15° CONGRESSO COMPRENSORIALE            FILLEA-CGIL

       Pistoia                                                                                                                                   24 NOVEMBRE 2001

 

 

                                                                            RELAZIONE INTRODUTTIVA

 

                                                                            DEL SEGRETARIO DANIELE GIOFFREDI

 

Care compagne, cari compagni

nell’aprire i lavori di questo nostro 15° Congresso comprensoriale, voglio ringraziare i delegati e gli invitati presenti.

Ci presentiamo a questo Congresso Provinciale della nostra Organizzazione a cinque anni di distanza dal precedente.

Molti sono quindi i mutamenti e le evoluzioni avvenute nella società e nella nostra Organizzazione.

Arriviamo a questo nostro Congresso, con un duro lavoro alle spalle per tutti noi, perché abbiamo dovuto intrecciare alle assemblee congressuali il lavoro quotidiano che questa categoria presenta comunque ininterrottamente.

Il bilancio dell’attività congressuale è senza dubbio da considerarsi positivo per la ampia partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori (considerando soprattutto la frammentazione del settore edile e la piccola dimensione di molti impianti fissi), quest’anno nonostante la rigidità dei regolamenti anche per la discussione avvenuta soprattutto grazie al buonsenso dei presentatori delle mozioni.

In questo percorso, abbiamo tenuto ben 30 assemblee congressuali di base, di cui 6 di zona o interaziendali e 24 di azienda o di cantiere.

Pur nella difficoltà oggettiva, dovuta dal fatto di dover consultare lavoratori dispersi in più di duecento aziende, abbiamo comunque interessato al dibattito tutti gli iscritti al 31/12/2000, dei quali 426 (il 42,6%) si sono espressi con un voto.

Dal punto di vista puramente numerico i risultati sono così suddivisi:

al Documento di Maggioranza il 85,58% dei voti

al Documento Cambiare Rotta il 14,42% dei voti.

Il confronto tra le due mozioni è stato duro e serrato, ma sempre improntato sulla massima serietà e correttezza, e questo clima sereno ha consentito ai lavoratori ed alle lavoratrici di comprendere e discutere le differenze proposte nelle due mozioni, perché il rischio vero in una realtà frammentata come la nostra categoria fatta di piccole e piccolissime aziende era quello di fare sembrare la CGIL divisa.

Secondo la mia opinione il dibattito avvenuto durante le assemblee ha prodotto risultati importanti perché oltre a discutere giustamente dei documenti congressuali è stata affrontata la strategia politico-sindacale della CGIL rispetto al duro attacco che il Governo e Confindustria stanno portando avanti contro il mondo del lavoro.

Diventa questa una occasione irripetibile per pensare davvero ad un modello di Sindacato Generale del lavoro e dei diritti in Italia ed in Europa, che sappia  cogliere l’obiettivo del lavoro per tutti in una società democratica e civile che dia a tutti anche ai più deboli pari opportunità.

Ritengo importante quindi, fin da oggi, auspicare da parte mia di perseguire un percorso unitario nella gestione della categoria per i prossimi 4 anni, perché un conto sono le questioni di carattere generale, un altro è la vita quotidiana della categoria.

 

Ma questo è stato anche il Congresso, che ci ha visti dover affrontare le grandi questioni che si muovono intorno a noi e che ci impongono di misurarci con le vicende dirompenti di questi ultimi mesi. L’11 Settembre scorso è successo qualcosa di inimmaginabile. L’attacco alle Torri Gemelle ha mostrato in un solo colpo tutta la debolezza dell’ordine mondiale.

Il terrorismo internazionale ha rialzato la testa, compiendo purtroppo un salto di qualità preoccupante. Da questo discende la necessità di una risposta forte al terrorismo che incombe come una minaccia sulla convivenza pacifica in ogni parte del mondo.

