Care Compagne, Compagni e gentili ospiti.

 

Quando abbiamo iniziato il percorso di discussione di questo congresso, tutti eravamo consapevoli che sarebbe stato un percorso difficile, che si intrecciava con avvenimenti di natura politica complessa, con un attacco ai diritti dei lavoratori, alla politica dei redditi, da parte di un Governo che agisce sotto dettatura della Confindustria, avvenimenti di natura contrattuale in  scadenza.

Nello specifico del nostro territorio anche con qualche problema in controtendenza sull’andamento nazionale in termini occupazionali, per la ricaduta del dopo giubileo.

Credo che nessuno di noi pensava  di doversi confrontare con avvenimenti che hanno sconvolto il mondo.

Per cercare di capire oggi cosa sta avvenendo, più che una discussione ideologica sulla guerra, che per quanto riguarda la CGIL non possiamo che essere contro come scelta; occorre riflettere se ciò che è avvenuto con l’attacco terroristico al cuore degli Stati Uniti è un fatto imprevedibile, oppure c’è stato un vuoto della politica internazionale e un deficit di democrazia.

Quando si arriva alla “Strettoia”, com'è stata la crisi dei Balcani o dell’Afganistan o in Medio Oriente, il diritto internazionale è calpestato e per difendere un diritto, se ne calpesta un altro e quindi la politica ha già perso,  ma la politica per non perdere, deve essere capace di progettare i suoi interventi per tempo.

Il terrorismo internazionale ha assunto connotati drammatici, non solo perché distrugge, uccide, dispone milioni di persone inermi al pericolo Questo terrorismo ha sconvolto intere  parti del mondo, dove ci sono generazioni che non sanno cos’è la parola pace e la convivenza civile, un terrorismo che ha sostituito la malavita organizzata nel traffico di stupefacenti, d'armi e che si forgia della disperazione d'intere aree del mondo.

Pensiamo a cosa è oggi un continente come l’Africa, dove interi Stati sono governati da bande che si fanno la guerra per il controllo degli aiuti internazionali, con comunità costrette a vivere in condizioni tribali, siamo oltre la fase dello sfruttamento post-coloniale. Un terrorismo che combatte la sua guerra sotto bandiere dell’estremismo religioso.

Se questo tipo di terrorismo non sarà contrastato con azioni forti e concrete, il rischio che oltre alle distruzioni, diventa il collante per forze razziste e xenofobe.

 Se il terrorismo va combattuto con azioni di contrasto forti, la guerra diventa uno strumento inefficace, in paesi come l’Asia, il Medio Oriente e l’Africa serve la politica; per fare ciò, occorre democratizzare gli strumenti istituzionali soprannazionali come l’ONU e ancora di più quei circoli ristretti come quegli organismi per il commercio, la Banca Mondiale e i vertici fra capi di Stato dei paesi più industrializzati.

Sulla guerra Afgana la CGIL ha assunto una posizione coerente con i propri principi, dicendo prima no ad una posizione di equidistanza fra terrorismo e Stati Uniti, ha detto no all’invio dei militari italiani, perché, in quel momento serviva un’iniziativa, per aiutare le popolazioni civili sottoposte a condizioni di vita inumana, inoltre quello era il momento di cementare una politica internazionale in grado di dare una speranza per il futuro di interi popoli.

D’altronde oggi è ancora più evidente la confusione, con i nostri militari a metà strada senza una mèta e senza scopi precisi.

In questa situazione internazionale così difficile non si può che tornare a ribadire la necessità di uno stato palestinese che possa vivere in pace con quello israeliano;  la non risoluzione di questo problema è pregiudizievole per qualsiasi velleità di intraprendere una strada di pace nel Mondo, distrugge quel poco di Stato Palestinese, e non aiuta certamente a combattere il terrorismo.

Su questi problemi della pace, della Globalizzazione, in questi mesi si sono sviluppati movimenti che hanno portato tanti giovani in Piazza a Genova, alla marcia Perugia-Assisi, con questi movimenti, ponendo la discriminante della violenza, un’organizzazione come la CGIL deve capire e fare come ha fatto a Genova, costruire proposte concrete per risolvere i problemi, essere punto di riferimento per un confronto di merito, con i giovani, protagonisti di questi movimenti, e dobbiamo osservare che loro sono tornati ad essere protagonisti anche nelle nostre iniziative e di questo dobbiamo esserne consapevoli.

Il problema non è quello di riproporre vuote parole d’ordine,  operai e studenti riuniti nella lotta. Occorrono proposte di merito sulla democrazia, sul lavoro, sulla società:  questo è il nostro ruolo.

Grande è il senso di confusione che si percepisce, anche a livello personale, provo un senso di difficoltà a capire le prospettive, ad intravedere quale futuro può esserci in un mondo in cui armi di distruzioni di massa possono essere acquistate ad un bazar qualsiasi, un mondo dove le differenze fra Nord e Sud sono ormai abissali, la forte monetizzazione dei capitali ha creato delle variabili fuori da qualsiasi controllo.

In questa difficile ricerca del “bandolo della matassa” dobbiamo partire  per porre al centro della nostra iniziativa il lavoro e i diritti in Italia e in Europa, farli diventare il cuore della strategia della CGIL  per presentare al Mondo un modello sociale di competizione  dentro il quale sia uniforme il:

 

 

Mercato del lavoro.

I contratti.

I diritti.

Indicare un modello “concreto”, può essere utile per affrontare il problema della Globalizzazione.  Questo fenomeno, oggi fortemente presente,  ha due facce:

La prima è che la globalizzazione può essere utile per fare uscire milioni di persone da pratiche antidemocratiche, di sfruttamento, da società violente, e quindi può stimolare sviluppo rispettoso dell’ambiente, assumere lo stato sociale non come “Costo” ma come un elemento decisivo di coesione sociale, ciò significa assicurare norme precise al commercio quale condizione per evitare il rischio di conflitti bellici, per mettere benefici equi e consentire pari opportunità fra persone, fra soggetti di rappresentanza.

