Cari compagni
delegati, egregi invitati, gentili ospiti,
è per me motivo di grande
soddisfazione e orgoglio celebrare questo congresso in questa sala; è come se
giocassi in casa, in questa sede che è un patrimonio dei lavoratori e delle
imprese della nostra provincia, costruita un po' anche con il nostro lavoro e
con il nostro sacrificio.
Una sede
moderna, all'avanguardia, accogliente, con questa sala che sta diventando un
contenitore di appuntamenti importanti, una nuova "Agorà", non solo
per le organizzazioni che nella Cassa sono rappresentate, ma anche per il mondo
politico, istituzionale, culturale dell'intera provincia; ed assume anche un
grande valore simbolico il fatto che questo appuntamento capiti alla vigilia di
una importante celebrazione, proprio per la Cassa Edile, che ci ospita: il
quarantesimo anniversario della sua fondazione.
Vogliamo, qui,
oggi, dopo 40 anni, ribadire ancora la validità di quella scelta: la Cassa ha
rappresentato per i lavoratori, le imprese, le organizzazioni che li rappresentano,
un punto avanzato di quel momento concertativo che, partendo dalla condivisione
di regole e obiettivi, e nel rispetto dei differenti ruoli di ognuno, ha dato
tanti importanti risultati anche nei momenti più neri della vita sociale ed
economica della nostra provincia. Questo, senza che la ricerca di nuovi e più
qualificati servizi per lavoratori e imprese, da parte dell'Ente, abbia mai
surrogato l'esercizio della rappresentanza contrattuale, che evidentemente si
esercita in altri modi ed in altre sedi.
Naturalmente,
ringrazio il presidente, ing. Eliseo Zanasi, il direttore, dott. Franco
Marseglia, e tutti i collaboratori
della Cassa, non solo per averci messo logisticamente nella condizione migliore
per poter svolgere questo congresso: con loro, idealmente, ringrazio tutti
coloro che nella Cassa in questi 40 anni, si sono succeduti, che hanno lavorato
perché tutto questo si realizzasse.
Saluto con
particolare affetto gli amici e compagni della FILCA e FENEAL, che ci onorano
della loro presenza, e da cui mi aspetto un contributo, anche in termini non
necessariamente formali, a questo congresso.
Colgo
l'occasione per rinnovare il mio personale apprezzamento a Pasqualino Festa e
Enzio Gallo, anche loro da poco reduci dalla scadenza congressuale, per la loro
riconferma alla guida delle organizzazioni degli edili di UIL e CISL.
Ringrazio
della loro partecipazione i rappresentanti delle associazioni imprenditoriali;
tante volte ci siamo incontrati, spesso anche scontrati, su questioni
importanti e delicate; a volte ci siamo ritrovati anche dalla stessa parte,
specie nel confronto con le istituzioni e nella gestione degli Enti paritetici.
Per questo, abbiamo sviluppato rapporti di stima e amicizia reciproci, che
spesso ci hanno permesso di superare anche momenti molto difficili. Il rispetto
dei ruoli ci porta naturalmente a considerarvi innanzitutto la nostra controparte,
il nostro interlocutore privilegiato, e non mancheremo di utilizzare questo
congresso per continuare il nostro confronto, che in questo momento vive una
fase molto delicata, purtroppo. E sono certo che anche voi, non farete mancare
il vostro apporto in termini di idee al nostro Congresso.
Il
contesto internazionale: gli attacchi terroristici agli USA e le incognite sul
futuro
Certo, è difficile iniziare questo congresso senza
dare uno sguardo fuori dalla finestra, a ciò che sta avvenendo nel mondo. Si è
detto e ripetuto, fino alla noia, forse, che il mondo dopo l'11 settembre non
sarebbe più stato lo stesso. Una profezia tanto banale quanto spaventosamente
vera. L'attacco alle torri gemelle e al pentagono, e soprattutto quel che ne è
seguito, allungano un'ombra minacciosa sul nostro futuro.
Sebbene la
recessione economica mondiale fosse stata, da tempo, ampiamente prevista da
tutti gli analisti economici di tutte le latitudini e di tutte le culture, lo
spettro di questa guerra - una guerra dagli esiti tutt'altro che definiti e
dalla natura assolutamente imprevedibile ed atipica - ha contribuito a gettare
una incognita pesante in una economia mondiale le cui variabili sono già di per
sé difficilissime da governare. Ma la destabilizzazione non riguarda solo l'economia:
si sono avuti effetti sul piano sociale, ambientale, culturale, sulle coscienze
di ognuno, sui valori etici, sui comportamenti. Forse, a due mesi e mezzo di
tempo, è ancora troppo presto per dirlo, ma il mondo, dopo l'11 settembre, è
veramente cambiato.
In che maniera
questi cambiamenti si rifletteranno anche sul lavoratore edile della provincia
di Foggia? O sui lapidei delle cave di Apricena?
Il compito di
questo congresso non è certo quello di dare risposte a queste domande, ma
ognuno di noi è consapevole che questi interrogativi sono presenti nella nostra
mente e finiranno con influenzare anche le nostre scelte.
Del resto, non
possiamo, in un congresso di una organizzazione di lavoratori, non ricordare le
vittime dell'attacco terroristico agli Stati Uniti d'America. Non vogliamo
alimentare la retorica patriottistica americana e non, che ha definito martiri,
eroi o chissà cosa, quei morti. Ma come non ricordare che moltissime di quelle
persone erano al lavoro, quando sono state colpite dalla violenza devastante
degli attentati? E come non ricordare i vigili del fuoco, i poliziotti, gli
operatori sanitari, caduti sul lavoro mentre tentavano di prestare soccorso?
Molti di loro erano, forse, addirittura inconsapevoli del rischio cui andavano
incontro: hanno percorso quelle scale, tra fumo, polvere e macerie, perché
quello era il loro lavoro, il loro mestiere, e lo hanno fatto come sapevano o
come gli era stato chiesto di fare. Vogliamo ricordarli così, accomunati ai
nostri compagni e alle nostre compagne cadute sul lavoro dal grande vuoto
lasciato nelle loro famiglie, nei loro amici.
La nostra
ferma condanna per il terrorismo è anche condanna per ogni forma di violenza,
da qualunque parte provenga, anche se serve per fermare l'insorgere di altra
violenza.
In proposito,
respingiamo con fermezza la strumentalizzazione di una parte del mondo
politico, specie della sinistra più radicale, cosiddetta “antagonista”,
presente nella nostra stessa organizzazione, che vuole far passare il teorema
secondo cui il non opporsi alle azioni contro il terrorismo internazionale
significa accettare un modello politico guerrafondaio imposto dagli USA, per
l'affermazione di un modello economico culturale basato sulla forza e sul
mercato senza regole.
Al contrario,
noi abbiamo seri e fondati dubbi circa l'intervento armato in Afghanistan.