Una risposta che ha la necessità di essere organizzata sì colpendo le centrali terroristiche, ma anche attraverso lo strumento della politica, affrontando e risolvendo i problemi aperti, perché nessuna arma potrà mai difenderci se non costruiremo un mondo basato sui diritti.

Lo hanno detto a Genova i Sindacati Mondiali: la globalizzazione non può essere a senso unico, portando giovamento ai più ricchi e maggiore debolezza ai più poveri, visto che già attualmente il 20% della popolazione mondiale detiene l’80% della ricchezza.

Da questo punto di vista occorre procedere sempre più velocemente al progetto di unificazione dell’Europa nella prospettiva della costruzione di un modello più avanzato di governo della globalizzazione. Gli obiettivi più importanti di una nuova strategia del Sindacato Europeo, la CES, devono essere l’affermazione dei diritti di cittadinanza secondo le indicazioni emerse dal vertice di Nizza (Carta dei Diritti) e da una più ampia estensione di strumenti utili ad una sostanziale modifica dell’attuale modello di sviluppo (Tobin Tax e Clausola Sociale).

Così come occorre trovare soluzione a conflitti storici come quello drammatico tra Palestina ed Israele. Sicuramente, in questa fase storica, la firma di un accordo di pace tra palestinesi ed israeliani sarebbe il più grande colpo inferto alla strategia del terrore.

 

In questo quadro internazionale drammatico, purtroppo il Governo di centrodestra guidato da Berlusconi, tra un incidente internazionale e l’altro, governa a senso unico con l’unico obiettivo di tutelare gli interessi dei padroni contro il movimento sindacale e le istanze che questo movimento tutela.

Il centrodestra ed il Governo hanno fatto la loro scelta di campo, hanno scelto la Confindustria e gli imprenditori.

A giugno Confindustria nella sua assemblea annuale tenutasi a Parma fece “l’elenco della spesa” al Governo, ebbene quei “prodotti” si stanno traducendo in provvedimenti che vanno nella direzione di colpire i lavoratori ed i pensionati.

I provvedimenti dei primi 100 giorni sono a senso unico:

Tremonti bis

Falso in bilancio

Rogatorie internazionali

Rientro dei capitali dall’estero

Norme contro la cooperazione.

 

Poi è arrivata la manovra economica per il 2002 preparata dal Governo con la legge finanziaria, che è inefficace ed iniqua. Inefficace perché tutto si basa su ipotesi di entrate poco credibili, dalla crescita del PIL alla vendita degli immobili pubblici. A questo si aggiunga la mancanza di interventi anticongiunturali: dagli investimenti in infrastrutture, al sostegno ai consumi ed agli investimenti in ricerca. Nella finanziaria mancano interventi a favore delle aree più deboli del Paese, dirottando risorse dalla programmazione negoziata alla detassazione a pioggia della Tremonti bis. C’è un taglio dei trasferimenti agli enti locali costringendoli a sua volta ad aumentare le imposte, una riduzione degli investimenti previsti per la ricerca e la scuola e quella della copertura necessaria per i contratti dei dipendenti pubblici.

Ma la manovra è anche iniqua, perché se l’intervento sulle pensioni al minimo e quello per le detrazioni ai figli possono apparire come scelte di attenzione nei confronti delle fasce più deboli, in realtà l’impianto complessivo della manovra testimonia piuttosto l’uso di un principio di discriminazione nelle scelte, infatti vengono favoriti i ceti abbienti e gli evasori, mentre con l’abbandono della riduzione prevista per le aliquote medio-basse dell’irpef e la mancata restituzione del Fiscal-drag vengono redistribuite alle famiglie meno risorse di quanto già restituito dalla precedente finanziaria.

Ma questa finanziaria chiede deleghe su materie delicate e di grande impatto sociale, quali pensioni e mercato del lavoro, rifiutando di fatto il confronto con le parti sociali e nel Parlamento.

Cancellando la concertazione, ed introducendo il cosiddetto Dialogo Sociale, che altro non è che una illustrazione di temi che verranno comunque imposti.

