Dai forza al lavoro e certezza ai diritti
Attivo nazionale Fillea-CGIL – Roma,
11 giugno 2002
La situazione sindacale nella quale ci troviamo e soprattutto la concomitanza con la convocazione del Comitato Direttivo Nazionale della CGIL ci hanno imposto di rimodulare l’iniziativa, prevedendone uno svolgimento più ridotto ma ugualmente significativo, per il suo valore simbolico e per il contributo che Cofferati ci darà.
Questo obiettivo lo abbiamo invece raggiunto e
superato con la chiusura del tesseramento 2001 e ci è sembrato giusto
festeggiarlo perché in esso è contenuto il lavoro difficile e faticoso di tutti
voi, delle strutture che rappresentate e delle decine e centinaia di nostri
militanti nei luoghi di lavoro.
Lo festeggiamo sapendo che la situazione sindacale
nella quale ci troviamo non è forse la più adatta alla festa, ma questo nostro
appuntamento vale anche per imprimere all’impegno che ci attende nei prossimi
giorni e nelle prossime settimane la necessaria fiducia, la fiducia verso noi
stessi, verso la forza che rappresentiamo, che è forza dei numeri, delle idee e
del lavoro che sono alla base del consenso che raccogliamo e che ci ha
consentito di essere oggi più di 300.000 iscritti.
Abbiamo voluto che il nostro Segretario Generale
Sergio Cofferati fosse qui con noi a festeggiare questo risultato (e per questo
lo ringraziamo) perché è anche merito suo, merito della CGIL che lui ha
contribuito a costruire nell’opinione delle persone che rappresentiamo e
siccome è probabile che non avremo più molte occasioni per incontrarci, sapendo
che tra qualche giorno egli comincerà a ricevere tanti regali dalla CGIL, noi
vogliamo regalargli questo risultato, questi 300.000 iscritti che sono forse la
testimonianza più tangibile e la garanzia migliore di continuità dell’impegno
che lui ha profuso per fare ancora più forte la CGIL.
Per noi è un regalo importante perché non sfugge a
nessuno quanto sia difficile in questo settore fare 300.000 iscritti, non solo
perché è un settore nel quale la stragrande maggioranza delle imprese occupa
mediamente 3 lavoratori, ma soprattutto per la breve vita che hanno i rapporti
di lavoro, in particolar modo nell’edilizia.
Basti pensare che per fare più di trecentomila
tessere abbiamo dovuto conquistare sessantamila nuovi iscritti. Ogni anno il
20% dei nostri iscritti sono nuovi
iscritti e c’è una sola possibilità di poterli fare, contando sul lavoro
quotidiano di decine e decine di funzionari e militanti nei luoghi di lavoro,
un lavoro massacrante, sopportabile solo con una grande passione per il
sindacato, un grande amore per l’organizzazione che rappresentiamo, una grande
umiltà.
Per questo voglio esprimere il ringraziamento della
Segreteria nazionale a tutte queste compagne e compagni, spesso anonimi, che
hanno reso possibile con il loro lavoro il raggiungimento di un obiettivo che
da tempo era inseguito dalla Fillea e che consolida una inversione di tendenza
che negli ultimi anni accompagna una ripresa del settore importante ma non
automatica condizione di crescita organizzativa. Non c’è niente di automatico
nel nostro lavoro, bisogna crederci e solo questa condizione ha reso possibile
il risultato che oggi festeggiamo.
Con questo risultato la Fillea torna ai livelli
della metà degli anni ’90. Nel ’95 avevamo 305mila iscritti, nel ’94 10mila più
di oggi (317mila) e siccome ci abbiamo preso gusto per quest’anno dobbiamo
proporci di fare il sorpasso anche sul ’94 e se l’anno prossimo ci proponessimo
di fare il sorpasso anche sul ’93 e così via, tra un paio di anni avremo
riportato la Fillea ai livelli in cui era prima della grande crisi, quella
degli anni di Tangentopoli, 350mila iscritti.
Non fatevi venire le vertigini, per noi niente è
impossibile!
