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Direttivo Nazionale della Fillea Cgil.

 

Bilancio stagione contrattuale e lavoratori immigrati.

Relazione di Mara Nardini, Segretario nazionale della Fillea Cgil.

 

Due giornate dedicate al bilancio della complessa stagione contrattuale, ai problemi dei lavoratori immigrati e ai prossimi impegni che in autunno impegneranno la Fillea Cgil.

Presso la sede della Fillea Nazionale il 14 luglio  e 15 luglio 2004, presso il Centro Congressi Frentani  4, si è svolto il Direttivo Nazionale della Fillea Cgil,  per verificare il lavoro svolto sul problema  dei lavoratori stranieri ad un anno di distanza dall’Assemblea Nazionale di Bologna ed approvare il bilancio consuntivo.

Il 15 luglio i lavori del Direttivo sono continuati con il bilancio dell’iniziativa sindacale  della Fillea e  gli  appuntamenti della ripresa autunnale, nel contesto della  situazione politica nazionale.

I lavori del Direttivo sono stati conclusi dal Segretario Generale della Cgil Guglielmo Epifani.

 

Relazione di Mara Nardini, Segretario nazionale della Fillea Cgil, su Immigrazione nelle Costruzioni.

 

 

 

Relazione di Mara Nardini, Segretario nazionale della Fillea Cgil.

Immigrazione nelle costruzioni. Luglio 2004

 

Questa riunione si svolge ad un anno di distanza dalla Assemblea nazionale dei lavoratori stranieri della Fillea, che abbiamo svolto a Bologna a fine giugno 2003. In quella occasione abbiamo preso l’impegno a realizzare ad un anno di distanza, cioè oggi, un bilancio del lavoro svolto, quale tappa di un percorso in parte alle nostre spalle e in parte ancora davanti a noi.

Abbiamo detto l’anno scorso a Bologna, infatti, che quella iniziativa non era una tantum, ma l’inizio di un percorso che deve coniugare sindacalizzazione, rappresentanza e politiche di integrazione. Abbiamo sottolineato che da parte dei lavoratori stranieri viene una domanda di tutela e, insieme, di rappresentanza, e abbiamo affermato che come Fillea dovevamo fare un salto di qualità su entrambi i piani: per questo nella costruzione delle piattaforme contrattuali, prima, e nel rinnovo dei contratti nazionali, poi, dovevamo risposta a esigenze e richieste provenienti da questi lavoratori. Nella stagione contrattuale che si sta concludendo sono stati raggiunti alcuni risultati, che non sono solo il segno di un più alto livello di attenzione, ma anche della pervicace convinzione, durante il confronto contrattuale, a mantenere fermi alcuni obiettivi, che abbiamo infine conquistato. Da questo punto vista il bilancio appare positivo.

Sul secondo piano, quello della sindacalizzazione e della rappresentanza, il salto di qualità che abbiamo auspicato non c’è stato a sufficienza, ma soprattutto gli avanzamenti fatti non corrispondono a quello che la situazione richiede.

A Bologna abbiamo sostenuto un principio giusto, cioè che i lavoratori stranieri debbono essere considerati una fonte costitutiva di rappresentanza nei posti di lavoro e nelle strutture del sindacato, che garantisca insieme una rappresentanza della condizione di immigrato e della condizione di lavoratore, che coniughi i due aspetti, innovando, per questa via, il modello organizzativo.

Sempre a Bologna abbiamo affermato che dovevamo dare il via ad un progetto, da implementare via via, che doveva sfociare con la costruzione di un coordinamento immigrati della Fillea.

Il Comitato Direttivo della Fillea del 18 luglio 2003, successivo all’assemblea di Bologna, ha approvato un O.d.G. che impegnava il gruppo dirigente su questo progetto e su una serie di obiettivi coerenti con tale obiettivo.

Mi pare di poter dire che i passi in avanti - che pure ci sono stati -  non sono sufficienti, ma soprattutto che non c’è stato, alla radice, quel salto di qualità a cui accennavo prima. Salvo qualche realtà, che lodevolmente ha agito, anche in modo significativo, ma isolatamente, il complesso dell’organizzazione non ha mostrato una adeguata consapevolezza che su questo terreno si gioca una delle sfide del futuro, ed è questo il problema di fondo.

 

Se guardiamo, infatti, all’andamento della crescita di lavoratori stranieri nell’edilizia, e ai dati attesi per l’edilizia e il legno per il 2004, non si può non vedere che fra qualche anno i lavoratori stranieri in molte realtà territoriali potrebbero essere anche la metà dei lavoratori.

