Cari compagni delegati, egregi invitati, gentili ospiti, 

è per me motivo di grande soddisfazione e orgoglio celebrare questo congresso in questa sala; è come se giocassi in casa, in questa sede che è un patrimonio dei lavoratori e delle imprese della nostra provincia, costruita un po' anche con il nostro lavoro e con il nostro sacrificio. 

Una sede moderna, all'avanguardia, accogliente, con questa sala che sta diventando un contenitore di appuntamenti importanti, una nuova "Agorà", non solo per le organizzazioni che nella Cassa sono rappresentate, ma anche per il mondo politico, istituzionale, culturale dell'intera provincia; ed assume anche un grande valore simbolico il fatto che questo appuntamento capiti alla vigilia di una importante celebrazione, proprio per la Cassa Edile, che ci ospita: il quarantesimo anniversario della sua fondazione. 

Vogliamo, qui, oggi, dopo 40 anni, ribadire ancora la validità di quella scelta: la Cassa ha rappresentato per i lavoratori, le imprese, le organizzazioni che li rappresentano, un punto avanzato di quel momento concertativo che, partendo dalla condivisione di regole e obiettivi, e nel rispetto dei differenti ruoli di ognuno, ha dato tanti importanti risultati anche nei momenti più neri della vita sociale ed economica della nostra provincia. Questo, senza che la ricerca di nuovi e più qualificati servizi per lavoratori e imprese, da parte dell'Ente, abbia mai surrogato l'esercizio della rappresentanza contrattuale, che evidentemente si esercita in altri modi ed in altre sedi.

Naturalmente, ringrazio il presidente, ing. Eliseo Zanasi, il direttore, dott. Franco Marseglia,  e tutti i collaboratori della Cassa, non solo per averci messo logisticamente nella condizione migliore per poter svolgere questo congresso: con loro, idealmente, ringrazio tutti coloro che nella Cassa in questi 40 anni, si sono succeduti, che hanno lavorato perché tutto questo si realizzasse.

Saluto con particolare affetto gli amici e compagni della FILCA e FENEAL, che ci onorano della loro presenza, e da cui mi aspetto un contributo, anche in termini non necessariamente formali, a questo congresso. 

Colgo l'occasione per rinnovare il mio personale apprezzamento a Pasqualino Festa e Enzio Gallo, anche loro da poco reduci dalla scadenza congressuale, per la loro riconferma alla guida delle organizzazioni degli edili di UIL e CISL. 

Ringrazio della loro partecipazione i rappresentanti delle associazioni imprenditoriali; tante volte ci siamo incontrati, spesso anche scontrati, su questioni importanti e delicate; a volte ci siamo ritrovati anche dalla stessa parte, specie nel confronto con le istituzioni e nella gestione degli Enti paritetici. Per questo, abbiamo sviluppato rapporti di stima e amicizia reciproci, che spesso ci hanno permesso di superare anche momenti molto difficili. Il rispetto dei ruoli ci porta naturalmente a considerarvi innanzitutto la nostra controparte, il nostro interlocutore privilegiato, e non mancheremo di utilizzare questo congresso per continuare il nostro confronto, che in questo momento vive una fase molto delicata, purtroppo. E sono certo che anche voi, non farete mancare il vostro apporto in termini di idee al nostro Congresso.

Il contesto internazionale: gli attacchi terroristici agli USA e le incognite sul futuro

Certo, è  difficile iniziare questo congresso senza dare uno sguardo fuori dalla finestra, a ciò che sta avvenendo nel mondo. Si è detto e ripetuto, fino alla noia, forse, che il mondo dopo l'11 settembre non sarebbe più stato lo stesso. Una profezia tanto banale quanto spaventosamente vera. L'attacco alle torri gemelle e al pentagono, e soprattutto quel che ne è seguito, allungano un'ombra minacciosa sul nostro futuro. 

Sebbene la recessione economica mondiale fosse stata, da tempo, ampiamente prevista da tutti gli analisti economici di tutte le latitudini e di tutte le culture, lo spettro di questa guerra - una guerra dagli esiti tutt'altro che definiti e dalla natura assolutamente imprevedibile ed atipica - ha contribuito a gettare una incognita pesante in una economia mondiale le cui variabili sono già di per sé difficilissime da governare. Ma la destabilizzazione non riguarda solo l'economia: si sono avuti effetti sul piano sociale, ambientale, culturale, sulle coscienze di ognuno, sui valori etici, sui comportamenti. Forse, a due mesi e mezzo di tempo, è ancora troppo presto per dirlo, ma il mondo, dopo l'11 settembre, è veramente cambiato. 

In che maniera questi cambiamenti si rifletteranno anche sul lavoratore edile della provincia di Foggia? O sui lapidei delle cave di Apricena? 

Il compito di questo congresso non è certo quello di dare risposte a queste domande, ma ognuno di noi è consapevole che questi interrogativi sono presenti nella nostra mente e finiranno con influenzare anche le nostre scelte. 

Del resto, non possiamo, in un congresso di una organizzazione di lavoratori, non ricordare le vittime dell'attacco terroristico agli Stati Uniti d'America. Non vogliamo alimentare la retorica patriottistica americana e non, che ha definito martiri, eroi o chissà cosa, quei morti. Ma come non ricordare che moltissime di quelle persone erano al lavoro, quando sono state colpite dalla violenza devastante degli attentati? E come non ricordare i vigili del fuoco, i poliziotti, gli operatori sanitari, caduti sul lavoro mentre tentavano di prestare soccorso? Molti di loro erano, forse, addirittura inconsapevoli del rischio cui andavano incontro: hanno percorso quelle scale, tra fumo, polvere e macerie, perché quello era il loro lavoro, il loro mestiere, e lo hanno fatto come sapevano o come gli era stato chiesto di fare. Vogliamo ricordarli così, accomunati ai nostri compagni e alle nostre compagne cadute sul lavoro dal grande vuoto lasciato nelle loro famiglie, nei loro amici.

La nostra ferma condanna per il terrorismo è anche condanna per ogni forma di violenza, da qualunque parte provenga, anche se serve per fermare l'insorgere di altra violenza. 

In proposito, respingiamo con fermezza la strumentalizzazione di una parte del mondo politico, specie della sinistra più radicale, cosiddetta “antagonista”, presente nella nostra stessa organizzazione, che vuole far passare il teorema secondo cui il non opporsi alle azioni contro il terrorismo internazionale significa accettare un modello politico guerrafondaio imposto dagli USA, per l'affermazione di un modello economico culturale basato sulla forza e sul mercato senza regole. 

