione su quello degli artigiani si evidenzia, se possibile, un'ulteriore difficoltà. Qui lo scontro è divenuto ideologico. Le associazioni artigiane sono uscite allo scoperto con una proposta di un nuovo modello contrattuale che dovrebbe sostituire le regole esistenti. Hanno discusso un'intera estate fra di loro, poi, improvvisamente, hanno superato le differenze al loro interno e hanno  tirato fuori dal cilindro la proposta per un federalismo contrattuale.

                                                                                     Un modello che ricalca le linee di fondo del manifesto di Parma di Confindustria e le proposte del Libro Bianco. E' una proposta irricevibile che non consente, per colpa  delle Associazioni Artigiane, di procedere nei rinnovi dei contratti nazionali di tante categorie che hanno presentato le piattaforme sulla base delle regole esistenti.

                                                                                     Il Contratto Nazionale è ancora più indispensabile in settori frammentati come l'Artigianato e la Piccola e Media Impresa.          La contrattazione territoriale, inoltre, non può essere lo strumento per peggiorare tutele e diritti.

                                                                                     La risposta che la CGIL ha dato agli artigiani è coerente con le valutazioni già espresse sulle scelte di Confindustria e del governo, e per questo i lavoratori delle impresse artigiane devono essere informati e coinvolti nella battaglia che il sindacato dovrà mettere in campo per contrastare questo inaccettabile disegno politico.

LA FILLEA DI ANCONA

               La scelta di tenere il Congresso qui a Serra San Quirico non è una scelta casuale. I maligni diranno perché qui c'è un ottimo ristorante - ed è noto che noi di FILLEA siamo dei buongustai, oppure per l'amicizia che ci lega al Sindaco -, quindi convogliare persone ed attenzione nella cittadina da lui amministrata.

               Abbiamo scelto S.S. Quirico per confermare una decisa politica di decentramento sul territorio, abbiamo scelto questa bella realtà perché è uno dei comuni più provati dal sisma e dove la ricostruzione ha fatto passi da gigante, coniugando celerità e qualità, infine, non ultimo perché é sede di due realtà produttive importanti nell'economia regionale. Due realtà che da sempre meritano un'attenzione particolare da parte della FILLEA perché pur tra mille difficoltà (non ultimo il contenzioso con la Regione Marche che ancora tarda ad approvare la legge sulle  attività estrattive) continuano a mantenere livelli occupazionali soddisfacenti, privilegiando un corretto metodo di relazioni sindacali che ci consente da un lato di rinnovare puntualmente alla scadenza gli integrativi aziendali e dall'altro il raggiungimento di un accordo condiviso per un progetto di riconversione industriale che attua elementi di sviluppo compatibile abbattendo l'impatto ambientale.

                                                                                     Nel periodo temporale che ci separa dal precedente Congresso la FILLEA di Ancona ha vissuto una stagione ricca di appuntamenti e di iniziative, che pur in presenza  di problemi e difficoltà, non ne hanno minato la consistenza, la considerazione e l'importanza.

                                                                                     Ne cito alcune:

ü     le iniziative pubbliche dedicate all'abitare, alla qualità del costruire, al recupero urbano in collaborazione con la CGIL ed il SUNIA che hanno trovato riscontri e prodotto risultati molto soddisfacenti.

ü     La pubblicazione della storia della FILLEA anconetana "Dalle miniere ai cantieri" con cui abbiamo divulgato, su tutto il territorio nazionale, pagine di storia umana che sono  squarci di luce dolente sulla vita di questa provincia, palpitanti testimonianze di lavoratori e sindacalisti, diretti protagonisti di quelle esperienze, delle vicende, delle vicissitudini, dei sacrifici, ma anche dell'orgoglio, delle sconfitte ma anche delle vittorie degli edili, "popolo nomade" eppure presente in ogni città, piccola o grande che sia; dei cementieri, i più agguerriti; dei minatori, i più sfruttati; dei lavoratori del legno, professionali ma poco valorizzati.

ü     La capacità di aver prodotto risultati importanti per i lavoratori tramite gli accordi integrativi: dagli edili, alle cave, dalla Bocchini-Orion alla Bigelli Marmi, dall'AeG Bontempi alla SICAP, dalla Nuova Sima alla Bisci Hi-Tech, eccetera, ampliando la platea di aziende e lavoratori interessati.