Soprattutto avendo a disposizione un trend
produttivo del settore ancora favorevole e con qualche possibilità di rimanerlo
negli anni futuri.
Ma se degli obiettivi se ne occuperanno le strutture
nel mese di luglio, in occasione della consueta verifica, quello che possiamo
dire oggi è che il settore presenta ancora ampi margini di sindacalizzazione,
benchè oggettivamente più difficili che altrove.
I dati del tesseramento rappresentano sempre una
fotografia del settore e della efficacia del nostro lavoro sindacale.
Da questa fotografia emerge che la crescita è
mediamente omogenea per comparti e per aree territoriali, ma emerge anche che
in alcuni comparti, come quello del legno, le potenzialità sono consistenti,
dato il minor tasso di sindacalizzazione.
Può apparire un paradosso, dal momento che si tratta
di comparti prevalentemente caratterizzati da impianti fissi, dove dovrebbe
essere più facile fare sindacato. Ma si sa, noi siamo per le cose più difficili
ed il peso della tradizione, quella che vede nel cantiere mobile dell’edilizia
il cuore della categoria, porta spesso molte strutture a privilegiare il
dispiegamento di energie in quelle realtà produttive, dove la presa deve essere
costante, ininterrotta. Ed è giusto!
Del resto le nostre risorse non sono tali da
immaginare un esercito sconfinato di funzionari. Ecco perché dobbiamo
continuare ad investire sui quadri dirigenti aziendali, in particolare negli
impianti fissi ma non solo, per far crescere una leva di delegati sempre più in
grado di essere punto di riferimento della nostra organizzazione nei luoghi di
lavoro.
L’iscritto alla Fillea, lo sappiamo, per tradizione
è portato a delegare i compiti al funzionario sindacale, questo per le
caratteristiche del settore prevalente, soprattutto quando il processo di
destrutturazione è diventato irreversibile e le imprese sono diventate sempre
più polverizzate.
Ma vi è una nuova leva di giovani lavoratori che può
essere coinvolta nel governo dell’attività sindacale. Lo abbiamo visto
soprattutto nel campo della sicurezza, ma ne abbiamo avuto prova anche nella
fase più recente di mobilitazione.
La presenza dei giovani in questo movimento è stata
una delle caratteristiche principali e tra quelle migliaia e migliaia di
giovani che hanno partecipato alle iniziative di questi mesi –anche del nostro
settore- sicuramente ve ne saranno delle decine disponibili ad estendere quel
loro coinvolgimento anche nell’attività sindacale più diretta.
Bisogna saperli trovare e soprattutto saper
motivarli, offrendo loro anche una prospettiva di crescita culturale dentro la
Fillea, spiegando loro cosa sia il sindacato e quali funzioni la Cgil intenda
svolgere.
Quei trecentomila iscritti devono rappresentare per
noi un grande serbatoio dove attingere per creare una nuova leva di dirigenti
ed ecco perché vogliamo abbinare al lavoro del tesseramento il lancio di un
progetto di formazione sindacale per quadri di base, per giovani dirigenti e per
l’intero gruppo dirigente della Fillea.
Con il metodo che oramai ci siamo dati, quello di
sfogliare il programma di lavoro approvato dalla direzione nazionale dopo il
Congresso, la sessione del Direttivo Nazionale di Luglio potrebbe essere la
sede nella quale approvare questo progetto e renderlo operativo in tutta
l’organizzazione.
Naturalmente è nostra intenzione proporci nuovi
obiettivi di crescita della Fillea.
Non ci consideriamo affatto arrivati perché abbiamo tagliato il traguardo dei 300.000 iscritti
e benché consci delle difficoltà che ogni anno si ripropongono vogliamo
mantenere l’obiettivo del consolidamento e della crescita ulteriore della
nostra forza organizzata.
Questa volta il compito sarà ancora più difficile,
perché alle oggettive difficoltà che ogni giorno sperimentiamo nel settore si
aggiungono quelle che derivano dalla fase politico-sindacale nella quale ci
troviamo.
