III

CONGRESSO

 PROVINCIALE

 

COSTRUIRE

un futuro di qualità

    

Pianfei   Hotel  “LA RUOTA”

20 Novembre 2001

 

Relatore:Demarchi Roberto

 

Care delegate, cari delegati ,  signori invitati,

 

         siamo arrivati a questo Congresso Provinciale della Fillea Cgil, dopo settimane di intensa ed impegnativa campagna congressuale.

 

         Si sono svolti 17 congressi di base che hanno però coinvolto solo una minima parte dei lavoratori iscritti alla nostra Organizzazione.

 

         E’ questo un dato che deve farci riflettere: se le scelte che noi intendiamo fare, se le strategie che intendiamo adottare non sono largamente condivise dai nostri iscritti, corriamo il rischio di fermarci presto.

 

         E’ necessario costruire il consenso con progetti di lavoro chiari, credibili e sempre più rispondenti alle esigenze dei lavoratori che rappresentiamo.

 

         Se è vero che politica ed organizzazione sono strettamente intrecciate, è altrettanto vero che l’adeguatezza e l’efficacia di un modello incide e decide rispetto alla fattibilità e praticabilità concreta delle proposte formulate dall’organizzazione.

 

         E’ stato comunque un momento importante per la Fillea che ci ha consentito di fare il punto con una parte dei nostri iscritti sulla situazione politica, economica, sulle condizioni di lavoro sulle scelte che dovranno caratterizzare il nostro futuro e le nostre iniziative.

 

         I Congressi di base si sono confrontati su due documenti: non intendo qui riprendere ed affrontare quella discussione sia per ragioni di tempo, sia perché lo scenario in cui oggi celebriamo il nostro Congresso ha davanti orizzonti nuovi che dobbiamo valutare ed approfondire con la dovuta attenzione, per poter intraprendere le iniziative che riterremo più opportune e necessarie.

 

         I dati relativi al Congresso li ha citati Michele nella sua introduzione.   Io mi limiterò ad una semplice considerazione: questa tornata congressuale ha evidenziato un profondo disagio dei nostri iscritti nei confronti del metodo congressuale adottato. Le modalità scelte e le complicazioni delle procedure, non hanno affatto risolto il problema della democrazia e della partecipazione, ed in grande misura hanno privato gli iscritti della possibilità di contribuire e di decidere sulle future scelte della Cgil.

 

         Può darsi che quello che esprimo sia un giudizio troppo netto o troppo approssimativo, ma al dì là di questo aspetto penso che tutti insieme dobbiamo porci questo interrogativo che ritengo sia molto serio.

 

Veramente siamo tutti convinti che, il contare le adesioni ad un documento od all’altro, sia più importante e produttivo che andare ad un confronto libero da ogni aprioristico vincolo di schieramento su un documento di massima e quindi integrabile, modificabile, emendabile ?

 

Io penso di no e credo che anche la maggioranza di noi e dei nostri iscritti sia dell’opinione che queste procedure congressuali non rappresentino un modello di democrazia accettabile.

 

Di questo la Cgil ne dovrà tenere conto a tutti i livelli.

 

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Stiamo svolgendo i nostri Congressi in un contesto molto difficile.

 

I drammatici fatti che hanno colpito gli Stati Uniti, l’inaudita violenza nei confronti di migliaia di persone, un’azione di autentica guerra contro obiettivi civili e cittadini inermi, richiedono risposte ferme per bloccare ogni deriva terroristica internazionale che minaccia la sicurezza dei popoli e degli stati, cercando la massima collaborazione per una decisa azione di prevenzione e per assicurare alla giustizia i responsabili.

 

E’ grande la preoccupazione per le conseguenze che questi atti possono determinare nel mondo intero, i rischi di un netto arretramento nel processo di pace, i rischi che ancora una volta siano i soggetti più deboli a pagarne le conseguenze più drammatiche.

 

L’ulteriore progressivo inasprimento dell’intervento anglo-americano in Afganistan ed  il coinvolgimento diretto di altri paesi dell’Unione Europea, tra cui l’Italia hanno rafforzato le preoccupazione da noi già ripetutamente manifestate, interpretando sentimenti sempre più diffusi tra i lavoratori ed i cittadini.