Purtroppo questa finanziaria molto probabilmente non sarà l’unica manovra per il 2002, a primavera necessariamente ci sarà una manovra correttiva per rispettare i vincoli europei, infatti la manovra di oggi calcola il fabbisogno su delle ipotesi di crescita del tutto fantascientifiche.

 

A tutto questo si aggiunge il cosiddetto Libro Bianco del Ministro del Lavoro Maroni, sul quale il nostro giudizio è assolutamente negativo, in quanto si ispira con assoluta fedeltà alle idee di Confindustria, portando avanti forme sempre più accentuate di precarizzazione del rapporto di lavoro con l’obiettivo principale di scardinare il sistema della contrattazione collettiva e della rappresentanza sindacale.

Il contratto nazionale dovrebbe essere svuotato completamente di contenuti, ridotto ad una sorta di cornice dove dentro ci sta di tutto. Ci stanno i contratti regionali, territoriali, d’impresa e individuali, con conseguenti gabbie salariali, contratti di progetto, clausole individuali peggiorative in deroga ai contratti ed alle leggi e contratti a termine senza vincoli ed illimitati.

Ma chi pensasse che questo fosse sufficiente si sbaglia, perché si sta anche procedendo nella direzione di intervenire sull’art. 18 dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori con la delega al Governo, con l’obiettivo di sospendere la giusta causa nei licenziamenti sostituendola con l’arbitrato.

Questa decisione sarebbe alquanto antidemocratica, perché si lede un diritto di civiltà sul quale nell’ultimo referendum, pur non raggiungendo, il quorum la quasi totalità degli elettori si espresse con un secco rifiuto a questa ipotesi.

 

Sono convinto, che nonostante nel recente passato ci siano stati accordi separati da parte di CISL ed UIL, oggi di fronte ad un attacco così duro ai lavoratori ed ai pensionati, il sindacato tutto saprà rispondere con tempismo ed efficacia al tentativo di smantellamento del sistema pubblico in materia di sanità, di scuola e di previdenza. Dovremo costruire un sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori unitario, autonomo e democratico, partendo dal patrimonio di persone, di idee presenti in CGIL CISL UIL e dalle rappresentanze unitarie nei luoghi di lavoro per contribuire in maniera determinante ad una evoluzione democratica e civile del nostro Paese.

E’ un obiettivo strategico, ma l’unità sindacale non può prescindere da un rapporto chiaro e democratico fra tutti noi. E’ quindi indispensabile definire una legge sulla rappresentanza che dia regole e procedure per le assunzioni delle decisioni , ruolo delle RSU e potere degli iscritti e dei lavoratori.

 

E’ in questo contesto di attacco generalizzato ai diritti ed al Sindacato che occorre valutare l’intesa del Luglio ’93. Questo tema è stato al centro della discussione congressuale.

E’ un accordo che pone al suo centro l’equità e lo sviluppo, attraverso una politica redistributiva sorretta da regole e da procedure che disciplinano i comportamenti di tutti i soggetti per porre tra l’altro sotto controllo i prezzi e le tariffe. Occorre che tutti i soggetti interessati siano coerenti rispetto alle regole sopra descritte. Quindi la migliore arma per restaurarlo e  migliorarlo, è difenderlo dagli attacchi del Governo e del padronato con Confindustria e Confartigianato in testa, i suoi più strenui oppositori, coloro cioè che vogliono eliminare ogni regola, smantellare il sistema contrattuale su due livelli e dividere le organizzazioni sindacali.

Certo l’idea della concertazione è per noi un metodo e non un fine, che intendiamo praticare fino a quando ci sono le condizioni.

La difesa del modello contrattuale definito con quell’accordo rimane per noi una priorità,

Il primo livello, quello nazionale, che salvaguardi il potere di acquisto delle retribuzioni e la sua funzione decisiva per il carattere universalistico, solidaristico e di uguaglianza tra lavoratori del settore pubblico e privato.