Al contrario, noi abbiamo seri e fondati dubbi circa l'intervento armato in Afghanistan. Auspichiamo che quanto prima possano cessare i bombardamenti e le guerre, in Afghanistan come in ogni parte del pianeta, e si presti aiuto alle popolazioni, duramente provate dal conflitto. Non crediamo che esista al mondo nessuno capace di giustificare la morte di anche uno solo dei bambini innocenti colpiti "per sbaglio" sotto i bombardamenti pseudo intelligenti degli americani e degli alleati anti terrorismo. 

Noi crediamo in un ordine mondiale fondato sulla pace e sul diritto all'autodeterminazione dei popoli. Di questo il sindacato, la CGIL, la FILLEA di Capitanata, sono fermamente convinti: è parte stessa del nostro DNA. 

Aver eliminato dallo Statuto il ripudio della guerra come strumento di soluzione dei conflitti, non ha mai significato che la CGIL abbia anche lontanamente pensato il contrario, e cioè che la guerra potesse essere strumento per risolvere i conflitti. 

Non abbiamo problemi che questo concetto venga reintrodotto o riformulato nello Statuto della CGIL. Così come siamo fermamente convinti che l'ONU debba recuperare un suo ruolo, una sua funzione, che non c'è stata oggi come non c'è stata ieri per il Kosovo. Ma è pur vero che, se siamo in una organizzazione come la CGIL, è perché ci anima l'intima convinzione che, lottando, le cose si possano cambiare. Ed allora, a noi che siamo partigiani per natura, potete chiederci tutto, ma non di restare fermi a guardare le cose che non vanno. Per questo, abbiamo adottato la formula della "contingente necessità" per quell'azione NATO “per” i diritti delle popolazioni del Kosovo (e non “contro” la Serbia…), e per questo, con tutti i dubbi e le perplessità, siamo schierati a favore del ripristino della legalità internazionale, contro ogni forma di terrorismo.

1996-2001: dalla crisi alla New Economy

Cinque anni ci separano dall'ultimo congresso. Volgendo lo sguardo a questo tempo trascorso, ci sembra incredibile quello che è potuto succedere in un così breve lasso di tempo. 

Il telefonino allora era considerato uno status symbol, internet  era un lusso per pochi, e per valutare il benessere della nazione si contavano ancora gli apparecchi telefonici fissi.

Oggi si va verso un computer per ogni famiglia, i telefoni fissi non contano (e non si contano) più, e il telefonino è diventato un oggetto di culto per gli adolescenti. 

Ma quel che più conta, l'economia, grazie all'avvento della rete, si divide in New Economy e Old Economy: milioni di lavoratori fanno mestieri che in quel 1996 neanche esistevano, e ognuno ha la possibilità di fare il Trading on line da casa, con un piccolo programmino comprato in edicola!  

Nel 1996 eravamo forse nel punto più basso di una crisi che - specie nel nostro settore - non è mai stata così nera, dal dopoguerra. Eppure si respirava aria di grandi cambiamenti, vi era la consapevolezza che presto la congiuntura si sarebbe invertita.

Dal governo di centro sinistra, appena eletto, ci si aspettava grandi riforme, ma si preannunciavano ancora tanti sacrifici, perché bisognava centrare l'obiettivo Euro. Essere lì,  con il gruppo di testa, significava beneficiare da subito di tutti i vantaggi, ma soprattutto mettersi in condizione di affrontare la più ardua delle sfide: l'economia globalizzata. 

Soprattutto, dal governo Prodi, aspettavamo quei provvedimenti in grado di riavviare l'economia, con un occhio attento allo stato sociale. 

Abbiamo fatto la nostra parte con grande senso di responsabilità. Abbiamo centrato l'obiettivo Europa (tra un mese useremo le nuove banconote), e le ultime manovre finanziarie avevano anche cominciato a renderci qualche cosina. 

Qualche riforma c'è stata, anche se da questo punto di vista le aspettative sono andate un po' deluse. 

Certo, non c'è stata la revisione della riforma delle pensioni o la flessibilizzazione del rapporto di lavoro tanto cari al governatore della Banca d'Italia, Fazio. Ci sembra in proposito che il governatore sia ossessionato da questo pallino. Lo ha chiesto in tutti i modi e in tutte le occasioni, all'inizio discretamente, poi più assiduamente, adesso quasi sfrontatamente! Che si discuta di Fondo Mondiale, di tassi di interesse, di Europa, ai convegni dei prodotti tipici della Vall'appesca come a quelli della Banca Mondiale, lui non perde occasione per ricordare a tutti che l'Italia ha uno Statuto dei lavoratori che va abolito, assieme ai diritti e alle tutele che impunemente garantisce. Permettetemi la divagazione: ma mi piacerebbe chiedere a Fazio - che è pur sempre la massima autorità nel settore bancario - se conosce qualche banchiere disposto a concedere un mutuo per l'acquisto della casa di abitazione a un lavoratore precario, a tempo determinato o flessibile che dir lui voglia: si accettano anche raccomandazioni. Il giorno in cui ci fornirà nomi e indirizzi delle banche, la chiederemo noi l'abolizione dello Statuto dei lavoratori! 

Tornando al XIII congresso, ricordo bene il clima in cui si svolse: i delegati erano una sorta di "sopravvissuti" alle massicce campagne di licenziamenti attuati dalle imprese, spesso sulla via del fallimento. La relazione del congresso era una specie di lista di morti e feriti; avevano chiuso i battenti imprese storiche e altre erano in grandi difficoltà. In quel clima, la contrattazione collettiva era difficilissima, perché non si avevano gli interlocutori, e allora spostavamo le nostre rivendicazioni verso le istituzioni. Ricordiamo le manifestazioni fatte tra prefettura,  palazzo della provincia, comuni, stazioni appaltanti, alla ricerca di notizie di apertura di cantieri. Ricordiamo anche le denunce prese dai sindacalisti perché chiedevano lavoro ai pochi cantieri che si aprivano. 

Poi la ripresa c'è stata, puntuale, anche se a determinarla sono stati tanti fattori, diversi e a volte anche inaspettati. C'è stato il giubileo, i programmi di edilizia abitativa, il contratto d'Area. C'è stata la legge sulle ristrutturazioni immobiliari, fortemente voluta dal sindacato, che ha dato buoni frutti. Non ci sono stati alcuni interventi infrastrutturali importanti, come le dighe e la ferrovia o il completamento della rete viaria. Ma nel complesso, le cifre parlano di una ripresa sostanziosa ed evidente. 

Lo scenario attuale: primi segni di una nuova inversione di tendenza?

E' una ripresa che, tuttavia, potrebbe non durare a lungo. E questo è il paradosso: oggi il clima è esattamente l'opposto di cinque anni fa.

