Care compagne e compagni,
il nostro congresso si svolge in un clima non certo favorevole ai lavoratori italiani.
La fase che stiamo
attraversando è preoccupante ed inquieta fortemente le coscienze libere e
democratiche del mondo intero. I venti di guerra che sinistramente spirano nel
mondo destano grandi paure. Il rischio che si possa scivolare via via verso un
conflitto di proporzioni finora inimmaginabili si fa sempre più grande e con
esso aumentano le tensioni, il nervosismo, l’angoscia di milioni di persone.
Non c’è dubbio che la CGIL ritiene fondamentale la lotta contro ogni forma di terrorismo e di violenza che mina la pacifica convivenza tra le nazioni ed i popoli.
Gli attentati di cui il terrorismo islamico si è reso protagonista in passato e, recentemente, l’abbattimento delle Torri Gemelle a New York l’11 Settembre 2001, rivelano non solo una grandissima dose di fanatismo e autodistruzione, ma anche tantissimo odio verso la società occidentale da parte dell’islamismo fondamentalista, elementi che debbono indurre tutti noi, il mondo occidentale e, all’interno di esso, le forze democratiche e progressiste, a riflessioni serie ed articolate.
L’obiettivo di questi fanatici non è la riscossa, la liberazione dei loro popoli dalla schiavitù, dalla miseria, dal sottosviluppo.
Osama Bin Laden e i suoi alleati Talebani tentano di fare un’operazione ben più pericolosa, scatenare una guerra religiosa: gli Islamici e il Mondo Musulmano contro gli “infedeli” cristiani. Tentano cioè di contrapporre una civiltà contro un’altra civiltà, ma su un piano etico-religioso, l’unico in grado di nascondere le nefandezze di cui sono stati protagonisti in passato. L’unico terreno cioè in grado di oscurare le inaccettabili condizioni di vita, di miseria, di oppressione in cui sono tenuti milioni di uomini e di donne da questi fanatici.
E, tuttavia, contribuire all’allargamento del conflitto, estendere i pericoli di una guerra, provocare ulteriori violenze e devastazioni, nonché milioni di profughi e vittime tra i civili, può determinare una situazione ancora più grave e pericolosa, con il rischio concreto che il solco tra le civiltà si allarghi e i margini di una ricomposizione svaniscano del tutto. Il rischio vero che una giusta e legittima guerra al terrorismo si trasformi in una guerra contro uno o più popoli o addirittura contro una civiltà.
Per questo è opportuno sospendere i bombardamenti, consentire l’aiuto umanitario, intensificare le azioni di intelligence, colpire obiettivi mirati e precisi, interrompere i rapporti finanziari ed economici tutt’ora esistenti tra i terroristi islamici e il grande mondo della finanza occidentale. Dobbiamo, quindi, evitare in tutti i modi il coinvolgimento dell’Italia nella guerra.
Se è vero che l’11 settembre la distruzione delle Twin Towers di New York ha rappresentato l’attacco più brutale sferrato agli Stati Uniti assumendo un valore fortemente simbolico, è altrettanto vero che i grandi e gravi problemi del mondo restano tuttora irrisolti. Tra questi, la grave questione del conflitto tra Israeliani e Palestinesi.
E’ necessario che gli accordi sottoscritti vengano rispettati e sia gli Israeliani che i Palestinesi possano avere uno Stato autonomo. Sarebbe un elemento di pacificazione importante per il Medio Oriente e per il mondo intero.
Purtroppo anche lì il conflitto, invece di scemare, diventa sempre più aspro e a nulla valgono gli appelli dell’ONU e, in verità, degli stessi Stati Uniti a creare condizioni per la ripresa del dialogo e delle trattative.
Inoltre, la globalizzazione, il mercato globale se da un lato ha prodotto e sta producendo una nuova civiltà, nuovi rapporti e scambi tra i popoli, una nuova visione del mondo, un livello straordinario di comunicazione, dall’altro produce nuove disuguaglianze e ingiustizie, evidenzia nuovi sfruttamenti, consegna nelle mani dei gruppi finanziari ed economici mondiali nuovi strumenti di abuso e di emarginazione.
Non ci si può opporre alla globalizzazione. Noi, infatti, non lottiamo contro di essa in maniera acritica. Essa è come le stagioni che fluiscono e si susseguono. Non possiamo certo opporci alla scienza e al progresso, né ai nuovi metodi di produzione, di convivenza, di vita e di civiltà. Ma abbiamo il dovere di lottare e di affermare all’interno di questi processi di portata planetaria le piccole e grandi questioni dei diritti, della civiltà, del rispetto dei popoli e dei più deboli.