Il secondo livello, quello aziendale o territoriale, per redistribuire quella produttività di settore o aziendale che in molti casi ha consentito alle aziende di guadagnare e che ci consente di ragionare di organizzazione del lavoro, degli orari e di tutte quelle politiche contrattuali connesse al ciclo produttivo, alla formazione ed alla professionalità.

 

La nostra impostazione dunque va nella direzione giusta di riaffermare il diritto contrattuale del salario, ma in un quadro di affermazione dei diritti e delle tutele, attraverso la qualità del lavoro nelle aziende e nei cantieri, che affermi un nuovo modello competitivo della struttura produttiva del Paese.

Per questi motivi anche a Pistoia, il 30 Novembre sciopererà l’intero settore dell’edilizia.

E’ necessario rinnovare l’integrativo provinciale degli edili, così come facemmo positivamente nel 1998 anche grazie all’accordo del Luglio ’93, perché se succedesse un’altra volta un vuoto contrattuale che durava dal 1989 rischieremo di non avere più memoria storica tra i lavoratori, consentendo nei cantieri una contrattazione individuale nella quale i sempre più ricercati lavoratori specializzati potrebbero spuntare salari anche più alti del CCNL mentre gli altri (extracomunitari e manovali) meno di quanto dovuto facendo leva sulle loro debolezze ed i loro bisogni.

 

Occorre a questo punto, fare una valutazione su quale è lo stato del settore delle costruzioni e dell’edilizia nella nostra provincia. Partendo dalla situazione generale del Paese, possiamo dire che oramai da alcuni anni si è stabilizzata in dati positivi. A questa crescita hanno concorso tutti i settori, dalle infrastrutture pubbliche all’edilizia privata ed è stata una crescita che pur con le differenze e le peculiarità territoriali ha riguardato tutto il Paese.

Come Fillea/CGIL vogliamo però rafforzare il concetto che questa situazione deve rappresentare una opportunità eccezionale per fare compiere al settore quel necessario salto di qualità indispensabile per essere competitivo negli anni futuri. Perché l’altra faccia della medaglia, è un lavoro che cresce ma in un mercato del lavoro dove diminuiscono i fattori di strutturalità a vantaggio della precarietà e della temporaneità. E’ un lavoro ancora caratterizzato da una consistente quota di sommerso e nero, dove il fenomeno degli infortuni resta ancora altissimo rispetto ad altri settori. E’ un lavoro dove la componente di immigrazione cresce, ma prevalentemente al di fuori di un sistema di regole e garanzie e soprattutto è un lavoro scarsamente appetibile per i giovani. E se il lavoro è lo specchio dell’impresa è sufficiente prendere a riferimento i dati della Conferenza Nazionale dei Lavori Pubblici, dalla quale emerge che il numero medio di addetti per impresa è di 3,1. In Italia solo il 10% delle realtà imprenditoriali si trova sopra la soglia dei 50 addetti a fronte del 26% della media europea.

Lo stesso mercato delle opere pubbliche dal quale avrebbe potuto venire un impulso significativo a combattere la destrutturazione del sistema di imprese non si è rilevato efficace, dato il ricorso quasi sistematico che in questo settore si è fatto del subappalto. Questa è una ripresa che rischia di non lasciare alcuna traccia di sé ed il pericolo della occasione persa è quello che potremo correre di fronte ad un andamento ciclico che potrebbe esaurire i suoi effetti positivi, lasciando a nudo tutte le debolezze strutturali di un sistema di imprese che oggi non appare certo in grado di vincere la sfida competitiva.

La prima cosa da fare è respingere l’idea che questo sia un settore destinato a vivere entro condizioni di precarietà. Occorre inoltre parlare di trasparenza del mercato del lavoro in edilizia ed in particolare del grave fenomeno del lavoro nero ed irregolare.