La domanda che tanti di noi si fanno è se e come sia possibile rifare 300.000
iscritti in questa situazione, con il sindacato e la CGIL
sotto il fuoco di tiro del Governo e della Confindustria!
Ovviamente non è semplice, tanto meno scontato, ma è
possibile. Ma per renderlo possibile non sarà sufficiente moltiplicare gli
sforzi organizzativi, anche se lo faremo. Occorre che il gruppo dirigente della
categoria, che tutto il nostro quadro dirigente nei luoghi di lavoro sia
consapevole e convinto del ruolo svolto dalla CGIL in questa fase. Deve essere
convinto che la causa per la quale ci stiamo battendo è quella giusta ed è giusta
proprio per coloro che vogliamo rappresentare.
Lo slogan che abbiamo scelto per questa iniziativa, dai forza al lavoro e certezza ai diritti,
non contiene un atto di presunzione della nostra organizzazione poichè non
pretendiamo di essere l’unico baluardo della difesa dei diritti di chi lavora e
di chi vorrebbe lavorare.
Però registra un dato di fatto, registra la coerenza
di una organizzazione che considera i diritti delle persone beni indisponibili,
cioè, non disponibili alla costruzione di mediazioni ed equilibri sociali
basati sulla rinuncia o la messa in discussione anche di una sola parte di
questi diritti, creando così delle disuguaglianze lesive della dignità delle
persone e della loro cittadinanza sociale.
La nostra intenzione non è fare più iscritti
coltivando le disgrazie altrui. Non siamo qui ad attendere smottamenti
sindacali di chi –secondo la nostra opinione- difetta di tale coerenza, anche
perché, ammesso che ciò dovesse verificarsi, non è ridistribuendo la
rappresentanza sindacale data che si esce dalla crisi del sindacalismo
confederale.
La nostra intenzione è di fare più iscritti
conquistando alle nostre idee tanti di quei lavoratori e lavoratrici, tanti di
quei giovani la cui condizione di vita e di lavoro è messa a repentaglio dalla
politica del Governo che noi combattiamo e vogliamo convincerli dell’importanza
di uno strumento di lotta e di rappresentanza come è il sindacato, soprattutto
in questa fase.
E se questo vale in generale, in un settore come il
nostro vale ancora di più.
Dobbiamo innanzitutto evidenziare il carattere sindacale della nostra posizione.
C’è un gran dispiegamento di forze della
comunicazione per sottintendere un doppio fine della nostra iniziativa, piegata
in particolarmodo ai disegni politici personali del nostro Segretario, con la
chiara intenzione di far passare il messaggio che dopo l’8 luglio tutto tornerà
alla normalità ed anche la CGIL tornerà all’antico mestiere del trattare sempre
e con tutti.
Vi sarete resi conto che in questa operazione
comunicativa sparisce sistematicamente il merito delle posizioni sindacali,
l’oggetto del contendere, come se –in definitiva- i problemi fossero pressoché
tutti risolti e solo il ruolo innaturale della CGIL impedisse di sancire la
dignitosa conclusione del confronto col Governo.
Nei prossimi giorni ci sentiremo rivolgere centinaia
di volte la stessa domanda, ma perché
continuate o continuiamo a scioperare?
La risposta è semplice, perché se fino a ieri ci
battevamo contro il danno, oggi ci battiamo contro il danno e contro la beffa.
Nessuna delle ragioni che hanno portato nelle piazze d’Italia milioni di
lavoratori, di pensionati, di cittadini sono state superate, anzi, alcune
risultano addirittura aggravate.
Avevamo chiesto lo
stralcio dell’art.18 e delle modifiche all’arbitrato, perché non c’è nessun
vero sindacalista disposto a trattare
con qualunque controparte (almeno così pensavamo fino a qualche giorno fa!)
sapendo che il contenuto di quel negoziato prescinde dalle conclusioni, in quanto
già scritte in partenza. Figurarsi quando trattasi di materie che minano alla
base la stessa funzione del sindacato nei luoghi di lavoro, perché a questo si
arriverebbe mettendo in discussione l’unico argine alla discrezionalità delle
imprese nel rapporto con i lavoratori.