Occorre che le liberalizzazioni del mercato, non siano strumento per affermare monopoli privati. 

L’altra faccia della globalizzazione è contrassegnata da politiche liberiste senza regole e mediazioni, il Governo della globalizzazione è reso più complicato dalla crisi delle strutture internazionali, prime fra tutte l’ONU, senza governo mondiale del fenomeno si creano rotture drammatiche tra paesi ricchi e paesi poveri.

E’ partendo dall’analisi di questa situazione che la CGIL,  insieme ai più significativi sindacati mondiali, ha presentato a Genova, ai capi di Governo, una piattaforma imperniata sui seguenti punti:

1)    Indirizzare l’economia complessiva verso la piena occupazione.

2)    Cancellare  i debiti dei paesi poveri.

3)    Rafforzare il ruolo dell’organizzazione internazionale del lavoro, per garantire il rispetto dei diritti.

4)    Riformare le regole dei mercati finanziari.

5)    Rilanciare l’iniziativa contro il lavoro minorile.

Purtroppo le risposte che sono state date sono deludenti, e quindi va continuata l’azione cercando di coordinarla anche con l’iniziativa sulla carta dei diritti di Nizza, cioè i diritti fondamentali dei lavoratori europei.

La CGIL ha fatto la scelta di stare dalla parte di una società multirazziale, sia come valore in sé, sia perché è la strada da contrapporre all’odio e alla politica dell’esclusione, a questa scelta dobbiamo dare coerenza e rappresentanza.

Per la prima volta al nostro Congresso,  sono presenti dei delegati extracomunitari, e ci sono arrivati più in modo spontaneo che con un lavoro organizzato. Dobbiamo favorire l’inserimento di questi lavoratori nei vari gruppi dirigenti e dare seguito conseguenzialmente all’iniziativa rivendicativa, perché i problemi che hanno questi lavoratori oltre a quelli che hanno tutti gli altri, sono di natura più generale, dalle difficoltà d' inserimento nella società, all’alloggio e i diritti previdenziali, con molti Paesi dell’est  non ci sono convenzioni per il riconoscimento dei contributi versati.

Se sono discutibili le politiche delle quote d’ingresso nel nostro paese, lo sono molto di più quelle attuali che rischiano di ricacciare nella clandestinità molti lavoratori extracomunitari. Ormai un 25% delle nuove iscrizioni in Cassa Edile di Roma sono lavoratori extracomunitari, ai corsi di formazione professionale di qualifica e specializzazione non c’è più adesione da parte degli italiani e quindi non è esagerato affermare che a Roma, come in molte fabbriche del nord, questi lavoratori sono indispensabili al lavoro nel settore. L’esperienza ci  dice che è sbagliato un approccio al problema, con un’equazione semplicistica, gli italiani non frequentano i corsi e quindi riserviamoli agli extracomunitari.

Se il sistema formativo non è inserito in un percorso di qualificazione del processo produttivo, anche il giovane lavoratore dell’Est europeo è portato a rifiutare questo tipo di lavoro.  Occorre riconsiderare l’età di inserimento perché,  rispetto agli altri settori,    il nostro deve collocarsi molto più vicino ai trent’anni che ai venti.

 In questi anni più volte  abbiamo provato a costruire iniziative tendenti a stabilire rapporti con la comunità dei moldavi, dei rumeni, con risultati alterni, perché il nostro modo tradizionale di proporci non è compreso; occorre essere in grado di farlo con un carico di conoscenze più complete, che riguarda nello specifico lo stato di un lavoratore che proviene da un altro paese.

Esaminando il questionario predisposto in occasione di questo Congresso, emerge quello di cui eravamo a conoscenza: nei cantieri i rapporti di socializzazione sono più facilitati che nella società,  ma i problemi emergono quando dei  lavoratori sono sfruttati con il lavoro nero; in ogni caso il problema non è il colore della pelle o la diversa nazionalità ma lo sfruttamento e l’indecorosa concorrenza che abbassano il livello della tutela.

Compagni e compagne, in questi anni ci siamo divisi, contati, su una strategia che aveva due punti di riferimento:

1)    L’accordo interconfederale del 23 Luglio del 1993 sulla pratica contrattuale e la politica dei redditi.

2)    La cosiddetta concentrazione sulle politiche del lavoro, di settore.

 

La scelta del Governo di assumere il programma della Confindustria,  ha risolto i problemi delle nostre divisioni e mi auguro che il nostro dibattito faccia un passo avanti e vada oltre le tesi congressuali, il punto di partenza può essere l’ordine del giorno approvato dal Comitato Direttivo della CGIL Nazionale  nel mese di Settembre di quest’anno.

Il Governo e la Confindustria hanno scelto la strada dell’abbattimento dei costi, pensando che sia quella giusta per la competività, tutto ciò è in contrasto con quello che è stato parzialmente fatto in questi anni, l’Italia è entrata nell’Euro attraverso una grande azione di risanamento finanziario a cui i lavoratori hanno dato un contributo determinante, ma i parametri richiedono una competizione su livelli di qualità.

La legge “Tremonti” fa saltare il concetto di un sistema produttivo incentivato ed anche la politica dei redditi, come era già avvenuto nel 1994; questa legge produce un buco nel bilancio dello stato, senza produrre i benefici sperati, perché un abbassamento generalizzato della tassazione, non seleziona, non incentiva, non favorisce la strutturalità, in questi pochi mesi il 50% della restituzione della tassazione è andata al 18% dei contribuenti, altro che politica dei redditi che si reggeva sul rapporto del 70% alle famiglie e 30% alle imprese.