Secondo i dati resi noti dall’INPS nazionale 3 aziende su 4 tra industria ed artigianato hanno posizioni irregolari di varia natura. La lotta al lavoro nero diventa una condizione decisiva per combattere gli infortuni sul lavoro, perché è evidente che il sommerso è antitetico alla cultura della sicurezza e della prevenzione.        La

 Commissione Nazionale Paritetica sulla Sicurezza ha effettuato un monitoraggio dal quale risulta che nel 26% dei bandi di gara nei lavori pubblici manca totalmente l’indicazione dei costi della sicurezza e nell’altro 74% che contiene l’indicazione dei costi il fattore qualitativo è allarmante, perché molto spesso difetta di coerenza con il valore dell’opera e con la tipologia del lavoro.

A livello locale, la situazione, anche se non così drammatica, rispecchia in buona sostanza questo quadro generale, con una situazione degli addetti praticamente inalterata, ma con un sensibile aumento delle aziende, in molti casi individuali. Questo significa giocoforza, maggiore frastagliazione ed una riduzione del numero medio degli addetti per azienda. Questa situazione è preoccupante, anche perché le attuali strutture aziendali non sono in molti casi in grado di coprire opportunità di crescita dovute ad appalti di opere pubbliche di consistenti dimensioni. Se non ci saranno “consorziazioni” di imprese locali, il rischio di perdere occasioni importanti è estremamente alto. Occorre creare le condizioni per specializzare la piccola e la media impresa, oltre a gettare le premesse per un avvicinamento dei giovani a questo settore, visto che uno dei problemi principali è la mancanza di specializzazione delle maestranze. Iniziano a mancare sempre più professionalità importanti quali quelle del muratore, del carpentiere, dell’escavatorista, dello scalpellino.

Uno strumento importante dovrebbe essere quello di corsi mirati a tali professionalità, anche perché l’edilizia oggi rappresenta sempre più spesso la valvola di sfogo di tanti lavoratori espulsi da altri settori produttivi e questi lavoratori non hanno una specializzazione adeguata e tanto meno una garanzia di prospettive occupazionali e salariali.

Bene, se questo è il quadro, compito nostro è certamente quello di portare avanti questi temi, a cominciare da quello relativo alla sicurezza nella contrattazione integrativa territoriale ed almeno per quanto riguarda i cantieri dove le stazioni appaltanti sono pubbliche e dove esiste uno spazio sulla programmazione negoziale nel rapporto con le istituzioni e gli organi preposti al controllo. Senza dimenticare che esiste un tavolo provinciale sugli appalti, nel quale è necessario affermare il principio del rifiuto della logica del massimo ribasso come unico o principale parametro per l’aggiudicazione. Inoltre va affermato con forza il valore della formazione come strumento e risposta forte ai processi disgregativi presenti nel settore per mettere nelle condizioni i lavoratori edili di stare dentro questi processi senza subirli. Partendo dalla formazione di ingresso, con particolare riferimento agli apprendisti, per arrivare alla formazione continua, oltre alla formazione dei lavoratori stranieri che è anche formazione culturale generale oltre che professionale.

Un’altra questione che dovremo affrontare presto con l’Ance a livello locale è quella relativa alle prestazioni extracontrattuali, perché anche se quest’anno abbiamo aumentato i premi studio, devono essere adeguate alle prestazioni delle Casse Edili limitrofi che quest’anno le hanno migliorate.

 

Discorso complesso, anche per quanto concerne il settore del legno e dell’arredamento. Quando parliamo di legno parliamo prevalentemente dell’imbottito di Quarrata. I problemi ci sono, pur non essendosi verificato un crollo occupazionale, purtroppo è mancato lo sviluppo. A mio parere molti imprenditori quarratini nei momenti favorevoli, non hanno effettuato investimenti tecnologici e di personale, ma hanno preferito incamerare risorse guardando in maniera miope ai bilanci e non allo sviluppo, Il vero valore aggiunto per il settore del legno dovrebbe essere rappresentato dalgli investimenti, non da un utilizzo sfrenato di tutte le forme di flessibilità.