Ciò non è avvenuto e la nostra ostilità a ciò che si
configura come un vero e proprio inganno verso i lavoratori e come la richiesta
di condizioni di pari dignità ai tavoli del confronto viene spacciato per un
puntiglio ideologico della CGIL e per un disegno politico personale del suo
segretario (per fortuna ci sono la Rosy Bindi e la Rosa Russo Iervolino che
trovandosi d’accordo con Cofferati aiuteranno gli italiani a capire che forse
non è proprio così….).
Avevamo chiesto il ritiro del provvedimento sulla decontribuzione dei nuovi assunti poiché
avrebbe significato minare alle fondamenta il sistema previdenziale da noi
difeso con la riforma del ’95 e non solo il provvedimento non è stato ritirato
ma è stato tolto dai tavoli di discussione e spostato in avanti nel tempo.
Il Governo ha capito che quel provvedimento fa saltare il banco e non potendo far
saltare i tavoli preferisce riservarci una polpetta avvelenata in materia
pensionistica al momento della definizione delle scelte di bilancio.
Il risultato è che da diversi giorni è ripartita la
canea montante sulle pensioni e le modifiche strutturali da apportare al
sistema pubblico e la materia è sottratta al confronto tra le parti sociali,
forse con l’obiettivo di imporre in autunno alle stesse la presa d’atto di tali
modifiche.
Avevamo chiesto di modificare l’impianto della
riforma fiscale, poiché lesiva del principio costituzionale della progressività
e, di conseguenza, penalizzante per i redditi medio bassi, la risposta è stata
che si farà come previsto nella delega, perché il contenuto della delega non si
discute ed infatti il suo percorso è parallelo al tavolo delle parti sociali e
quel poco che si farà per l’anno in corso lo si farà con risorse già attribuite
ai destinatari (restituzione del drenaggio fiscale e conferma delle esenzioni).
Art.18,
decontribuzione e fisco, assieme ad altri obiettivi della piattaforma unitaria,
rappresentavano una sorta di “pre-condizione” per mettere in campo una
disponibilità sindacale alla ripresa del confronto col Governo e lo
rappresentavano per tutti i sindacati, a partire dallo stralcio dell’art.18
intesa come condizione per sedersi al tavolo.
La stessa piattaforma dello sciopero –voglio
ricordarlo- contiene obiettivi comuni anche sul Mezzogiorno, sul mercato del lavoro,
sanità, servizi sociali e scuola.
L’operazione di rimozione del merito sindacale punta
da un lato a isolare la questione dell’art.18 dal resto della piattaforma,
cercando così di accentuare il carattere ideologico della posizione della CGIL
a fronte della disponibilità del Governo a discutere di altre proposte
sindacali in materia; dall’altro, a neutralizzare il giudizio negativo che noi
diamo sugli altri capitoli, per appannare la posizione veramente
incomprensibile delle altre organizzazioni sindacali che hanno espresso invece
–in totale contraddizione con i contenuti della piattaforma unitaria- un
giudizio positivo e costruttivo sulle proposte presentate dal Governo.
Per questo è importante che nei prossimi giorni,
sviluppando l’iniziativa di lotta della CGIL, vi sia uno sforzo adeguato delle
nostre strutture per parlare con i lavoratori, per spiegare le nostre ragioni,
per far tornare a galla il merito sindacale delle questioni sulle quali avevamo
mobilitato milioni di persone.
Deve essere chiaro che i diritti sanciti dallo
Statuto dei Lavoratori sono in pericolo e non vi è nessun tavolo che possa ad oggi
scongiurare questo pericolo, poiché l’intangibilità di tali diritti a quei
tavoli non è più obiettivo comune.
Deve essere chiaro che le pensioni pubbliche sono in
pericolo,
perché il provvedimento del Governo sulla decontribuzione dei nuovi assunti non
è stato modificato e né è oggetto di confronto tra le parti.
Il
Governo intende andare avanti per la sua strada, che è una strada foriera di
nuovi sconquassi sul sistema previdenziale pubblico.