Vi consegno, quindi, una categoria viva e presente, che ha saputo rinnovare il proprio quadro dirigente, che ha attratto verso il difficile ruolo di delegato d'azienda visi nuovi, giovani che chiedono, magari con metodi nuovi, le tutele ed i diritti di sempre, il rispetto per il lavoro accompagnato da una giusta ricompensa.

Ma prima di concludere questa relazione permettetemi di elencare alcune questioni su cui la FILLEA di Ancona dovrà impegnarsi ed impegnare tutto il suo gruppo dirigente:

ü     Il lavoro unitario:

Nella nostra provincia pur in presenza di "un quieto vivere" non riusciamo ad esprimere una forte iniziativa unitaria, nonostante il radicamento e la sindacalizzazione dei settori delle costruzioni sia più forte che in altre realtà.

Vanno rimosse insofferenze, pregiudizi, ostacoli che non ci consentono di produrre unitariamente iniziative favorevoli al rilancio di piattaforme rivendicative per i lavoratori che vogliamo rappresentare. Prima fra tutti va rimossa l'ostatività  dell'ingresso della FILCA-CISL nel Patto costituente della Cassa Edile Artigiana elemento che ci consentirebbe di applicare anche ad Ancona la totalità degli accordi nazionali sulla rappresentanza negli Enti Bilaterali, rafforzando di pari passo la nostra capacità contrattuale e gestionale.

                                                                   Un ulteriore impegno unitario va profuso nel governo degli Enti bilaterali del settore, con l'obiettivo condiviso, rilanciando noi un'iniziativa forte, per ricondurre ad unitarietà il sistema delle Casse Edili, dando pari dignità a tutti i soggetti.

                                                                   In modo da evitare frammentazioni e disagi creando opportunità ulteriori per tutto il settore.

ü     la contrattazione integrativa

La FILLEA di Ancona non paga dei risultati acquisiti, dovrà impegnarsi costantemente, puntando a qualificare ed estendere, l'esercizio della contrattazione integrativa oltre che nei rinnovi anche ad altre realtà produttive con una particolare attenzione oltre che alla giusta questione salariale anche agli aspetti della sicurezza, degli ambienti, degli orari.

ü     La sicurezza sul lavoro:

Assieme ai punti elencati mi corre l'obbligo di aggiungere la questione della sicurezza sul lavoro.

Permane l'impegno quotidiano sulla sicurezza nei posti di lavoro di tutti i nostri settori.

Abbiamo detto e fatto molto: l'impegno costante e positivo dei CTP delle Casse Edili, come FILLEA abbiamo inviato a 5.000 edili che lavorano nella nostra provincia un opuscolo sulle norme più elementari di sicurezza nei cantieri in collaborazione con l'INCA.

Abbiamo detto e fatto molto ma non a sufficienza. La denuncia è importante, le leggi e le Direttive europee pure, ma tutto ciò non basta, perché il fenomeno degli infortuni mortali in edilizia e delle malattie professionali nel legno, nelle cave e nelle aziende dei materiali da costruzione continuano purtroppo ad accadere e dipendono da più fattori.

La sicurezza in tutti i suoi aspetti continuerà ad essere il nostro impegno prioritario, perché è da lì che passa la nostra azione sull'organizzazione del lavoro, la lotta al lavoro nero, alle imprese corsare e irresponsabili, al ricatto su donne, uomini e giovani che pur di lavorare accettano qualsiasi condizione.

Un lavoro sicuro per lavorare in sicurezza, per non morire di lavoro, per schiacciare intermediari senza scrupoli che speculano sui diritti e sulla vita di chi lavora.

               Sicurezza, lavoro e occupazione, garanzie per i diritti dei lavoratori, contrattazione e democrazia, equità nello stato sociale, trasparenza e legalità sono l'insieme di parole d'ordine del nostro lavoro passato e ci dovranno guidare nel futuro, con coerenza, coraggio e un grande senso di solidarietà fra tutti i nostri settori, fra la nostra gente, fra la nostra categoria e le altre.

               Tutto questo sempre guidati dalla convinzione che il sindacato generale è tanto forte quanto forti sapranno essere non solo  le categorie ma anche e soprattutto il sindacato confederale, la nostra cara CGIL.

 

                                                                         Grazie