Le aziende hanno preferito fare ricorso ad orari al di fuori delle norme contrattuali, anziché assumere e qualificare nuovo personale. Il mobile quarratino dovrebbe puntare di più sulla qualità, non solo sulla quantità di merce prodotta e sulla competitività dei prezzi.

Il rischio reale, se le aziende non avranno l’intelligenza ed il coraggio di impiegare le risorse guadagnate in progetti di investimento, di riorganizzazione e di riqualificazione professionale, sarà quello di non essere più competitive sul mercato specialmente ora che si dovranno confrontare anche con i colossi del mercato europeo.

A questo dobbiamo aggiungere, che si tratta di un settore nel quale, nonostante gli sforzi che comunque in quest’ultimo periodo iniziano a dare frutti concreti, abbiamo molte più difficoltà a penetrare nelle aziende per la contrattazione di 2° livello rispetto ad altri settori.

Nel settore dei laterizi e manufatti in cemento, infatti pure avendo nella nostra provincia solo 2 aziende, abbiamo infatti rinnovato, secondo i criteri dell’accordo di Luglio 93, gli integrativi aziendali anche con buoni risultati.

Il limite che incontriamo, invece nel settore del legno è dovuto anche al fatto che il contratto prevede una contrattazione integrativa a livello aziendale e non territoriale, oltre ai nostri rapporti di forza ed allo scarso radicamento che in quel territorio abbiamo.

A questa difficoltà va aggiunta anche quella relativa alla mancanza di rappresentanza che la stessa associazione degli industriali, (che non ha una sezione legno), ha nei confronti degli imprenditori quarratini. Molto spesso si crea il paradosso, che i lavoratori delle aziende artigiane attraverso la contrattazione integrativa regionale, abbiano paghe più alte dei lavoratori dell’industria. Occorrerà quindi lavorare fin dal prossimo rinnovo contrattuale per rendere più esigibile la contrattazione di 2° livello territoriale per lo meno per quelle aziende e sono tante che occupano meno di 15 dipendenti e non possono eleggere le RSU.

Anche se, ogni qual volta, si sia presentato un problema più o meno grave, non necessariamente licenziamenti, i lavoratori si sono sempre rivolti alla Fillea che è sempre stata e sempre sarà in prima linea per la tutela ed il riconoscimento dei diritti dei lavoratori. Ed in questi 5 anni sono state molte le vertenze, che  spesso da vicende sindacali sono diventate anche vicende umane, perché il dirigente sindacale quando si occupa di licenziamenti o di soprusi diventa suo malgrado parte in causa. Molto spesso diventa anche difficile dal punto di vista legislativo fornire adeguate protezioni sociali, perché il nostro tessuto produttivo è fatto di piccola impresa e artigianato, e non è quindi più rinviabile una riforma degli ammortizzatori sociali da estendere anche a questa categoria dei lavoratori.

 

Parlo volentieri della situazione del settore Legno, perché in questo mandato congressuale, ho avuto la possibilità di essere il responsabile regionale per il settore, grazie alla struttura che la Fillea Regionale, si è data affidando le responsabilità dei vari settori ai segretari delle singole provincie. Nonostante il mio scetticismo iniziale dovuto essenzialmente al timore di non avere la disponibilità di tempo necessaria, è stata un’esperienza importantissima dal punto di vista professionale. Infatti ho avuto la possibilità di partecipare attivamente nella delegazione trattante per il rinnovo del CCNL legno industria oltre a rinnovare in maniera più che dignitosa l’integrativo regionale.

 

Debbo ringraziare per questa mia esperienza,  Mauro Livi, che mi ha dato questa opportunità, oltre ad essere sempre stato puntuale e presente nei momenti di necessità.

Quando parlo dell’importanza del contributo di Mauro, mi riferisco anche al fatto, che guidando una categoria da segretario provinciale ma come unico funzionario (come a me è successo frequentemente in questo mandato), sono molti i momenti difficili nei quali senza il suo sostegno a volte anche solo per uno scambio di opinioni, sarebbe stato più difficile andare avanti.