 

Si accrescono le devastazioni e le drammatiche conseguenze sulle popolazioni civili, senza che a tutto questo corrispondano risultati evidenti ed efficaci nella lotta contro le centrali terroristiche ed i regimi che le supportano.

        

Siamo ora in un contesto diverso, ma ogni inasprimento del conflitto rende sempre più evidente l’inconsistenza di quella forte azione politica e diplomatica necessaria per battere il terrorismo, ed evidenzia viceversa il rischio di ulteriori fratture con i parti importanti del mondo islamico.

 

         Il nostro Paese può e dove operare affinché l’Europa sappia esprimere una iniziativa efficace e sostenga con maggiore autorevolezza le funzioni dell’Onu, sia sul piano diplomatico che su quello umanitario.

 

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         Oltre a questi fatti drammatici, il contesto economico e sociale che abbiamo di fronte desta forti preoccupazioni.

 

         Le elezioni del 13 maggio hanno modificato il quadro governativo, assegnando la vittoria alla coalizione di centro destra guidata da Berlusconi che ha conquistato la maggioranza assoluta dei seggi sia alla Camera che al Senato, tale da reggere un governo di legislatura.

 

         Nell’ambito dello schieramento perdente, la Sinistra ha subito un pesante arretramento (nel suo insieme ha fatto registrare il peggiore risultato degli ultimi 50 anni), e tutte le ipotesi terzaforziste si sono dimostrate clamorosamente velleitarie.

 

         Ha vinto chi ha saputo fare coalizione e dentro le coalizioni si sono affermate le aggregazioni che hanno offerto di se’ una più chiara identità, nel bene e nel male.

 

         Come Cgil avevamo espresso in campagna elettorale la nostra critica a punti fondamentali del programma del centro destra, in materia di politiche economiche, sociali e fiscali, con una particolare avversione al carattere ed alla portata della loro proposte di federalismo.

 

         Non si tratta solo di elementi di dissenso, quanto su questioni decisive di veri punti di contrapposizione con i nostri programmi ed i nostri valori.        In questi anni è stata fatta una grande opera di risanamento del nostro Paese, i lavoratori hanno contribuito in modo decisivo, ottenendo i primi risultati significativi sul versante dello sviluppo e dell’occupazione.

 

Ebbene, le culture e le proposte del Centro Destra, tutte fondate sulla deregolamentazione e sulla centralità dell’ impresa, spingono nel rompere il rapporto tra coesione sociale, diritti e sviluppo, mettendo in discussione le linee e le regole fin qui adottate, il tutto in perfetta sintonia con le strategie e le scelte della Confindustria.

 

Le posizioni della Confindustria sono precise: il Paese ha una perdita in competitività e per recuperarla bisogna mettere l’impresa al centro delle politiche economiche e sociali.

 

Ovviamente il fisco deve andare alle imprese così come esse sono, senza selettività e senza priorità; aiuti a pioggia, senza discriminazioni di qualità, di innovazione, di occupazione, di formazione e  di ricerca.

 

Se bisogna ridurre la pressione fiscale per le imprese e ad esse destinare tutto il gettito aggiuntivo, è evidente che questa operazione regge solo se dall’altra parte si comprimono i capitoli della spesa.

 

Confindustria però non si interroga ad esempio sullo splafonamento della spesa sanitaria dovuta alla politica dissennate di alcune grandi regioni del Nord, ma attacca la spesa previdenziale incurante del fatto che la riforma Dini stia producendo risparmi maggiori di quelli previsti.

 

In campo contrattuale la linea è identica. Non si deve rivedere la dinamica dei tassi di inflazione programmata (l’1,7% per il corrente anno, l’1,2 sia per il prossimo che per il 2003) perché questo significherebbe innescare una spirale di rincorsa a salari e prezzi con effetti negativi sulla dinamica inflattiva.

 

Il fatto che l’inflazione reale ormai da oltre un anno non scende al di sotto del 3% e che i vecchi tassi di inflazione programmata per questo siano del tutto irrealistici, sembrano essere argomenti inesistenti per Confindustria.

 

Lo stesso ragionamento vale per le questioni legate al mercato del lavoro ed alla sua completa deregolamentazione.