Deve essere chiaro che la fetta principale della
torta da spartire in materia di politica dei redditi andrà ai più ricchi, perché questa è la
conseguenza delle scelte fiscali che il Governo non intende modificare e delle
altre scelte già fatte in questi mesi, come il falso in bilancio e la tassa di
successione.
E deve essere molto chiaro che 1.400.000 posti di
lavoro in più, così come tutti quei chilometri di strade, di ferrovie e di
ponti che si sono propagandati in questi giorni non hanno nessuna relazione
realistica con l’andamento dell’economia e con le disponibilità finanziarie
dello Stato.
Non è ostilità preconcetta la nostra e neanche
rifiuto aprioristico del confronto, tant’è che dei quattro tavoli previsti, tre
vedono la nostra presenza. E se il quarto non ci vede presenti è perché la CGIL
non negozia i diritti indisponibili dei lavoratori.
Ma non è mistificando la realtà che possiamo fare
gli interessi di chi rappresentiamo.
Prendiamo il caso del nostro settore. Dobbiamo e
possiamo esprimere una valutazione positiva e costruttiva sulle decisioni
assunte dal Governo in questi mesi? Solo perché esse appaiono all’opinione
pubblica come la volontà di superare speditamente il deficit infrastrutturale del
Paese? Solo perché si è dichiarato di voler realizzare tante strade, ferrovie e
adesso anche un bel ponte senza rimanere nuovamente invischiati nella melma
delle procedure che ha impedito in questi anni di fare quello che bisognava
fare?
Anche qui qualcuno che dica la verità ci vorrà e chi
se non noi che vivremo sulla pelle l’altra faccia della medaglia!
Cavalcando problemi in parte reali, come il deficit
infrastrutturale e la cosiddetta velocizzazione
delle opere infrastrutturali strategiche da realizzare il Governo, sotto la
coperta mistificante di una legge obiettivo che invece di selezionare le opere
veramente strategiche ha messo dentro di tutto, ha avviato un’opera di
smantellamento dell’impianto normativo nato dopo tangentopoli, quell’impianto
che –tra pregi e difetti- aveva comunque rappresentato un valido riferimento
per l’avvio di un processo di trasparenza e di qualificazione nel sistema degli
appalti pubblici, con l’ambizione di “contagiare” lo stesso mercato privato.
Di opere strategiche probabilmente se ne faranno
poche, date le risorse. Ma intanto una serie di procedure alle quali era
affidato il compito di verificarne le compatibilità, ad esempio, di tipo
ambientale sono state smantellate.
Per chi conosce un po’ la mia terra d’origine può simulare
le possibili conseguenze di tale scelta immaginando di affidare al Cipe o alla
Presidenza del Consiglio l’esito dello scontro in atto tra Lunardi e la Regione
Toscana sulla realizzazione di una autostrada che secondo il Ministro dovrebbe
attraversare, ovviamente sventrandone parte, quella Maremma considerata una
delle principali ricchezze del sud di quella regione.
E questo è solo l’antipasto.
Passando poi alla qualità delle opere e a quella
dell’impresa che dovrebbe realizzarle, il Governo, attraverso lo smantellamento
di quell’impianto normativo, riporta il settore indietro di dieci anni. C’è un
filo rosso che lega provvedimenti e modifiche adottati: ritorno all’istituto
della concessione, innalzamento del limite per il subappalto, indebolimento del
sistema di qualificazione delle imprese, nuovo intreccio tra progettazione ed
esecuzione, allentamento della normativa sulla sicurezza e sull’antimafia.
Provate a sovrapporre su questo film che già avete
visto nel corso degli anni passati il nuovo mercato del lavoro come il Governo
sta ridisegnando attraverso la delega che spinge il modello della flessibilità
fino alla individualizzazione del contratto di lavoro e non vi occorrerà molta
fantasia per immaginare il mondo del lavoro che regnerà ancor più di oggi in un
settore così destrutturato come l’edilizia.