In altri termini, è necessario che questi grandi processi vengano controllati e gestiti in modo democratico. Vengano cioè governati ed orientati per il progresso e lo sviluppo dell’umanità e non utilizzati per rendere ancora più ricchi pochi paesi e sospingere verso una povertà ancora maggiore altre aree del mondo.
La CGIL, unitamente ad altre centrali sindacali italiane ed europee, ha attrezzato una sua proposta. La manifestazione di Nizza prima e l’assemblea dei quadri di Genova poi hanno definito e dettagliato il nostro punto di vista sulla globalizzazione e sull’Europa, secondo il quale è giunto il momento di promuovere una nuova stagione dei diritti su scala locale, nazionale, europea e mondiale nel lavoro e nella società. In questa occasione, abbiamo varato la Carta dei Diritti Europei.
Ecco il vero problema e il grande dilemma della moderna società contemporanea. I fatti di Seattle e di Genova, sia pure in forma e modi non condivisibili, hanno evidenziato queste grandi questioni, di fronte alle quali la presa di Kabul in Afghanistan da parte dell’Alleanza del Nord ha certo determinato una dura sconfitta delle forze che, nei fatti, hanno sostenuto il terrorismo, ma non ha certo creato una situazione di sconfitta definitiva del fondamentalismo islamico e del terrorismo. Osama Bin Laden e le centrali terroristiche, pur subendo un duro colpo, sono ancora in condizioni di condurre attacchi terroristici. Non soltanto la presa di Kabul non significa affatto il ripristino della stabilità e la fine della guerra, ma scenari ad ora imprevedibili potrebbero determinarsi in considerazione dei numerosi conflitti etnici che devastano la regione.
Compagne e compagni,
è tenendo presente questo contesto internazionale che dobbiamo analizzare la situazione del nostro Paese e, al suo interno, il nostro ruolo e i nostri compiti.
Siamo, oggi, in una situazione diversa rispetto al nostro ultimo congresso. Al governo vi sono forze a noi non amiche. Forze che nell’ultima tornata elettorale hanno sposato la piattaforma programmatica della Confindustria, ne hanno condiviso l’impostazione e stanno operando coerentemente in quella direzione.
I primi atti del Governo Berlusconi hanno chiaramente tracciato una linea che riteniamo pericolosa e che sicuramente ci porterà allo scontro sociale. Atti che denotano un’arroganza e una demagogia fuori misura.
Questo Governo ha già varato alcuni provvedimenti, quali la Tremonti-bis, le normative sui contratti a termine, la legge sulle rogatorie internazionali, l’eliminazione delle tasse sulle successioni, l’attacco alle cooperative, la legge sul rientro dei capitali esportati illegalmente.
Ebbene, queste leggi sono indirizzate a pagare il conto con gli industriali: la legge Tremonti infatti estende a tutte le aree del paese la distribuzione di fondi ed incentivi e considera tra gli investimenti anche le scorte di magazzino e quant’altro, liberando gli imprenditori da qualsiasi vincolo di allargamento occupazionale. Si spostano quindi risorse al nord da un lato, senza che però siano stabiliti vincoli a favore di un incremento occupazionale. Si dà infine la possibilità, con le nuove norme sui contratti a termine, di licenziare nell’arco di tre anni dalla data di assunzione.
L’eliminazione totale della tassa sulle successioni è una legge chiaramente a misura del capo del governo e della sua squadra. Il governo dell’Ulivo aveva già disposto l’esenzione della tassa, ma per patrimoni che non avessero superato i 350 milioni di lire. Non è possibile esentare da tasse patrimoni di migliaia di miliardi. Ciò significa semplicemente consentire trasferimenti di ingenti risorse e salvaguardare quindi i grandi patrimoni.
Inoltre, in nessun paese democratico occidentale, meno che mai negli Stati Uniti, potrebbero essere accettate queste norme. Come, ancora, l’ultimo provvedimento sul rientro di capitali esportati illegittimamente, senza prevedere sanzioni o tassazioni di qualsivoglia natura.
Infine, il provvedimento vergognoso delle nuove disposizioni sulle rogatorie internazionali, che non fa altro che cancellare una serie di processi penali pendenti a carico di molti uomini di governo, di terroristi e di mafiosi e che, in ragione del dispositivo della retroattività, consente di riabilitare delinquenti di ogni risma e razza.