Tutti i più qualificati enti di statistica, compreso lo stesso osservatorio congiunturale delle costruzioni ANCE, pubblicato lo scorso mese di ottobre, indicano un 2002 di ulteriore crescita, sebbene più contenuta del 2001, che potrebbe riportare il settore ad una situazione ante-1993, l'anno in cui iniziò la crisi. 

L'esperienza però ci insegna che l'economia ha dei cicli che il nostro settore spesso anticipa in maniera sensibile. E così, se cinque anni fa eravamo nel punto più basso, e quindi ci aspettava un periodo di ripresa, oggi potremmo essere all'apice della parabola ascendente, e trovarci di fronte ad una possibile discesa. Non è il caso di essere allarmisti a tutti costi; ma proprio perché siamo consapevoli che il futuro potrebbe riservare nuovi contraccolpi, riteniamo che sia necessaria una svolta culturale, per prepararsi al meglio.

Il nuovo governo di centro destra

Ad appesantire un clima di pessimismo, che comincia ad aleggiare, contribuiscono, oltre che le incognite derivanti dal contesto internazionale, anche i continui "proclama" degli uomini del nuovo governo di centro destra: a cominciare dal nuovo ministro del lavoro - che con il suo "libro bianco" ha subito reso chiare le linee del nuovo esecutivo su temi che ci stanno molto a cuore -, passando per i ministri di economia, industria e lavori pubblici, e per finire allo stesso presidente del consiglio, che dopo tante promesse elettorali, ha presentato una finanziaria tutt'altro che positiva.

Un giudizio evidentemente condiviso anche dalla nostra controparte ANCE, che dopo una concessione di credito praticamente illimitata, all'indomani del voto, è arrivata a criticare pesantemente la finanziaria, per bocca del suo presidente, De Albertis, "una finanziaria in 'chiaro scuro', che presenta una consistente contrazione delle risorse […] rispetto al 2001, anche per finanziamenti collegati a leggi e disposizioni già prese".

Noi non vogliamo essere ipocriti: abbiamo decisamente avversato, in campagna elettorale, questo governo, perché abbiamo ritenuto non condivisibile il suo programma elettorale (soprattutto, non attuabile e non rispondente alle reali esigenze del Paese).

Rispettosi delle regole democratiche, abbiamo preso atto del risultato elettorale. La cosa più banale, in questi casi, è dire che giudicheremo sul campo, dai risultati, la nuova compagine di governo. Dovere e compito di un sindacato democratico è confrontarsi senza pregiudizi sulle questioni, anche quando si hanno chiari gli obiettivi cui tendere. Lo abbiamo fatto con il governo di centro sinistra, cui non abbiamo fatto sconti o risparmiato critiche, quando erano giuste.

Ma proprio in questi primi mesi, possiamo dire che ciò che abbiamo visto sul campo ha superato ogni più nera immaginazione: i primi atti di questo governo, ci mettono in condizione di essere seriamente preoccupati, per l'avvenire. Abbiamo ricevuto la sensazione che questo governo voglia ridimensionare drasticamente il ruolo del sindacato, e specialmente della CGIL: sarà che ci addebitano ancora la colpa di averli fatti cadere nel 1994. Evidentemente, non hanno ben capito ancora cosa realmente avvenne, o fanno finta di non capirlo.

Nessuno pensi che ci faremo intimorire dai metodi che il governo vuole adottare. Se sarà necessario, ricorreremo a tutte le nostre forze e a tutte le nostre armi - prima fra tutte l'organizzazione dei lavoratori -, per evitare che i diritti di civiltà, conquistati dal mondo del lavoro in decenni di lotte e di sacrifici, possano andare perduti. 

E colgo qui l'occasione ancora una volta per ringraziare il Capo dello Stato, per la sua appassionata difesa - manifestata in ogni occasione - della Costituzione e soprattutto dei valori fondanti della democrazia contenuti nella prima parte della stessa.

Il federalismo e la Regione Puglia

L'ultimo, importante atto del centro sinistra, è stata l'approvazione della legge di modifica dell'articolo 5 della Costituzione.

Con la conferma avvenuta con il Referendum del 7 ottobre, alle Regioni sono state trasferite importanti funzioni. Accogliamo con favore la nuova legge, che va nella direzione di un decentramento di funzioni e, ci si augura, in una maggiore rispondenza dei provvedimenti alle esigenze dei cittadini. Una legge che presenta un giusto equilibrio tra funzioni decentrate e funzioni rimaste prerogativa dello Stato.

Semmai, siamo preoccupati che la Regione Puglia possa non essere pienamente all'altezza delle funzioni assegnatele. E qui si riapre un capitolo dolente.

Come FLC abbiamo da sempre denunciato i ritardi ed i guasti prodotti dalla Regione Puglia sull'edilizia e i settori collegati. Si pensi ai piani regolatori, rimasti bloccati per anni proprio nella fase di  approvazione da parte degli organismi regionali. Né riteniamo che la nuova legge regionale sull'urbanistica, approvata durante l'estate, possa dare esiti migliori. E' singolare come, mentre si chiede al Governo Nazionale di decentrare risorse e competenze, la Giunta Regionale di fatto accentri su di se tutte le competenze in campo urbanistico, senza preoccuparsi dei ritardi che già in passato ha prodotto.

La Regione ha avversato i Patti Territoriali, li ha tenuti in molti casi bloccati, rilasciando i pareri con colpevole ritardo.

Non possiamo non lamentare l'assoluta mancanza di partecipazione delle parti sociali alla formazione degli strumenti operativi per l'accesso ai finanziamenti comunitari (POR). Non condividiamo nel merito alcune scelte, che penalizzano i Patti concertati dalle parti sociali, in favore di interventi mirati solo ad accrescere il potere nelle mani del Presidente.

Infine, riteniamo che l'attenzione complessiva della Regione alle istanze della nostra provincia, sia assolutamente insufficiente ed inadeguata.

Abbiamo bisogno di rilanciare la nostra vertenza nei confronti della Regione Puglia, alla quale chiediamo innanzitutto un maggiore coinvolgimento nei processi di formazione delle decisioni, e ci auguriamo che lo Statuto Regionale, in via di formazione, preveda meccanismi di partecipazione democratica che non siano meramente formali.

Il ruolo politico del sindacato nel nuovo sistema maggioritario

Siamo convinti che all'indomani del cambiamento in senso maggioritario del sistema elettorale, vada rivisto il ruolo di soggetto politico del sindacato. 

Una organizzazione che rappresenta milioni di cittadini, lavoratori e lavoratrici o pensionati che siano, avrà pur sempre il diritto (e il dovere) di rappresentarne le istanze, in tutte le sedi possibili. È del resto caratteristica peculiare di un sindacato che vuole essere confederale - e non corporativo - l'avere un progetto complessivo della società. Da questo eravamo mossi, quando abbiamo sottoscritto i protocolli concertativi per le politiche dei redditi, ad esempio. 