Lo sconto tra “Costi” e “Qualità”, è quindi la questione fondamentale che ci contrappone alla strategia confindustriale e il sostegno che le offre l’attuale Governo. Questa situazione apre una contraddizione nello stesso sistema imprenditoriale, perché senza un nuovo sistema creditizio, senza la riforma del diritto societario, senza una rete di servizi all’impresa in grado di sostenere la piccola e media impresa. Si afferma una forte finanziarizzazione di poche realtà a danno di tutto il tessuto produttivo del paese. 

Per leggere bene il fenomeno occorre sovrapporre le decisioni  del Governo in materia fiscale, con i collegati alla finanziaria, i condoni in serie di dubbia efficacia sui risultati delle entrate, il “libro Bianco” di Maroni in cui si riporta un attacco ai diritti individuali e collettivi dei lavoratori dipendenti.

L’introduzione del Contratto individuale, la presenza del doppio regime sui diritti fra vecchi e nuovi assunti  è quanto di più odioso si può pensare,   si vuol far credere che il lavoratore sia nelle condizioni di scegliere quando si  siede davanti al datore di lavoro per firmare un contratto.

In questo processo non ci sono “garantiti”.

Chi paga le pensioni se non si versano i contributi dei nuovi assunti ? 

Chi difende le tutele,  ad esempio la sicurezza,  se in un posto di lavoro ci sono trattamenti differenziati? 

Il livello più basso si porta con sé quello più alto.

L’articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, non è vero che impedisce di licenziare, purtroppo diciamo noi, ma obbliga ad avere una motivazione o una giusta causa, il problema è che si vuole disumanizzare il lavoro, non si tratta di non voler valutare soluzioni minimali, il fatto è un altro, è un “valore” non disponibile per la mediazione,  il diritto alla rivendicazione che ci sia una giustificazione per poter licenziare.

In questo libro degli orrori c’è anche un’altra perla, in caso di licenziamento si può ricorrere all’arbitrato, ebbene, c’è l’ipotesi che l’arbitro possa decidere senza tener conto dei contratti e delle leggi, è come un arbitro di calcio che si fa regole a suo piacimento durante la partita. Per affrontare il problema di quanto di nuovo si muove nel mondo del lavoro, dei diritti mancanti, quelli legati ai nuovi lavori, non è necessario modificare l’articolo 18.

Il problema non è la flessibilità, quello che si vuole produrre è uno scambio improprio, meno diritti, meno costi.

Le imprese italiane non possono pensare ad un andamento che porta a restringere la gamma dei prodotti concentrandosi sul core business, accentuando le esternalizzazioni, la terziarizzazione, i subappalti e così via.

Questa situazione porta alla rottura dei diritti contrattuali e quindi si punta ad un rapporto di lavoro bipolare, da una parte un personale addetto alle funzioni vitali dell’impresa; che più che sulla professionalità si cerca la fidelizzazione; dall’altra parte gli addetti ai lavori più umili con un turn-over elevatissimo.

Questa tendenza si combatte, difendendo i due livelli contrattuali:

Il primo, quello nazionale, ha una funzione decisiva per il suo carattere solidaristico e universale, forse la sua funzione potrebbe esaurirsi se un domani avremo quello Europeo, ma la strada è ancora lunga.

Il secondo serve per legare il salario del lavoratore alla produttività di azienda, di gruppo o di territorio, in base alla tipologia del settore e del suo sistema d’impresa.

E’ sbagliata la pretesa di dire che l’attuale sistema dei due livelli ha impedito alle imprese la redditività e di fare profitto, perché nel periodo dal 1993 ad oggi questi due risultati aziendali si sono incrementati come non mai, quindi l’effetto cui si punta a modificare, sono la dimensione delle dinamiche salariali e le tutele normative.

In una struttura  contrattuale con regole aleatorie, un mercato del lavoro altrettanto precario, connesso alla pratica della modifica unilaterale dell’organizzazione del lavoro e la presenza di una globalizzazione che amplifica le differenze sociali, occorre allineare il valore dell’utilizzo del PIL a quello degli altri paesi europei.

La CGIL conferma la solidità della scelta fatta qualche anno fa, di una previdenza fatta su due pilastri: quella pubblica e quella integrativa.  Su quest’ultima attendiamo ancora lo sblocco del TFR  perché altrimenti quello che abbiamo perso con la riforma di quella pubblica non sarà recuperabile.  In queste settimane abbiamo sentito parlare di abolizione della pensione di anzianità e di innalzamento della pensione di vecchiaia; non solo non siamo d’accordo, ma vogliamo ricordare che ci sono consistenti gruppi di lavoratori di questo settore che svolgono lavori usuranti e sono ancora in attesa di decreti attuativi su questa materia.  Nel frattempo  chiediamo di non cancellare quel poco che si era fatto per i lavoratori delle cave e già in scadenza il 31 di questo mese.

Gli attacchi che stanno portando non sono un problema per il sindacato,  in quanto istituzione, ma lo sono per i diritti dei lavoratori dipendenti. La CGIL non è pregiudizialmente contro la flessibilità, abbiamo sottoscritto Contratti Nazionali, patti territoriali che regolamentavano i nuovi rapporti di lavoro,  ma siamo contrari  a scambi impropri e al fatto che basta contrattare e tutto va bene; è  il merito che decide il valore di una contrattazione.

Il Congresso di una Federazione non può non soffermarsi sugli aspetti del suo settore, anche se in una situazione politica caratterizzata da elementi di forte radicalizzazione dà meno spazio alle specificità.

Se facciamo un lavoro di composizione dei vari provvedimenti assunti, o in fase di emanazione  da parte del Governo,  leggiamo un quadro ben legato da un filo rosso non molto diverso da quello sulle politiche generali.

Un gruppo di esperti presso il ministero dei lavori pubblici coordinati da un avvocato rappresentante l’associazione delle grandi imprese, sta predisponendo, la modifica alla Merloni, noi come sindacato abbiamo sostenuto che prima di pensare alle modifiche occorreva dare piena applicazione, per evitare vuoti interpretativi e pericolosi ripensamenti. Conosciamo le critiche delle associazioni imprenditoriali, alcuni le condividiamo, come quello della mancanza di norme incentivanti il consorziamento, il problema di uno squilibrio fra valore delle commesse e valore della struttura di impresa. Le modifiche che si annunciano non vanno in questa direzione ma, ripercorrono lo schema della finanziarizzazione e di un’operazione di spartizione a tavolino dei lavori.