 

Le tesi degli industriali non solo sono molto singolari ma probabilmente necessitano dell’intervento di un psicologo. Dico questo perché secondo Confindustria nel momento in cui fosse possibile licenziare le imprese finirebbero paradossalmente per assumere e non solo: si tratterebbe secondo loro di assunzioni non più a termine ma a tempo indeterminato, almeno fino a quando non scatterebbe il licenziamento libero. Lascio a voi ogni tipo di considerazione.

 

Ebbene, buona parte di questo programma il Governo l’ha tradotta nella manovra finanziaria. Il giudizio che abbiamo dato come Cgil è stato negativo. E’ una manovra inefficace a fronteggiare le prospettive non positive dell’andamento economico ed il rallentamento produttivo in atto, iniqua e pericolosa per le garanzie di tutela dei diritti dei cittadini, dei lavoratori e dei pensionati del nostro Paese.

 

Se analizziamo infatti alcuni dei provvedimenti contenuti nelle misure urgenti varate dal Governo, possiamo constatare proprio questo.

 

L’abolizione della tassa di successione per i grandi patrimoni (provvedimento che sembra fatto su misura per Berlusconi), la riproposizione della Legge Tremonti che consente una indiscriminata ed amplissima detassazione degli utili di impresa anche quando siano investiti per l’acquisto di beni non direttamente finalizzati alle attività di impresa, sono fatti che vanno nella direzione sopra indicata.

 

Chi come il Ministro dell’economia od il Governatore della Banca d’Italia avevano ipotizzato un boom economico per la seconda metà dell’anno, dovranno probabilmente spiegare che, per cause esterne, una parte rilevante delle ipotesi contenute nella manovra dovranno essere riviste e potremo così trovarci di fronte al rischio di una riduzione delle spese correnti con conseguenti tagli alla spesa sociale.

 

Poiché nella legge non si prevedono politiche espansive e non si sostiene la domanda, lo slogan elettorale meno tasse per tutti si tradurrà probabilmente in meno tasse alle imprese, meno salario e meno stato sociale ai lavoratori ed ai cittadini.

 

E’ questa la logica conseguenza dell’aver fissato all’1,7% il tasso di inflazione programmata, valore distante dall’inflazione reale, ed aver omesso qualunque  riferimento ad un incremento della spesa sociale.

 

Come è noto il 2001 si chiuderà con un  tasso di inflazione pari circa al 3%, che renderà ancora più difficile il raggiungimento dell’obiettivo per il prossimo anno.

 

Anche da punto di vista dell’equità, la Finanziaria opera scelte non condivisibili. Se l’intervento sulle pensioni al minimo e quello per l’aumento delle detrazioni per  i figli a carico possono apparire come scelte di attenzione nei confronti delle fasce più deboli, la non chiarezza dei criteri dei destinatari delle misure (nel caso delle pensioni) e la scelta delle famiglie al di fuori di una cornice più attenta verso il complesso delle aree di bisogno,  testimonia piuttosto l’uso di un principio di discriminazione delle scelte e l’assenza di un reale sostegno alla domanda, che si concretizza nell’abbandono della riduzione prevista per le aliquote medio-basse dell’Irpef.

 

Ed ancora più grave è la situazione del Mezzogiorno per il quale non si prevedono interventi di breve e medio periodo, nonostante le promesse fatte precedentemente.

 

Dietro questa assenza c’è un’operazione che punta da un lato ad un trasferimento sistematico di risorse dal Sud al Nord, e dall’altro a colpire l’esperienze più positive, economiche e sociali, fatte nel Mezzogiorno. Tutto questo è accompagnato da messaggi rassicuranti verso quanto di vecchio ed illegale nel Mezzogiorno continua ad esistere, nonostante tutti i tentativi di risanamento portati avanti negli ultimi anni. Cos’altro vuol dire affermare     (a proposito di opere pubbliche) che bisogna convivere con la Mafia ?

Oppure dichiarare che i primi provvedimenti da prendere sono i condoni edilizi.

 

Sono messaggio espliciti e sicuramente molto preoccupanti.