Auspichiamo che quanto prima possano cessare i bombardamenti e le guerre, in
Afghanistan come in ogni parte del pianeta, e si presti aiuto alle popolazioni,
duramente provate dal conflitto. Non crediamo che esista al mondo nessuno capace
di giustificare la morte di anche uno solo dei bambini innocenti colpiti "per
sbaglio" sotto i bombardamenti pseudo intelligenti degli americani e degli
alleati anti terrorismo.
Noi crediamo
in un ordine mondiale fondato sulla pace e sul diritto all'autodeterminazione
dei popoli. Di questo il sindacato, la CGIL, la FILLEA di Capitanata, sono
fermamente convinti: è parte stessa del nostro DNA.
Aver eliminato
dallo Statuto il ripudio della guerra come strumento di soluzione dei
conflitti, non ha mai significato che la CGIL abbia anche lontanamente pensato
il contrario, e cioè che la guerra potesse essere strumento per risolvere i
conflitti.
Non abbiamo problemi che questo concetto venga reintrodotto o riformulato nello Statuto della CGIL. Così come siamo fermamente convinti che l'ONU debba recuperare un suo ruolo, una sua funzione, che non c'è stata oggi come non c'è stata ieri per il Kosovo. Ma è pur vero che, se siamo in una organizzazione come la CGIL, è perché ci anima l'intima convinzione che, lottando, le cose si possano cambiare. Ed allora, a noi che siamo partigiani per natura, potete chiederci tutto, ma non di restare fermi a guardare le cose che non vanno. Per questo, abbiamo adottato la formula della "contingente necessità" per quell'azione NATO “per” i diritti delle popolazioni del Kosovo (e non “contro” la Serbia…), e per questo, con tutti i dubbi e le perplessità, siamo schierati a favore del ripristino della legalità internazionale, contro ogni forma di terrorismo.
1996-2001: dalla crisi alla New Economy
Cinque anni ci separano dall'ultimo congresso. Volgendo lo sguardo a questo tempo trascorso, ci sembra incredibile quello che è potuto succedere in un così breve lasso di tempo.
Il telefonino
allora era considerato uno status symbol,
internet era un lusso per pochi, e per
valutare il benessere della nazione si contavano ancora gli apparecchi
telefonici fissi.
Oggi si va
verso un computer per ogni famiglia, i telefoni fissi non contano (e non si
contano) più, e il telefonino è diventato un oggetto di culto per gli
adolescenti.
Ma quel che
più conta, l'economia, grazie all'avvento della rete, si divide in New Economy
e Old Economy: milioni di lavoratori fanno mestieri che in quel 1996 neanche
esistevano, e ognuno ha la possibilità di fare il Trading on line da casa, con un piccolo programmino comprato in
edicola!
Nel 1996
eravamo forse nel punto più basso di una crisi che - specie nel nostro settore
- non è mai stata così nera, dal dopoguerra. Eppure si respirava aria di grandi
cambiamenti, vi era la consapevolezza che presto la congiuntura si sarebbe
invertita.
Dal governo di
centro sinistra, appena eletto, ci si aspettava grandi riforme, ma si
preannunciavano ancora tanti sacrifici, perché bisognava centrare l'obiettivo
Euro. Essere lì, con il gruppo di
testa, significava beneficiare da subito di tutti i vantaggi, ma soprattutto
mettersi in condizione di affrontare la più ardua delle sfide: l'economia
globalizzata.
Soprattutto,
dal governo Prodi, aspettavamo quei provvedimenti in grado di riavviare
l'economia, con un occhio attento allo stato sociale.
Abbiamo fatto
la nostra parte con grande senso di responsabilità. Abbiamo centrato
l'obiettivo Europa (tra un mese useremo le nuove banconote), e le ultime
manovre finanziarie avevano anche cominciato a renderci qualche cosina.
Qualche
riforma c'è stata, anche se da questo punto di vista le aspettative sono andate
un po' deluse.
Certo, non c'è
stata la revisione della riforma delle pensioni o la flessibilizzazione del
rapporto di lavoro tanto cari al governatore della Banca d'Italia, Fazio. Ci
sembra in proposito che il governatore sia ossessionato da questo pallino. Lo
ha chiesto in tutti i modi e in tutte le occasioni, all'inizio discretamente,
poi più assiduamente, adesso quasi sfrontatamente! Che si discuta di Fondo
Mondiale, di tassi di interesse, di Europa, ai convegni dei prodotti tipici
della Vall'appesca come a quelli della Banca Mondiale, lui non perde occasione
per ricordare a tutti che l'Italia ha uno Statuto dei lavoratori che va
abolito, assieme ai diritti e alle tutele che impunemente garantisce.
Permettetemi la divagazione: ma mi piacerebbe chiedere a Fazio - che è pur
sempre la massima autorità nel settore bancario - se conosce qualche banchiere
disposto a concedere un mutuo per l'acquisto della casa di abitazione a un
lavoratore precario, a tempo determinato o flessibile che dir lui voglia: si
accettano anche raccomandazioni. Il giorno in cui ci fornirà nomi e indirizzi
delle banche, la chiederemo noi l'abolizione dello Statuto dei lavoratori!
Tornando al
XIII congresso, ricordo bene il clima in cui si svolse: i delegati erano una
sorta di "sopravvissuti" alle massicce campagne di licenziamenti
attuati dalle imprese, spesso sulla via del fallimento. La relazione del
congresso era una specie di lista di morti e feriti; avevano chiuso i battenti
imprese storiche e altre erano in grandi difficoltà. In quel clima, la
contrattazione collettiva era difficilissima, perché non si avevano gli
interlocutori, e allora spostavamo le nostre rivendicazioni verso le
istituzioni. Ricordiamo le manifestazioni fatte tra prefettura, palazzo della provincia, comuni, stazioni
appaltanti, alla ricerca di notizie di apertura di cantieri. Ricordiamo anche
le denunce prese dai sindacalisti perché chiedevano lavoro ai pochi cantieri
che si aprivano.
Poi la ripresa
c'è stata, puntuale, anche se a determinarla sono stati tanti fattori, diversi
e a volte anche inaspettati. C'è stato il giubileo, i programmi di edilizia
abitativa, il contratto d'Area. C'è stata la legge sulle ristrutturazioni
immobiliari, fortemente voluta dal sindacato, che ha dato buoni frutti. Non ci
sono stati alcuni interventi infrastrutturali importanti, come le dighe e la
ferrovia o il completamento della rete viaria. Ma nel complesso, le cifre
parlano di una ripresa sostanziosa ed evidente.
Lo
scenario attuale: primi segni di una nuova inversione di tendenza?
E' una ripresa
che, tuttavia, potrebbe non durare a lungo. E questo è il paradosso: oggi il
clima è esattamente l'opposto di cinque anni fa.