La Merloni aveva definito due livelli di mercato:

Uno per le grandi imprese che avrebbero dovuto misurarsi con le grandi commesse; l’altro  per le piccole e medie imprese , che sono la fascia più numerosa.  Attraverso processi di qualificazione si doveva arrivare ad espellere dal mercato le scatole vuote, naturalmente presenti nella seconda fascia.

L’operazione in atto tende, invece,  a creare una nicchia di privilegio e poi la fase esecutiva si affida al mercato della giungla. A conferma di ciò, basta andare a vedere cosa prevede la legge-obiettivo per quanto riguarda le grandi opere, il cui finanziamento dovrà avvenire tramite la Cassa Depositi e Prestiti, una banca che opera esclusivamente tramite finanziamenti pubblici, altro che finanziamenti privati,  per l’infrastrutturazione del Paese, contemporaneamente si rafforza lo strumento del  General-Contrattor.

Ritorniamo alle partecipazioni statali, dove al posto dei Boiardi di Stato, ci sono tre o quattro famiglie d'imprenditori privati.  Naturalmente tutto ciò deve avvenire in un ambito di relazioni sindacali inesistenti; infatti, si pensa ad uno schema molto semplice, le imprese diventano dei centri di finanziamento con i soldi pubblici, la fase progettuale ed esecutiva avviene attraverso il sistema delle esternalizzazioni a scatole cinesi.  Per questo il libro bianco di Maroni prevede l’innalzamento della quota subappaltabile dal 30% al 50% puntando al superamento del vincolo normativo che chiama alla responsabilità in solido l’impresa appaltatrice sul subappalto. Se prendiamo in considerazione le prime dieci imprese di costruzioni nazionali, vediamo che nella provincia di Roma hanno complessivamente 221 addetti, e se escludiamo l’ASTALDI che da sola ne impiega la metà, si ha la riprova di quanto appena espresso.

La legge-obiettivo che nelle dichiarazioni iniziali doveva essere lo strumento per eliminare lacci e laccioli, è diventata un’altra cosa. E’ vero che in Italia la burocrazia tiene bloccate molte opere, ma non è vero che un cantiere senza regole risolverà il problema della burocrazia, perché si corre il rischio che le autonomie, le Comunità locali si chiudano nel loro particolare. 

L’effetto della legge produrrebbe il contrario, ammesso che sia giusto che una Comunità debba subire dei disagi per un servizio nazionale senza risarcimenti,   comunque, le  motivazioni perchè un lavoro non va avanti,  sono molteplici, dall’attentato  mafioso all’impresa che fallisce.   Solo nel mondo dei sogni si può affermare che con una legge si superano tutti i problemi.

La strada più concreta è quella che si  era iniziata  a percorrere negli ultimi anni: accordi di programma fra Istituzioni e Conferenze di Servizi, rendendo più cogenti i passaggi, nel senso che non possono essere ammessi pareri con riserva.   Ai pareri negativi vengono sostituiti i pareri con le soluzioni alternative.   

In  questa città, ma anche in altre importanti città della nostra Regione,  un esempio può essere la riconversione della Permaflex a Frosinone.

Parliamo troppo spesso di  Lavori Pubblici e troppo poco delle occasioni che potrebbero essere offerte dai lavori privati; il compito di una Organizzazione come la CGIL dovrebbe essere quello di  monitorare sul territorio le esigenze dei cittadini e poi  rappresentarle alle imprese ed alle istituzioni, cosa che facciamo molto di rado per cui  ci troviamo con poche proposte spesso  avanzate dalle imprese che poi si assumono l’onere del consenso sociale con una gestione dei problemi che può avere solo il criterio risarcitorio non sempre in grado di cogliere l’interesse collettivo.

Un quadro così fosco si combatte con l’iniziativa, la mobilitazione, ma anche rivolgendoci all’imprenditoria diffusa la quale deve rendersi conto che questo scenario non dà prospettive.

La parola d’ordine di questo Congresso è “investire sul capitale umano” vuole essere un contributo alla proposta lanciata dalla Fillea Nazionale qualche mese fa con il convegno “Cantiere Qualità”, vogliamo invitare il sistema d’imprese a lanciare insieme, sempre nelle rispettive autonomie, la scommessa della strutturalità in cui la risorsa umana, professionale, è la carta in più da giocare sul mercato.

Quando parliamo di risorsa professionale non penso soltanto alla figura operaia.

Pensiamo ad un'impresa che ha una sua capacità di stare in campo sia sotto il profilo tecnico, sia dell’esecuzione, con strutture di servizio in grado di renderla competitiva sul mercato e nei confronti del sistema creditizio.

Dentro questo progetto possiamo anche spendere le potenzialità degli enti paritetici, in particolare quello della formazione, definendo un sistema che va dall’ingresso nel settore alla certificazione professionale dei vari passaggi nella vita lavorativa del lavoratore.

Questo sistema formativo deve essere intrecciato con il mercato del lavoro in cui tutti i soggetti coinvolti, in particolare quello pubblico, devono aiutare una politica d'incentivazione di settore.

Il compagno Cofferati concludeva il Convegno sul cantiere-qualità proponendo un sistema di decontribuzione per aiutare l’impresa a qualificarsi. 

Certo anche qui non servono politiche decontributive generaliste pensando che possa competere con il Caporale, ma per essere efficaci occorre ragionare su un sistema decontributivo, sulle qualifiche d’ingresso, quelle più basse e legarle ad uno sviluppo professionale della carriera di un lavoratore

Anche le imprese dovrebbero pensare a percorsi formativi d’ingresso; oggi a causa dello scarso capitale di investimento si può diventare imprenditore edile dalla sera alla mattina, il capitale poi tanto lo si trova a Viale Palmiro Togliatti.

