Care Compagne, Compagni e gentili ospiti.
Quando abbiamo iniziato il percorso di discussione di questo congresso, tutti eravamo consapevoli che sarebbe stato un percorso difficile, che si intrecciava con avvenimenti di natura politica complessa, con un attacco ai diritti dei lavoratori, alla politica dei redditi, da parte di un Governo che agisce sotto dettatura della Confindustria, avvenimenti di natura contrattuale in scadenza.
Nello specifico del nostro territorio anche con qualche problema in
controtendenza sull’andamento nazionale in termini occupazionali, per la
ricaduta del dopo giubileo.
Credo che nessuno di noi pensava
di doversi confrontare con avvenimenti che hanno sconvolto il mondo.
Per cercare di capire oggi cosa sta avvenendo, più che una discussione
ideologica sulla guerra, che per quanto riguarda la CGIL non possiamo che
essere contro come scelta; occorre riflettere se ciò che è avvenuto con
l’attacco terroristico al cuore degli Stati Uniti è un fatto imprevedibile,
oppure c’è stato un vuoto della politica internazionale e un deficit di
democrazia.
Quando si arriva alla “Strettoia”, com'è stata la crisi dei Balcani o
dell’Afganistan o in Medio Oriente, il diritto internazionale è calpestato e
per difendere un diritto, se ne calpesta un altro e quindi la politica ha già
perso, ma la politica per non perdere,
deve essere capace di progettare i suoi interventi per tempo.
Il terrorismo internazionale ha assunto connotati drammatici, non solo
perché distrugge, uccide, dispone milioni di persone inermi al pericolo Questo
terrorismo ha sconvolto intere parti
del mondo, dove ci sono generazioni che non sanno cos’è la parola pace e la
convivenza civile, un terrorismo che ha sostituito la malavita organizzata nel
traffico di stupefacenti, d'armi e che si forgia della disperazione d'intere
aree del mondo.
Pensiamo a cosa è oggi un continente come l’Africa, dove interi Stati
sono governati da bande che si fanno la guerra per il controllo degli aiuti
internazionali, con comunità costrette a vivere in condizioni tribali, siamo
oltre la fase dello sfruttamento post-coloniale. Un terrorismo che combatte la
sua guerra sotto bandiere dell’estremismo religioso.
Se questo tipo di terrorismo non sarà contrastato con azioni forti e
concrete, il rischio che oltre alle distruzioni, diventa il collante per forze
razziste e xenofobe.
Se il terrorismo va combattuto
con azioni di contrasto forti, la guerra diventa uno strumento inefficace, in
paesi come l’Asia, il Medio Oriente e l’Africa serve la politica; per fare ciò,
occorre democratizzare gli strumenti istituzionali soprannazionali come l’ONU e
ancora di più quei circoli ristretti come quegli organismi per il commercio, la
Banca Mondiale e i vertici fra capi di Stato dei paesi più industrializzati.
Sulla guerra Afgana la CGIL ha assunto una posizione coerente con i
propri principi, dicendo prima no ad una posizione di equidistanza fra
terrorismo e Stati Uniti, ha detto no all’invio dei militari italiani, perché,
in quel momento serviva un’iniziativa, per aiutare le popolazioni civili
sottoposte a condizioni di vita inumana, inoltre quello era il momento di
cementare una politica internazionale in grado di dare una speranza per il
futuro di interi popoli.
D’altronde oggi è ancora più evidente la confusione, con i nostri
militari a metà strada senza una mèta e senza scopi precisi.
In questa situazione internazionale così difficile non si può che
tornare a ribadire la necessità di uno stato palestinese che possa vivere in
pace con quello israeliano; la non
risoluzione di questo problema è pregiudizievole per qualsiasi velleità di
intraprendere una strada di pace nel Mondo, distrugge quel poco di Stato
Palestinese, e non aiuta certamente a combattere il terrorismo.
Su questi problemi della pace, della Globalizzazione, in questi mesi si
sono sviluppati movimenti che hanno portato tanti giovani in Piazza a Genova,
alla marcia Perugia-Assisi, con questi movimenti, ponendo la discriminante
della violenza, un’organizzazione come la CGIL deve capire e fare come ha fatto
a Genova, costruire proposte concrete per risolvere i problemi, essere punto di
riferimento per un confronto di merito, con i giovani, protagonisti di questi
movimenti, e dobbiamo osservare che loro sono tornati ad essere protagonisti
anche nelle nostre iniziative e di questo dobbiamo esserne consapevoli.
Il problema non è quello di riproporre vuote parole d’ordine, operai e studenti riuniti nella lotta.
Occorrono proposte di merito sulla democrazia, sul lavoro, sulla società: questo è il nostro ruolo.
Grande è il senso di confusione che si percepisce, anche a livello
personale, provo un senso di difficoltà a capire le prospettive, ad intravedere
quale futuro può esserci in un mondo in cui armi di distruzioni di massa
possono essere acquistate ad un bazar qualsiasi, un mondo dove le differenze
fra Nord e Sud sono ormai abissali, la forte monetizzazione dei capitali ha
creato delle variabili fuori da qualsiasi controllo.
In questa difficile ricerca del “bandolo della matassa” dobbiamo
partire per porre al centro della
nostra iniziativa il lavoro e i diritti in Italia e in Europa, farli diventare
il cuore della strategia della CGIL per
presentare al Mondo un modello sociale di competizione dentro il quale sia uniforme il:
Mercato del lavoro.
I contratti.
I diritti.
Indicare
un modello “concreto”, può essere utile per affrontare il problema della
Globalizzazione. Questo fenomeno, oggi
fortemente presente, ha due facce:
La prima è che la globalizzazione può essere utile per fare uscire
milioni di persone da pratiche antidemocratiche, di sfruttamento, da società
violente, e quindi può stimolare sviluppo rispettoso dell’ambiente, assumere lo
stato sociale non come “Costo” ma come un elemento decisivo di coesione
sociale, ciò significa assicurare norme precise al commercio quale condizione
per evitare il rischio di conflitti bellici, per mettere benefici equi e
consentire pari opportunità fra persone, fra soggetti di rappresentanza.