Tutti i più
qualificati enti di statistica, compreso lo stesso osservatorio congiunturale
delle costruzioni ANCE, pubblicato lo scorso mese di ottobre, indicano un 2002
di ulteriore crescita, sebbene più contenuta del 2001, che potrebbe riportare
il settore ad una situazione ante-1993, l'anno in cui iniziò la crisi.
L'esperienza
però ci insegna che l'economia ha dei cicli che il nostro settore spesso
anticipa in maniera sensibile. E così, se cinque anni fa eravamo nel punto più
basso, e quindi ci aspettava un periodo di ripresa, oggi potremmo essere all'apice
della parabola ascendente, e trovarci di fronte ad una possibile discesa. Non è
il caso di essere allarmisti a tutti costi; ma proprio perché siamo consapevoli
che il futuro potrebbe riservare nuovi contraccolpi, riteniamo che sia
necessaria una svolta culturale, per prepararsi al meglio.
Il
nuovo governo di centro destra
Ad appesantire
un clima di pessimismo, che comincia ad aleggiare, contribuiscono, oltre che le
incognite derivanti dal contesto internazionale, anche i continui
"proclama" degli uomini del nuovo governo di centro destra: a
cominciare dal nuovo ministro del lavoro - che con il suo "libro
bianco" ha subito reso chiare le linee del nuovo esecutivo su temi che ci
stanno molto a cuore -, passando per i ministri di economia, industria e lavori
pubblici, e per finire allo stesso presidente del consiglio, che dopo tante
promesse elettorali, ha presentato una finanziaria tutt'altro che positiva.
Un giudizio
evidentemente condiviso anche dalla nostra controparte ANCE, che dopo una
concessione di credito praticamente illimitata, all'indomani del voto, è
arrivata a criticare pesantemente la finanziaria, per bocca del suo presidente,
De Albertis, "una finanziaria in 'chiaro scuro', che presenta una
consistente contrazione delle risorse […] rispetto al 2001, anche per
finanziamenti collegati a leggi e disposizioni già prese".
Noi non
vogliamo essere ipocriti: abbiamo decisamente avversato, in campagna
elettorale, questo governo, perché abbiamo ritenuto non condivisibile il suo
programma elettorale (soprattutto, non attuabile e non rispondente alle reali
esigenze del Paese).
Rispettosi
delle regole democratiche, abbiamo preso atto del risultato elettorale. La cosa
più banale, in questi casi, è dire che giudicheremo sul campo, dai risultati,
la nuova compagine di governo. Dovere e compito di un sindacato democratico è
confrontarsi senza pregiudizi sulle questioni, anche quando si hanno chiari gli
obiettivi cui tendere. Lo abbiamo fatto con il governo di centro sinistra, cui
non abbiamo fatto sconti o risparmiato critiche, quando erano giuste.
Ma proprio in
questi primi mesi, possiamo dire che ciò che abbiamo visto sul campo ha
superato ogni più nera immaginazione: i primi atti di questo governo, ci
mettono in condizione di essere seriamente preoccupati, per l'avvenire. Abbiamo
ricevuto la sensazione che questo governo voglia ridimensionare drasticamente
il ruolo del sindacato, e specialmente della CGIL: sarà che ci addebitano
ancora la colpa di averli fatti cadere nel 1994. Evidentemente, non hanno ben
capito ancora cosa realmente avvenne, o fanno finta di non capirlo.
Nessuno pensi
che ci faremo intimorire dai metodi che il governo vuole adottare. Se sarà
necessario, ricorreremo a tutte le nostre forze e a tutte le nostre armi -
prima fra tutte l'organizzazione dei lavoratori -, per evitare che i diritti di
civiltà, conquistati dal mondo del lavoro in decenni di lotte e di sacrifici,
possano andare perduti.
E colgo qui
l'occasione ancora una volta per ringraziare il Capo dello Stato, per la sua
appassionata difesa - manifestata in ogni occasione - della Costituzione e
soprattutto dei valori fondanti della democrazia contenuti nella prima parte
della stessa.
Il
federalismo e la Regione Puglia
L'ultimo,
importante atto del centro sinistra, è stata l'approvazione della legge di modifica
dell'articolo 5 della Costituzione.
Con la
conferma avvenuta con il Referendum del 7 ottobre, alle Regioni sono state
trasferite importanti funzioni. Accogliamo con favore la nuova legge, che va
nella direzione di un decentramento di funzioni e, ci si augura, in una
maggiore rispondenza dei provvedimenti alle esigenze dei cittadini. Una legge
che presenta un giusto equilibrio tra funzioni decentrate e funzioni rimaste
prerogativa dello Stato.
Semmai, siamo
preoccupati che la Regione Puglia possa non essere pienamente all'altezza delle
funzioni assegnatele. E qui si riapre un capitolo dolente.
Come FLC
abbiamo da sempre denunciato i ritardi ed i guasti prodotti dalla Regione
Puglia sull'edilizia e i settori collegati. Si pensi ai piani regolatori,
rimasti bloccati per anni proprio nella fase di approvazione da parte degli organismi regionali. Né riteniamo che
la nuova legge regionale sull'urbanistica, approvata durante l'estate, possa
dare esiti migliori. E' singolare come, mentre si chiede al Governo Nazionale
di decentrare risorse e competenze, la Giunta Regionale di fatto accentri su di
se tutte le competenze in campo urbanistico, senza preoccuparsi dei ritardi che
già in passato ha prodotto.
La Regione ha
avversato i Patti Territoriali, li ha tenuti in molti casi bloccati,
rilasciando i pareri con colpevole ritardo.
Non possiamo
non lamentare l'assoluta mancanza di partecipazione delle parti sociali alla
formazione degli strumenti operativi per l'accesso ai finanziamenti comunitari
(POR). Non condividiamo nel merito alcune scelte, che penalizzano i Patti
concertati dalle parti sociali, in favore di interventi mirati solo ad
accrescere il potere nelle mani del Presidente.
Infine,
riteniamo che l'attenzione complessiva della Regione alle istanze della nostra
provincia, sia assolutamente insufficiente ed inadeguata.
Abbiamo
bisogno di rilanciare la nostra vertenza nei confronti della Regione Puglia,
alla quale chiediamo innanzitutto un maggiore coinvolgimento nei processi di
formazione delle decisioni, e ci auguriamo che lo Statuto Regionale, in via di
formazione, preveda meccanismi di partecipazione democratica che non siano
meramente formali.
Il
ruolo politico del sindacato nel nuovo sistema maggioritario
Siamo convinti
che all'indomani del cambiamento in senso maggioritario del sistema elettorale,
vada rivisto il ruolo di soggetto politico del sindacato.
Una
organizzazione che rappresenta milioni di cittadini, lavoratori e lavoratrici o
pensionati che siano, avrà pur sempre il diritto (e il dovere) di
rappresentarne le istanze, in tutte le sedi possibili. È del resto
caratteristica peculiare di un sindacato che vuole essere confederale - e non
corporativo - l'avere un progetto complessivo della società. Da questo eravamo
mossi, quando abbiamo sottoscritto i protocolli concertativi per le politiche
dei redditi, ad esempio.