 

Per tornare al capitolo delle grandi opere pubbliche, l’elenco è davvero molto lungo. Un piano da 236 mila miliardi in 10 anni, dei quali il 48% a carico dello Stato, e con una buona parte di opere da realizzarsi nell’immediato. Se ci fermassimo alle affermazioni di principio le cose sarebbero rassicuranti. Entrando però nel merito, le affermazioni riguardanti l’eliminazione di certa legislazione sugli appalti, la mancanza di un vero piano urbanistico (poiché ognuno è padrone a casa propria, come recita il provvedimento del Governo sulla liberalizzazione delle ristrutturazioni degli immobili), la non certezza del reperimento delle risorse, indicano una strada completamente diversa. Non voglio qui ripetere considerazione che abbiamo già più volte fatto circa le conseguenze negative derivanti dalla vanificazione della normativa sugli appalti, sulla qualità e sulla trasparenza dei cantieri che si apriranno.

 

Il Cantiere Italia rischia di diventare terra di nessuno, dove le regole saranno quelle dettate dalle esigenze quotidiane. Non vogliamo essere prevenuti, ma sulle strade che si vogliono costruire rischia di transitare una civiltà dello sviluppo e del lavoro che invece di portarci in Europa al contrario, può riportarci molto indietro.

 

Per quanto riguarda il capitolo della previdenza la Cgil,  mentre conferma il rispetto per la verifica prevista dall’attuazione delle Riforma Dini e dei suoi effetti sulla spesa previdenziale, non è disponibile a esiti preordinati della verifica stessa per i quali  la sussistenza delle delega rappresenta la conferma più evidente, oltre all’ipotesi di doppio regime contenuta nella manovra.

Si vogliono in sostanza cambiare le carte in tavola , con  la drastica riduzione nell’immediato delle garanzie delle giovani generazioni ed in prospettiva di tutti i lavoratori.

 

Non si tratta solo di evitare iniquità e profonde distorsioni del mercato del lavoro ma, di impedire che vengano manomessi meccanismi intergenerazionali che sono alla base dei sistemi pensionistici pubblici.

 

La Cgil non è disponibile all’introduzione di un meccanismo che indebolisca ulteriormente la pensione pubblica che è l’unica  a garantire certezza di rendimento e forme di solidarietà tra lavoratori forti e deboli.

Si tratta semmai di innalzare le tutele previdenziali pubbliche per i lavoratori discontinui, precari, parasubordinati, piuttosto che abbassare quelle degli altri.

 

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Così come netto è il nostro giudizio rispetto alla manomissione    dell’art. 18. Un modello di sviluppo basato sulla qualità del lavoro, non può che fondarsi sul riconoscimento della dignità dei lavoratori ed è quindi inaccettabile modificare l’art. 18, che non proibisce il licenziamento, ma riconosce a chi è stato licenziato senza giusta causa il diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro.

 

Qualunque modifica a questo articolo consegnerebbe i lavoratori all’arbitrio delle imprese.  Non ha quindi senso sospendere per quattro anni l’art. 18 per le aziende che emergono dal nero, nelle trasformazioni di contratti da tempo determinato a tempo indeterminato, per i neo assunti di aziende che con i nuovi ingressi potrebbero superare i 15 dipendenti.

Non è possibile discriminare i lavoratori a fronte di un diritto individuale non contrattabile, ne’ incentivare il conflitto generazionale e la divisione del mondo del lavoro.

 

Se a questo aggiungiamo il fatto che nel caso di arbitrato viene conferito “all’arbitro” il potere discrezionale di decidere se reintegrare o indennizzare il lavoratore, il cerchio si chiude.

In questo modo si modificano e si stravolgono le fondamenta       dell’art. 18 in modo strutturale e non solo per alcuni casi, ma per tutti.

 

Non minor preoccupazione desta il ricorso alla delega da parte del Governo sulla riforma del mercato del lavoro.

 

Una delega molto ampia che introduce nuove tipologie di rapporti di lavoro: il lavoro a chiamata, un lavoro a tempo indeterminato che non da’ però certezza sulla quantità del lavoro e sul salario (l’impresa ti chiama quando serve), o il contratto intermittente, una sorta di part-time verticale del quale non se ne capisce la necessità visto che il part-time già esiste.