Non siamo contro il diritto di chiunque di intraprendere la carriera di imprenditore; siamo contro una imprenditoria dello sfruttamento in un Paese in cui ci sono 50.000 imprese contro una media europea di 5.000 per Paese.

Queste proposte sulla Formazione sono contenute in un documento consegnato   unitariamente un anno fa all’ACER da cui abbiamo avuto risposte ironiche.  L’Assessore provinciale al Lavoro, titolare dopo la riforma delle politiche per il lavoro, ha mostrato ampia disponibilità a parole, perché è quasi un anno che abbiamo chiesto un tavolo di confronto senza avere risposte.

Oggi alla Cassa Edile di Roma soltanto quattro imprese hanno più di 100 addetti e soltanto 18 più di 50, su un totale di 4.000 circa. Di cui tre sono Consorzi destinati allo scioglimento con la fine dell’opera che stanno realizzando.

La domanda che poniamo al mondo imprenditoriale è:

Qual' è il collante che può dar forza ad una politica per il settore?”.

Non può essere certamente quello che l’ANCE ha posto sul tavolo contrattuale nazionale, la flessibilità, per abbattere i costi in modo generalizzato e generalista, secondo noi con una miopia politica autodistruttiva preoccupante.

Cancellare la struttura contrattuale che ci siamo dati da anni nel settore, imperniata sulla mutualità, disconoscere unilateralmente le regole che stanno dentro agli accordi liberamente sottoscritti; non si crea un danno solo ai lavoratori, non si fa un buon servizio al settore.

Nella provincia di Roma dalla fine del ’97 ad oggi l’inflazione è aumentata più del 14% ed i salari poco più del 10% con una perdita secca del 4% sul potere di acquisto.  Figuriamoci cosa è successo nelle altre province!

In questi giorni la trattativa è ripartita anche grazie alla riuscita delle iniziative di lotta degli edili che si è sviluppata nel Paese e che è andata oltre le nostre previsioni.

Il 29 novembre scorso,  a Roma,  la manifestazione davanti all’ACER ci ha fatto capire la voglia dei lavoratori di questo settore di essere protagonisti sulle scelte contrattuali che li riguardano, in particolare sul contratto integrativo, considerato da sempre il livello contrattuale più sensibile; non è un caso  che nell’Edilizia, insieme all’Agricoltura, prima sono nati i patti provinciali e poi è arrivato il Contratto Nazionale.

In questi anni nel Lazio, come FILLEA, ma credo che sia patrimonio unitario, ci siamo opposti ad una logica dell’occupazione pur che sia, nella logica imprenditoriale: dateci i soldi per i lavori che poi a farvi lavorare ci pensiamo noi.

Abbiamo sempre chiesto lavoro e diritti nella consapevolezza che il lavoro senza diritti potrà aiutare a sopravvivere, ma non produce ricchezza; non c’è stato progetto di lavoro dove non abbiamo preteso accordi sulle regole e trasparenza.  L’Osservatorio dei LL.PP. con il Comune di Roma, la Regione, lo IACP con i Prefetti nelle province sulla lotta al lavoro nero. 

Questi accordi relazionali non sempre hanno prodotto risultati positivi per uno scarto fra quanto scritto e quello che si è attuato; oggi è maturo il tempo per fare un salto di qualità e puntare su una priorità che è il documento unico di regolarità dove in altre parti d’Italia ha dato risultati positivi.

 Lo strumento che ha più potenzialità è l’Osservatorio con il Comune di Roma che può essere utilizzato anche per monitorare l’edilizia privata, però necessita di un nuovo impulso; il  confronto con l’Assessore D’Alessandro deve andare verso una stretta, sia sul metodo di lavoro sia sulla strutturazione organica. Abbiamo sperimentato quanto è difficile far capire alla burocrazia che la legislazione  sugli appalti pubblici  va fatta rispettare, forse è venuto il momento che qualche dirigente sia costretto a comprenderlo anche con le cattive maniere.

Il Comune di Roma sta definendo un Nuovo Piano Regolatore ed il contributo che stiamo cercando di portare, insieme alla CGIL ed agli altri  Sindacati è quello di prestare attenzione a due aspetti:

1)    occorre una normativa che faciliti la manutenzione ed il recupero su larga scala, che consenta si coinvolgere interi quartieri su programmi integrati, in grado di dare più vivibilità alla città,  ma  anche  sicurezza.

I crolli di Vigna Jacobini e la tragica esplosione di Via Ventotene non sono fatti isolati, sono delle spie rosse accese che richiedono risposte programmate:  il Fascicolo del Fabbricato, la Carta del Sottosuolo, non come atti burocratici ma come strumenti per attivare una politica della manutenzione reale a Roma, come in altri Centri piccoli e grandi della nostra Regione;

2)    un Piano Regolatore come quello di Roma, rispettoso dei parametri statistici scientifici, deve comunque rifuggire dalla scorciatoia del blocco edificatorio perché questo, è dimostrato, non è efficace per combattere l’abusivismo ma anzi lo alimenta.

Con l’Assessorato regionale ai LL.PP. della Regione il tempo perso è molto, stiamo in questi giorni cercando di stringere una trattativa individuando nelle nebbie delle promesse elettorali quali sono veramente le opere finanziabili con un accordo di programma  fra Regione e Governo.

La preoccupazione che abbiamo è quella che si continui a fare la politica degli annunci, anteponendola a quella del realizzare e, quindi, la Pontina non si ammoderna, si fa un bando europeo sullo studio di fattibilità, sui collegamenti trasversali si fanno  i progetti, intanto però i finanziamenti per il completamento della 3^ corsia del Grande Raccordo Anulare sono stati spesi in Piemonte,  per la trasversale ORTE-VITERBO-CIVITAVECCHIA i finanziamenti sono inutilizzati. 

