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Commento di Mara Nardini alla bozza di Testo Unico sulla sicurezza, predisposto dal Governo in attuazione della delega prevista dalla Legge di semplificazione 2003.

 

 

La bozza di Testo unico, in attuazione della delega conferita al Governo dall’art.3 della legge di semplificazione 2003, è un testo non ufficiale, attualmente al concerto legislativo con gli altri Ministeri interessati; nell’incontro avvenuto il 27 ottobre con 38 organizzazioni datoriali e sindacali, fra cui Cgil, Cisl e Uil, il Sottosegretario Sacconi si è limitato ad illustrare le linee guida del provvedimento, aprendo una fase di consultazioni informali. La consultazione formale avverrà appena il provvedimento sarà approvato dal Consiglio dei Ministri in prima lettura.

Intanto possiamo fare alcune prime considerazioni.

L’operazione è molto ampia. Riguarda la gran parte della normativa sulla sicurezza e sono esclusi solo alcuni settori particolari con normative specifiche, fra cui le cave. Sono ricompresi i cantieri temporanei e mobili.

Non vi è corrispondenza fra la relazione e il testo: nella relazione vi sono enunciazioni di principio che non corrispondono spesso al merito del provvedimento, che, tra l’altro, nelle sue parti sembra scritto da mani diverse.

 

Il T.U. non è una riunificazione e razionalizzazione della normativa esistente, ma spesso è una sua riscrittura. In particolare sono state riunificate molte direttive comunitarie, a partire dalla “direttiva quadro” e dalle direttive collegate, che in Italia hanno dato luogo alla 626, attraverso un loro nuovo recepimento (con l’approvazione del T.U. la 626 sarà abrogata). Ciò consente di mantenere a livello normativo i contenuti delle Direttive (operazione indispensabile, pena la condanna da parte della Corte di Giustizia della U.E.), mentre sono derubricati a norme di buone tecnica o a norme di buone prassi i contenuti derivanti dalla maggior parte della normativa previgente alla 626.

Va osservato che le Direttive prevedono requisiti minimi di salute e sicurezza, rispetto ai quali gli Stati membri possono andare oltre, tanto più se la normativa previgente è più tutelante. In altri termini le Direttive in materia di salute e sicurezza non vanno prese a pretesto per un abbassamento delle tutele. Ora invece i requisiti minimi diventano spesso il tetto massimo.

Le leggi emanate prima della 626 e tutt’ora vigenti: il Dpr.547/56 (norme antinfortunistiche), il Dpr.164/56 (prevenzione degli infortuni nelle costruzioni), ecc. con l’approvazione del T.U. sono abrogate o, per le parti ritenute ancora utili, trasformate in norme di buona tecnica o in buone prassi; pertanto, anche le parti non abrogate, da norme obbligatorie e sanzionate penalmente, diventano norme volontarie. In questo modo è operata una vasta delegificazione e depenalizzazione, che si traduce in una estesa deresponsabilizzazione dei datori di lavoro.

Depenalizzazione particolarmente incisiva per l’edilizia, perché il Dpr.164/56 risulta la norma rispetto alla quale vengono rilevate dagli Organi di vigilanza le violazioni più numerose e più gravi nei cantieri (per fare alcuni esempi, tratta di misure di sicurezza per gli scavi o per i ponteggi, per prevenire il rischio di seppellimento o di caduta dall’alto).

Tra l’altro questa vasta depenalizzazione non è prevista dalla stessa legge–delega, che fa riferimento alla adozione di sanzioni amministrative esclusivamente per gli adempimenti di carattere documentale, e sembra rappresentare, quindi, un caso di eccesso di delega.

Le norme di buona tecnica sono “specifiche tecniche di prodotto” adottate da Enti di Normazione, relative agli aspetti di sicurezza dei cittadini, alla tutela dei consumatori e alla tutela dell’ambiente; per statuto e per loro natura sono esclusivamente norme volontarie e rappresentano una delle possibili vie per ottenere la marcatura CEE dei prodotti; non sono previste dalle Direttive su salute e sicurezza, la loro funzione a livello comunitario è svolta nei confronti dei costruttori di beni perché i loro prodotti possano liberamente circolare nel Mercato europeo.

Invece nella bozza di T.U. si opera un’inaccettabile connessione fra i due aspetti, perché si dichiara che, se si rispettano le norme di buona tecnica, si rispettano le Direttive di salute e sicurezza. Per esempio, là dove si stabiliscono i requisiti di sicurezza e salute dei luoghi di lavoro, si afferma che i luoghi di lavoro realizzati secondo le norme di buona tecnica, si considerano rispondenti a tali requisiti.