Troppo spesso la politica - non solo da destra - ha invece marginalizzato il ruolo politico del sindacato, accusato di "interferire", di "disturbare" il manovratore di turno. I più benevoli hanno detto che il nostro atteggiamento era dettato solo dal desiderio di stare nella stanza dei bottoni. In altri tempi ci hanno pure definiti "cinghia di trasmissione". 

Ma noi abbiamo contribuito, troppo spesso, a far sì che questa visione minimale, spesso strumentale, nei nostri confronti, fosse alimentata dai nostri stessi atteggiamenti. 

Da un lato, difendevamo a spada tratta la nostra autonomia dalla politica e dai partiti. Dall'altra, non potevamo fare a meno di schierarci, per affermare i valori in cui crediamo, o altre volte semplicemente per difenderli. Ci siamo anche inventati forme di incompatibilità assurde, diciamolo pure, perché meramente formali, e che hanno avuto come effetto solo quello di allontanare molti compagni e compagne dalla militanza politica attiva, spesso nella presunzione che l'esperienza sindacale esaurisse ogni nostro altro dovere di partecipazione alla vita politica attiva. 

Oggi tutto questo va rivisto. Nei documenti congressuali abbiamo scritto che bisogna rideclinare il tema dell'autonomia, che il sindacato non può che riconoscersi nel campo di chi considera il mondo del lavoro come proprio fondamentale insediamento sociale. Un tempo questo era lo spartiacque tra la sinistra e la destra liberista: affermare ciò, oggi che la sinistra è di fatto più debole nel paese, significa anche assumersi una nuova e importante responsabilità.

La situazione nella provincia di Foggia 

Nella nostra provincia, gli ultimi cinque anni sono stati caratterizzati da un vero e proprio "boom", come si diceva un volta. Ho usato questo termine, proprio per evocare il senso dell'esplosione. Un'esplosione manifestatasi nell'incremento esponenziale di lavoratori, imprese, flussi finanziari movimentati, ore lavorate; ma anche in grandi contraddizioni, quali lavoro nero, o sommerso, lavoro che potremmo definire "grigio", sottopagato, senza regole e diritti; e poi infortuni sul lavoro, cottimo selvaggio, subappalto ingiustificato e indiscriminato, concorrenza sleale. Un fenomeno che ha riguardato tutto il settore, non solo l'edilizia (anche se l'edilizia è il centro intorno a cui tutto il settore, inevitabilmente, ruota).

Voglio qui evitare di fare una mera elencazione, la lista della spesa, come si suol dire, delle cose fatte e da fare, di ciò che è andato bene e ciò che è andato male; del resto, le nostre piattaforme rivendicative sono ben note e sono in genere comuni con la FLC. Le occasioni per ricordarle, specie ai nostri interlocutori, non sono mancate e non mancheranno. Vorrei tentare qui, più una disamina politica, funzionale alla discussione congressuale.

Dunque, si è parlato di edilizia e di boom: analizziamo un po' le cifre per capire di cosa stiamo parlando. 

Secondo i dati del Servizio Studi della Cassa Edile di Foggia (ma, ripeto, la fotografia è valida anche per gli altri settori, non fosse altro che per l'effetto trascinamento che l'edilizia ha), nel 1996 le imprese attive erano 1.147, nel 2000 erano 1.465 mentre per il 2001 si supereranno probabilmente le 1.500 unità (i dati per il 2001 sono ancora parziali e del tutto provvisori), con un aumento superiore al 30%.

I lavoratori attivi erano 6.980 nel 1996, mentre nel 2000 si è quasi raggiunto il massimo storico della cassa, realizzato alla fine degli anni '70 - inizio anni '80, con quasi 9 mila 400 operai attivi. 

Questo dato è tanto più significativo ove si consideri che oggi esiste anche l'Edilcassa, che opera nella provincia, e che molti operai vengono denunciati alle Casse delle province dove hanno sede i cantieri,  cosa che non avveniva all'epoca. 

Le ore lavorate nel 1996 erano 4.717.974, nel 2000 hanno superato gli 8 milioni 200 mila (+73%), mentre i dati provvisori del 2001 dicono che sono già state superate 7 milioni 726 mila ore denunciate.

I salari denunciati nel 1996 erano meno di 59 miliardi, nel 2000 oltre 109 miliardi, nel 2001 hanno già superato i 105 miliardi. 

Di pari passo viaggiano gli infortuni sul lavoro: le giornate non lavorate per infortunio nel '96 erano 6.160, nel 2000 erano quasi novemila. 

Sono cifre da capogiro, di gran lunga superiori anche alle medie che si sono riscontrate in altre regioni del Mezzogiorno e, più complessivamente, d'Italia.

* * * * *

Salutiamo con soddisfazione la chiusura del contratto nazionale dei lapidei, avvenuto il 14 novembre. Resta purtroppo ancora sospeso il problema della contrattazione di secondo livello. Ci troviamo di fronte ad un settore che ha introdotto cicli di lavorazione nuovi, per far fronte ad una domanda sempre crescente, oltre che a nuovi vincoli di rispetto ambientale.

Il bacino marmifero di Apricena è uno dei più importanti d'Italia, sia per quanto riguarda la quantità di prodotto che la sua qualità. Il momento positivo è confermato dal fatto che, dopo anni di stasi, si è avuto una ripresa del turn over, il ricambio tra pensionati e giovani assunti.

Purtroppo, ci troviamo senza un interlocutore, in quanto i produttori non sono associati, e quindi non esiste un organismo che li rappresenti. Non è da escludere che questo atteggiamento è dettato da una precisa strategia dell'imprenditoria locale, che denota un segnale di grande arretratezza culturale.

A questo punto, nostro malgrado, non resta che l'arma del conflitto, per stanarli. Il sindacato non può permettersi di lasciare senza contratto integrativo una categoria così importante. Occorre, pertanto, spostare il confronto dalla sede territoriale, alle singole aziende.

Questo gioco "a nascondino" degli imprenditori, potrebbe avere ripercussioni gravi anche sul futuro delle stesse imprese: interlocutori seri e credibili non servono solo per rinnovare i CIPL, di per sé un fatto importante, ad esempio, per contrattare argomenti quali l'organizzazione del lavoro, la sicurezza, la formazione; ma anche per gestire al meglio i P.O.R., per i programmi di recupero post chiusura delle cave, per le procedure connesse alle nuove normative sull'ambiente, e quant'altro. La nuova legge sul PRAE, ad esempio, che impone un confronto tra le parti e i Comuni del bacino, per arrivare alla definizione del Piano Regolatore delle Attività Estrattive.