Abbiamo l’impressione che sia più semplice fare propaganda con pochi soldi facendoli girare come le truppe di Mussolini, che seguire la politica dei piccoli passi ed utilizzare i finanziamenti impegnati.

 

Il Presidente dell’ACER più volte ci ha invitato a misurarci sulla politica del “fare”, noi siamo d’accordo e lo abbiamo dimostrato sottoscrivendo con tutte le Associazioni imprenditoriali del settore e le Confederazioni sindacali Cgil – Cisl –Uil una richiesta al Sindaco del Comune di Roma ed al Presidente della Regione per aprire un tavolo di confronto unico per evitare che le contrapposizioni istituzionali vadano a deprimento delle opere da realizzare.  Con altrettanta franchezza ci aspettiamo una loro disponibilità a confrontarsi nel merito delle regole per il rispetto delle norme contrattuali e di legge, sulla sicurezza e contro il lavoro nero.

In occasione del tradizionale”attivo” di fine anno che terremo il pomeriggio del 21 di questo mese, cui ha garantito la presenza il Sindaco di Roma e che sarà concluso dal Vice Segretario Nazionale della CGIL Guglielmo Epifani, presenteremo un rapporto sullo stato del settore edile del Lazio, rapportandolo con gli andamenti nazionali.

Ragionando sui primi dati emerge un quadro che ci fa riflettere, in particolare, su quelli di Roma perché in controtendenza con quelli delle altre province del Lazio.

Il primo è di ordine strutturale: se incrociamo i  dati occupazionali dell’ISTAT, dell’INPS e  delle Casse Edili, lo scarto fra la Cassa Edile e gli altri Istituti era maggiore nel ’98, durante i lavori giubilari, che nel 2000. Infatti, nel 2000, alla Cassa Edile risulta una tenuta occupazionale  in presenza di minori occasioni di lavoro; può anche darsi che ci sia uno sviluppo maggiore dell’Edilizia privata, ma crediamo che in parte sia il frutto di un lavoro messo in campo durante il Giubileo e che oggi sta dando i risultati, sul fronte contrattuale, sulla prevenzione e sui controlli.

Il secondo particolare riguarda la crescita che segnala alcune contraddizioni da tenere presente.

Fra il 1997 ed il 2001 in Italia la crescita occupazionale è stata del 7%, nel Lazio il 5,9%; il rapporto fra imprese cessate e le nuove iscritte – sempre nello stesso periodo in Italia – sono stati dello 0,1% in più. Nel Lazio 0,06% in meno.

L’incremento degli importi di gara pubblicati in Italia – sempre nello stesso periodo 1997/2001 – è stato dell’11,9%, nel Lazio del 37% ma incide il fattore giubileo, all’incirca per il 30%.

La variazione dei prezzi medi di vendita degli immobili residenziali a Roma, è stata del 17,7% seguita da Viterbo con il 16,5%; per le altre province l’aumento si aggira intorno al 10%.

L’aumento dei prezzi immobiliari non legati ad una manutenzione straordinaria e, quindi, di aumento reale del valore della qualità dell’immobile, rischia di diventare una speculazione.

 Questi sommari dati ci dicono quanto sia importante la programmazione dei lavori ed il rispetto dei tempi.

Nel Lazio per il periodo 2000/2003 era previsto l’avviamento di lavori pubblici su finanziamenti nazionali per 10.296 miliardi e, quindi, era ipotizzabile una tenuta occupazionale sui livelli del periodo giubilare; il rispetto dei tempi, purtroppo, non sta avvenendo e quindi gli effetti sul settore potrebbero con il  passare dei mesi non essere positivi.

Per evitare questi problemi occorre una programmazione triennale dei due maggiori enti istituzionali,  il Comune di Roma e la Regione,  sancita con un accordo-quadro di programma che eviti lotte politiche che andrebbero combattute su altri terreni.

Un appello alla Regione ci sentiamo di farlo sui programmi di recupero urbano, meglio conosciuti come art. 11 che ormai da sei anni viaggiano su un iter autorizzativo contorto fra Consiglio Comunale e Regione.

Questi sono programmi a finanziamento pubblico-privato ed hanno un equilibrio finanziario complesso; la funzione della Regione è quella di controllare la rispondenza agli strumenti urbanistici e non di entrare nel merito delle scelte perché altrimenti il cerchio non si chiuderà mai ed oltre tremila miliardi d'investimenti andranno in fumo.

Riteniamo utile proporre, come FILLEA CGIL,  a metà del prossimo anno una conferenza di produzione del settore delle costruzioni nel Lazio, come avevamo detto nel ’98.

L’attività sindacale nella nostra Regione non è solo Edilizia;  gli addetti al settore dei materiali industriali sono circa 20 mila  in tutto il territorio regionale e per  l’80% si tratta di imprese di piccolissima dimensione. 

I processi di ristrutturazione che sono intervenuti negli ultimi anni hanno lasciato il segno soprattutto nel settore del legno; negli esempi negativi rientra la decisione dell’ITALCEMENTI di chiudere il centro di produzione di Civitavecchia, mentre i poli cementiferi di Guidonia e Colleferro tengono e si preannunciano dei forti investimenti per la produzione energetica con l’utilizzo dello smaltimento dei rifiuti.

Importante è il lavoro che abbiamo svolto sul 2° livello contrattuale nei settori degli impianti fissi e sono serviti anche a governare i processi di cambio generazionale della forza lavoro.

Aldilà del consolidamento della contrattazione aziendale in molte fabbriche del Frusinate,  della Provincia di Latina e Viterbo, occorre sottolineare il consolidamento della contrattazione territoriale del settore lapideo con la Federlazio e con la Confindustria.  