Già oggi, dalla elaborazione Formedil su dati casse edili di settembre 2003, risulta che 37 province hanno più del 20 % di lavoratori stranieri, con punte del 30% e oltre.

I dati rilevati in questi giorni per il settore edile dal nostro Dipartimento Organizzazione, con la paziente collaborazione delle nostre strutture regionali e territoriali, ci forniscono risultati ancora più rilevanti, riferiti a Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio. Molto, molto spesso le percentuali di lavoratori stranieri sono sopra il 30 % del totale.

Quello che più impressiona, lasciatemelo dire, è l’andamento della crescita.

Se si guarda ai dati forniti dalla CNCE dal 99 al 2003, si vede come il fenomeno è letteralmente esploso.

A livello nazionale, scontando quindi una media riequilibrata dal dato del Sud e delle Isole, dove vi è una presenza ridotta di immigrazione stanziale, si va da un 6% del 99 al 17% circa del 2003, con una curva che si impenna negli ultimi anni. Graficamente (vedi ultimi grafici elaborati su dati CNCE) il fenomeno è evidentissimo, la curva della presenza di stranieri si innalza rapidamente, il che rende molto facile e intuitivo quello che in scienze statistiche si chiama estrapolazione, cioè la stima dell’andamento del fenomeno nel futuro.

 Per questo non è una profezia dire che fra qualche anno in molte realtà i lavoratori stranieri raggiungeranno il 50%, ma solo l’applicazione di uno strumento statistico.

Del resto, se osserviamo i dati della ricerca Excelsior, cioè lo strumento informativo del sistema delle Camere di Commercio, che ha stimato il fabbisogno per quest’anno di lavoratori provenienti da paesi extracomunitari, si vede che nelle Costruzioni la percentuale di questi lavoratori è, come media nazionale, da un minimo del 30% ad un massimo del 34%, e per il settore del legno, sul quale non abbiamo molte altre fonti di dati, la stima é da un minimo del 29% ad un massimo del 32%.

Abbiamo detto, quindi, evidenza e rilevanza del fenomeno.

Ma sono anche evidenti le connessioni fra questo fenomeno e due temi per noi fondamentali, quello del lavoro nero, della regolarità delle imprese e della legalità del settore, e il terreno della salute e sicurezza del lavoro.

Sul primo dei due non mi soffermo molto; riaffermando che il fenomeno del sommerso prescinde dalla nazionalità, perché é un problema di sistema  produttivo, sappiamo bene anche che questi lavoratori, soprattutto quelli di recente immigrazione o costretti alla clandestinità, spesso sono l’anello più debole e sono incolpevolmente reclutati per lavorare in nero, attraverso meccanismi di vero e proprio caporalato . Per questo va rimarcato con forza che tanto più sapremo dare tutela, organizzazione, rappresentanza, sostegno all’integrazione ai lavoratori stranieri, facendone un soggetto attivo e protagonista di iniziative e di lotte, anziché una serie di individui isolati e ricattabili, tanto più saremo efficaci nella lotta al lavoro nero.

Sul secondo tema, quello della salute e sicurezza sul lavoro, va ricordato che su questi lavoratori molte volte si riversano i lavori peggiori, più faticosi, più pericolosi, con meno prevenzione, senza protezioni, che presentano orari prolungati e turni senza riposo. I dati degli infortuni lo evidenziano.

Il lavoro degli extracomunitari, secondo l’Inail, è quello che presenta un tasso di incidenza infortunistica sensibilmente più elevato rispetto a quello medio nazionale (nel 2003 il 55,6 contro il 43,2 per 1000 occupati). Nelle Costruzioni si concentrano il 14,6 degli infortuni occorsi a questi lavoratori, e il 25% degli infortuni mortali.

Dalla nostra rilevazione degli infortuni mortali in edilizia, che denuncia la cifra di 109 vittime, emerge che di queste il 16,6% è straniero, e che ad oggi contiamo già 18 immigrati vittime di infortuni mortali, contro i 12 dello scorso anno.

Sono quindi i lavoratori che più di altri hanno bisogno di tutela, del supporto di una formazione e informazione alla sicurezza dedicata, non generica. Solo con questa azione mirata possiamo sperare di contribuire a ridurre la strage quotidiana che si svolge nei cantieri e nei luoghi di lavoro.

Sul terreno del proselitismo e dell’iscrizione alla Fillea di questi lavoratori, alcuni dati sono confortanti e sono il segno di un rilevante sforzo di sindacalizzazione portato avanti in alcune strutture, anche attraverso il distacco dal posto di lavoro di compagni stranieri, mentre in poche ma significative realtà sono anche il risultato di un rapporto consolidato con le comunità straniere e fra i lavoratori.