Occorre che le liberalizzazioni del mercato, non siano strumento per
affermare monopoli privati.
L’altra faccia della globalizzazione è contrassegnata da politiche
liberiste senza regole e mediazioni, il Governo della globalizzazione è reso
più complicato dalla crisi delle strutture internazionali, prime fra tutte
l’ONU, senza governo mondiale del fenomeno si creano rotture drammatiche tra
paesi ricchi e paesi poveri.
E’ partendo dall’analisi di questa situazione che la CGIL, insieme ai più significativi sindacati
mondiali, ha presentato a Genova, ai capi di Governo, una piattaforma imperniata
sui seguenti punti:
1)
Indirizzare l’economia complessiva verso la piena
occupazione.
2)
Cancellare i debiti
dei paesi poveri.
3)
Rafforzare il ruolo dell’organizzazione internazionale del
lavoro, per garantire il rispetto dei diritti.
4)
Riformare le regole dei mercati finanziari.
5)
Rilanciare l’iniziativa contro il lavoro minorile.
Purtroppo le risposte che sono state date sono
deludenti, e quindi va continuata l’azione cercando di coordinarla anche con
l’iniziativa sulla carta dei diritti di Nizza, cioè i diritti fondamentali dei
lavoratori europei.
La CGIL ha fatto la scelta di stare dalla parte di
una società multirazziale, sia come valore in sé, sia perché è la strada da
contrapporre all’odio e alla politica dell’esclusione, a questa scelta dobbiamo
dare coerenza e rappresentanza.
Per la prima volta al nostro Congresso, sono presenti dei delegati extracomunitari,
e ci sono arrivati più in modo spontaneo che con un lavoro organizzato.
Dobbiamo favorire l’inserimento di questi lavoratori nei vari gruppi dirigenti
e dare seguito conseguenzialmente all’iniziativa rivendicativa, perché i
problemi che hanno questi lavoratori oltre a quelli che hanno tutti gli altri,
sono di natura più generale, dalle difficoltà d' inserimento nella società,
all’alloggio e i diritti previdenziali, con molti Paesi dell’est non ci sono convenzioni per il
riconoscimento dei contributi versati.
Se sono discutibili le politiche delle quote
d’ingresso nel nostro paese, lo sono molto di più quelle attuali che rischiano
di ricacciare nella clandestinità molti lavoratori extracomunitari. Ormai un
25% delle nuove iscrizioni in Cassa Edile di Roma sono lavoratori
extracomunitari, ai corsi di formazione professionale di qualifica e
specializzazione non c’è più adesione da parte degli italiani e quindi non è
esagerato affermare che a Roma, come in molte fabbriche del nord, questi
lavoratori sono indispensabili al lavoro nel settore. L’esperienza ci dice che è sbagliato un approccio al
problema, con un’equazione semplicistica, gli italiani non frequentano i corsi
e quindi riserviamoli agli extracomunitari.
Se il sistema formativo non è inserito in un percorso
di qualificazione del processo produttivo, anche il giovane lavoratore dell’Est
europeo è portato a rifiutare questo tipo di lavoro. Occorre riconsiderare l’età di inserimento perché, rispetto agli altri settori, il nostro deve collocarsi molto più vicino
ai trent’anni che ai venti.
In questi
anni più volte abbiamo provato a
costruire iniziative tendenti a stabilire rapporti con la comunità dei moldavi,
dei rumeni, con risultati alterni, perché il nostro modo tradizionale di
proporci non è compreso; occorre essere in grado di farlo con un carico di
conoscenze più complete, che riguarda nello specifico lo stato di un lavoratore
che proviene da un altro paese.
Esaminando il questionario predisposto in occasione
di questo Congresso, emerge quello di cui eravamo a conoscenza: nei cantieri i
rapporti di socializzazione sono più facilitati che nella società, ma i problemi emergono quando dei lavoratori sono sfruttati con il lavoro nero;
in ogni caso il problema non è il colore della pelle o la diversa nazionalità
ma lo sfruttamento e l’indecorosa concorrenza che abbassano il livello della
tutela.
Compagni e compagne, in questi anni ci siamo divisi,
contati, su una strategia che aveva due punti di riferimento:
1)
L’accordo interconfederale del 23 Luglio del 1993
sulla pratica contrattuale e la politica dei redditi.
2)
La cosiddetta concentrazione sulle politiche del lavoro, di
settore.
La
scelta del Governo di assumere il programma della Confindustria, ha risolto i problemi delle nostre divisioni
e mi auguro che il nostro dibattito faccia un passo avanti e vada oltre le tesi
congressuali, il punto di partenza può essere l’ordine del giorno approvato dal
Comitato Direttivo della CGIL Nazionale
nel mese di Settembre di quest’anno.
Il Governo e la Confindustria hanno scelto la strada
dell’abbattimento dei costi, pensando che sia quella giusta per la competività,
tutto ciò è in contrasto con quello che è stato parzialmente fatto in questi
anni, l’Italia è entrata nell’Euro attraverso una grande azione di risanamento
finanziario a cui i lavoratori hanno dato un contributo determinante, ma i
parametri richiedono una competizione su livelli di qualità.
La legge “Tremonti” fa saltare il concetto di un
sistema produttivo incentivato ed anche la politica dei redditi, come era già
avvenuto nel 1994; questa legge produce un buco nel bilancio dello stato, senza
produrre i benefici sperati, perché un abbassamento generalizzato della
tassazione, non seleziona, non incentiva, non favorisce la strutturalità, in
questi pochi mesi il 50% della restituzione della tassazione è andata al 18%
dei contribuenti, altro che politica dei redditi che si reggeva sul rapporto
del 70% alle famiglie e 30% alle imprese.
Lo
sconto tra “Costi” e “Qualità”, è quindi la questione fondamentale che ci
contrappone alla strategia confindustriale e il sostegno che le offre l’attuale
Governo. Questa situazione apre una contraddizione nello stesso sistema
imprenditoriale, perché senza un nuovo sistema creditizio, senza la riforma del
diritto societario, senza una rete di servizi all’impresa in grado di sostenere
la piccola e media impresa. Si afferma una forte finanziarizzazione di poche
realtà a danno di tutto il tessuto produttivo del paese.