 

Si istituisce il lavoro occasionale che fa’ venire in mente il tempo andato, quando gli occasionali erano braccianti reclutati sulle piazze del paese giorno per giorno. Così facendo si pongono le persone in condizione di essere alla mercè dei datori di lavoro nella scelta del tipo di rapporto da instaurare, senza certezza sui diritti che competono.

 

Si crea nei fatti quella individualizzazione del rapporto di lavoro che è la strategia del Libro Bianco del Governo, la cui conseguenza è lo stravolgimento della rappresentanza collettiva (il ruolo del Sindacato tende  a diventare un ruolo di servizio per il singolo).

 

Su tutto questo è certamente necessaria una forte mobilitazione di carattere generale: è uno scelta di campo, o la lotta o il compromesso; credo che sia necessaria la lotta.

 

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Istruzione e sanità.

 

Nella visione del Governo salute e istruzione non hanno un carattere universalistico, ma sono legate al reddito individuale e di conseguenza al mercato ed alle sue leggi.

 

Per quanto riguarda la scuola i primi interventi e le prime dichiarazioni mostrano con chiarezza l’obiettivo di smantellare gradualmente l’efficienza del sistema pubblico, aprendo lo scontro su più fronti; come stanno a dimostrare gli interventi sul diritto allo studio con forme di sostegno alle scelte delle famiglie e non del reddito (il modello del buono scuola della Regione Piemonte), con l’introduzione di un meccanismo di dualità tra istruzione classica ed istruzione professionale (vero gioiello a favore del privato).

 

Sconfiggere questo disegno significa non solo sostenere la qualità dell’istruzione, ma mantenere le condizioni per lo sviluppo della democrazia nel nostro Paese.

 

Per quanto riguarda la sanità il progetto del Governo è quello di smantellare le strutture pubbliche che erogano servizi  a carattere universale ed il sistema fiscale e contributivo che li finanzia.

 

Si vuole passare nei fatti dal diritto alla salute al diritto ad essere curati, dimenticando prevenzione e riabilitazione, per concentrarsi sulla cura.

 

Pertanto la salute non è più un diritto fondamentale da tutelare se si introduce il concetto di prestazioni minime da erogare in base ai vincoli di bilancio ed in modo disomogeneo da regione a regione.

 

Si passa dal sistema universale a carico della fiscalità generale non a quello mutualistico ante ’78, ma decisamente a quello assicurativo secondo il modello americano, credo decisamente il peggiore dei tre.

 

Una sanità a richiesta con costi sempre maggiori a carico dell’utenza e dove l’emergere del privato assume connotazione di concorrenza economica monopolistica destinata a seppellire il sistema pubblico e con lui le tutele minime. Non si tratta quindi di concorrenzialità sulla qualità nell’ambito di un mercato regolato e governato, ma diventa esclusivamente business.

 

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Per quanto riguarda la fase contrattuale il contesto economico e produttivo all’interno del quale si rinnovano i Ccnl vive una fase di crescita nonostante le difficoltà degli Stati Uniti ed il rallentamento dell’Unione Europea in seguito al ridimensionamento dei tassi di sviluppo.

In Italia la ripresa delle costruzioni in corso ormai da alcuni anni ha comportato una fase di forte sviluppo tuttora in atto anche negli altri settori collegati delle costruzioni; è  quindi assodato il fatto che i rinnovi dei nostri contratti avvengono in una fase produttiva positiva.

 

In questo quadro si sono conclusi positivamente i rinnovi del secondo biennio del cemento e dei lapidei grazie ad un lavoro unitario che ha consentito di rinnovare i contratti nel pieno rispetto delle regole fissate dall’Accordo del luglio del ’93 senza scioperi e con un risultato economico buono,garantendo il potere d’acquisto dei salari.

 

Diversa invece la situazione nel comparto edile. Le posizioni assunte dall’Ance e dalle altre associazioni datoriali confermano in tutti i modi un tentativo di indebolire il tessuto di relazioni sindacali esistenti e di svuotare, se non di smantellare l’attuale assetto contrattuale.

 

In questo contesto la vicenda contrattuale dei metalmeccanici è emblematica e permettetemi una riflessione.