 Questi accordi ci hanno portato a rafforzare anche le iniziative sulle politiche di settore:

*  e' recente l’accordo concertativo sulla sicurezza del bacino di Tivoli con i Comuni, i servizi ispettivi della ASL, l’Ispettorato del lavoro e l’Associazione imprenditoriale.     

Questi accordi ci hanno consentito di ragionare anche intorno alla legge regionale sulle cave; come FILLEA riteniamo che la legge del ’90 abbia esaurito la funzione, per questo ormai stiamo assistendo a continui strappi alla parte normativa di quella legge che non dà più certezza del diritto, e quello che è peggio, alimenta pratiche e “praticanti” al di fuori del circuito di legittimità. Il Consiglio regionale, ad ogni seduta,  è impegnato nell’approvazione di qualche autorizzazione di nuova apertura o allargamento senza sapere su quali criteri ciò avviene.

 E’ assurdo che il Consiglio Regionale sia chiamato ad un lavoro simile, occorre dare una priorità alla definizione dei piani stralcio o piani di bacino.

In questi giorni è stata approvata  dal Consiglio Regionale la legge sui distretti industriali; crediamo che almeno tre aree, fra distretti e sistemi produttivi, della nostra Regione possano essere interessate: il travertino, il coreno Ausonio di Frosinone ed il peperino di Viterbo.

Approvata la legge occorre darle attuazione, si aprirà una gara di competizione fra settori e territori non sempre lineare; dobbiamo chiedere procedure premianti a chi si presenta come sistema perché la logica dei Distretti è questa e non l’assistenza.

La situazione del lapideo da alcuni anni vive  una stagione importante con una penetrazione sui mercati forti come quello americano e tedesco, c’è una ripresa anche del tufo che nella nostra Regione ha una storia.  Ci auguriamo che la stagione di relazioni tra le parti che abbiamo aperto in questi ultimi anni non debba vanificarsi per rincorrere il modello relazionale confindustriale.

La FILLEA CGIL di Roma/Lazio in questi anni, in un rapporto unitario non facile ma proficuo, ha cercato di percorrere una strada contrattuale che, ferme restando le linee generali, ha provato ad arricchire quelle che sono le linee base.

Per quanto riguarda l’edilizia abbiamo definito accordi sull’incentivazione alla regolarità con il protocollo minimo sulla sicurezza firmato con l’ACER a Roma, ma anche le altre province su questi aspetti si sono misurate.

L’inquadramento del lavoro sul restauro ed i lavori sugli scavi archeologici nel contratto nazionale sono stati possibili, grazie al lavoro iniziato su questo territorio.

L’accordo territoriale sugli edili marittimi è in scadenza al fine anno ed è stato un altro terreno sul quale ci siano misurati.

Questioni non costruite a tavolino, ma frutto di una inziativa vera, di una battaglia fatta con i lavoratori interessati.

Spesso ci sono nicchie di mercato come nel restauro, dove in nome dell’eccellenza si consumano veri e propri abusi nei confronti dei lavoratori.  In tanti ci hanno consigliato di occuparci di altro, ma questo consiglio non l’abbiamo accettato perché non accettiamo compromessi, quando si tiene un lavoratore o una lavoratrice al nero o  con una retribuzione di  10 mila  lire orarie.

Siamo stati da pungolo continuo con le istituzioni locali e la Regione, come da ultimo per l’insediamento della Commissione d’indagine del Consiglio Regionale sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, una decisione nata nel rapporto con rappresentanti del Consiglio più sensibili, che oggi ci consentirà di proporre i problemi che per anni  abbiamo rappresentato alla Regione con scarsi risultati:

1)    Monitoraggio della spesa per i servizi di controllo e prevenzione distinta dal Fondo sanitario, con l’adeguamento il più vicino possibile a quello previsto dalla legge che è il 6% ed invece oggi la Regione spende  l’1,5%;

2)    Costituzione di un Dipartimento apposito, un Coordinamento Regionale e per ogni singola provincia dei Responsabili dei servizi sulla sicurezza e sul controllo della regolarità del lavoro;

3)    Dare priorità d’intervento al settore edile e delle cave

Per quanto ci riguarda daremo la nostra disponibilità a collaborare ma vigileremo anche contro i tentativi d’insabbiamento che ci saranno.

Un patrimonio, quello che abbiamo costruito, da difendere ed estendere che è al servizio del settore, ed è per questo che rinnoviamo l’invito alle Associazioni imprenditoriali a non assumere atteggiamenti non pregiudizievoli per non vanificare un lavoro utile ai lavoratori ma anche alle imprese.

Naturalmente un'Organizzazione Sindacale, per difendere il giusto, deve essere in grado di dare dinamicità alle iniziative e, quindi, essere capace di leggere i mutamenti ed adeguarsi per difendere e costruire.

Un Congresso come il nostro deve interrogarsi se la nostra organizzazione è adeguata alle sfide che ha davanti; crediamo che in questi anni non sia venuta meno la capacità della struttura di stare sui problemi, cercando di leggere le dinamiche dei processi: penso, ad esempio, ai lavori di ristrutturazione delle aziende a Partecipazione Statale.

3.500 lavoratori che si sono visti rimettere in discussione la loro aspettativa di vita, un lungo percorso ancora non ultimato, dove abbiamo lavorato sugli strumenti di sostegno al reddito – per la prima volta utilizzati nel settore - i progetti di utilizzo di questi lavoratori ed il consolidamento occupazionale; non tutto è andato bene ma abbiamo più di qualche esempio da portare in positivo.

Il percorso congressuale ci consegna una priorità da affrontare: il rafforzamento della nostra rappresentanza sul territorio e nei luoghi di lavoro.  Ci sono stati circa 400 delegati/e che hanno partecipato ai Congressi di zona o comprensorio, un patrimonio importante da valorizzare perché rappresenta il futuro della nostra Federazione.