Troppo spesso
la politica - non solo da destra - ha invece marginalizzato il ruolo politico
del sindacato, accusato di "interferire", di "disturbare"
il manovratore di turno. I più benevoli hanno detto che il nostro atteggiamento
era dettato solo dal desiderio di stare nella stanza dei bottoni. In altri
tempi ci hanno pure definiti "cinghia di trasmissione".
Ma noi abbiamo
contribuito, troppo spesso, a far sì che questa visione minimale, spesso
strumentale, nei nostri confronti, fosse alimentata dai nostri stessi
atteggiamenti.
Da un lato,
difendevamo a spada tratta la nostra autonomia dalla politica e dai partiti.
Dall'altra, non potevamo fare a meno di schierarci, per affermare i valori in
cui crediamo, o altre volte semplicemente per difenderli. Ci siamo anche
inventati forme di incompatibilità assurde, diciamolo pure, perché meramente
formali, e che hanno avuto come effetto solo quello di allontanare molti compagni
e compagne dalla militanza politica attiva, spesso nella presunzione che
l'esperienza sindacale esaurisse ogni nostro altro dovere di partecipazione
alla vita politica attiva.
Oggi tutto
questo va rivisto. Nei documenti congressuali abbiamo scritto che bisogna
rideclinare il tema dell'autonomia, che il sindacato non può che riconoscersi
nel campo di chi considera il mondo del lavoro come proprio fondamentale
insediamento sociale. Un tempo questo era lo spartiacque tra la sinistra e la
destra liberista: affermare ciò, oggi che la
sinistra è di fatto più debole nel paese, significa anche assumersi una nuova e
importante responsabilità.
La
situazione nella provincia di Foggia
Nella nostra
provincia, gli ultimi cinque anni sono stati caratterizzati da un vero e proprio
"boom", come si diceva un volta. Ho usato questo termine, proprio per
evocare il senso dell'esplosione. Un'esplosione manifestatasi nell'incremento
esponenziale di lavoratori, imprese, flussi finanziari movimentati, ore
lavorate; ma anche in grandi contraddizioni, quali lavoro nero, o sommerso,
lavoro che potremmo definire "grigio", sottopagato, senza regole e
diritti; e poi infortuni sul lavoro, cottimo selvaggio, subappalto
ingiustificato e indiscriminato, concorrenza sleale. Un fenomeno che ha
riguardato tutto il settore, non solo l'edilizia (anche se l'edilizia è il
centro intorno a cui tutto il settore, inevitabilmente, ruota).
Voglio qui
evitare di fare una mera elencazione, la lista della spesa, come si suol dire,
delle cose fatte e da fare, di ciò che è andato bene e ciò che è andato male;
del resto, le nostre piattaforme rivendicative sono ben note e sono in genere
comuni con la FLC. Le occasioni per ricordarle, specie ai nostri interlocutori,
non sono mancate e non mancheranno. Vorrei tentare qui, più una disamina
politica, funzionale alla discussione congressuale.
Dunque, si è
parlato di edilizia e di boom: analizziamo un po' le cifre per capire di cosa
stiamo parlando.
Secondo i dati
del Servizio Studi della Cassa Edile di Foggia (ma, ripeto, la fotografia è
valida anche per gli altri settori, non fosse altro che per l'effetto
trascinamento che l'edilizia ha), nel 1996 le imprese attive erano 1.147, nel
2000 erano 1.465 mentre per il 2001 si supereranno probabilmente le 1.500 unità
(i dati per il 2001 sono ancora parziali e del tutto provvisori), con un
aumento superiore al 30%.
I lavoratori
attivi erano 6.980 nel 1996, mentre nel 2000 si è quasi raggiunto il massimo
storico della cassa, realizzato alla fine degli anni '70 - inizio anni '80, con
quasi 9 mila 400 operai attivi.
Questo dato è
tanto più significativo ove si consideri che oggi esiste anche l'Edilcassa, che
opera nella provincia, e che molti operai vengono denunciati alle Casse delle
province dove hanno sede i cantieri,
cosa che non avveniva all'epoca.
Le ore
lavorate nel 1996 erano 4.717.974, nel 2000 hanno superato gli 8 milioni 200
mila (+73%), mentre i dati provvisori del 2001 dicono che sono già state
superate 7 milioni 726 mila ore denunciate.
I salari denunciati
nel 1996 erano meno di 59 miliardi, nel 2000 oltre 109 miliardi, nel 2001 hanno
già superato i 105 miliardi.
Di pari passo
viaggiano gli infortuni sul lavoro: le giornate non lavorate per infortunio nel
'96 erano 6.160, nel 2000 erano quasi novemila.
Sono cifre da
capogiro, di gran lunga superiori anche alle medie che si sono riscontrate in
altre regioni del Mezzogiorno e, più complessivamente, d'Italia.
* * * * *
Salutiamo con
soddisfazione la chiusura del contratto nazionale dei lapidei, avvenuto il 14
novembre. Resta purtroppo ancora sospeso il problema della contrattazione di
secondo livello. Ci troviamo di fronte ad un settore che ha introdotto cicli di
lavorazione nuovi, per far fronte ad una domanda sempre crescente, oltre che a
nuovi vincoli di rispetto ambientale.
Il bacino
marmifero di Apricena è uno dei più importanti d'Italia, sia per quanto
riguarda la quantità di prodotto che la sua qualità. Il momento positivo è
confermato dal fatto che, dopo anni di stasi, si è avuto una ripresa del turn over, il ricambio tra pensionati e
giovani assunti.
Purtroppo, ci
troviamo senza un interlocutore, in quanto i produttori non sono associati, e
quindi non esiste un organismo che li rappresenti. Non è da escludere che
questo atteggiamento è dettato da una precisa strategia dell'imprenditoria
locale, che denota un segnale di grande arretratezza culturale.
A questo
punto, nostro malgrado, non resta che l'arma del conflitto, per stanarli. Il sindacato
non può permettersi di lasciare senza contratto integrativo una categoria così
importante. Occorre, pertanto, spostare il confronto dalla sede territoriale,
alle singole aziende.
Questo gioco
"a nascondino" degli imprenditori, potrebbe avere ripercussioni gravi
anche sul futuro delle stesse imprese: interlocutori seri e credibili non
servono solo per rinnovare i CIPL, di per sé un fatto importante, ad esempio,
per contrattare argomenti quali l'organizzazione del lavoro, la sicurezza, la
formazione; ma anche per gestire al meglio i P.O.R., per i programmi di recupero
post chiusura delle cave, per le procedure connesse alle nuove normative
sull'ambiente, e quant'altro. La nuova legge sul PRAE, ad esempio, che impone
un confronto tra le parti e i Comuni del bacino, per arrivare alla definizione
del Piano Regolatore delle Attività Estrattive.