Per
leggere bene il fenomeno occorre sovrapporre le decisioni del Governo in materia fiscale, con i
collegati alla finanziaria, i condoni in serie di
dubbia efficacia sui risultati delle entrate, il “libro Bianco” di Maroni in
cui si riporta un attacco ai diritti individuali e collettivi dei lavoratori
dipendenti.
L’introduzione
del Contratto individuale, la presenza del doppio regime sui diritti fra vecchi
e nuovi assunti è quanto di più odioso
si può pensare, si vuol far credere
che il lavoratore sia nelle condizioni di scegliere quando si siede davanti al datore di lavoro per
firmare un contratto.
In
questo processo non ci sono “garantiti”.
Chi
paga le pensioni se non si versano i contributi dei nuovi assunti ?
Chi
difende le tutele, ad esempio la
sicurezza, se in un posto di lavoro ci
sono trattamenti differenziati?
Il
livello più basso si porta con sé quello più alto.
L’articolo
18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, non è vero che impedisce di
licenziare, purtroppo diciamo noi, ma obbliga ad avere una motivazione o una
giusta causa, il problema è che si vuole disumanizzare il lavoro, non si tratta
di non voler valutare soluzioni minimali, il fatto è un altro, è un “valore”
non disponibile per la mediazione, il
diritto alla rivendicazione che ci sia una giustificazione per poter
licenziare.
In
questo libro degli orrori c’è anche un’altra perla, in caso di licenziamento si
può ricorrere all’arbitrato, ebbene, c’è l’ipotesi che l’arbitro possa decidere
senza tener conto dei contratti e delle leggi, è come un arbitro di calcio che
si fa regole a suo piacimento durante la partita. Per affrontare il problema di
quanto di nuovo si muove nel mondo del lavoro, dei diritti mancanti, quelli
legati ai nuovi lavori, non è necessario modificare l’articolo 18.
Il
problema non è la flessibilità, quello che si vuole produrre è uno scambio
improprio, meno diritti, meno costi.
Le
imprese italiane non possono pensare ad un andamento che porta a restringere la
gamma dei prodotti concentrandosi sul core business, accentuando le
esternalizzazioni, la terziarizzazione, i subappalti e così via.
Questa
situazione porta alla rottura dei diritti contrattuali e quindi si punta ad un
rapporto di lavoro bipolare, da una parte un personale addetto alle funzioni
vitali dell’impresa; che più che sulla professionalità si cerca la
fidelizzazione; dall’altra parte gli addetti ai lavori più umili con un
turn-over elevatissimo.
Questa
tendenza si combatte, difendendo i due livelli contrattuali:
Il
primo, quello nazionale, ha una funzione decisiva per il suo carattere
solidaristico e universale, forse la sua funzione potrebbe esaurirsi se un
domani avremo quello Europeo, ma la strada è ancora lunga.
Il
secondo serve per legare il salario del lavoratore alla produttività di
azienda, di gruppo o di territorio, in base alla tipologia del settore e del
suo sistema d’impresa.
E’
sbagliata la pretesa di dire che l’attuale sistema dei due livelli ha impedito
alle imprese la redditività e di fare profitto, perché nel periodo dal 1993 ad
oggi questi due risultati aziendali si sono incrementati come non mai, quindi
l’effetto cui si punta a modificare, sono la dimensione delle dinamiche
salariali e le tutele normative.
In
una struttura contrattuale con regole
aleatorie, un mercato del lavoro altrettanto precario, connesso alla pratica
della modifica unilaterale dell’organizzazione del lavoro e la presenza di una
globalizzazione che amplifica le differenze sociali, occorre allineare il valore
dell’utilizzo del PIL a quello degli altri paesi europei.
La
CGIL conferma la solidità della scelta fatta qualche anno fa, di una previdenza
fatta su due pilastri: quella pubblica e quella integrativa. Su quest’ultima attendiamo ancora lo sblocco
del TFR perché altrimenti quello che
abbiamo perso con la riforma di quella pubblica non sarà recuperabile. In queste settimane abbiamo sentito parlare
di abolizione della pensione di anzianità e di innalzamento della pensione di
vecchiaia; non solo non siamo d’accordo, ma vogliamo ricordare che ci sono
consistenti gruppi di lavoratori di questo settore che svolgono lavori usuranti
e sono ancora in attesa di decreti attuativi su questa materia. Nel frattempo chiediamo di non cancellare quel poco che si era fatto per i
lavoratori delle cave e già in scadenza il 31 di questo mese.
Gli
attacchi che stanno portando non sono un problema per il sindacato, in quanto istituzione, ma lo sono per i
diritti dei lavoratori dipendenti. La CGIL non è pregiudizialmente contro la
flessibilità, abbiamo sottoscritto Contratti Nazionali, patti territoriali che
regolamentavano i nuovi rapporti di lavoro,
ma siamo contrari a scambi
impropri e al fatto che basta contrattare e tutto va bene; è il merito che decide il valore di una
contrattazione.
Il
Congresso di una Federazione non può non soffermarsi sugli aspetti del suo
settore, anche se in una situazione politica caratterizzata da elementi di
forte radicalizzazione dà meno spazio alle specificità.
Se
facciamo un lavoro di composizione dei vari provvedimenti assunti, o in fase di
emanazione da parte del Governo, leggiamo un quadro ben legato da un filo
rosso non molto diverso da quello sulle politiche generali.
Un
gruppo di esperti presso il ministero dei lavori pubblici coordinati da un
avvocato rappresentante l’associazione delle grandi imprese, sta predisponendo,
la modifica alla Merloni, noi come sindacato abbiamo sostenuto che prima di
pensare alle modifiche occorreva dare piena applicazione, per evitare vuoti
interpretativi e pericolosi ripensamenti. Conosciamo le critiche delle
associazioni imprenditoriali, alcuni le condividiamo, come quello della
mancanza di norme incentivanti il consorziamento, il problema di uno squilibrio
fra valore delle commesse e valore della struttura di impresa. Le modifiche che
si annunciano non vanno in questa direzione ma, ripercorrono lo schema della
finanziarizzazione e di un’operazione di spartizione a tavolino dei lavori.