Nel settore dei laterizi e manufatti in cemento, dopo i tagli e le ristrutturazioni dei primi anni novanta, le imprese sopravvissute alla crisi hanno conosciuto un momento favorevole, con livelli produttivi tornati ad essere significativi, legati alla ripresa dell'edilizia (da cui il settore dipende direttamente). In questi giorni dovrebbe essere chiuso anche per questo settore il CCNL; l'accordo parrebbe raggiunto, e dovrebbe essere ratificato il 29 prossimo venturo.

L'unico settore che non sembra aver beneficiato, in maniera proporzionata agli altri, della ripresa, pare essere quello del legno arredamento, almeno nelle aree di insediamento tradizionali (Foggia, Lucera e San Severo) e dei cantieri navali. I primi, evidentemente soffrono la concorrenza di altre zone del Paese, in cui la presenza di infrastrutture e di un tessuto imprenditoriale più diffuso, ha consentito di acquisire quote di mercato anche a livello internazionale, mentre le nostre aziende dipendono quasi totalmente dalla richiesta locale. I cantieri navali, invece, oltre che per processi produttivi che si vanno via via superando, soffrono anche per l'introduzione delle norme che regolano la pesca (il fermo biologico, ad esempio, durante il quale le barche sono ferme e non possono neanche essere tirate a secco per i lavori di manutenzione, oppure i limiti imposti alla costruzione di nuove imbarcazioni).

Nuove imprese sono nate, anche grazie agli strumenti della programmazione negoziata del Contratto d'Area di Manfredonia, sia nel settore laterizio/manufatti, sia nel settore legno/arredamento; bisogna, però, adesso chiedere un momento di verifica degli accordi, ed avviare una stagione di sindacalizzazione delle maestranze assunte nelle nuove Aziende; infatti, non possiamo non rilevare la scarsa rappresentatività del sindacato nelle nuove realtà, legata spesso al tipo di contratto applicato nelle aree - rivolto soprattutto a giovani assunti al primo impiego, che dovranno essere confermati al termine di un periodo di formazione/lavoro -, e che non vorremmo si traducesse in una riduzione di tutele e diritti per i lavoratori.

Una occasione mancata. "La sfida della qualità"

Abbiamo parlato di cifre da record. Se possibile, questi dati aumentano ancor più il rammarico per quella che, a nostro giudizio, potrebbe essere una occasione mancata. 

La ripresa, infatti, è stata una ripresa quantitativa, indubbiamente, ma non qualitativa. 

Non si è sfruttata al meglio questa occasione per consolidare il tessuto imprenditoriale, anche attraverso investimenti in formazione e tecnologie innovative, per renderlo pronto alle nuove sfide cui andrà incontro. 

Già nel momento della crisi, denunciammo il fatto che si trattava di una crisi diversa dal passato, perché a sopperire erano imprese sane, solide, con grande tradizione alle spalle, mentre sopravvivevano i cosiddetti "sceriffi", imprenditori senza scrupoli e senza un vero progetto imprenditoriale, pronti ad azzannarsi per rosicchiare il primo osso disponibile. 

Per farsi largo, questi imprenditori (o presunti tali) non esitavano a sacrificare la sicurezza, il salario dei lavoratori, i diritti elementari, il contratto.

Il mercato veniva a perdere ogni regola, e così molte imprese, per restare vive, dovevano giocare con le stesse armi. 

Con questo, non vogliamo dare una colpa o lanciare una accusa generalizzata al mondo imprenditoriale. Ci rendiamo conto e anzi testimoniamo senza riserve che proprio su questo terreno, più frequenti sono stati gli incontri con le nostre controparti, per recuperare la legalità e un quadro di regole certe. 

Ma quando il momento contingente è finito, le imprese non hanno recuperato, a nostro avviso, competitività secondo quello che era loro possibile: con la "qualità". 

È questa la sfida che noi riteniamo di lanciare con il nostro congresso, e che dà il titolo al congresso stesso: "costruire un futuro di qualità". 

Abbiamo tenuto una grande iniziativa, nella scorsa primavera, che è stata un pò il trampolino di lancio per la nostra stagione congressuale, in cui abbiamo specificato cosa noi intendiamo per qualità. 

"La qualità è il futuro del settore, l'unico possibile dentro una competizione destinata a infrangere ogni illusione di sopravvivenza affidata a vecchie e tradizionali ricette economiche e imprenditoriali". Con queste parole, il nostro segretario nazionale, Franco Martini, ebbe a riassumere il senso di quella iniziativa. 

Per noi qualità è soprattutto e fondamentalmente qualità del lavoro. Il capitale principale di una impresa sono i suoi dipendenti, ma questo capitale rischia sempre più di assottigliarsi. 

Occorre perciò investire in formazione. Per questo, abbiamo ritenuto indispensabile dedicare a questo argomento una parte fondamentale dei lavori preparatori del nostro congresso, che servirà anche a definire le ipotesi di lavoro da confrontare con gli altri attori presenti nel settore. 

Una piattaforma contenuta nel documento nazionale "Costruire una nuova civiltà del lavoro", cui la FILLEA di Foggia ha dato e darà una convinta partecipazione. 

Qualità è sicurezza sul lavoro. Ogni infortunio sul lavoro, al di là dell'offesa che arreca al singolo operaio, rappresenta un fallimento di quel modello di impresa. 

Qualità è qualità del prodotto finito, che si realizza con una valutazione complessiva dell'opera, a partire dalla progettazione, dai criteri di selezione, che devono tenere conto dei costi del lavoro e della sicurezza, ma anche con un monitoraggio continuo delle opere, fino alla consegna dei lavori. 

Qualità è acquisizione di competitività attraverso l'uso di risorse dirette e tecnologie avanzate. Non si può pensare alla qualità del lavoro spingendo ancora verso la destrutturazione dell'impresa, con la liberalizzazione del subappalto. Il futuro dell'impresa è sicuramente un futuro in cui l'impresa principale rappresenta il nodo centrale di una rete che realizza legami con imprese-satellite; ma non potrà mai prescindere dall'assumersi le responsabilità economiche e produttive.

Qualità è, in una parola, capacità di trasferire all'interno dell'impresa, in termini di innovazione, una parte della ricchezza prodotta. 

Noi crediamo che un'impresa sana, che rispetti le regole - e ce ne sono tante, anche nella nostra provincia - non possa e non debba competere sul piano del massimo ribasso, che va abolito, o del prezzo stracciato. Una competizione tutta fondata sui costi, necessariamente finirà con il portare l'impresa sul campo minato della concorrenza sleale.