Nel settore
dei laterizi e manufatti in cemento, dopo i tagli e le ristrutturazioni dei
primi anni novanta, le imprese sopravvissute alla crisi hanno conosciuto un
momento favorevole, con livelli produttivi tornati ad essere significativi,
legati alla ripresa dell'edilizia (da cui il settore dipende direttamente). In
questi giorni dovrebbe essere chiuso anche per questo settore il CCNL;
l'accordo parrebbe raggiunto, e dovrebbe essere ratificato il 29 prossimo
venturo.
L'unico
settore che non sembra aver beneficiato, in maniera proporzionata agli altri,
della ripresa, pare essere quello del legno arredamento, almeno nelle aree di
insediamento tradizionali (Foggia, Lucera e San Severo) e dei cantieri navali.
I primi, evidentemente soffrono la concorrenza di altre zone del Paese, in cui
la presenza di infrastrutture e di un tessuto imprenditoriale più diffuso, ha
consentito di acquisire quote di mercato anche a livello internazionale, mentre
le nostre aziende dipendono quasi totalmente dalla richiesta locale. I cantieri
navali, invece, oltre che per processi produttivi che si vanno via via
superando, soffrono anche per l'introduzione delle norme che regolano la pesca
(il fermo biologico, ad esempio, durante il quale le barche sono ferme e non
possono neanche essere tirate a secco per i lavori di manutenzione, oppure i
limiti imposti alla costruzione di nuove imbarcazioni).
Nuove imprese
sono nate, anche grazie agli strumenti della programmazione negoziata del
Contratto d'Area di Manfredonia, sia nel settore laterizio/manufatti, sia nel
settore legno/arredamento; bisogna, però, adesso chiedere un momento di
verifica degli accordi, ed avviare una stagione di sindacalizzazione delle
maestranze assunte nelle nuove Aziende; infatti, non possiamo non rilevare la
scarsa rappresentatività del sindacato nelle nuove realtà, legata spesso al
tipo di contratto applicato nelle aree - rivolto soprattutto a giovani assunti
al primo impiego, che dovranno essere confermati al termine di un periodo di
formazione/lavoro -, e che non vorremmo si traducesse in una riduzione di
tutele e diritti per i lavoratori.
Una occasione mancata. "La sfida della qualità"
Abbiamo
parlato di cifre da record. Se possibile, questi dati aumentano ancor più il
rammarico per quella che, a nostro giudizio, potrebbe essere una occasione
mancata.
La ripresa,
infatti, è stata una ripresa quantitativa, indubbiamente, ma non
qualitativa.
Non si è
sfruttata al meglio questa occasione per consolidare il tessuto
imprenditoriale, anche attraverso investimenti in formazione e tecnologie
innovative, per renderlo pronto alle nuove sfide cui andrà incontro.
Già nel
momento della crisi, denunciammo il fatto che si trattava di una crisi diversa
dal passato, perché a sopperire erano imprese sane, solide, con grande
tradizione alle spalle, mentre sopravvivevano i cosiddetti
"sceriffi", imprenditori senza scrupoli e senza un vero progetto
imprenditoriale, pronti ad azzannarsi per rosicchiare il primo osso
disponibile.
Per farsi
largo, questi imprenditori (o presunti tali) non esitavano a sacrificare la
sicurezza, il salario dei lavoratori, i diritti elementari, il contratto.
Il mercato
veniva a perdere ogni regola, e così molte imprese, per restare vive, dovevano
giocare con le stesse armi.
Con questo,
non vogliamo dare una colpa o lanciare una accusa generalizzata al mondo
imprenditoriale. Ci rendiamo conto e anzi testimoniamo senza riserve che
proprio su questo terreno, più frequenti sono stati gli incontri con le nostre
controparti, per recuperare la legalità e un quadro di regole certe.
Ma quando il
momento contingente è finito, le imprese non hanno recuperato, a nostro avviso,
competitività secondo quello che era loro possibile: con la "qualità".
È questa la
sfida che noi riteniamo di lanciare con il nostro congresso, e che dà il titolo
al congresso stesso: "costruire un
futuro di qualità".
Abbiamo tenuto
una grande iniziativa, nella scorsa primavera, che è stata un pò il trampolino
di lancio per la nostra stagione congressuale, in cui abbiamo specificato cosa
noi intendiamo per qualità.
"La
qualità è il futuro del settore, l'unico possibile dentro una competizione
destinata a infrangere ogni illusione di sopravvivenza affidata a vecchie e
tradizionali ricette economiche e imprenditoriali". Con queste parole, il
nostro segretario nazionale, Franco Martini, ebbe a riassumere il senso di
quella iniziativa.
Per noi
qualità è soprattutto e fondamentalmente qualità del lavoro. Il capitale
principale di una impresa sono i suoi dipendenti, ma questo capitale rischia
sempre più di assottigliarsi.
Occorre perciò
investire in formazione. Per questo, abbiamo ritenuto indispensabile dedicare a
questo argomento una parte fondamentale dei lavori preparatori del nostro congresso,
che servirà anche a definire le ipotesi di lavoro da confrontare con gli altri
attori presenti nel settore.
Una
piattaforma contenuta nel documento nazionale "Costruire una nuova civiltà del lavoro", cui la FILLEA di
Foggia ha dato e darà una convinta partecipazione.
Qualità è
sicurezza sul lavoro. Ogni infortunio sul lavoro, al di là dell'offesa che
arreca al singolo operaio, rappresenta un fallimento di quel modello di
impresa.
Qualità è
qualità del prodotto finito, che si realizza con una valutazione complessiva
dell'opera, a partire dalla progettazione, dai criteri di selezione, che devono
tenere conto dei costi del lavoro e della sicurezza, ma anche con un
monitoraggio continuo delle opere, fino alla consegna dei lavori.
Qualità è
acquisizione di competitività attraverso l'uso di risorse dirette e tecnologie
avanzate. Non si può pensare alla qualità del lavoro spingendo ancora verso la
destrutturazione dell'impresa, con la liberalizzazione del subappalto. Il
futuro dell'impresa è sicuramente un futuro in cui l'impresa principale
rappresenta il nodo centrale di una rete che realizza legami con
imprese-satellite; ma non potrà mai prescindere dall'assumersi le
responsabilità economiche e produttive.
Qualità è, in
una parola, capacità di trasferire all'interno dell'impresa, in termini di
innovazione, una parte della ricchezza prodotta.
Noi crediamo
che un'impresa sana, che rispetti le regole - e ce ne sono tante, anche nella
nostra provincia - non possa e non debba competere sul piano del massimo
ribasso, che va abolito, o del prezzo stracciato. Una competizione tutta
fondata sui costi, necessariamente finirà con il portare l'impresa sul campo
minato della concorrenza sleale.