La
Merloni aveva definito due livelli di mercato:
Uno
per le grandi imprese che avrebbero dovuto misurarsi con le grandi commesse;
l’altro per le piccole e medie imprese
, che sono la fascia più numerosa.
Attraverso processi di qualificazione si doveva arrivare ad espellere
dal mercato le scatole vuote, naturalmente presenti nella seconda fascia.
L’operazione
in atto tende, invece, a creare una
nicchia di privilegio e poi la fase esecutiva si affida al mercato della
giungla. A conferma di ciò, basta andare a vedere cosa prevede la
legge-obiettivo per quanto riguarda le grandi opere, il cui finanziamento dovrà
avvenire tramite la Cassa Depositi e Prestiti, una banca che opera
esclusivamente tramite finanziamenti pubblici, altro che finanziamenti
privati, per l’infrastrutturazione del
Paese, contemporaneamente si rafforza lo strumento del General-Contrattor.
Ritorniamo
alle partecipazioni statali, dove al posto dei Boiardi di Stato, ci sono tre o
quattro famiglie d'imprenditori privati.
Naturalmente tutto ciò deve avvenire in un ambito di relazioni sindacali
inesistenti; infatti, si pensa ad uno schema molto semplice, le imprese
diventano dei centri di finanziamento con i soldi pubblici, la fase progettuale
ed esecutiva avviene attraverso il sistema delle esternalizzazioni a scatole
cinesi. Per questo il libro bianco di Maroni
prevede l’innalzamento della quota subappaltabile dal 30% al 50% puntando al
superamento del vincolo normativo che chiama alla responsabilità in solido
l’impresa appaltatrice sul subappalto. Se prendiamo in considerazione le prime
dieci imprese di costruzioni nazionali, vediamo che nella provincia di Roma
hanno complessivamente 221 addetti, e se escludiamo l’ASTALDI che da sola ne
impiega la metà, si ha la riprova di quanto appena espresso.
La
legge-obiettivo che nelle dichiarazioni iniziali doveva essere lo strumento per
eliminare lacci e laccioli, è diventata un’altra cosa. E’ vero che in Italia la
burocrazia tiene bloccate molte opere, ma non è vero che un cantiere senza
regole risolverà il problema della burocrazia, perché si corre il rischio che le
autonomie, le Comunità locali si chiudano nel loro particolare.
L’effetto
della legge produrrebbe il contrario, ammesso che sia giusto che una Comunità
debba subire dei disagi per un servizio nazionale senza risarcimenti, comunque, le motivazioni perchè un lavoro non va avanti, sono molteplici, dall’attentato mafioso all’impresa che fallisce. Solo nel mondo dei sogni si può affermare
che con una legge si superano tutti i problemi.
La
strada più concreta è quella che si era
iniziata a percorrere negli ultimi
anni: accordi di programma fra Istituzioni e Conferenze di Servizi, rendendo
più cogenti i passaggi, nel senso che non possono essere ammessi pareri con
riserva. Ai pareri negativi vengono
sostituiti i pareri con le soluzioni alternative.
In questa città, ma anche in altre importanti
città della nostra Regione, un esempio
può essere la riconversione della Permaflex a Frosinone.
Parliamo
troppo spesso di Lavori Pubblici e
troppo poco delle occasioni che potrebbero essere offerte dai lavori privati;
il compito di una Organizzazione come la CGIL dovrebbe essere quello di monitorare sul territorio le esigenze dei
cittadini e poi rappresentarle alle
imprese ed alle istituzioni, cosa che facciamo molto di rado per cui ci troviamo con poche proposte spesso avanzate dalle imprese che poi si assumono
l’onere del consenso sociale con una gestione dei problemi che può avere solo
il criterio risarcitorio non sempre in grado di cogliere l’interesse collettivo.
Un
quadro così fosco si combatte con l’iniziativa, la mobilitazione, ma anche rivolgendoci
all’imprenditoria diffusa la quale deve rendersi conto che questo scenario non
dà prospettive.
La
parola d’ordine di questo Congresso è “investire sul capitale umano” vuole
essere un contributo alla proposta lanciata dalla Fillea Nazionale qualche mese
fa con il convegno “Cantiere Qualità”, vogliamo invitare il sistema d’imprese a
lanciare insieme, sempre nelle rispettive autonomie, la scommessa della
strutturalità in cui la risorsa umana, professionale, è la carta in più da
giocare sul mercato.
Quando
parliamo di risorsa professionale non penso soltanto alla figura operaia.
Pensiamo
ad un'impresa che ha una sua capacità di stare in campo sia sotto il profilo
tecnico, sia dell’esecuzione, con strutture di servizio in grado di renderla
competitiva sul mercato e nei confronti del sistema creditizio.
Dentro
questo progetto possiamo anche spendere le potenzialità degli enti paritetici,
in particolare quello della formazione, definendo un sistema che va dall’ingresso
nel settore alla certificazione professionale dei vari passaggi nella vita
lavorativa del lavoratore.
Questo
sistema formativo deve essere intrecciato con il mercato del lavoro in cui
tutti i soggetti coinvolti, in particolare quello pubblico, devono aiutare una
politica d'incentivazione di settore.
Il compagno Cofferati concludeva il Convegno
sul cantiere-qualità proponendo un sistema di decontribuzione per aiutare
l’impresa a qualificarsi.
Certo
anche qui non servono politiche decontributive generaliste pensando che possa
competere con il Caporale, ma per essere efficaci occorre ragionare su un
sistema decontributivo, sulle qualifiche d’ingresso, quelle più basse e legarle
ad uno sviluppo professionale della carriera di un lavoratore
Anche
le imprese dovrebbero pensare a percorsi formativi d’ingresso; oggi a causa
dello scarso capitale di investimento si può diventare imprenditore edile dalla
sera alla mattina, il capitale poi tanto lo si trova a Viale Palmiro Togliatti.