 

Le ragioni che hanno portato la Fiom Cgil a non firmare l’intesa siglata invece da Cisl e Uil ed a mobilitare i lavoratori (imponente è stata la manifestazione dello scorso venerdì a cui ha partecipato anche una delegazione della nostra categoria),  interessano in modo generale tutti i lavoratori.

Non sono infatti in gioco poche migliaia di lire come si è tentato nei mesi passati di rappresentare i motivi del dissenso, ma la difesa del potere di acquisto dei salari e del sistema contrattuale definito nel ’93, che assegna a livello nazionale il compito di recuperare integralmente la perdita del potere di acquisto in base all’inflazione reale oltre che a quella programmata.

 

L’offerta fatta da Federmeccanica rappresenta invece una palese violazione di quell’accordo, ed è un inganno verso i lavoratori la proposta di anticipare una quota del recupero della futura inflazione da restituire con i prossimi aumenti salariali.

 

Come Fillea Cgil guardiamo con preoccupazione ai motivi ed alle conseguenze dell’intesa separata in quanto maturata nell’indisponibilità delle altre Organizzazioni Sindacali a coinvolgere i lavoratori nella fasi evolutive e più delicate del negoziato, a fronte di una piattaforma concordata unitariamente, sulla quale gli stessi lavoratori avevano espresso il loro mandato.

Il tentativo di affossare l’esperienza della concertazione insegue l’idea di ricreare un rapporto diretto tra Stato ed impresa (soprattutto per quanto riguarda la richiesta di risorse allo Stato), in contrapposizione con l’idea di liberismo tanto declamata.

 

Risorse per niente finalizzate, ne’ sul versante dell’innovazione e dell’investimento sulla qualità del lavoro, ne’ alla lotta al lavoro nero.

 

Confindustria e costruttori parlano spesso di lotta al sommerso ma poi scopriamo che gli strumenti, anche quei pochi esistenti, non vengono utilizzati.

 

L’obiettivo di depotenziare i due livelli di contrattazione per privilegiare un rapporto sempre più diretto tra impresa e lavoratore, fa’ il pari con il tentativo di superare la concertazione, ossia tutte le sedi del confronto negoziale che obbligano il sistema delle imprese a misurarsi con le politiche generali dello sviluppo e della tutela dei lavoratori.

 

Niente di nuovo quindi se non la ricerca attraverso scorciatoie di quella capacità competitiva che è mancata e manca al sistema delle imprese.

 

Per quanto riguarda i rinnovi contrattuali del settore edile la situazione è precipitata nelle ultime settimane. In una prima fase l’associazione dei costruttori aveva rappresentato esclusivamente l’esistenza di una distanza quantitativa tra le richieste avanzate e la disponibilità delle imprese, nonché la necessità di un’articolazione temporale e territoriale dei costi derivante dall’elemento economico territoriale. Veniva quindi escluso il subordinare i risultati dei tavoli contrattuali ad interventi sulle dinamiche del costo del lavoro.

 

Negli ultimi incontri invece la posizione dei costruttori è radicalmente cambiata e prevede:

·        indisponibilità quasi assoluta alle richieste da noi avanzate

·        valutazione generale dell’insieme dei costi derivanti dai due appuntamenti contrattuali

·        decontribuzione dello straordinario e dei supermini contrattuali

·        proposta di un tetto valido solo per il 2002 (in palese contrasto con l’Accordo di luglio)

 

Tali proposte le abbiamo giudicate del tutto inaccettabili ed in contrapposizione con i dati positivi rispetto all’andamento del settore. C’è una crescita dei volumi di investimento (+ 5,5%rispetto all’anno precedente), sono cresciuti i fatturati delle più grandi imprese (+ 30%), è cresciuta l’occupazione.

 

 Per questo abbiamo indetto 10 ore di sciopero da effettuarsi entro la fine del mese, con articolazione territoriale, ed avviato una forte campagna di informazione perché tutta la categoria assuma gli obiettivi della mobilitazione a fronte di controparti che non sanno scegliere la via del negoziato e della concertazione, per intraprendere le scelte di qualità e di qualificazione necessarie al settore.