A questi provvedimenti governativi di natura più generale vanno ad aggiungersi gli orientamenti espressi dal ministro del lavoro Maroni nel suo Libro Bianco che, nei fatti, stravolgono l’impostazione dello stato sociale, della concertazione e delle attuali regole sul lavoro.
Questo documento ha un’ispirazione di fondo: ritenere le questioni del lavoro, della previdenza e dell’organizzazione sociale un’esclusiva prerogativa del governo, senza che le parti sociali, i sindacati, possano intervenire attivamente e svolgere il loro ruolo di rappresentanza.
Il libro bianco di Maroni prevede maggiore flessibilità e messa in discussione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, libertà di licenziamento, introduzione di contratti di lavoro regionali e/o addirittura individuali, eliminazione delle pensioni di anzianità, la privatizzazione esasperata del collocamento e la gestione individuale e privatistica del mercato del lavoro, l’abolizione del modello contrattuale esistente, deleghe al governo per quanto attiene la previdenza e la riforma degli ammortizzatori sociali.
Un impianto contro il sindacato e i lavoratori che ci vedrà sicuramente in forte conflitto con questo governo fino al punto di prevedere lotte generalizzate non escluso lo sciopero generale.
Lo stesso ministro del lavoro si è reso conto che questa impostazione è insostenibile, tant’è che nell’ultimo incontro ha modificato il suo atteggiamento rinviando il tutto di un mese. Una schiarita, durata un giorno, che conferma le preoccupazioni espresse dalla segreteria nazionale della CGIL. Anche perché è l’impianto complessivo di questa finanziaria che si caratterizza con provvedimenti non condivisibili nel merito e nel metodo. Provvedimenti tesi a favorire gruppi privati e a finanziare una politica di smantellamento del servizio pubblico proprio e persino nei settori nevralgici e fondamentali della nostra società: la scuola, la sanità, la cultura, i trasporti, l’energia.
A questo proposito, la manovra finanziaria di 33 mila miliardi approvata al Senato con il voto di fiducia tradisce le promesse elettorali che il Polo aveva fatto, introduce i ticket sulla Sanità, non modifica i sistemi di tassazione, rinvia il tanto decantato aumento delle pensioni.
Contemporaneamente, il Consiglio dei Ministri vara il decreto di modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, consentendo nei fatti la libertà di licenziamento. Una sperimentazione di 4 anni, si è detto, per le aziende che escono dal sommerso, per i contratti a tempo determinato ma, nei fatti, con l’introduzione dell’arbitrato e il conseguente risarcimento, si va verso la definitiva abolizione di un diritto inalienabile delle persone: il reintegro sul posto di lavoro per i licenziamenti senza giusta causa. E ciò avviene dopo dichiarazioni che sembrava avessero stemperato i toni dello scontro.
Questo governo è sprezzante non solo nei confronti dei sindacati e dei lavoratori, ma verso il popolo italiano che si era espresso in un referendum democratico votando NO all’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori.
La ritrovata unità sindacale, almeno su questi temi, la ricomposizione di
un fronte unitario, così come appare dalle ultime dichiarazioni, ci conforta.
Dobbiamo essere consapevoli che le divisioni hanno determinato sempre e
soltanto sconfitte.
In questa situazione, la crisi della sinistra politica e dell’Ulivo nel suo complesso e la forte divaricazione tra sinistra riformista e sinistra antagonista sui temi della pace e della guerra, dei provvedimenti sociali, delle politiche di sviluppo e del mercato del lavoro, della globalizzazione e quant’altro, rischia di indebolire fortemente il sindacato e la CGIL in primo luogo.
La sconfitta della sinistra il 13 maggio, dopo alcuni anni di buon governo, ha evidenziato che anche l’ottenimento di grandi risultati, se non si coniugano con un’azione diretta e continua con la parte sociale che si rappresenta e con un costante ascolto e confronto democratico, possono rivelarsi insufficienti a mantenere un consenso politico.
Naturalmente, gli
anni di governo del centro-sinistra sono stati costellati anche da errori
grossolani, dall’incapacità di dare una sterzata vera ai problemi
occupazionali, dalla mancata applicazione di alcune riforme fondamentali, da
atteggiamenti di distacco e di isolamento, se non addirittura di avversione
verso il sindacato che, spesso, è stato tacciato di conservatorismo quando
interveniva a difesa di alcuni fondamentali diritti dei lavoratori messi in
discussione da dichiarazioni ambigue o da provvedimenti inaccettabili.