Non
siamo contro il diritto di chiunque di intraprendere la carriera di
imprenditore; siamo contro una imprenditoria dello sfruttamento in un Paese in
cui ci sono 50.000 imprese contro una media europea di 5.000 per Paese.
Queste
proposte sulla Formazione sono contenute in un documento consegnato unitariamente un anno fa all’ACER da cui
abbiamo avuto risposte ironiche.
L’Assessore provinciale al Lavoro, titolare dopo la riforma delle
politiche per il lavoro, ha mostrato ampia disponibilità a parole, perché è
quasi un anno che abbiamo chiesto un tavolo di confronto senza avere risposte.
Oggi
alla Cassa Edile di Roma soltanto quattro imprese hanno più di 100 addetti e
soltanto 18 più di 50, su un totale di 4.000 circa. Di cui tre sono Consorzi
destinati allo scioglimento con la fine dell’opera che stanno realizzando.
La
domanda che poniamo al mondo imprenditoriale è:
“Qual'
è il collante che può dar forza ad una politica per il settore?”.
Non
può essere certamente quello che l’ANCE ha posto sul tavolo contrattuale
nazionale, la flessibilità, per abbattere i costi in modo generalizzato e
generalista, secondo noi con una miopia politica autodistruttiva preoccupante.
Cancellare
la struttura contrattuale che ci siamo dati da anni nel settore, imperniata
sulla mutualità, disconoscere unilateralmente le regole che stanno dentro agli
accordi liberamente sottoscritti; non si crea un danno solo ai lavoratori, non
si fa un buon servizio al settore.
Nella
provincia di Roma dalla fine del ’97 ad oggi l’inflazione è aumentata più del
14% ed i salari poco più del 10% con una perdita secca del 4% sul potere di
acquisto. Figuriamoci cosa è successo
nelle altre province!
In
questi giorni la trattativa è ripartita anche grazie alla riuscita delle
iniziative di lotta degli edili che si è sviluppata nel Paese e che è andata
oltre le nostre previsioni.
Il
29 novembre scorso, a Roma, la manifestazione davanti all’ACER ci ha
fatto capire la voglia dei lavoratori di questo settore di essere protagonisti
sulle scelte contrattuali che li riguardano, in particolare sul contratto
integrativo, considerato da sempre il livello contrattuale più sensibile; non è
un caso che nell’Edilizia, insieme
all’Agricoltura, prima sono nati i patti provinciali e poi è arrivato il Contratto
Nazionale.
In
questi anni nel Lazio, come FILLEA, ma credo che sia patrimonio unitario, ci
siamo opposti ad una logica dell’occupazione pur che sia, nella logica
imprenditoriale: dateci i soldi per i lavori che poi a farvi lavorare ci
pensiamo noi.
Abbiamo
sempre chiesto lavoro e diritti nella consapevolezza che il lavoro senza
diritti potrà aiutare a sopravvivere, ma non produce ricchezza; non c’è
stato progetto di lavoro dove non abbiamo preteso accordi sulle regole e
trasparenza. L’Osservatorio dei
LL.PP. con il Comune di Roma, la Regione, lo IACP con i Prefetti nelle province
sulla lotta al lavoro nero.
Questi
accordi relazionali non sempre hanno prodotto risultati positivi per uno scarto
fra quanto scritto e quello che si è attuato; oggi è maturo il tempo per fare
un salto di qualità e puntare su una priorità che è il documento unico di
regolarità dove in altre parti d’Italia ha dato risultati positivi.
Lo strumento che ha più potenzialità è
l’Osservatorio con il Comune di Roma che può essere utilizzato anche per
monitorare l’edilizia privata, però necessita di un nuovo impulso; il confronto con l’Assessore D’Alessandro deve
andare verso una stretta, sia sul metodo di lavoro sia sulla strutturazione
organica. Abbiamo sperimentato quanto è difficile far capire alla burocrazia
che la legislazione sugli appalti
pubblici va fatta rispettare, forse è
venuto il momento che qualche dirigente sia costretto a comprenderlo anche con
le cattive maniere.
Il Comune di Roma sta definendo un Nuovo Piano Regolatore ed il
contributo che stiamo cercando di portare, insieme alla CGIL ed agli altri Sindacati è quello di prestare attenzione a
due aspetti:
1) occorre una normativa che faciliti la manutenzione ed il recupero
su larga scala, che consenta si coinvolgere interi quartieri su programmi
integrati, in grado di dare più vivibilità alla città, ma
anche sicurezza.
I crolli di Vigna Jacobini e la
tragica esplosione di Via Ventotene non sono fatti isolati, sono delle spie
rosse accese che richiedono risposte programmate: il Fascicolo del Fabbricato, la Carta del Sottosuolo,
non come atti burocratici ma come strumenti per attivare una politica della
manutenzione reale a Roma, come in altri Centri piccoli e grandi della nostra
Regione;
2) un Piano Regolatore come quello di Roma, rispettoso dei parametri
statistici scientifici, deve comunque rifuggire dalla scorciatoia del blocco
edificatorio perché questo, è dimostrato, non è efficace per combattere
l’abusivismo ma anzi lo alimenta.
Con
l’Assessorato regionale ai LL.PP. della Regione il tempo perso è molto, stiamo
in questi giorni cercando di stringere una trattativa individuando nelle nebbie
delle promesse elettorali quali sono veramente le opere finanziabili con un
accordo di programma fra Regione e
Governo.
La
preoccupazione che abbiamo è quella che si continui a fare la politica degli
annunci, anteponendola a quella del realizzare e, quindi, la Pontina non si
ammoderna, si fa un bando europeo sullo studio di fattibilità, sui collegamenti
trasversali si fanno i progetti,
intanto però i finanziamenti per il completamento della 3^ corsia del Grande
Raccordo Anulare sono stati spesi in Piemonte,
per la trasversale ORTE-VITERBO-CIVITAVECCHIA i finanziamenti sono
inutilizzati.