 

Anche a livello locale la situazione riflette luci ed ombre del contesto generale. Nel settore delle costruzioni il contesto fa registrare un quadro positivo che si è delineato negli ultimi anni invertendo una tendenza negativa, sia per quanto riguarda gli aspetti produttivi che occupazionali, permanendo tuttavia un notevole scarto fra bisogni emergenti e cantieri attivati.

 

I bisogni di opere infrastrutturali legate al risanamento ambientale ed ecologico, la ricerca di soluzioni al traffico nelle città, i problemi legati alla grande viabilità, sono aspetti che da sempre hanno pesato sullo sviluppo e sull’economia della nostra Provincia.

 

Alcuni progetti sono decollati altri sono in via di realizzazione e riteniamo che sia fondamentale che gli interventi si sviluppino nell’ambito di procedure e tempi certi, sia nell’aggiudicazione degli appalti sia nel rispetto delle norme contrattuali e legislative.

 

In questo contesto la piattaforma per il rinnovo del contratto integrativo provinciale  può rappresentare un valido supporto per sperimentare ed introdurre elementi nuovi, coniugando l’esperienza passata con i cambiamenti che stanno avvenendo.

 

Abbiamo raggiunto in queste settimane un’importante intesa su una serie di code contrattuali che se gestite correttamente potranno produrre effetti positivi nel settore per quanto riguarda la formazione professionale ed il mercato del lavoro.

 

Un’intesa difficile, sofferta per la nostra Organizzazione, ma che può rappresentare un buon trampolino di lancio per un lavoro unitario.

 

La formazione deve rappresentare sempre di più una risorsa per le imprese che con la manodopera più qualificata possono rispondere meglio alle esigenze del mercato e qualificare di più la propria attività e rappresenta uno strumento importante per il lavoratore, chiamato ad operare in un settore fortemente frantumato ed incerto.

 

La formazione va intesa come processo permanente di qualificazione e riqualificazione destinata ai lavoratori con moduli didattici elastici e diversificati sul territorio, in relazione alle esigenze  produttive del mercato.

 

In questo la Scuola Edile di Cuneo si è caratterizzata negli ultimi anni organizzando nuovi tipi di corsi ed aggiornando il percorso formativo in modo più dinamico  e più aderente alla realtà, con un ottimo risultato sia dal  punto di vista qualitativo e quantitativo.

 

In questo contesto va poi inserito l’importante lavoro svolto dal Comitato Paritetico e dai Rappresentanti dei Lavoratori alla Sicurezza nell’ottica della formazione di una cultura antinfortunistica finalizzata alla prevenzione  degli infortuni ed alla creazione di luoghi di lavoro più sicuri.

 

Per quanto riguarda la Cassa Edile notevoli sono state le trasformazioni ed i miglioramenti avuti.

E’ un Ente strategico, uno strumento formidabile per la conoscenza e la gestione delle politiche di settore.

Va sempre più rafforzato il suo intervento sulle funzioni di controllo pubbliche definite dalle normative di legge, al fine di consentire sempre di più il controllo sulla regolarità contributiva delle imprese e garantire la continuità del salario ai lavoratori.

 

Negli altri  comparti delle costruzioni la situazioni  presenta aspetti diversi da settore a settore.

 

Nel cemento sono stati definiti nuovi assetti societari (Buzzi e Calce Dolomia) e si è conclusa una soddisfacente stagione contrattuale con buoni risultati anche nelle elezioni delle Rsu.

 

Più complicata la situazione nel settore del legno a seguito di processi di crisi che riguardano alcune aziende (Lear, Wilab in particolare).

Sono in preparazione le piattaforme integrative in alcune aziende, ma su tutta questa partita credo sia necessario rimandare un’analisi più approfondita al primo direttivo che convocheremo dopo il Congresso, così come la definizione del nuovo piano di lavoro che dovrà predisporre la nuova Segreteria.

 

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Abbiamo in questi anni avviato credo un importante processo di trasformazione e di rinnovamento, cercando da un lato di strutturarci in modo tale da essere maggiormente presenti nelle varie realtà territoriali della nostra Provincia e dall’altro di migliorare e qualificare la contrattazione, la formazione , l’informazione ed i servizi.

 

La metamorfosi avviata ha prodotto risultati positivi, la crescita organizzativa è stata costante (anche quest’anno abbiamo superato il 100% degli iscritti) ma il lavoro da fare rimane molto.