L’impresa legge queste novità come un incitamento a
percorrere la via della competizione selvaggia, dove la forza dell’impresa non
viene ricercata attraverso l’innovazione ma unicamente con il taglio dei costi.
Pensate che si tratti di un luogo comune?
Il Governo non ha avuto pudore nell’assumere un
provvedimento, che noi giudichiamo gravissimo, attraverso il quale viene
annullato il decreto che obbliga le imprese a scorporare i costi della sicurezza
dai ribassi di asta.
Il messaggio è che sulla salute e sicurezza, sulla
pelle dei lavoratori si può risparmiare ed è un messaggio confermato dalle
modifiche che si intende introdurre alla normativa sulla sicurezza e che
puntano ad allentare i meccanismo sanzionatori.
Dentro questa idea di lavoro e di sviluppo il
capitale umano non rappresenta più la risorsa principale dell’impresa, non è
più il punto sul quale concentrare l’uso delle risorse, per sostituire i
modelli assistenziali degli anni passati con quelli che esaltino la crescita
delle competenze, delle qualità professionali, delle opportunità dinamiche del
m.d.l., riformando il sistema degli ammortizzatori sociali e della formazione.
E’ una idea di lavoro opposta a quella che abbiamo
delineato nel nostro “cantiere qualità”. Dobbiamo dirlo con forza perché la
strada indicata dal Governo porterà maggiore precarietà, maggiori ricatti
–innanzitutto nei confronti degli immigrati- maggiori rischi ed infortuni.
E nell’andare a chiedere l’adesione alla Fillea noi
dobbiamo offrire assieme alla tessera una prospettiva di cambiamento ed una
organizzazione disposta a battersi coerentemente per quel cambiamento.
La Fillea che nei prossimi giorni continuerà a
chiedere nuove iscrizioni è la Fillea che stando dentro la mobilitazione decisa
dalla CGIL si offre come una organizzazione che non rinuncia a difendere il
valore del lavoro e delle persone che lavorano, anche quando il tempo volge al
brutto.
Perché mai dovremmo chiedere ad un lavoratore edile,
tanto più ad un giovane lavoratore, di iscriversi alla Fillea se non anche per
indicare che esiste un altro modo di lavorare, un altro modo di valorizzare i
mestieri dentro una impresa che non necessariamente sia condannata a stare nel
girone dell’inferno.
Perché mai dovremmo chiedere ad un lavoratore
immigrato di iscriversi alla Fillea se non per fare della sua scelta una
possibilità di integrazione nel lavoro e nella società, combattendo la
concezione di una parte dell’impresa che vede i lavoratori stranieri solo come
forza lavoro da occupare per soddisfare la crescita sostenuta e non come
cittadini.
E perché mai dovremmo chiedere ai tanti giovani che
abbiamo incontrato occupandoci di restauro di iscriversi alla Fillea se non per
sostenere con loro una idea di sviluppo del settore che sia basato non solo
sulla costruzione di nuove grandi infrastrutture, ma anche sulla valorizzazione
ed il recupero dell’enorme patrimonio ambientale, culturale ed artistico
Ma perché mai dovremmo chiedere ad un lavoratore
delle costruzioni, un cementiere, un dipendente di un mobilificio, un cavatore,
un tecnico di cantiere, chiunque esso sia, di iscriversi alla Fillea se non per venire a lavorare in quel Cantiere Qualità che è il cantiere della
dignità del lavoro nel settore, della sua alta creatività e contenuto
professionale. Un cantiere dove l’ambiente, il territorio, la città,
l’abitazione è pensata in funzione delle persone che devono viverci e non
dell’impresa che deve solo guadagnare.
L’impresa è giusto che guadagni, perché senza quel
guadagno non c’è prospettiva per il lavoro. Ma in quel Cantiere Qualità c’è posto anche per l’impresa, l’impresa che per
guadagnare capisce che deve investire sul capitale principale di cui dispone,
quello umano e non invece mortificarlo e consumarlo come fosse semplice materia
prima.
Se i bacini del tesseramento sono ancora ampi
guardando alle statistiche, lo sono ancor di più guardando alle motivazioni per
le quali la scelta del sindacato diventa importante.