Il T.U. prevede inoltre che gli organi di vigilanza possano imporre il rispetto delle norme di buona tecnica o delle buone prassi mediante una Disposizione.

La Disposizione è un potere degli ispettori previsto dall’art.10 DPR 520/55 e, almeno fin’ora, caduto in disuso, perché la riforma operata con il Dlgs.758/94 (che ha introdotto l’istituto della prescrizione, molto più efficace) lo ha reso superfluo.

Avverso la Disposizione può essere presentato ricorso per via gerarchica entro 30 giorni, con eventuale sospensione della disposizione. (Ciò significa che, se l’intervento è operato dalle ASL, il ricorso va presentato al Presidente della Giunta regionale). L’inosservanza della disposizione comporta l’arresto da 3 a 6 mesi e l’ammenda da 3000 a 5000 Euro.

Viene previsto, in altri termini, un meccanismo di grande discrezionalità, perché comportamenti non sanzionati per la generalità degli imprenditori potrebbero, nella libera valutazione degli Ispettori, essere imposti a datori di lavoro, pena la irrogazione di sanzioni penali.

Un meccanismo che causerà una moltiplicazione degli infortuni (pensiamo ai cantieri), visto che la gran parte della normative sono derubricate a norme volontarie per la generalità degli imprenditori, i quali saranno costretti ad applicarle solo se e quando (ogni quanti anni ?) vi è un intervento degli ispettori.

Inoltre questa trasformazione in norme volontarie delle legislazione sulla sicurezza ante 626 ha l’effetto, non solo di una mancata deterrenza rispetto all’applicazione di misure preventive, ma anche quello di far venire meno il suo carattere di vincolo tecnico comportamentale nella valutazione dei rischi e nell’obbligo di rimuovere i rischi.

Nella sostanza vi è un’ampia depenalizzazione per il reato della messa in pericolo delle persone, operata non intervenendo sul codice penale, ma indirettamente. Ciò che sembra restare sono le sanzioni penali che scattano se c’è un infortunio, perché non sono modificate le sanzioni per il reato di lesioni colpose e per omicidio colposo. In un certo senso questo fa nascere ulteriori preoccupazioni, perché potrebbe incentivare l’imbarbarimento in atto nei cantieri, verificatosi in occasione di alcuni infortuni, e i tentativi di occultare l’avvenuto infortunio, ai fini di completare il cerchio dell’impunità.

Un altro rilevante intervento operato con il T.U. consiste nell’alleggerimento degli obblighi delle imprese, nella sottrazione e spostamento di responsabilità del datore di lavoro verso soggetti da lui delegabili (dirigenti), insieme ad una riduzione degli obblighi sanzionabili a carico dei preposti, cioè della deresponsabilizzazione del soggetto della gerarchia aziendale che è a diretto contatto dei lavoratori, figura centrale per far rispettare le misure di sicurezza.

L’alleggerimento più importante per i datori di lavoro è di tipo qualitativo, perché cade il principio generale dell’obbligo di ricorrere alla massima sicurezza tecnologicamente fattibile, previsto dall’art.2087 del Codice Civile e ripreso dalla 626, sostituito, più limitatamente, con il riferimento a misure … concretamente attuabili nei diversi settori e lavorazioni “in quanto generalmente utilizzate” (una specie di standard medio). Questo punto, a prima vista, sembra configgere con la Carta Costituzionale, che configura il bene della salute come diritto fondamentale, primario e assoluto, dell’individuo, diritto che esclude qualunque possibilità di compromesso con valori di rango inevitabilmente inferiore, come le esigenze organizzative dell’impresa o le logiche di mercato.

Per le imprese vengono meno, come indicato precedentemente, molti riferimenti normativi per la valutazione dei rischi, e viene data autonomia al datore di lavoro nel decidere i criteri di redazione del documento, a partire dai criteri di semplicità, brevità e comprensibilità; per le aziende industriali e artigiane fino a 50 dipendenti il Documento di valutazione dei rischi può essere redatto in forma ulteriormente semplificata.

Il commento contenuto nella bozza di T.U. aggiunge che va evitato che le notizie contenute nel documento vengano assunte, di per se, quali elementi di prova ai fini sanzionatori. ( Pertanto documenti di valutazione dei rischi inesatti, incompleti o insufficienti non dovrebbero, di per se, essere presi in considerazione ai fini probatori).

L’organo di vigilanza può prendere solo visione del Documento di valutazione dei rischi.

Tra gli obblighi del datore di lavoro, scompare quello di programmare le misure per rimuovere i rischi; quello di vigilare affinché il medico competente svolga i compiti che la legge gli affida; viene spostato sui preposti quello di informare i lavoratori sui rischi di un pericolo grave e immediato.