Si è inseguito un “modernismo” senza modernità. Un riformismo senza riforme. Le pensioni sociali continuavano ad essere basse, nei luoghi di lavoro si perseguiva un attacco ai diritti e al salario, l’occupazione dei giovani restava un miraggio, crescevano però i profitti e la gente avvertiva che uomini del passato, gruppi economici e finanziari riconquistavano posizioni di potere.
Le questioni della corruzione, della moralità e della criminalità quasi scomparivano. La magistratura e, in particolare, quella parte di essa che negli anni passati, sia pure con qualche errore e forse con qualche specifica ed isolata forzatura, aveva contribuito a smascherare un sistema pervasivo di corruzione e malaffare e si era fortemente battuta contro ogni forma di degenerazione mafiosa e camorristica, veniva indicata quale responsabile di un complotto e messa sotto accusa.
Siamo arrivati oggi, con il governo Berlusconi, che gli accusati ed imputati sono diventati accusatori. Questo governo, tra i suoi obiettivi, sta perseguendo con furibonda veemenza un attacco senza precedenti al potere autonomo della Magistratura, per renderla innocua e asservita e per poter meglio continuare a perseguire i propri affari privati. Senza parlare delle gravissime responsabilità del mancato intervento sul conflitto d’interessi. E, oggi, assistiamo al fatto che il Presidente del Consiglio controlla 6 reti televisive ed il 50% della carta stampata.
E’ assurdo che tutto ciò possa accadere in un paese democratico.
Questa offensiva,
questo attacco alle forze di centro-sinistra, questo continuo tentativo di
ridimensionare il ruolo del sindacato e del blocco sociale che esso rappresenta
e vuole continuare a rappresentare è innanzitutto un attacco politico oltre che
di merito.
Si vuole cioè costruire un modello di sviluppo governato da uno schieramento di forze di diretta emanazione confindustriale, ove gli spazi democratici siano sempre più ristretti e i centri di comando e decisione nelle mani di pochi, ove cioè lo spazio per i diritti e per una politica sociale estesa e diffusa sia una mera appendice del profitto.
Uno scontro di potere e di comando: cos’altro rappresenta il tentativo di rendere sempre più flessibile e precario il lavoro, se non quello di indebolire la possibilità di difesa dei lavoratori?
Ecco perché ci appaiono incomprensibili alcune posizioni della CISL e della UIL e siamo fortemente preoccupati del livello non certo ottimale dei rapporti unitari.
Se è vero che cambia la società e il modo di produrre e di lavorare e siamo chiamati ad introdurre nuovi sistemi legislativi e norme che riformino lo stato sociale e il mercato del lavoro, se è naturale che dobbiamo rivolgerci ai lavoratori atipici, alle nuove forme di lavoro e professionalità e, dunque, dimensionare anche la nostra azione e la nostra piattaforma a tali esigenze, pur tuttavia non possiamo introdurre nelle relazioni sindacali elementi di cedimento e stravolgimento delle regole.
L’ultima e più grave
frattura che si è avuta sul contratto dei metalmeccanici dimostra come spesso
dalle affermazioni di principio, nei fatti poi si hanno comportamenti
totalmente opposti. Non si può cedere su un impianto contrattuale definito con
l’accordo del ’93 e che prevede il recupero dell’inflazione programmata , né si
può negare un elementare esercizio democratico quale il referendum tra i
lavoratori, così come richiesto dalla FIOM per verificare la congruità
dell’accordo. Non si può firmare un accordo sapendo di rappresentare una minoranza di lavoratori contro chi, come la
FIOM, rappresenta in termini di iscritti FIM e UILM messe insieme e ha raccolto
per il Referendum circa 350.000 firme.
La manifestazione del
16 dei Meccanici e la riuscita dello sciopero dimostra che l’impostazione della
CGIL è giusta e che i lavoratori hanno ben compreso la portata dello scontro.
E tuttavia noi non
dobbiamo mai abbandonare la ricerca continua dell’unità e dobbiamo perseguire
con forza e determinazione obiettivi comuni ed unificanti. Gli ultimi
provvedimenti liberticidi di questo governo, a proposito di libertà di
licenziamento, dimostrano come i cedimenti e le divisioni non giovano ai
lavoratori.
L’esigenza di unità è
fortemente sentita nella nostra categoria. In verità, almeno a Caserta, sia in categoria che su base
confederale riusciamo a registrare un buon livello unitario. Per ragioni
storiche, perché gli edili nella loro precarietà hanno bisogno di riferimenti
unitari, perché lo stesso sistema di mutualizzazione di interventi a sostegno
del reddito hanno una gestione unitaria oramai quarantennale (CASSE EDILI).