 

A proposito della struttura della Fillea pistoiese, debbo dire che è una organizzazione in buono stato di salute, con bilanci fino ad oggi in attivo e con un recupero di iscritti per lo più giovani, che ci hanno portato nel 2000 a raggiungere la soglia dei 1000 iscritti. Quest’anno ad oggi, abbiamo quasi raggiunto il solito risultato, con l’auspicio realistico di raggiungere e superare quel dato alla fine dell’anno.

Un impegno importante, è stato anche quello di avvicinare alla Fillea e sindacalizzare molti lavoratori extracomunitari, tant’è che oggi al nostro congresso sono presenti alcuni delegati. L’obiettivo che ci demmo al precedente congresso era quello di rinnovare la categoria con nuovi quadri, nuovi gruppi dirigenti negli organismi. A me pare che la platea congressuale odierna sia molto rinnovata e risponda a tali aspettative, è da qui che dobbiamo ripartire consolidando e facendo maturare con il contributo di tutti queste nuove esperienze.

In quest’ottica, ritengo positiva ed importante, l’esperienza che la Fillea di Pistoia ha fatto in quest’ultimo anno, inserendo nella propria struttura un giovane compagno, Simone Bicocchi, che molti di voi avranno già  avuto modo di conoscere, con un impegno al 50% suddiviso con la FILT.

Credo che compatibilmente con i nuovi impegni che Simone assumerà nella Filt, questa esperienza dovrà proseguire, perché seppure in un breve periodo di tempo ha dimostrato la serietà, l’umiltà , la disponibilità e l’intelligenza necessaria per dare un contributo importante e fattivo.

 

Mi avvio alle conclusioni, ma prima voglio ricordare che in questi giorni prima di scrivere questa relazione, ho voluto rileggere la mia relazione al precedente Congresso.  Era il Maggio 1996.

In un capitolo di quella relazione, esprimevo preoccupazione per la situazione della Permaflex. Solo quattro mesi dopo la Permaflex  venne venduta, da quel momento iniziò una vertenza che oggi non è ancora del tutto conclusa. Non voglio ora ripercorrerla tutta, anche perché in questi anni ha riempito le pagine della cronaca locale ed in qualche caso anche quella nazionale, ma voglio ricordarla perché la Fillea, soprattutto grazie alla RSU ed ai lavoratori iscritti, ha fatto diventare questa vertenza, la vertenza di tutta la città attraverso il pieno coinvolgimento delle istituzioni locali e nazionali e di tutta la cittadinanza. Oggi molti di quei lavoratori sono andati in pensione, altri si sono ricollocati, ma ancora 25 che si trovano in mobilità  frequentano un corso di riqualificazione professionale al fine di essere riassunti in quell’area dalla ditta Mantellassi.

Questo percorso che prevede la riassunzione di questi lavoratori è stato concluso con un accordo sindacale, ma la Fillea non riterrà conclusa la vertenza fino a quando tutto questo non sarà realizzato, così come sarà sempre in prima linea perché quell’area rimanga un’area industriale, non vi vengano effettuate speculazioni edilizie e se possibile possa nel tempo dare occupazione ulteriore.

 

Concludo davvero, con la speranza di essere stato esaustivo in questa mia introduzione che ha cercato di interpretare le problematiche passate e recenti sia di carattere politico sindacale a livello generale sia quelle specifiche di categoria, anche attraverso idee e spunti e confidando anche del vostro fattivo contributo per arricchire questo Congresso.

 

Ringrazio per la sua partecipazione Luigi Cavallini della Fillea Nazionale, che nelle sue conclusioni potrà sicuramente sviluppare ed arricchire di contenuti le questioni presenti nella relazione, oltre ad indicarci puntualmente tutti gli impegni futuri della nostra categoria.

 

Ringraziandovi per l’attenzione prestata vi saluto.