Le
relazioni industriali
Ma vi è un
aspetto del progetto qualità che non può e non deve essere mai perduto come
riferimento: la capacità delle parti sociali di sedersi a tavolino e,
attraverso gli strumenti di cui dispongono, dotarsi di regole condivise che
governino il rapporto di lavoro. Il discrimine tra imprese corrette, che
rispettano le regole della competizione, della concorrenza leale, e gli
avventurieri, i senza scrupoli, i fuorilegge, è quasi sempre questo: i primi
rispettano i contratti, gli altri no.
Per questo ci
sembra gravissimo l'atteggiamento intransigente di quella parte dell'imprenditoria
che spesso usa il contratto non tanto in funzione di questo obiettivo, ma per
altre mire, funzionali a risolvere problemi che, per quanto possono avere anche
delle giustificazioni, non hanno nulla a che vedere con l'oggetto della contrattazione.
È il caso
ultimo dell'ANCE, che in maniera assolutamente strumentale ha messo in un
vicolo cieco le trattative per il rinnovo dei contratti di secondo livello, gli
integrativi provinciali, negando oltretutto la possibilità di procedere, nei tempi
stabiliti dagli accordi del 1993, al rinnovo salariale del secondo biennio del
contratto collettivo nazionale di lavoro.
È per questo
che, senza ulteriori esitazioni, abbiamo messo in atto una mobilitazione
straordinaria dei lavoratori, che ci porterà a breve a tenere le dieci ore di
sciopero nella provincia, come proclamato dagli esecutivi unitari, a Roma, il
25 ottobre.
All'ANCE,
vogliamo qui aggiungere: attenzione. Non giova a nessuno mettere in discussione
i livelli contrattuali così come sono oggi concepiti.
Il rischio, è
che veramente, alla fine, si possa arrivare al "federalismo" anche in
tema di lavoro, auspicato dal ministro Maroni. Noi vogliamo credere al vostro
presidente nazionale, De Albertis, quando, a Roma, l'11 luglio 2001, testualmente
dice: "Il nostro mestiere, un mestiere nomade, non potrebbe reggere ad una
pluralità di discipline diverse. In nome del nomadismo chiediamo che le discipline
affidate alle cure dell'autorità radicata nel territorio consentano gli stessi
esiti in tutto il paese. Altrimenti, sarebbe la fine!". Pagina 24 della
relazione del presidente all'Assemblea Ordinaria delle Associazioni Aderenti
all'ANCE.
Una fine che
noi cercheremo di scongiurare in tutti i modi: per questo difenderemo il CCNL e
il secondo livello di contrattazione territoriale, così come sono, con tutte le
nostre energie!
All'ANCE
diciamo: ci chiedete ancora flessibilità. Ma quale ulteriore flessibilità
volete, rispetto a quella che legalmente o illegalmente, già esiste nel
settore? Abbiamo sperimentato il lavoro interinale, avete il licenziamento per
fine lavori (unico settore in Italia). Di quale altra flessibilità c'è
bisogno?
Infine,
l'abbattimento contributivo. E' vero, in edilizia, per la CIGO, vi è un
contributo superiore ad altri settori.
Sebbene riteniamo che ciò in massima parte trovi anche una logica, siamo
sempre stati disponibili ad appoggiare le vostre richieste verso il governo. Ma
perché legare ciò al contratto? Ci sembra davvero pretestuoso, il vostro
atteggiamento.
Le nostre
richieste salariali sono state "calcolate" con le regole che abbiamo
assieme condiviso e sottoscritto.
Rigettare le
nostre richieste vuol dire gettare a monte quelle regole; non è su queste basi
che può fondarsi un sistema di corrette relazioni industriali.
E non possiamo
accettare, per quanto abbiamo fin qui detto, che venga meno la funzione del
contratto quale autorità di governo dei salari, e quindi delle regole del
gioco, attraverso quelle regole di discrezionalità che i superminimi di fatto
introducono.
Confidiamo
nella capacità di questa classe imprenditoriale di uscire dalla situazione di
stallo che si è determinata, e facciamo appello ai locali dirigenti dell'ANCE
di usare la propria influenza per evitare il protrarsi di una fase di
lacerazioni e tensioni sociali che non giova a nessuno. Del resto, con il buonsenso di tutti,
abbiamo superato momenti nel passato, altrettanto critici; peccato che il tutto
debba avvenire, oggi, in una fase positiva per il settore.
Prove
tecniche di Concertazione: rapporti bilaterali ed Enti Paritetici
Noi crediamo
che il modello concertativo è un modello che ha dato ottimi risultati e può
darne ancora tanti, per rilanciare il settore e non solo.
Del resto,
come non prendere a monito ed esempio i lusinghieri risultati ottenuti, grazie
proprio alla concertazione, negli enti
bilaterali?
In proposito,
vorrei spezzare una lancia in favore del sistema delle nostre Casse Edili, e
dei nostri Enti. Credo che, in questi anni, abbiano funzionato bene, grazie
anche al nostro lavoro e al nostro impegno.
Vale qui la
pena di ricordare, che all'altro congresso, il CPT era solo abbozzato sulla
carta, che l'Ente Scuola Edile aveva i debiti con l'Unione Europea, mentre oggi
funzionano attivamente e fanno grandi progetti per il futuro.
Non
dimentichiamo i corsi svolti dall'Ente Scuola Edile, che hanno avuto un
riscontro clamoroso in termini di partecipazione. Corsi di ottimo livello sia
per la preparazione dei docenti e l'organizzazione dimostrata, sia per i
risultati conseguiti dai partecipanti. Semmai, manca solo una
"ciliegina": organizzare qualche corso che offra uno sbocco
occupazionale immediato: visto il momento favorevole, non sarebbe poi difficilissimo
farlo. A quel punto si sarebbe raggiunto il massimo. Chiediamo alle imprese,
una maggiore collaborazione, facendoci conoscere quali sono le loro esigenze
formative, le professionalità occorrenti, e insieme di mettere su corsi che
vadano in quella direzione.
Segnaliamo
inoltre con soddisfazione i risultati del CPT, che ha promosso il mese della
prevenzione, in concomitanza con la
campagna della "settimana per la Salute e la Sicurezza"; ha fatto una
cosa straordinaria nella sua semplicità, che tutti abbiamo sempre pensato ma
che non si era mai concretamente fatto: portarsi sui cantieri, là dove sono i
lavoratori, e parlare di sicurezza assieme alle autorità del settore e non
solo. Un successo, non l'unico, che ci incoraggia a proseguire sulla via intrapresa.
La Cassa Edile
ha questa nuova sede, e tutte le potenzialità per raccogliere le sfide che la
futura contrattazione vorrà lanciare.
L'Edilcassa di
Puglia, di cui noi siamo stati soci fondatori e grandi promotori, che cinque
anni fa era agli albori, oggi ha comprato a sua volta una sede, ed è
competitiva sul mercato delle Casse Edili. Prevediamo che, quanto prima, si
arriverà a definire una intesa comune per la creazione, anche in quel sistema,
di Enti per la formazione e la sicurezza.