Oggi, dopo anni di
recessione e la grande crisi dell’inizio anni ’90, il settore ha registrato un
periodo di espansione notevole, con un buon incremento dei livelli
occupazionali.
Il
ciclo positivo delle costruzioni dal 1999
a quasi tutto il 2002 rivela una crescita di tutti gli indicatori
economici. Ciò anche in virtù di alcune misure legislative varate nel corso
degli ultimi anni che hanno favorito fortemente la ripresa e, grazie alla
concertazione, di alcune norme “premiali” che in qualche misura hanno permesso il rilancio.
Nel
2001, gli investimenti reali sono stati del 2,5% rispetto al 3,6% dell’anno
precedente e, comunque, nel 2002 si registrerà un +2,3%. Una diminuzione,
certo, ma che ad ogni modo conferma il buon andamento del settore.
Si
rafforzano e crescono le prime 50 grandi imprese italiane, prime fra tutte
IMPREGILO, ASTALDI, CONDOTTE, COOP COSTRUTTORI e PIZZAROTTI, che registrano un fatturato complessivo di
più del 9,9%.
Il
piano di investimenti in opere pubbliche è cresciuto nel 2000 del 3%, ma resta
comunque inferiore di molto rispetto al 1990.
Possiamo
nel complesso ritenere che le costruzioni,, unitamente ai comparti del cemento,
dei lapidei e del legno, stiano attraversando un buon momento: la transizione
verso un trend positivo in qualche modo continua e si consolida.
Ma
il settore subisce anche grandi modificazioni e grandi ritardi. E’ in atto un
processo di frammentazione della struttura delle imprese, sempre più si ricorre
all’utilizzo di forme di appalti e subappalti e a strutture cooperative di sola
forza-lavoro, a contratti per prestazioni coordinate e continuative,
all’utilizzo dei noli a caldo, alla divisione delle fasi di fornitura e posa in
opera.
Il
governo Berlusconi, invece di applicare interamente la Merloni-ter, si sta
orientando a varare la cosiddetta “Legge obiettivo” che, nei fatti, elimina
alcuni vincoli da parte delle amministrazioni pubbliche e consente un utilizzo
più spregiudicato di forniture, posa in opera, noli e quant’altro, consentendo
un’ulteriore e più ampia frammentazione del sistema delle imprese. Tutto ciò
utilizzando il pretesto dello snellimento delle opere, pur necessario, ma di
fatto consentendo una liberalizzazione estrema dei processi lavorativi ed
esautorando molti controlli che noi, invece, riteniamo utili e necessari.
I
nostri obiettivi, ribaditi a tutti i livelli, restano i seguenti:
1)
maggiore concertazione
per incentivare gli investimenti pubblici e privati nel settore e consentire
processi di ammodernamento e qualificazione sempre più elevati;
2)
mantenimento dei livelli
contrattuali su scala nazionale, aziendale e territoriale, in linea con
l’accordo del luglio 1993;
3)
incentivazione delle
norme premiali e di emersione del lavoro, attraverso la contrattazione,
l’utilizzo del modello Unico di certificazione, un rapporto stretto tra INPS –
INAIL – Casse Edili;
4)
esigibilità, certezza e
applicabilità di tutte le normative sulla sicurezza dei cantieri e prevenzione
degli infortuni, attivando e applicando rapidamente tutte le norme esistenti e
dando un ruolo fondamentale ai C.P.T. (Comitati Paritetici Territoriali) agli
R.S.L e R.S.L.T.;
5)
considerazione degli
Enti Paritetici, Casse Edili, C.F.M.E., C.P.T., quali strumenti non solo di
assistenza e mutualità, ma anche quali luoghi della qualificazione e del
rilancio del settore e di prevenzione, controllo, formazione, integrazione
salariale e previdenziale;
6)
richiesta di
provvedimenti legislativi sulle questioni previdenziali degli Edili, a partire
dai lavori usuranti; allargamento della
tutela sociale con più ampi strumenti di ammortizzatori sociali legati
strettamente ad un governo del mercato del lavoro e sperimentazione, attraverso
la contrattazione, di forme di flessibilità e di permanenza nel settore con conseguenti provvedimenti di
accompagno, di formazione e sostegno al reddito.
Questi
temi sono stati al centro del confronto di questi anni.
Siamo
riusciti ad ottenere alcuni importanti risultati.