Il pericolo da evitare è che quello che abbiamo fatto per questo Congresso lo rifacciamo fra quattro anni: occorre istituzionalizzare un percorso annuale, da svolgere in un periodo più breve con regole più leggere, ma in ogni caso con regole definite in cui si fa la verifica del lavoro svolto e si programmano le scelte per il futuro.  Sarà un lavoro impegnativo , ma sicuramente gratificante per il gruppo dirigente.

La richiesta che più spesso ci sentiamo rivolgere è “Non lasciateci soli”.  In queste tre parole c’è racchiusa tutta la preoccupazione di chi stando sul fronte deve respingere il grave attacco che viene dal mondo imprenditoriale, di voler marginalizzare l’apporto del Sindacato nell’organizzazione del lavoro; così facendo i Rappresentanti Sindacali . diventano una sorta di cuscinetto fra un Sindacato diviso, a volte disattento,  e la forte richiesta di difesa dei diritti che viene da parte dei lavoratori.

Dobbiamo essere in grado di mettere in campo una massiccia dose di formazione sindacale, servizi efficienti, ma soprattutto la nostra capacità di presenza e di saper organizzare la pratica contrattuale.

La FILLEA Nazionale ha fatto una scommessa sui giovani per il Gruppo dirigente futuro, lanciando una leva under 30 dal forte valore simbolico, un ricambio generazionale di cui la CGIL ha necessità anche per stare in sintonia  in questa fase in cui i giovani si riaffacciano sullo scenario sociale.

In preparazione di questo Congresso abbiamo voluto fare un sondaggio sul corpo più consistente della nostra rappresentanza, gli operai edili, per cercare di capire lo status sociale e le loro attese.  Un dato su tutti emerge: l’orgoglioso senso di “appartenenza”.

Pensavamo che, andata in pensione la generazione delle lotte di Piazza SS. Apostoli, questo senso di “appartenenza” si fosse di molto affievolito ma evidentemente non è così.  Naturalmente emergono anche altri dati, fra i più preoccupanti c’è quello che a fronte di nuclei familiari plurimi si ha una situazione di monoreddito, il che significa vivere sulla soglia della povertà; di qui la necessità di sviluppare una politica contrattuale a sostegno della mutualità e delle prestazioni integrative.

A questa ricerca vogliamo dare dinamicità ripetendola ogni anno per tenere sotto osservazione gli andamenti.

L’Unità Sindacale in questi ultimi tempi ha fatto dei passi indietro, non siamo convinti che i lavoratori apprezzino questa situazione; nella riuscita della Manifestazione del 29 novembre scorso si percepiva l’apprezzamento dello stare insieme in un momento difficile.  La CGIL ritiene che per rilanciarla occorrerà ripartire dai Diritti e   l’obiettivo deve essere quello di ricostruire un rapporto unitario cercando convergenze sul piano del merito; per diritti intendiamo quelli delle persone, dei lavoratori e dei cittadini.

Oggi si va verso regole condivise nel mondo per governare la globalizzazione ed il Mercato, ma questo non può avvenire senza un riconoscimento formale e sostanziale dei diritti delle persone: senza ciò non ci sarebbero più attività efficaci della Rappresentanza sociale.

La Democrazia formale è un collante decisivo: provate a pensare cosa può succedere in un posto di lavoro, in un settore, dove due Organizzazioni Sindacali che hanno una rappresentanza del 10% firmano un accordo che, poi, deve valere anche per l’altro 90% senza possibilità di decisione da  parte di questi lavoratori, crediamo che così facendo il futuro del Sindacato Confederale sarebbe  poco roseo.

Perché nel Pubblico Impiego deve esserci una legge sulla rappresentanza che, oltretutto, ha dato dei risultati positivi per tutto il Sindacato Confederale e nel settore Privato ne è preclusa l’applicazione?

Il Rapporto Unitario nel nostro settore, nella nostra Regione, vive una fase di difficoltà, in parte dovuta alla situazione generale, in parte tutta interna al settore.  Per superarla non sono sufficienti i richiami reciproci alla collaborazione,  occorre concordare alcuni punti più caldi e su questi aprire una discussione che coinvolga i gruppi dirigenti ai vari livelli; noi ci permettiamo di indicare alcuni di questi punti: il ruolo degli enti paritetici in rapporto alla contrattazione, alla politica di settore, al  coordinamento delle politiche contrattuali di secondo livello degli impianti fissi, le regole sul proselitismo.

Se non attiviamo un percorso di discussione, il rischio che si corre è che si affermi la convinzione che ognuno possa fare da solo e non bastano più i buoni rapporti dei segretari generali.

La CGIL in questo Congresso ha fatto una scelta di non discutere di questioni di ingegneria organizzativa per evitare di fare un minestrone dove ogni struttura trova la sua soluzione, ma è evidente che finito il Congresso il problema deve essere ripreso in particolare per i servizi .

La strada percorsa a Roma e nel Lazio è una soluzione che ha allontanato queste strutture dalle politiche contrattuali delle categorie, senza migliorare il servizio ai lavoratori, naturalmente esistono anche esperienze positive ma sono molto inferiori di quelle negative.  Ma è sempre più evidente, anche in questo percorso congressuale, un tentativo  non so quanto involontario, di marginalizzare le Categorie.

Quest'assise congressuale si tiene in una fase particolarmente turbolenta, da punto di vista contrattuale, politico, delle modifiche dello stato sociale.  In alcuni momenti si è rischiato, e presumo che si rischierà, di perdere il filo rosso che lega tutti i passaggi.

La nostra discussione e conta interna in alcuni momenti ha rischiato di finire sopra le righe.  Ora è venuto il momento di non deludere le migliaia di lavoratori che hanno partecipato alla discussione, dobbiamo seguire con attenzione i 400 Delegati che hanno partecipato ai Congressi, sono il nostro radicamento, quelli che impediranno al vento di spazzare via il diritto alla solidarietà tra lavoratori, allo stare insieme per non lasciare solo l’individuo.

Innaffiamo queste radici e vedrete che i risultati non mancheranno.