Il numero dei lavoratori per lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di Responsabile del Servizio di prevenzione e protezione viene elevato da 30 a 50 per le aziende artigiane e industriali e le stesse sono esentate dalla riunione periodica (98% delle aziende).

Dal computo dei lavoratori sono escluse molte delle nuove tipologie di lavoro.

Vi è una diminuzione dei poteri dei Rappresentati dei lavoratori per la sicurezza.

Scompare l’accesso e la consegna del Documento di valutazione dei rischi; anzi, questa viene del tutto esclusa, contrariamente a quanto stabilito dalla Circolare del Ministero del Lavoro n. 40/2000. Cade anche l’accesso al registro infortuni. Scompare il diritto dell’RLS di richiedere, nelle piccole aziende, la riunione periodica; cade il diritto alla consultazione sulla formazione dei lavoratori; l’RLS è tenuto al rispetto del segreto industriale per quanto riguarda la valutazione dei rischi.

Per gli enti bilaterali vi è un accrescimento di compiti e funzioni, e viene configurato, di fatto, un loro ruolo sostitutivo della vigilanza pubblica.

Nelle aziende fino a 100 dipendenti, a richiesta dei datori di lavoro, possono effettuare sopraluoghi finalizzati a verificare l’applicazione delle norme di salute e sicurezza e rilasciare la relativa certificazione.

Gli organi di vigilanza debbono tener conto di tali certificazioni ai fini della programmazione delle attività di vigilanza.

Siamo di fronte ad un’inversione di impostazione del criterio di partecipazione cui sono ispirate le direttive comunitarie, basato innanzitutto sul coinvolgimento dei lavoratori e dei loro rappresentanti e sulla centralità del luogo di lavoro. Il T.U. capovolge questa priorità, e mentre riduce i poteri e funzioni del RLS, prevede un accrescimento di compiti per gli enti bilaterali.

Se fossero mai esercitate, le funzioni sostitutive su indicate susciterebbero a carico degli Enti bilaterali un evidente conflitto di interessi fra controllore e controllato e scaricherebbero sul sistema bilaterale i costi di una mancata vigilanza pubblica. Inoltre, nel caso di infortunio in un’impresa certificata, si aprirebbero pesanti interrogativi sul terreno delle responsabilità, comprese quelle di carattere etico.

Per quanto riguarda gli aspetti istituzionali, va rilevato che vi è una riduzione del ruolo delle Regioni, una mancanza di sedi di coordinamento, in quanto vengono aboliti i Comitati Regionali di coordinamento fra tutti i soggetti competenti in materia di sicurezza (previsti dall’art.27 della 626), vi è una centralizzazione del controllo sulla materia in capo al Ministero del Lavoro, al quale vengono convogliate anche nuove risorse attraverso il conferimento del 20% della sanzioni.

La normativa specifica relativa ai cantieri temporanei e mobili viene inserita nel T.U., ma la trasformazione in norme volontarie della maggior parte della legilazione ante 626, con conseguente deresponsabilizzazione delle imprese, ne fa una costruzione privata delle fondamenta.

Come se questo non bastasse, ci sono ulteriori aspetti che meritano di essere citati: nell’allegato IV del T.U. sono indicate le “prescrizioni minime di sicurezza e salute per i cantieri” e qui sono stati tra l’altro inseriti una parte degli allegati del Dlgs.494, concernenti obblighi precisi, relativi ai posti di lavoro all’interno (pavimenti, illuminazione, stabilità, ventilazione, porte, ecc.) e all’esterno (posti di lavoro in elevazione o in profondità, loro stabilità, scavi, pozzi, gallerie, lavori sui tetti, ecc.). Questi precisi obblighi sono stati trasformati, attraverso un premessa all’allegato, in misure opzionali, che“ si applicano ogni qualvolta le caratteristiche del cantiere o dell’attività, le circostanze o un rischio lo richiedono”. In altri termini, viene data mano libera anche rispetto ai residui vincoli derivanti dalle Direttive comunitarie e, per questo, non derubricabili a norme volontarie.

La spinta deregolamentatrice non ha risparmiato neppure provvedimenti appena emanati, come il caso del Dlgs.235/03 (emanato poco più di un anno fa per recepire la Direttiva 2001/45 per l’uso delle attrezzature per l’esecuzione di lavori temporanei in quota); il provvedimento, con l’inserimento nel T.U., vede scomparire una serie di adempimenti che, evidentemente, risultavano in contrasto con la nuova filosofia “di una sicurezza non per regole, ma per obiettivi”. Una vera rete di sicurezza contro le cadute dall’alto!

 

 

Roma, 11 novembre 2004

                                                                                     

Mara Nardini, Segretario Nazionale Fillea Cgil

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