Ma
oggi viviamo in una situazione di
stallo sulla contrattazione, sul biennio e sugli integrativi
provinciali.
Le
nostre richieste (137.000 lire) sono state respinte dall’ANCE con motivazioni
pretestuose e inaccettabili, tant’è che siamo stati costretti a proclamare 10 ore di sciopero su scala
nazionale entro il 30 novembre 2001.
Inoltre,
tutta la contrattazione del 2° biennio negli impianti fissi e nei settori del
legno, dei lapidei, dei manufatti in cemento, dei laterizi, ecc. segna il
passo. Allo stato, siamo riusciti a strappare un accordo dignitoso e positivo
soltanto nel settore del cemento, mentre sono sicuro avremo grosse difficoltà
in tutti gli altri settori dove è aperta la contrattazione.
In
Campania siamo impegnati a realizzare
il primo momento di mobilitazione il 23 novembre con la manifestazione a
Napoli.
Ritengo
che anche sugli integrativi provinciali dovremo piegare la resistenza
dell’ANCE, che dai segnali che riceviamo si annuncia estremamente dura.
Ma
su questo avremo modo di approfondire il discorso anche rispetto
all’integrativo che stiamo preparando e che entro il 30/11/2001 presenteremo
alla controparte.
A
Caserta, il settore delle costruzioni avverte qualche colpo. Siamo nella fase
terminale di una delle più grandi opere realizzate nel corso degli ultimi anni,
l’Alta Velocità. Ciò ha già provocato la chiusura di alcuni grandi cantieri con
la messa in mobilità di centinaia di lavoratori.
Abbiamo
gestito questa fase con qualche difficoltà, ma complessivamente salvaguardando
il livello contrattuale e i diritti dei nostri rappresentati.
Siamo
riusciti a determinare le condizioni affinché i lavori dell’Alta Velocità
riprendano (con la penetrazione a Napoli, la stazione Porta ad Afragola, il
baffo di Gricignano) e quindi a creare qualche possibilità di reimpiego. Sono
stati sbloccati lavori per circa 1000 miliardi.
Ecco
perché oggi riteniamo che i lavoratori impegnati tuttora nelle opere abbiano
possibilità di lavoro e che tali possibilità possano ragionevolmente estendersi
anche ad altri.
Dai
dati della Cassa Edile di Caserta risultano iscritte alla stessa circa 2007
imprese e 8483 lavoratori, di cui 100 extracomunitari, a fronte di circa 8929
imprese delle costruzioni censite alla Camera di Commercio di Caserta, tra
società di capitale (853), società di persone (950), ditte individuali (6347) e
altre forme societarie (779).
Accanto
ai circa 9000 lavoratori registrati in Cassa Edile, si stima che almeno un
numero equivalente sia impegnato a nero nel settore. Di conseguenza, il monte salario
dichiarato è di circa 107 miliardi di lire, ma l’area di evasione è almeno
equivalente.
Se
a ciò si aggiunge che il tasso di sindacalizzazione è di circa il 50% dei
lavoratori iscritti in Cassa Edile, si capisce chiaramente che tra i problemi
principali da affrontare vi è la lotta al lavoro nero e l’emersione del lavoro
e, di conseguenza, la sicurezza e la prevenzione.
Ecco
perché la battaglia che in Campania abbiamo affrontato con forza sulla
sicurezza, la prevenzione, contro il lavoro nero e per l’emersione non è un
impegno di facciata, ma investe nel
profondo il nostro sentire e le coscienze dei lavoratori.
In
questo senso, la riuscita dello sciopero di 8 ore, con la manifestazione del 13
luglio 2001 effettuato in Campania e la piattaforma posta alla base di tale
iniziativa sono state la dimostrazione che su questo terreno l’impegno della
FILLEA è totale e sarà continuo e permanente.
All’interno
di una visione regionale e nazionale, la FILLEA di Caserta ritiene di orientare
la categoria verso i seguenti obiettivi:
1)
la sicurezza e la
prevenzione sui cantieri: ruolo del C.P.T., estensione dei delegati R.L.S.T.,
impegno delle stazioni appaltanti e creazione di organismi provinciali che
sugli appalti definiscano e controllino ante, durante e post i lavori.
2)
Emersione del lavoro
nero e grigio, con accordi territoriali con l’ANCE e/o singole aziende
specifiche. A tale scopo, va utilizzato un controllo incrociato tra INPS,
INAIL, Ispettorato del Lavoro e Cassa Edile, attraverso l’utilizzo del Modello
Unico di certificazione e la creazione di un Osservatorio permanente sugli
appalti presso la Prefettura di Caserta.