Abbiamo
l’impressione che sia più semplice fare propaganda con pochi soldi facendoli
girare come le truppe di Mussolini, che seguire la politica dei piccoli passi
ed utilizzare i finanziamenti impegnati.
Il
Presidente dell’ACER più volte ci ha invitato a misurarci sulla politica del
“fare”, noi siamo d’accordo e lo abbiamo dimostrato sottoscrivendo con tutte le
Associazioni imprenditoriali del settore e le Confederazioni sindacali Cgil –
Cisl –Uil una richiesta al Sindaco del Comune di Roma ed al Presidente della
Regione per aprire un tavolo di confronto unico per evitare che le contrapposizioni
istituzionali vadano a deprimento delle opere da realizzare. Con altrettanta franchezza ci aspettiamo una
loro disponibilità a confrontarsi nel merito delle regole per il rispetto delle
norme contrattuali e di legge, sulla sicurezza e contro il lavoro nero.
In
occasione del tradizionale”attivo” di fine anno che terremo il pomeriggio del
21 di questo mese, cui ha garantito la presenza il Sindaco di Roma e che sarà
concluso dal Vice Segretario Nazionale della CGIL Guglielmo Epifani,
presenteremo un rapporto sullo stato del settore edile del Lazio, rapportandolo
con gli andamenti nazionali.
Ragionando
sui primi dati emerge un quadro che ci fa riflettere, in particolare, su quelli
di Roma perché in controtendenza con quelli delle altre province del Lazio.
Il
primo è di ordine strutturale: se incrociamo i
dati occupazionali dell’ISTAT, dell’INPS e delle Casse Edili, lo scarto fra la Cassa Edile e gli altri
Istituti era maggiore nel ’98, durante i lavori giubilari, che nel 2000.
Infatti, nel 2000, alla Cassa Edile risulta una tenuta occupazionale in presenza di minori occasioni di lavoro;
può anche darsi che ci sia uno sviluppo maggiore dell’Edilizia privata, ma
crediamo che in parte sia il frutto di un lavoro messo in campo durante il
Giubileo e che oggi sta dando i risultati, sul fronte contrattuale, sulla
prevenzione e sui controlli.
Il
secondo particolare riguarda la crescita che segnala alcune contraddizioni da
tenere presente.
Fra
il 1997 ed il 2001 in Italia la crescita occupazionale è stata del 7%, nel
Lazio il 5,9%; il rapporto fra imprese cessate e le nuove iscritte – sempre
nello stesso periodo in Italia – sono stati dello 0,1% in più. Nel Lazio 0,06%
in meno.
L’incremento
degli importi di gara pubblicati in Italia – sempre nello stesso periodo
1997/2001 – è stato dell’11,9%, nel Lazio del 37% ma incide il fattore
giubileo, all’incirca per il 30%.
La
variazione dei prezzi medi di vendita degli immobili residenziali a Roma, è
stata del 17,7% seguita da Viterbo con il 16,5%; per le altre province
l’aumento si aggira intorno al 10%.
L’aumento
dei prezzi immobiliari non legati ad una manutenzione straordinaria e, quindi,
di aumento reale del valore della qualità dell’immobile, rischia di diventare
una speculazione.
Questi sommari dati ci dicono quanto sia
importante la programmazione dei lavori ed il rispetto dei tempi.
Nel
Lazio per il periodo 2000/2003 era previsto l’avviamento di lavori pubblici su
finanziamenti nazionali per 10.296 miliardi e, quindi, era ipotizzabile una
tenuta occupazionale sui livelli del periodo giubilare; il rispetto dei tempi,
purtroppo, non sta avvenendo e quindi gli effetti sul settore potrebbero con
il passare dei mesi non essere
positivi.
Per
evitare questi problemi occorre una programmazione triennale dei due maggiori
enti istituzionali, il Comune di Roma e
la Regione, sancita con un
accordo-quadro di programma che eviti lotte politiche che andrebbero combattute
su altri terreni.
Un
appello alla Regione ci sentiamo di farlo sui programmi di recupero urbano,
meglio conosciuti come art. 11 che ormai da sei anni viaggiano su un iter
autorizzativo contorto fra Consiglio Comunale e Regione.
Questi
sono programmi a finanziamento pubblico-privato ed hanno un equilibrio
finanziario complesso; la funzione della Regione è quella di controllare la
rispondenza agli strumenti urbanistici e non di entrare nel merito delle scelte
perché altrimenti il cerchio non si chiuderà mai ed oltre tremila miliardi
d'investimenti andranno in fumo.
Riteniamo
utile proporre, come FILLEA CGIL, a
metà del prossimo anno una conferenza di produzione del settore delle
costruzioni nel Lazio, come avevamo detto nel ’98.
L’attività
sindacale nella nostra Regione non è solo Edilizia; gli addetti al settore dei materiali industriali sono circa 20
mila in tutto il territorio regionale e
per l’80% si tratta di imprese di
piccolissima dimensione.
I
processi di ristrutturazione che sono intervenuti negli ultimi anni hanno
lasciato il segno soprattutto nel settore del legno; negli esempi negativi
rientra la decisione dell’ITALCEMENTI di chiudere il centro di produzione di
Civitavecchia, mentre i poli cementiferi di Guidonia e Colleferro tengono e si
preannunciano dei forti investimenti per la produzione energetica con
l’utilizzo dello smaltimento dei rifiuti.
Importante
è il lavoro che abbiamo svolto sul 2° livello contrattuale nei settori degli
impianti fissi e sono serviti anche a governare i processi di cambio
generazionale della forza lavoro.
Aldilà
del consolidamento della contrattazione aziendale in molte fabbriche del
Frusinate, della Provincia di Latina e
Viterbo, occorre sottolineare il consolidamento della contrattazione
territoriale del settore lapideo con la Federlazio e con la Confindustria.
Questi accordi ci hanno portato a rafforzare
anche le iniziative sulle politiche di settore:
e' recente l’accordo concertativo sulla
sicurezza del bacino di Tivoli con i Comuni, i servizi ispettivi della ASL,
l’Ispettorato del lavoro e l’Associazione imprenditoriale.