Le relazioni industriali 

Ma vi è un aspetto del progetto qualità che non può e non deve essere mai perduto come riferimento: la capacità delle parti sociali di sedersi a tavolino e, attraverso gli strumenti di cui dispongono, dotarsi di regole condivise che governino il rapporto di lavoro. Il discrimine tra imprese corrette, che rispettano le regole della competizione, della concorrenza leale, e gli avventurieri, i senza scrupoli, i fuorilegge, è quasi sempre questo: i primi rispettano i contratti, gli altri no. 

Per questo ci sembra gravissimo l'atteggiamento intransigente di quella parte dell'imprenditoria che spesso usa il contratto non tanto in funzione di questo obiettivo, ma per altre mire, funzionali a risolvere problemi che, per quanto possono avere anche delle giustificazioni, non hanno nulla a che vedere con l'oggetto della contrattazione. 

È il caso ultimo dell'ANCE, che in maniera assolutamente strumentale ha messo in un vicolo cieco le trattative per il rinnovo dei contratti di secondo livello, gli integrativi provinciali, negando oltretutto la possibilità di procedere, nei tempi stabiliti dagli accordi del 1993, al rinnovo salariale del secondo biennio del contratto collettivo nazionale di lavoro. 

È per questo che, senza ulteriori esitazioni, abbiamo messo in atto una mobilitazione straordinaria dei lavoratori, che ci porterà a breve a tenere le dieci ore di sciopero nella provincia, come proclamato dagli esecutivi unitari, a Roma, il 25 ottobre. 

All'ANCE, vogliamo qui aggiungere: attenzione. Non giova a nessuno mettere in discussione i livelli contrattuali così come sono oggi concepiti. 

Il rischio, è che veramente, alla fine, si possa arrivare al "federalismo" anche in tema di lavoro, auspicato dal ministro Maroni. Noi vogliamo credere al vostro presidente nazionale, De Albertis, quando, a Roma, l'11 luglio 2001, testualmente dice: "Il nostro mestiere, un mestiere nomade, non potrebbe reggere ad una pluralità di discipline diverse. In nome del nomadismo chiediamo che le discipline affidate alle cure dell'autorità radicata nel territorio consentano gli stessi esiti in tutto il paese. Altrimenti, sarebbe la fine!". Pagina 24 della relazione del presidente all'Assemblea Ordinaria delle Associazioni Aderenti all'ANCE. 

Una fine che noi cercheremo di scongiurare in tutti i modi: per questo difenderemo il CCNL e il secondo livello di contrattazione territoriale, così come sono, con tutte le nostre energie! 

All'ANCE diciamo: ci chiedete ancora flessibilità. Ma quale ulteriore flessibilità volete, rispetto a quella che legalmente o illegalmente, già esiste nel settore? Abbiamo sperimentato il lavoro interinale, avete il licenziamento per fine lavori (unico settore in Italia). Di quale altra flessibilità c'è bisogno? 

Infine, l'abbattimento contributivo. E' vero, in edilizia, per la CIGO, vi è un contributo superiore ad altri settori.  Sebbene riteniamo che ciò in massima parte trovi anche una logica, siamo sempre stati disponibili ad appoggiare le vostre richieste verso il governo. Ma perché legare ciò al contratto? Ci sembra davvero pretestuoso, il vostro atteggiamento. 

Le nostre richieste salariali sono state "calcolate" con le regole che abbiamo assieme condiviso e sottoscritto. 

Rigettare le nostre richieste vuol dire gettare a monte quelle regole; non è su queste basi che può fondarsi un sistema di corrette relazioni industriali.

E non possiamo accettare, per quanto abbiamo fin qui detto, che venga meno la funzione del contratto quale autorità di governo dei salari, e quindi delle regole del gioco, attraverso quelle regole di discrezionalità che i superminimi di fatto introducono. 

Confidiamo nella capacità di questa classe imprenditoriale di uscire dalla situazione di stallo che si è determinata, e facciamo appello ai locali dirigenti dell'ANCE di usare la propria influenza per evitare il protrarsi di una fase di lacerazioni e tensioni sociali che non giova a nessuno.  Del resto, con il buonsenso di tutti, abbiamo superato momenti nel passato, altrettanto critici; peccato che il tutto debba avvenire, oggi, in una fase positiva per il settore. 

Prove tecniche di Concertazione: rapporti bilaterali ed Enti Paritetici

Noi crediamo che il modello concertativo è un modello che ha dato ottimi risultati e può darne ancora tanti, per rilanciare il settore e non solo. 

Del resto, come non prendere a monito ed esempio i lusinghieri risultati ottenuti, grazie proprio alla concertazione,  negli enti bilaterali?

In proposito, vorrei spezzare una lancia in favore del sistema delle nostre Casse Edili, e dei nostri Enti. Credo che, in questi anni, abbiano funzionato bene, grazie anche al nostro lavoro e al nostro impegno. 

Vale qui la pena di ricordare, che all'altro congresso, il CPT era solo abbozzato sulla carta, che l'Ente Scuola Edile aveva i debiti con l'Unione Europea, mentre oggi funzionano attivamente e fanno grandi progetti per il futuro.

Non dimentichiamo i corsi svolti dall'Ente Scuola Edile, che hanno avuto un riscontro clamoroso in termini di partecipazione. Corsi di ottimo livello sia per la preparazione dei docenti e l'organizzazione dimostrata, sia per i risultati conseguiti dai partecipanti. Semmai, manca solo una "ciliegina": organizzare qualche corso che offra uno sbocco occupazionale immediato: visto il momento favorevole, non sarebbe poi difficilissimo farlo. A quel punto si sarebbe raggiunto il massimo. Chiediamo alle imprese, una maggiore collaborazione, facendoci conoscere quali sono le loro esigenze formative, le professionalità occorrenti, e insieme di mettere su corsi che vadano in quella direzione.

Segnaliamo inoltre con soddisfazione i risultati del CPT, che ha promosso il mese della prevenzione, in concomitanza con  la campagna della "settimana per la Salute e la Sicurezza"; ha fatto una cosa straordinaria nella sua semplicità, che tutti abbiamo sempre pensato ma che non si era mai concretamente fatto: portarsi sui cantieri, là dove sono i lavoratori, e parlare di sicurezza assieme alle autorità del settore e non solo. Un successo, non l'unico, che ci incoraggia a proseguire sulla via intrapresa.

La Cassa Edile ha questa nuova sede, e tutte le potenzialità per raccogliere le sfide che la futura contrattazione vorrà lanciare. 

L'Edilcassa di Puglia, di cui noi siamo stati soci fondatori e grandi promotori, che cinque anni fa era agli albori, oggi ha comprato a sua volta una sede, ed è competitiva sul mercato delle Casse Edili. Prevediamo che, quanto prima, si arriverà a definire una intesa comune per la creazione, anche in quel sistema, di Enti per la formazione e la sicurezza.