In merito, ci
auguriamo che gli amici della FILCA, superate le incomprensioni del passato,
possano quanto prima entrare a farne parte a pieno titolo, come hanno diritto e
dovere, a nostro avviso.
Questo non per
dire che le cose non si possano migliorare, o che "vada tutto bene".
Del resto, proprio la tensione a migliorare le cose ci ha fatto sottoscrivere,
nel mese di Settembre, il protocollo per gli Enti paritetici (FLC-ANCE), che
consentirà agli stessi di fare un ulteriore salto di qualità. Ci auguriamo che,
quanto prima, lo stesso protocollo possa essere pienamente recepito in sede di
contrattazione decentrata.
Del resto, non
vogliamo proprio commettere l'errore di cullarci sugli allori, dal momento che
ormai è in atto una sfida - diremmo quasi in termini di mercato - per cui se
non si ha la capacità di rispondere, perdonatemi se insisto, in termini di
qualità, si corre il rischio di essere tagliati fuori.
Da tempo
abbiamo superato la vecchia concezione mutualistica/assistenziale dei nostri
Enti, abbiamo saputo rispondere in termini di qualità dei servizi offerti,
siamo diventati un riferimento per certi aspetti anche istituzionale.
Continueremo a lavorare per far sì che i nostri Enti rimangano sempre al passo
con i tempi, offrendo nuovi servizi e nuove opportunità, adeguate a soddisfare
le esigenze di vita dei lavoratori e delle loro famiglie.
Vogliamo
insistere sulla necessità di dare rapida attuazione al progetto per la creazione
dello "sportello unico" tra Casse Edili, INPS e INAIL, finalizzato al
rilascio della certificazione di "congruità" nei lavori pubblici. In
questo modo, contribuiremo a combattere concretamente i fenomeni degenerativi,
quali lavoro nero, abusivismo, ecc., fin qui descritti, superando la vecchia
certificazione di "correntezza" contributiva. Il tutto si inquadra
nella logica di un monitoraggio complessivo delle opere pubbliche, dall’inizio
alla fine.
Nondimeno,
chiediamo che si prosegua l'esperienza delle norme "premiali" per le
imprese regolari, rendendo strutturali le norme che consentono alle imprese in
regola di beneficiare di consistenti riduzioni di oneri e contributi; il tutto,
parallelamente alle norme per far emergere dal "sommerso" le imprese
irregolari.
Nel confermare
la richiesta di rinnovare le provvidenze previste dall'articolo 29 della legge
341/1995, in scadenza, ricordiamo l'importanza che gli Enti paritetici hanno
avuto per l'attuazione pratica della norma.
Vanno inoltre
valorizzati e attuati concretamente i protocolli concertativi sottoscritti tra
FLC, associazioni imprenditoriali e Comuni della provincia (Manfredonia, San
Giovanni Rotondo) per combattere il lavoro irregolare. A tal proposito
rileviamo con sconcerto che alcuni Comuni, tra cui purtroppo anche il Comune
capoluogo, rifiutano continuamente ogni forma di dialogo. Ci appelliamo al
senso di responsabilità di tutti perché si possa quanto prima rimediare.
Infine,
vorremmo sperimentare anche forme di concertazione bilaterale in settori diversi
dall'edilizia. Una opportunità, in tal senso, ci è data dalla gestione dei
fondi pensione integrativi, nei quali
sono rappresentati lavoratori e imprese .
Accogliamo con
favore la delibera dell'organo di
vigilanza sui fondi pensione, il COVIP, che ha concesso l'autorizzazione
all'esercizio del fondo "Concreto" per i lavoratori del settore
cemento, calce e gesso.
Assieme agli
altri fondi, "Arco", "Prevedi", "Cooperlavoro" e
"Art", prevediamo un impegno straordinario della categoria per fare
in modo che aderiscano anche nella nostra provincia il maggior numero possibile
di lavoratori: si tratta, per il sindacato, di una grande scommessa, e chiedo
anche a tutti i dirigenti qui presenti di accoglierla con entusiasmo.
E' indubbio
che, in tutto il Mezzogiorno, vi sono ancora troppe riserve mentali, da parte
dei lavoratori, verso i fondi pensione integrativi, tanto che si regista un
"gap" altrimenti ingiustificabile tra l'adesione al nord e al
centro-sud.
Dobbiamo,
perciò, avere la capacità di superare queste paure e queste riserve, che non
hanno nessuna ragione di essere.
La
situazione organizzativa
La FILLEA di
Foggia ha conosciuto, in un passato recente, un momento di forte crisi.
Principalmente, ciò è stato dovuto alla mancata capacità di uscire da vecchi
schemi organizzativi, fondati sulla militanza ideologica e sulla mediazione
nella erogazione di prestazioni assistenziali (la cosiddetta domandina).
Una organizzazione
grande e radicata come la nostra, non ha saputo adeguarsi, prontamente, alla
crisi paurosa della metà degli anni '90. Oggi diremmo che non siamo stati abbastanza
flessibili.
Una crisi così
profonda che non ha risparmiato molti dirigenti sindacali, che costituivano
l'ossatura della nostra organizzazione, trovatisi dall'oggi al domani in balìa
di eventi a volte drammatici.
Un sindacato
contrattualista come è il nostro, ha pagato più di altri il fatto che, con la
crisi, il potere contrattuale si è assottigliato notevolmente. Noi abbiamo
sempre predicato che i diritti non si monetizzano; ad un certo punto, pur di
conservare il lavoro, il lavoratore era disposto a vendersi anche l'anima.
Forse non
abbiamo saputo raccogliere le istanze che venivano da un mercato del lavoro in
rapida e profonda trasformazione. E' successo anche che, mentre noi eravamo
nelle piazze a chiedere "il lavoro", qualcun altro andava a
contrattarsi privatamente "i posti di lavoro" per le proprie pecorelle.
Nei compagni,
nei disoccupati che frequentavano le nostre sedi, la speranza di cambiare le
cose con la lotta e l'impegno sindacale è stata sostituita via via da un senso
di impotenza e sconforto, di fronte a risultati che non ripagavano il grande
impegno profuso, che li ha portati ad allontanarsi dal sindacato.
Tutta la
categoria è stata interessata da un profondo riassetto organizzativo. Abbiamo
dovuto anche risanare i nostri bilanci, anch'essi provati dalla crisi. Grazie
all'impegno e allo spirito di sacrificio di molti compagni, di dirigenti,
impegnati a tempo pieno così come nelle sedi più periferiche, si sono poste le
basi per superare quella situazione.
Oggi la FILLEA
vive una nuova fase di sviluppo. Gli iscritti aumentano, anche grazie alla
rinnovata capacità di tutela che abbiamo saputo offrire ai lavoratori, assieme ad un'importante riqualificazione
dei servizi offerti.