Questi
accordi ci hanno consentito di ragionare anche intorno alla legge regionale
sulle cave; come FILLEA riteniamo che la legge del ’90 abbia esaurito la
funzione, per questo ormai stiamo assistendo a continui strappi alla parte
normativa di quella legge che non dà più certezza del diritto, e quello che è
peggio, alimenta pratiche e “praticanti” al di fuori del circuito di
legittimità. Il Consiglio regionale, ad ogni seduta, è impegnato nell’approvazione di qualche autorizzazione di nuova
apertura o allargamento senza sapere su quali criteri ciò avviene.
E’ assurdo che il Consiglio Regionale sia
chiamato ad un lavoro simile, occorre dare una priorità alla definizione dei
piani stralcio o piani di bacino.
In
questi giorni è stata approvata dal
Consiglio Regionale la legge sui distretti industriali; crediamo che almeno tre
aree, fra distretti e sistemi produttivi, della nostra Regione possano essere
interessate: il travertino, il coreno Ausonio di Frosinone ed il peperino di
Viterbo.
Approvata
la legge occorre darle attuazione, si aprirà una gara di competizione fra
settori e territori non sempre lineare; dobbiamo chiedere procedure premianti a
chi si presenta come sistema perché la logica dei Distretti è questa e non
l’assistenza.
La
situazione del lapideo da alcuni anni vive
una stagione importante con una penetrazione sui mercati forti come
quello americano e tedesco, c’è una ripresa anche del tufo che nella nostra
Regione ha una storia. Ci auguriamo che
la stagione di relazioni tra le parti che abbiamo aperto in questi ultimi anni
non debba vanificarsi per rincorrere il modello relazionale confindustriale.
La FILLEA CGIL di Roma/Lazio in questi anni,
in un rapporto unitario non facile ma proficuo, ha cercato di percorrere una
strada contrattuale che, ferme restando le linee generali, ha provato ad
arricchire quelle che sono le linee base.
Per quanto riguarda l’edilizia abbiamo
definito accordi sull’incentivazione alla regolarità con il protocollo minimo
sulla sicurezza firmato con l’ACER a Roma, ma anche le altre province su questi
aspetti si sono misurate.
L’inquadramento del lavoro sul restauro ed i
lavori sugli scavi archeologici nel contratto nazionale sono stati possibili,
grazie al lavoro iniziato su questo territorio.
L’accordo territoriale sugli edili marittimi
è in scadenza al fine anno ed è stato un altro terreno sul quale ci siano
misurati.
Questioni non costruite a tavolino, ma
frutto di una inziativa vera, di una battaglia fatta con i lavoratori
interessati.
Spesso ci sono nicchie di mercato come nel
restauro, dove in nome dell’eccellenza si consumano veri e propri abusi nei
confronti dei lavoratori. In tanti ci
hanno consigliato di occuparci di altro, ma questo consiglio non l’abbiamo
accettato perché non accettiamo compromessi, quando si tiene un lavoratore o
una lavoratrice al nero o con una
retribuzione di 10 mila lire orarie.
Siamo stati da pungolo continuo con le
istituzioni locali e la Regione, come da ultimo per l’insediamento della
Commissione d’indagine del Consiglio Regionale sulla sicurezza nei luoghi di
lavoro, una decisione nata nel rapporto con rappresentanti del Consiglio più
sensibili, che oggi ci consentirà di proporre i problemi che per anni abbiamo rappresentato alla Regione con
scarsi risultati:
1)
Monitoraggio della spesa per i servizi di controllo
e prevenzione distinta dal Fondo sanitario, con l’adeguamento il più vicino
possibile a quello previsto dalla legge che è il 6% ed invece oggi la Regione
spende l’1,5%;
2)
Costituzione di un Dipartimento apposito, un
Coordinamento Regionale e per ogni singola provincia dei Responsabili dei
servizi sulla sicurezza e sul controllo della regolarità del lavoro;
3)
Dare priorità d’intervento al settore edile e delle
cave
Per
quanto ci riguarda daremo la nostra disponibilità a collaborare ma vigileremo
anche contro i tentativi d’insabbiamento che ci saranno.
Un
patrimonio, quello che abbiamo costruito, da difendere ed estendere che è al
servizio del settore, ed è per questo che rinnoviamo l’invito alle Associazioni
imprenditoriali a non assumere atteggiamenti non pregiudizievoli per non
vanificare un lavoro utile ai lavoratori ma anche alle imprese.
Naturalmente
un'Organizzazione Sindacale, per difendere il giusto, deve essere in grado di
dare dinamicità alle iniziative e, quindi, essere capace di leggere i mutamenti
ed adeguarsi per difendere e costruire.
Un
Congresso come il nostro deve interrogarsi se la nostra
organizzazione è adeguata alle sfide che ha davanti; crediamo che in questi
anni non sia venuta meno la capacità della struttura di stare sui problemi,
cercando di leggere le dinamiche dei processi: penso, ad esempio, ai lavori di
ristrutturazione delle aziende a Partecipazione Statale.
3.500
lavoratori che si sono visti rimettere in discussione la loro aspettativa di
vita, un lungo percorso ancora non ultimato, dove abbiamo lavorato sugli
strumenti di sostegno al reddito – per la prima volta utilizzati nel settore -
i progetti di utilizzo di questi lavoratori ed il consolidamento occupazionale;
non tutto è andato bene ma abbiamo più di qualche esempio da portare in
positivo.
Il
percorso congressuale ci consegna una priorità da affrontare: il rafforzamento
della nostra rappresentanza sul territorio e nei luoghi di lavoro. Ci sono stati circa 400 delegati/e che hanno
partecipato ai Congressi di zona o comprensorio, un patrimonio importante da
valorizzare perché rappresenta il futuro della nostra Federazione.