3)
Rilancio degli Enti
paritetici, in particolare, avvio di processi di formazione nel settore in
grado di creare nuovi e più qualificati profili professionali rispondenti
all’evoluzione delle imprese (ruolo e rilancio del CFME).
Credo
che la piattaforma che vareremo con l’integrativo provinciale dovrà assumere e
contrattualizzare le suddette proposte, oltre naturalmente a chiedere agli
imprenditori finanziamenti adeguati in tale direzione.
Mi
sembra però indispensabile che con questo congresso, qui a Caserta, noi
ribadiamo e rilanciamo la necessità di completare alcune opere infrastrutturali
che servono al decollo dell’economia casertana:
1)
Realizzazione dell’area
infrastrutturale ex Saint Gobain, Policlinico di Caserta, Interporto di
Maddaloni - Marcianise, Aeroporto di Grazzanise; completamento dell’Alifana,
della variante ANAS Maddaloni – Capua; nonché completamento del sistema dei
trasporti con il raddoppio della Benevento – Cancello e la realizzazione della
Metropolitana Regionale.
2)
Una grande azione di
risanamento della struttura urbana, in particolare dei centri storici,
attraverso piani di recupero e particolareggiati, con normative innovative e
moderne. La nuova legge regionale sull’urbanistica mi sembra un avvio serio di
questo ragionamento. Andrebbero ovviamente riviste alcune norme eccessivamente
permissivistiche.
3)
Un piano organico di
manutenzione e risanamento del territorio, a partire dal risanamento della
fascia costiera e dei Regi Lagni (progetti già partiti e da realizzare).
4)
Un’attenzione
particolare ai beni culturali, la loro manutenzione, il restauro, il recupero e
il riuso degli stessi, oltre a un piano di intervento sulle aree archeologiche
di immenso valore e di grandi prospettive (Capua, Sessa Aurunca, Calvi Risorta,
area aversana).
5)
Un piano di riutilizzo
delle cave dismesse, nonché un’attenzione continua sulle attività estrattive,
coniugando occupazione e ambiente senza emotività, ma scegliendo le strade più
giuste per la soluzione dei problemi.
Questi
obiettivi debbono realizzarsi e alcuni già sono avviati, nell’ambito dei P.O.R.
e dei P.I.T., anche perché fondi da utilizzare ce ne sono (per i P.O.R sono
stati stanziati 18 mila miliardi di lire
ed altri 7.200 miliardi per i P.I.T.). Senza tener conto, naturalmente,
dei finanziamenti aggiuntivi che dovranno essere stanziati dal governo
nazionale.
Prendiamo
atto, con soddisfazione, che è stato varato un piano per l’Edilizia economica e
popolare in regione, 120 miliardi. Così come a giorni partirà lo studio di
fattibilità per la realizzazione dell’aeroporto di Grazzanise.
Ci
auguriamo che il piano di ammodernamento della rete stradale provinciale non
rimanga il libro dei sogni. In questa direzione pensiamo che la Provincia debba
rendere operativi i provvedimenti annunciati.
Infine,
riteniamo indispensabile la realizzazione:
-
della variante Domitana
(Castelvolturno – Formia);
-
del raddoppio della Nola
– Villa Literno;
-
della variante ANAS SS
Appia Ventaroli – Cascano;
-
del raccordo Caserta Sud
– Maddaloni – variante ANAS per Capua;
-
di un anello
(tangenziale) di collegamento tra la variante ANAS uscita Capua con la SS Appia per Aversa.
La FILLEA, la CGIL, la nostra organizzazione.
Care
compagne e compagni,
un congresso è sempre la
più importante occasione per un bilancio sul lavoro svolto e per indicare una
struttura organizzativa in grado di portare avanti gli obiettivi sin qui
esposti.
Se
è vero che i numeri spesso sono quelli che sanno spiegare le cose meglio di
tanti ragionamenti politici a volte astrusi e incomprensibili, allora voglio
dire che i numeri ci danno ragione.
La
FILLEA di Caserta cresce, nonostante la decantierizzazione di alcune grandi
opere. Abbiamo chiuso il tesseramento del 2000 con 2676 iscritti, mentre
chiuderemo il tesseramento 2001 sicuramente con oltre 3000 iscritti, essendo,
già a giugno 2001, a quota 2959. E questo risultato è stato possibile grazie
all’impegno continuo e permanente di un gruppo di compagni, un gruppo dirigente
eccezionale, formato da persone umili, coerenti, da semplici lavoratori e
delegati che credono nella nostra organizzazione, credono nella FILLEA e
credono nella CGIL.