La FILLEA è
interessata, a livello regionale, da un progetto di creazione di una struttura
di direzione più rispondente alle nuove esigenze, al nuovo assetto
"federale" delle Regioni, per cui eleggeremo, in questo congresso,
anche i dirigenti che parteciperanno a questa nuova struttura.
A livello
territoriale, vogliamo investire in una politica dei quadri che riguardi
soprattutto le strutture periferiche, che vogliamo valorizzare in maniera
concreta. Per questo propongo di confermare l'esperienza dell'organismo
esecutivo intermedio, che fin qui ha dato ottimi risultati.
Guardiamo con
attenzione ai progetti di reinsediamento nel territorio della CGIL. Non
mancheremo di fare la nostra parte, anche in termini di risorse.
I
rapporti unitari: la FLC, risorsa del sindacato confederale
Ho scelto
volutamente di trattare l'argomento dei rapporti unitari alla fine della mia relazione.
E' fuor di dubbio che, se abbiamo saputo affrontare un periodo così lungo di
crisi, lo dobbiamo anche alla capacità di rimanere uniti che la FLC ha mostrato
anche nelle situazioni più difficili.
Ma i risultati
positivi non li abbiamo avuto solo nella gestione delle "crisi".
Diciamolo pure, siamo stati bravi anche a tirare su le nostre creature: i
contratti, innanzitutto, ma anche gli Enti Paritetici. Ci siamo accreditati
come interlocutori forti e credibili verso le istituzioni. La nostra forza è
stata l'unità e, crediamo, continuerà ad esserlo.
Non vuole
essere, questa, auto celebrazione. Pensate solo a immaginare su quanti fronti
si svolge il nostro impegno, quotidianamente. Enti paritetici, una miriade di
contratti, un settore industriale importantissimo e complesso come pochi. E
ancora INPS, INAIL, rapporti con istituzioni, imprese, eccetera eccetera.
La FLC può, a
giusto titolo, definirsi una confederazione nella confederazione. Anzi, se
avessimo la capacità di tenere sempre alto il livello del nostro lavoro politico,
ci sarebbe da proporsi come la quarta confederazione sindacale. Ai miei
colleghi, rimprovero - senza polemica - forse proprio questo: a volte non
sappiamo volare un tantino più in alto.
No, caro
Enzio, non siamo in concorrenza. Noi non ci siamo mai sentiti in concorrenza
con voi, né con i compagni della FeNEAL. Per noi, spostare una tessera dalla
FILCA o dalla FeNEAL alla CGIL, non è mai stata una tessera doppia; queste cose
facciamole dire a quelli che ci combattono, che vorrebbero distruggere la FLC.
Al contrario, ogni volta che un lavoratore non sindacalizzato prende la
tessera, sia della CGIL, della CISL o della UIL, noi ci sentiamo più forti, più
rappresentativi. Per questo abbiamo sempre aderito senza riserve alle campagne
di sindacalizzazione, senza preoccuparci dove andavano a finire i nuovi
iscritti.
Siamo peraltro
convinti che la rappresentatività non si conquisti "solo" con le
tessere, ma con un rapporto di democrazia con le persone che lavorano e che si
rappresentano. Per questo vi chiediamo un impegno maggiore - spesso in questo
siamo stati carenti - per arrivare a costruire organismi e percorsi di
partecipazione democratica dei lavoratori alle scelte e alle decisioni che li
riguardano.
Per questo vi
chiediamo di esercitare assieme a noi ogni azione per giungere ad una legge su
rappresentanza e rappresentatività, che recepisca pienamente l'articolo 39
della Costituzione nel nostro sistema.
Conclusioni
Mi rendo conto
che questa relazione non esaurisce tutti gli argomenti che sono posti a base di
questo congresso. Né si poteva avere la presunzione di esaurire in alcun modo
la discussione.
Questo
congresso giunge alla fine di tante assemblee di base, in cui le questioni sono
state affrontate con passione, rigore morale, voglia di incidere, di cambiare.
Quelle
assemblee ci consegnano una categoria straordinariamente vitale, che troverà la
forza di indicare – ne sono certo – un gruppo dirigente capace di traghettarla
verso nuove sfide e nuovi orizzonti.
Molti
argomenti saranno trattati e ripresi più diffusamente nel dibattito. Altri
argomenti sono oggetto di specifici documenti o ordini del giorno, che potranno
o dovranno in seguito essere votati. Su alcuni argomenti in particolare avrei
voluto soffermarmi maggiormente, come sulle proposte del nuovo governo in tema
di stato sociale, il Welfare, come abbiamo imparato a
dire.
C'è però una
concezione che pervade tutto, che ho ritrovato in molti ragionamenti degli
imprenditori, come del libro bianco, e forse anche in qualche sindacalista rampante,
e che mi sento fermamente di rigettare: l'idea che il lavoro sia il fine ultimo
dell'esistenza della persona, e non già uno strumento per la sua piena realizzazione.
Noi militanti
di una certa età abbiamo speso la nostra vita per affermare il lavoro come
valore; ma non abbiamo mai perso di vista i "valori" della vita. Come
la famiglia, il tempo libero, il riposo, lo studio, l'impegno sociale,
politico, e tanto altro ancora...
Mi preoccupa
questa società che “allunga” i tempi per andare in pensione, che baratta il
tempo per stare con i propri figli con lo straordinario, in nome della
produttività e di un mercato senza etica, che rinuncia alle irrinunciabili
ferie in nome della flessibilità che renderebbe competitivi, di un dinamismo
che spesso nasconde solo la voglia di un arricchimento veloce. E già, per noi
qualità è prima di tutto qualità della vita delle persone.
C'è un punto
che accomuna tutte le religioni più importanti del mondo: nel giorno dedicato
alla preghiera, non si lavora.
Non perché il
lavoro sia paragonato ad altre attività "impure", che parimenti non
si dovrebbero fare nei giorni di preghiera. Perché, semplicemente, l'uomo deve avere il tempo per stare con il suo
Dio. E se l’Onnisciente ci ha concesso un giorno di riposo per evitare distrazioni,
immaginiamo da quante altre cose il lavoro ci può distrarre.
Ormai, pare
che il tempo a disposizione ce lo vogliano concedere solo a condizione di
ritrovarci licenziati. Ma pare che non dobbiamo preoccuparci, perché in quel
caso saremo oggetto di un esperimento. No, caro ministro, qualità della vita è
anche poter programmare la propria esistenza senza la spada di Damocle del licenziamento
che incombe sulla testa. La sua proposta è contro i diritti dei lavoratori, ed
è contro la volontà popolare: non dimentichi, che in materia c'è stato anche un
referendum, con il quale abbiamo già battuto chi voleva cancellare lo Statuto
dei lavoratori.
Continueremo a
lottare per dare ad ogni persona il tempo per vivere un'esistenza decorosa,
grazie ai frutti del proprio lavoro.
E continueremo
a lottare per dare a chi verrà dopo di noi una CGIL bella e forte, come noi
l'abbiamo trovata.
Grazie.