Il
pericolo da evitare è che quello che abbiamo fatto per questo Congresso lo
rifacciamo fra quattro anni: occorre istituzionalizzare un percorso annuale, da
svolgere in un periodo più breve con regole più leggere, ma in ogni caso con
regole definite in cui si fa la verifica del lavoro svolto e si programmano le
scelte per il futuro. Sarà un lavoro
impegnativo , ma sicuramente gratificante per il gruppo dirigente.
La
richiesta che più spesso ci sentiamo rivolgere è “Non lasciateci soli”. In queste tre parole c’è racchiusa tutta la
preoccupazione di chi stando sul fronte deve respingere il grave attacco che
viene dal mondo imprenditoriale, di voler marginalizzare l’apporto del
Sindacato nell’organizzazione del lavoro; così facendo i Rappresentanti
Sindacali . diventano una sorta di cuscinetto fra un Sindacato diviso, a volte
disattento, e la forte richiesta di
difesa dei diritti che viene da parte dei lavoratori.
Dobbiamo
essere in grado di mettere in campo una massiccia dose di formazione sindacale,
servizi efficienti, ma soprattutto la nostra capacità di presenza e di saper
organizzare la pratica contrattuale.
La
FILLEA Nazionale ha fatto una scommessa sui giovani per il Gruppo dirigente
futuro, lanciando una leva under 30 dal forte valore simbolico, un ricambio
generazionale di cui la CGIL ha necessità anche per stare in sintonia in questa fase in cui i giovani si riaffacciano
sullo scenario sociale.
In
preparazione di questo Congresso abbiamo voluto fare un sondaggio sul corpo più
consistente della nostra rappresentanza, gli operai edili, per cercare di
capire lo status sociale e le loro attese.
Un dato su tutti emerge: l’orgoglioso senso di “appartenenza”.
Pensavamo
che, andata in pensione la generazione delle lotte di Piazza SS. Apostoli,
questo senso di “appartenenza” si fosse di molto affievolito ma evidentemente
non è così. Naturalmente emergono anche
altri dati, fra i più preoccupanti c’è quello che a fronte di nuclei familiari
plurimi si ha una situazione di monoreddito, il che significa vivere sulla
soglia della povertà; di qui la necessità di sviluppare una politica
contrattuale a sostegno della mutualità e delle prestazioni integrative.
A
questa ricerca vogliamo dare dinamicità ripetendola ogni anno per tenere sotto
osservazione gli andamenti.
L’Unità
Sindacale in questi ultimi tempi ha fatto dei passi indietro, non siamo
convinti che i lavoratori apprezzino questa situazione; nella riuscita della
Manifestazione del 29 novembre scorso si percepiva l’apprezzamento dello stare
insieme in un momento difficile. La
CGIL ritiene che per rilanciarla occorrerà ripartire dai Diritti e l’obiettivo deve essere quello di
ricostruire un rapporto unitario cercando convergenze sul piano del merito; per
diritti intendiamo quelli delle persone, dei lavoratori e dei cittadini.
Oggi
si va verso regole condivise nel mondo per governare la globalizzazione ed il
Mercato, ma questo non può avvenire senza un riconoscimento formale e
sostanziale dei diritti delle persone: senza ciò non ci sarebbero più attività
efficaci della Rappresentanza sociale.
La Democrazia formale è un collante
decisivo: provate a pensare cosa può succedere in un posto di lavoro, in un
settore, dove due Organizzazioni Sindacali che hanno una rappresentanza del 10%
firmano un accordo che, poi, deve valere anche per l’altro 90% senza
possibilità di decisione da parte di
questi lavoratori, crediamo che così facendo il futuro del Sindacato
Confederale sarebbe poco roseo.
Perché nel Pubblico Impiego deve esserci una
legge sulla rappresentanza che, oltretutto, ha dato dei risultati positivi per
tutto il Sindacato Confederale e nel settore Privato ne è preclusa
l’applicazione?
Il Rapporto Unitario nel nostro settore,
nella nostra Regione, vive una fase di difficoltà, in parte dovuta alla
situazione generale, in parte tutta interna al settore. Per superarla non sono sufficienti i
richiami reciproci alla collaborazione,
occorre concordare alcuni punti più caldi e su questi aprire una
discussione che coinvolga i gruppi dirigenti ai vari livelli; noi ci
permettiamo di indicare alcuni di questi punti: il ruolo degli enti paritetici
in rapporto alla contrattazione, alla politica di settore, al coordinamento delle politiche contrattuali
di secondo livello degli impianti fissi, le regole sul proselitismo.
Se non attiviamo un percorso di discussione,
il rischio che si corre è che si affermi la convinzione che ognuno possa fare
da solo e non bastano più i buoni rapporti dei segretari generali.
La CGIL in questo Congresso ha fatto una
scelta di non discutere di questioni di ingegneria organizzativa per evitare di
fare un minestrone dove ogni struttura trova la sua soluzione, ma è evidente
che finito il Congresso il problema deve essere ripreso in particolare per i
servizi .
La strada percorsa a Roma e nel Lazio è una
soluzione che ha allontanato queste strutture dalle politiche contrattuali
delle categorie, senza migliorare il servizio ai lavoratori, naturalmente
esistono anche esperienze positive ma sono molto inferiori di quelle
negative. Ma è sempre più evidente,
anche in questo percorso congressuale, un tentativo non so quanto involontario, di marginalizzare le Categorie.
Quest'assise congressuale si tiene in una
fase particolarmente turbolenta, da punto di vista contrattuale, politico,
delle modifiche dello stato sociale. In
alcuni momenti si è rischiato, e presumo che si rischierà, di perdere il filo
rosso che lega tutti i passaggi.
La nostra discussione e conta interna in
alcuni momenti ha rischiato di finire sopra le righe. Ora è venuto il momento di non deludere le migliaia di lavoratori
che hanno partecipato alla discussione, dobbiamo seguire con attenzione i 400
Delegati che hanno partecipato ai Congressi, sono il nostro radicamento, quelli
che impediranno al vento di spazzare via il diritto alla solidarietà tra
lavoratori, allo stare insieme per non lasciare solo l’individuo.
Innaffiamo queste radici e vedrete che i
risultati non mancheranno.