 

Dobbiamo cercare di concentrare la nostra attenzione e quindi la nostra azione sulle questioni aperte, che non hanno ancora trovato soluzioni e che siamo chiamati ad affrontare con maggiore impegno e determinazione.

 

Abbiamo bisogno di stimoli e di energie nuove. C’è un grande bisogno di franchezza, e perché no, anche un po’ di spregiudicatezza nelle analisi, nelle verifiche, nelle proposte.

 

Occorre offrire al maggior numero di lavoratori, la possibilità di sapere chi siamo, come lavoriamo, quali valori ispirano la nostra azione, con il fine di dare ad ognuno l’opportunità di stare con noi, di proporre idee e dare un contributo teso a migliorare e potenziare quello che oggi siamo, per rafforzare le azioni di politica rivendicativa, contrattuale ed organizzativa.

 

Le risorse e le intelligenze non mancano, sta a noi valorizzarle e promuoverle.

 

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In ultimo alcune riflessioni sull’unità sindacale.

 

Su molti argomenti il dibattito che si è sviluppato negli ultimi tempi ha fatto registrare opinioni divergenti tra le Organizzazioni Sindacali, con toni a volte aspri e non sempre le notizie date dai mezzi di informazione hanno riportato il merito delle questioni trattate, soffermandosi più sulle polemiche che sulle motivazioni, sugli argomenti che hanno prodotto valutazioni e  giudizi differenti.

 

Sicuramente le scelte fatte dal Governo e dalle controparti in questi ultimi giorni ricompatteranno le posizioni, in modo tale da poter individuare una linea unitaria di azione.

 

Credo non ci debbano spaventare, ne’ preoccupare opinioni  articolate o diverse che sono legittime e fanno parte della dialettica interna al movimento sindacale: dobbiamo preoccuparci quando tutto questo diventa strumentale, quando non si guarda più al merito delle questioni, quanto si firmano accordi separati.

 

L’unità sindacale riguarda argomenti che vengono da lontano, da strategie di fondo diverse fra le Organizzazioni.

 

Dobbiamo partire da queste differenze per definire compiutamente le caratteristiche e la natura di un Sindacato Confederale Unitario, democratico, pluralista.

 

Nella nostra Provincia sono rilevabili due aspetti.

 

Negli impianti fissi dove esistono rappresentanze sindacali e dove è maggiore la spinta, direi la necessità di un rapporto unitario, si opera in un certo modo.

 

Nel settore edile dove la presenza delle Rsu è molto limitata, riscontriamo maggiore conflittualità ed i maggiori problemi.

 

E’ necessario quindi entrare in una fase in cui ogni Organizzazione si assume l’impegno e la responsabilità di fare delle proposte di soluzione dei problemi, in modo tale da arrivare a definire iniziative e progetti unitari che invertano l’attuale situazione.

 

L’incontro del 29 novembre delle Segreterie Provinciali può essere propedeutico a questo: la definizione della piattaforma degli edili, lo sciopero nel settore, le elezioni delle Rsu, possono essere un terreno sul quale sperimentare un percorso nuovo.

 

Noi ci rivolgiamo a Filca e Feneal con questo spirito costruttivo sicuri di trovare quella sensibilità e quella convinzione comune per meglio difendere gli interessi dei lavoratori, della nostra gente.

 

Delegati, abbiamo di fronte un periodo che si preannuncia non di normale amministrazione.

 

Grandi cambiamenti sono di fronte a noi e li vogliamo affrontare come protagonisti, non certo come comparse.

 

Le sfide che ci impongono i grandi cambiamenti devono diventare per la Cgil una grande occasione per rilanciare nel nostro Paese un movimento democratico, che abbia al centro dei suoi obiettivi un modello di società fondato sulla giustizia sociale, sull’uguaglianza, sullo sviluppo e sulla pace.

 

Ciò sarà possibile se sapremo mettere in campo la forza, il protagonismo di quei milioni di donne e uomini che non hanno mai smesso di credere nei valori della democrazia e della giustizia sociale ed economica.

 

 

 

Grazie a tutti per l’impegno ed il contributo dato in questi anni a questa Organizzazione.