Pensate a quale bacino del tesseramento sia il
lavoro sommerso.
Ma la nostra lotta al sommerso non è quella ispirata
ad una scelta autoreferenziale, che il Governo vorrebbe proporre nel patto
neo-corporativo con il quale la funzione negoziale del sindacato viene
sostituita da quella assistenziale dell’Ente Bilaterale.
Noi vogliamo intercettare il lavoratore sommerso non
solo per assisterlo, ma per coinvolgerlo in un processo di cambiamento
dell’organizzazione del lavoro e del sistema dell’impresa, rendendolo
partecipe, quindi, di una impresa per la quale è indispensabile la funzione di
un soggetto partecipato come il sindacato.
Un iscritto al sindacato fa sempre bene alla salute
(e qualcuno dirà alle tasche), ma noi vogliamo un iscritto in più per dare più
forza al cambiamento. E qui incontreremo probabilmente gli ostacoli maggiori,
perché tanti ci diranno che siamo fuori dal mondo, che tanto cambiare non si
può, che le cose sono sempre andate così e come sempre alla fine si
aggiusteranno.
Sono sirene pericolose, non tanto perché in grado di
convincere che così va bene, ma soprattutto perché in grado di diffondere
adattamento e rassegnazione. Ed un sindacato che si rassegni, soprattutto in un
settore come questo è per forza di cose condannato a subire i processi.
Altra cosa è il realismo, di cui questa categoria
non difetta. Ma in questa caso il realismo è indice di maturità, di esperienza,
quell’esperienza che dobbiamo investire nei tentativi di cambiamento, anche
piccoli e parziali.
Abbiamo davanti una stagione contrattuale
integrativa. In gran parte sarà “ordinaria amministrazione”. Ma in piccola
parte può essere la sede dove la sicurezza dei lavoratori, la loro formazione,
dove l’integrazione dei lavoratori stranieri o le condizioni materiali della
vita nei cantieri registrino dei passi in avanti rispetto alla situazione in
cui siamo.
Credo che essere iscritti ad una organizzazione che
non rinuncia a giocare questa partita, anche quando la gioca fuori casa,
rappresenti elemento di maggiore forza e motivo di orgoglio per chi sceglie la
tessera della Fillea e soprattutto sia elemento che incentiva la scelta di
prendere quella tessera.
Anche in questa occasione voglio insistere sul
concetto che dentro questo cantiere c’è la vera condizione di rinnovamento del
nostro sindacato, perché rinnovamento è innanzitutto forze nuove, giovani
dirigenti, che per fortuna stanno crescendo (under 30) e che ringrazio
anch’essi per le prime deleghe che hanno cominciato a fare girando come
trottole nei cantieri e soprattutto per essere sopravvissuti a questa danza
sfrenata.
Ma rinnovamento è soprattutto idee, idee nuove che
sappiano rinnovare valori antichi. E se cresciamo di numero è più facile che
possano crescere le idee, i punti di vista, le aspettative e questo è veramente
tutta salute per l’organizzazione.
Caro Sergio, spero che il regalo ti sia piaciuto
anche se quando abbiamo pensato di regalarti questi 300.000 iscritti non
avevamo pensato al fatto che non avremmo più avuto molto tempo per gustarceli
insieme.
La Fillea, come sai bene, è una categoria che nella
sua umiltà, nella sua lealtà e nella sua riottosità ti ha sempre sostenuto, ti
ha voluto bene e te ne vorrà sempre.
Ma è anche questa tua rigorosa coerenza che ci ha
ispirati e ci ispira nel difficile lavoro quotidiano della categoria ed è anche
per questo che tu resterai comunque con noi dentro questi 300.000 iscritti ed
in quelli che faremo nei prossimi anni.
Anzi, facciamo un patto che quando avremo portato la
Fillea a 350mila iscritti tu sarai con noi a festeggiare, indipendentemente da
quello che farai in quel momento.
Quindi, compagni, al lavoro. Se li faremo tutti
questi iscritti state pur certi che Sergio tornerà a trovarci.