In merito, ci auguriamo che gli amici della FILCA, superate le incomprensioni del passato, possano quanto prima entrare a farne parte a pieno titolo, come hanno diritto e dovere, a nostro avviso. 

Questo non per dire che le cose non si possano migliorare, o che "vada tutto bene". Del resto, proprio la tensione a migliorare le cose ci ha fatto sottoscrivere, nel mese di Settembre, il protocollo per gli Enti paritetici (FLC-ANCE), che consentirà agli stessi di fare un ulteriore salto di qualità. Ci auguriamo che, quanto prima, lo stesso protocollo possa essere pienamente recepito in sede di contrattazione decentrata.

Del resto, non vogliamo proprio commettere l'errore di cullarci sugli allori, dal momento che ormai è in atto una sfida - diremmo quasi in termini di mercato - per cui se non si ha la capacità di rispondere, perdonatemi se insisto, in termini di qualità, si corre il rischio di essere tagliati fuori.

Da tempo abbiamo superato la vecchia concezione mutualistica/assistenziale dei nostri Enti, abbiamo saputo rispondere in termini di qualità dei servizi offerti, siamo diventati un riferimento per certi aspetti anche istituzionale. Continueremo a lavorare per far sì che i nostri Enti rimangano sempre al passo con i tempi, offrendo nuovi servizi e nuove opportunità, adeguate a soddisfare le esigenze di vita dei lavoratori e delle loro famiglie.

Vogliamo insistere sulla necessità di dare rapida attuazione al progetto per la creazione dello "sportello unico" tra Casse Edili, INPS e INAIL, finalizzato al rilascio della certificazione di "congruità" nei lavori pubblici. In questo modo, contribuiremo a combattere concretamente i fenomeni degenerativi, quali lavoro nero, abusivismo, ecc., fin qui descritti, superando la vecchia certificazione di "correntezza" contributiva. Il tutto si inquadra nella logica di un monitoraggio complessivo delle opere pubbliche, dall’inizio alla fine.

Nondimeno, chiediamo che si prosegua l'esperienza delle norme "premiali" per le imprese regolari, rendendo strutturali le norme che consentono alle imprese in regola di beneficiare di consistenti riduzioni di oneri e contributi; il tutto, parallelamente alle norme per far emergere dal "sommerso" le imprese irregolari.

Nel confermare la richiesta di rinnovare le provvidenze previste dall'articolo 29 della legge 341/1995, in scadenza, ricordiamo l'importanza che gli Enti paritetici hanno avuto per l'attuazione pratica della norma.

Vanno inoltre valorizzati e attuati concretamente i protocolli concertativi sottoscritti tra FLC, associazioni imprenditoriali e Comuni della provincia (Manfredonia, San Giovanni Rotondo) per combattere il lavoro irregolare. A tal proposito rileviamo con sconcerto che alcuni Comuni, tra cui purtroppo anche il Comune capoluogo, rifiutano continuamente ogni forma di dialogo. Ci appelliamo al senso di responsabilità di tutti perché si possa quanto prima rimediare.

Infine, vorremmo sperimentare anche forme di concertazione bilaterale in settori diversi dall'edilizia. Una opportunità, in tal senso, ci è data dalla gestione dei fondi pensione integrativi,  nei quali sono rappresentati lavoratori e imprese . 

Accogliamo con favore  la delibera dell'organo di vigilanza sui fondi pensione, il COVIP, che ha concesso l'autorizzazione all'esercizio del fondo "Concreto" per i lavoratori del settore cemento, calce e gesso.

Assieme agli altri fondi, "Arco", "Prevedi", "Cooperlavoro" e "Art", prevediamo un impegno straordinario della categoria per fare in modo che aderiscano anche nella nostra provincia il maggior numero possibile di lavoratori: si tratta, per il sindacato, di una grande scommessa, e chiedo anche a tutti i dirigenti qui presenti di accoglierla con entusiasmo.

E' indubbio che, in tutto il Mezzogiorno, vi sono ancora troppe riserve mentali, da parte dei lavoratori, verso i fondi pensione integrativi, tanto che si regista un "gap" altrimenti ingiustificabile tra l'adesione al nord e al centro-sud.

Dobbiamo, perciò, avere la capacità di superare queste paure e queste riserve, che non hanno nessuna ragione di essere. 

La situazione organizzativa 

La FILLEA di Foggia ha conosciuto, in un passato recente, un momento di forte crisi. Principalmente, ciò è stato dovuto alla mancata capacità di uscire da vecchi schemi organizzativi, fondati sulla militanza ideologica e sulla mediazione nella erogazione di prestazioni assistenziali (la cosiddetta domandina).

Una organizzazione grande e radicata come la nostra, non ha saputo adeguarsi, prontamente, alla crisi paurosa della metà degli anni '90. Oggi diremmo che non siamo stati abbastanza flessibili.

Una crisi così profonda che non ha risparmiato molti dirigenti sindacali, che costituivano l'ossatura della nostra organizzazione, trovatisi dall'oggi al domani in balìa di eventi a volte drammatici.

Un sindacato contrattualista come è il nostro, ha pagato più di altri il fatto che, con la crisi, il potere contrattuale si è assottigliato notevolmente. Noi abbiamo sempre predicato che i diritti non si monetizzano; ad un certo punto, pur di conservare il lavoro, il lavoratore era disposto a vendersi anche l'anima.

Forse non abbiamo saputo raccogliere le istanze che venivano da un mercato del lavoro in rapida e profonda trasformazione. E' successo anche che, mentre noi eravamo nelle piazze a chiedere "il lavoro", qualcun altro andava a contrattarsi privatamente "i posti di lavoro" per le proprie pecorelle.

Nei compagni, nei disoccupati che frequentavano le nostre sedi, la speranza di cambiare le cose con la lotta e l'impegno sindacale è stata sostituita via via da un senso di impotenza e sconforto, di fronte a risultati che non ripagavano il grande impegno profuso, che li ha portati ad allontanarsi dal sindacato. 

Tutta la categoria è stata interessata da un profondo riassetto organizzativo. Abbiamo dovuto anche risanare i nostri bilanci, anch'essi provati dalla crisi. Grazie all'impegno e allo spirito di sacrificio di molti compagni, di dirigenti, impegnati a tempo pieno così come nelle sedi più periferiche, si sono poste le basi per superare quella situazione. 

Oggi la FILLEA vive una nuova fase di sviluppo. Gli iscritti aumentano, anche grazie alla rinnovata capacità di tutela che abbiamo saputo offrire ai lavoratori,  assieme ad un'importante riqualificazione dei servizi offerti. 