A
tutti questi compagni va il mio profondo apprezzamento e ringraziamento, anche
e soprattutto per il sostegno personale che hanno voluto manifestarmi.
Ma
non solo di numeri voglio parlare.
Io
credo che abbiamo svolto nel complesso un buon lavoro sul piano dell’iniziativa
politica, sindacale e organizzativa.
Abbiamo
utilizzato le risorse della FILLEA nel modo migliore, comprando una sede,
ristrutturandola e realizzando degli uffici di proprietà della categoria di cui
tutti possiamo andare fieri.
Abbiamo
risolto i problemi di direzione politica, utilizzando tutti i compagni nel modo
più adeguato. Alcuni con professionalità specifiche, come il compagno Michele
Russo, stanno continuando a dare il loro ottimo contributo in importanti enti
come il C.P.T., altri impegnandosi sui territori, nella sicurezza, in lavori di
proselitismo e rafforzamento della FILLEA.
La
FILLEA in questi anni è diventata luogo di incontro e confronto. Le decisioni,
anche le più delicate, sono state sempre partecipate a molti compagni,
funzionari e non, delegati e semplici iscritti.
Abbiamo
inoltre avviato un processo di rinnovamento graduale con l’attuazione di alcuni
progetti su cui stanno lavorando e lavoreranno per alcuni mesi dei compagni e
delle compagne: un progetto di tesseramento UNDER 30 su cui è impegnato il
compagno Mario Martucci, un nuovo progetto per la formazione, le attività di
restauro e il coordinamento di un’area specifica (Capua – Piedimonte) che vedrà
impegnata la compagna Anna Rita Fusco.
Abbiamo
già individuato nei mesi scorsi, ma l’impegno è quello di creare in maniera strutturata
nel prossimo organismo dirigente alcuni dipartimenti di lavoro, che si occupino
in particolare di:
-
sicurezza,
-
organizzazione,
-
formazione,
-
proselitismo e
tesseramento,
-
assistenza sul
territorio.
Queste
strutture, senza inutili appesantimenti, avranno il compito di approfondire le
questioni, lavorare specificatamente, consentire alla FILLEA di essere più
puntuale e presente sulle questioni provinciali e regionali.
La
nostra categoria, per la sua struttura, ha una dimensione articolata e diffusa
sul territorio. Alla CGIL dobbiamo chiedere punti di riferimento confederali
nelle zone. Dobbiamo ritornare a far rivivere le Camere del Lavoro
territoriali, con funzioni intercategoriali e con collegamenti informatici a
rete, per cui qualsiasi compagno possa essere in grado di dare una risposta in
tempo reale a qualsiasi lavoratore.
Credo
perciò che non solo vadano migliorati i servizi offerti dalla CGIL, in
particolare quelli di assistenza e di patronato, ma che un’organizzazione
articolata nel modo in cui ho cercato di descriverla possa essere di grande
utilità alla CGIL stessa.
Chiediamo,
pertanto, alla Confederazione, al prossimo gruppo dirigente, un impegno deciso
per il rinnovamento dei quadri. Bisogna superare pigrizie culturali e nel
lavoro sindacale; bisogna rimuovere diseconomie tuttora esistenti ed utilizzare
le risorse verso obiettivi di qualificazione e di formazione di un gruppo
dirigente adeguato alle nuove esigenze.
Io
sono certo che tutto ciò sarà tra gli obiettivi prioritari a cui dovrà adeguarsi
il nuovo gruppo dirigente della CGIL, in continuità con il lavoro già svolto, dando risposte efficaci,
puntuali e significative.
Infine,
compagne e compagni,
mi rendo conto che si
potrebbe far sempre di più e meglio. Non tutto forse è sempre andato per il
verso giusto. Ogni cosa può essere perfezionata e migliorata. Vi chiedo per
questo di essere comprensivi se qualche volta non tutte le cose hanno
funzionato alla perfezione e non sono andate proprio come noi avremmo voluto.
Vi
posso semplicemente assicurare che sempre, in ogni momento, in qualsiasi
occasione o circostanza e in qualsiasi vertenza, questo gruppo dirigente ha
lavorato per rafforzare i diritti dei lavoratori, per risolvere i problemi e
per individuare delle linee programmatiche, affinché sempre e meglio ci sia
possibile svolgere il nostro lavoro nell’interesse generale di tutti.