Il dato medio, 28% circa, è il segno che bisogna fare di più, però va considerato che non tutte le strutture hanno risposto alla nostra rilevazione e, probabilmente, chi non ha risposto ha meno iscritti.

In questo campo un nostro punto di debolezza è rappresentato dall’assenza di una rilevazione nazionale degli iscritti stranieri che sia metodologicamente impostata e svolta in modo continuativo, un vero osservatorio sulla sindacalizzazione e il proselitismo fra i lavoratori stranieri, che serva anche ad un confronto fra gli sforzi messi in campo, attraverso progetti politici e organizzativi mirati, e i risultati conseguiti, gli obiettivi raggiunti, e che metta in luce i nostri punti di forza e di debolezza. Penso che, a partire dalla struttura nazionale, occorra fare di più.

Per quanto riguarda la presenza di compagni stranieri nei gruppi dirigenti, nei direttivi e negli apparati, al di là di qualche interessante avanzamento, il dato complessivo non è confortante. La nostra rilevazione, incompleta, ma indicativa, mostra qualche realtà che ha presenze significative nei Comitati Direttivi della strutture territoriali, fra i funzionari o nelle Segreterie.  Anche su questo terreno, però, è il complesso della Fillea che deve cambiare marcia.

n realtà molte volte, anche dove i lavoratori stranieri sono una presenza rilevante, i dirigenti sono tutti compagni italiani.

Nel complesso, dalla nostra rilevazione risulta che i componenti stranieri dei Comitati Direttivi sono 34, i componenti di segreteria o funzionari, sia a tempo pieno, che a tempo parziale, sono 6, i delegati distaccati dal posto di lavoro su progetti sono 14.

La questione dei gruppi dirigenti appare, quindi, quella su cui si registrano più difficoltà, anche perché per far crescere un delegato, per accumulare esperienze di lavoro sindacale o di direzione politica ci vuole tempo, e le soluzioni a questo problema non si possono improvvisare.

Occorre però evitare che questo aspetto diventi giustificatorio e far procedere un vero progetto politico.

Non voglio richiamare qui meccanismi automatici, del tipo tanti tra i lavoratori, altrettanti fra i dirigenti, perché penso che la questione della composizione dei gruppi dirigenti non vada risolta in termini di pura rappresentanza proporzionale, col rischio di ridurre la complessità di una soggettività, quale è quella dei lavoratori stranieri. Chiarito questo aspetto di fondo, resta però tutto il problema di un equilibrio nella formazione dei gruppi dirigenti che non neghi ai lavoratori stranieri la possibilità di essere fonte di rappresentanza anche a quei livelli.

Per concludere, la riunione di oggi è dedicata a sollecitare quel salto di qualità che non c’è stato a sufficienza, ma che è sempre più urgente, non solo per il tempo che è passato invano, ma perché nel frattempo i problemi non sono rimasti fermi, ma si sono aggravati, di pari passo con la crescita dei lavoratori stranieri nelle nostre fila.

Per questo vogliamo sentire soprattutto voi, il vostro punto di vista, non solo che cosa avete fatto, ma cosa pensate di fare, cosa pensate che andrebbe fatto.

Rispetto all’obiettivo che ci eravamo dati di procedere alla costruzione di un coordinamento immigrati, può essere forse una tappa utile creare una rete di compagni, italiani o stranieri, responsabili per la propria struttura, che costituisca una sorta di osservatorio nazionale sull’immigrazione, che si riunisca anche poche volte l’anno, ma che stia in rete dialogando attraverso il supporto dell’informatica.

Questa e altre proposte, a mio parere, debbono rispondere ad un problema di fondo, cioè che è impensabile la crescita isolata di esperienze anche significative, senza che queste diventino patrimonio di tutti, è impensabile la individuazione di problemi nuovi senza che diventino problemi di tutti. E’ indispensabile lo scambio di esperienze, di pratiche, l’arricchimento reciproco, ma anche lo stimolo collettivo a misurarsi con problemi che possono sembrare più grandi di noi, che si chiamano migrazioni, globalizzazione, multietnicità, multiculturalità, e altri ancora.

 

Sono temi che fanno ineludibilmente parte del nostro futuro, che ci toccano e ci riguarderanno direttamente, che non possiamo delegare o ignorare, dei quali dobbiamo discutere sempre di più, con la misura che ci caratterizza, per contribuire, come ci si può aspettare da una categoria fatta di tanti lavoratori stranieri, al dibattito sindacale su questi problemi.

 

 

Roma 14 luglio 2004

 

 

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