La FILLEA è interessata, a livello regionale, da un progetto di creazione di una struttura di direzione più rispondente alle nuove esigenze, al nuovo assetto "federale" delle Regioni, per cui eleggeremo, in questo congresso, anche i dirigenti che parteciperanno a questa nuova struttura. 

A livello territoriale, vogliamo investire in una politica dei quadri che riguardi soprattutto le strutture periferiche, che vogliamo valorizzare in maniera concreta. Per questo propongo di confermare l'esperienza dell'organismo esecutivo intermedio, che fin qui ha dato ottimi risultati. 

Guardiamo con attenzione ai progetti di reinsediamento nel territorio della CGIL. Non mancheremo di fare la nostra parte, anche in termini di risorse. 

I rapporti unitari: la FLC, risorsa del sindacato confederale 

Ho scelto volutamente di trattare l'argomento dei rapporti unitari alla fine della mia relazione. E' fuor di dubbio che, se abbiamo saputo affrontare un periodo così lungo di crisi, lo dobbiamo anche alla capacità di rimanere uniti che la FLC ha mostrato anche nelle situazioni più difficili. 

Ma i risultati positivi non li abbiamo avuto solo nella gestione delle "crisi". Diciamolo pure, siamo stati bravi anche a tirare su le nostre creature: i contratti, innanzitutto, ma anche gli Enti Paritetici. Ci siamo accreditati come interlocutori forti e credibili verso le istituzioni. La nostra forza è stata l'unità e, crediamo, continuerà ad esserlo. 

Non vuole essere, questa, auto celebrazione. Pensate solo a immaginare su quanti fronti si svolge il nostro impegno, quotidianamente. Enti paritetici, una miriade di contratti, un settore industriale importantissimo e complesso come pochi. E ancora INPS, INAIL, rapporti con istituzioni, imprese, eccetera eccetera. 

La FLC può, a giusto titolo, definirsi una confederazione nella confederazione. Anzi, se avessimo la capacità di tenere sempre alto il livello del nostro lavoro politico, ci sarebbe da proporsi come la quarta confederazione sindacale. Ai miei colleghi, rimprovero - senza polemica - forse proprio questo: a volte non sappiamo volare un tantino più in alto. 

No, caro Enzio, non siamo in concorrenza. Noi non ci siamo mai sentiti in concorrenza con voi, né con i compagni della FeNEAL. Per noi, spostare una tessera dalla FILCA o dalla FeNEAL alla CGIL, non è mai stata una tessera doppia; queste cose facciamole dire a quelli che ci combattono, che vorrebbero distruggere la FLC. Al contrario, ogni volta che un lavoratore non sindacalizzato prende la tessera, sia della CGIL, della CISL o della UIL, noi ci sentiamo più forti, più rappresentativi. Per questo abbiamo sempre aderito senza riserve alle campagne di sindacalizzazione, senza preoccuparci dove andavano a finire i nuovi iscritti. 

Siamo peraltro convinti che la rappresentatività non si conquisti "solo" con le tessere, ma con un rapporto di democrazia con le persone che lavorano e che si rappresentano. Per questo vi chiediamo un impegno maggiore - spesso in questo siamo stati carenti - per arrivare a costruire organismi e percorsi di partecipazione democratica dei lavoratori alle scelte e alle decisioni che li riguardano. 

Per questo vi chiediamo di esercitare assieme a noi ogni azione per giungere ad una legge su rappresentanza e rappresentatività, che recepisca pienamente l'articolo 39 della Costituzione nel nostro sistema. 

Conclusioni 

Mi rendo conto che questa relazione non esaurisce tutti gli argomenti che sono posti a base di questo congresso. Né si poteva avere la presunzione di esaurire in alcun modo la discussione.

Questo congresso giunge alla fine di tante assemblee di base, in cui le questioni sono state affrontate con passione, rigore morale, voglia di incidere, di cambiare.

Quelle assemblee ci consegnano una categoria straordinariamente vitale, che troverà la forza di indicare – ne sono certo – un gruppo dirigente capace di traghettarla verso nuove sfide e nuovi orizzonti.

Molti argomenti saranno trattati e ripresi più diffusamente nel dibattito. Altri argomenti sono oggetto di specifici documenti o ordini del giorno, che potranno o dovranno in seguito essere votati. Su alcuni argomenti in particolare avrei voluto soffermarmi maggiormente, come sulle proposte del nuovo governo in tema di stato sociale,  il Welfare, come abbiamo imparato a dire. 

C'è però una concezione che pervade tutto, che ho ritrovato in molti ragionamenti degli imprenditori, come del libro bianco, e forse anche in qualche sindacalista rampante, e che mi sento fermamente di rigettare: l'idea che il lavoro sia il fine ultimo dell'esistenza della persona, e non già uno strumento per la sua piena realizzazione. 

Noi militanti di una certa età abbiamo speso la nostra vita per affermare il lavoro come valore; ma non abbiamo mai perso di vista i "valori" della vita. Come la famiglia, il tempo libero, il riposo, lo studio, l'impegno sociale, politico, e tanto altro ancora... 

Mi preoccupa questa società che “allunga” i tempi per andare in pensione, che baratta il tempo per stare con i propri figli con lo straordinario, in nome della produttività e di un mercato senza etica, che rinuncia alle irrinunciabili ferie in nome della flessibilità che renderebbe competitivi, di un dinamismo che spesso nasconde solo la voglia di un arricchimento veloce. E già, per noi qualità è prima di tutto qualità della vita delle persone.

C'è un punto che accomuna tutte le religioni più importanti del mondo: nel giorno dedicato alla preghiera, non si lavora. 

Non perché il lavoro sia paragonato ad altre attività "impure", che parimenti non si dovrebbero fare nei giorni di preghiera. Perché, semplicemente, l'uomo deve avere il tempo per stare con il suo Dio. E se l’Onnisciente ci ha concesso un giorno di riposo per evitare distrazioni, immaginiamo da quante altre cose il lavoro ci può distrarre.

Ormai, pare che il tempo a disposizione ce lo vogliano concedere solo a condizione di ritrovarci licenziati. Ma pare che non dobbiamo preoccuparci, perché in quel caso saremo oggetto di un esperimento. No, caro ministro, qualità della vita è anche poter programmare la propria esistenza senza la spada di Damocle del licenziamento che incombe sulla testa. La sua proposta è contro i diritti dei lavoratori, ed è contro la volontà popolare: non dimentichi, che in materia c'è stato anche un referendum, con il quale abbiamo già battuto chi voleva cancellare lo Statuto dei lavoratori.

Continueremo a lottare per dare ad ogni persona il tempo per vivere un'esistenza decorosa, grazie ai frutti del proprio lavoro. 

E continueremo a lottare per dare a chi verrà dopo di noi una CGIL bella e forte, come noi l'abbiamo trovata. 

Grazie.